Teatro e Musical > Les Misérables
Ricorda la storia  |      
Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    30/03/2013    4 recensioni
[Songfic, Les Misérables e De André]
"Forse è morto", azzardò il suo compagno di missione.
Javert osservò meglio l'uomo sdraiato davanti a lui. Aveva la pelle ramata di chi ha passato la sua vita in mare. Fra le mani stringeva una bottiglia di vino color verde scuro, e il suo volto dagli occhi chiusi era illuminato da un sorriso. O forse erano soltanto le rughe che disegnavano un sorriso sul suo viso, rischiarato dalla luce arancione del tramonto.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
pescatore
ALL'OMBRA DELL'ULTIMO SOLE

All'ombra dell'ultimo Sole
S'era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso.

Era il tramonto a Tolone.
Il vecchio era stanco. Aveva trascorso un'esistenza tranquilla, lontano dai pericoli. I suoi giorni erano stati dipinti di cieli tersi ed accecanti, dell'odore penetrante del legno e di quello amaro della salsedine. Del caldo e della pelle bruciata, del vento e dell'acqua sparata in faccia senza pietà. Il sapore del mare. La rete gettata, la speranza. La baracca dimenticata da Dio a cui faceva ritorno ogni sera, le grida dei bambini nel vederlo arrivare con la cena appena pescata, il sorriso della moglie e i suoi occhi tanto simili al mare. Le sue guance soffici, sì. La loro piccola felicità.
Tutto era passato. Il vecchio ritornava al passato con un sorriso - o forse erano le rughe a disegnargli un sorriso sul volto. Ricordava e osservava il mare, scrutava l'immensità sua compagna pensando alla vita e alla morte. Il Sole stava per nascondersi nel luogo in cui era andata sua moglie, e in cui forse l'avevano raggiunta i suoi figli quando anni prima, dopo aver annunciato la propria partenza in barca, non erano più tornati.
Solo il mare era rimasto con lui. Il suo amico di sempre, la belva che gli aveva portato via i suoi figli.
Era andato a pesca la mattina stessa. Non aveva ottenuto grandi frutti, ma meglio di niente. Aveva finalmente trovato i soldi per comprarsi un tozzo di pane e una meritata bottiglia di vino. E ora era lì, sulla spiaggia, deserta come tutte le sere. Senza una casa, dormiva vicino alla sua barchetta, la sabbia come materasso. Alle volte, qualche granchio veniva a fargli compagnia, guardandolo con quegli occhietti che sembravano costantemente sull'attenti.

Gli occhi dei granchi furono la prima cosa a cui il vecchio pensò quando venne svegliato. Due occhi sbarrati, color nocciola, lo fissavano imploranti, e gli ricordarono quelli dei granchi.
"Ti prego, dammi da mangiare, dammi del pane". La voce travolse il vecchio prima che fosse del tutto sveglio. "Non ho tempo, non ho tempo. Ti prego. E dammi del vino. Sto morendo di fame e di sete".
ll vecchio mise a fuoco il proprietario di quegli occhi da granchio, occhi quasi da bambino. Era un uomo sulla trentina, ma sembrava portare su di sé il peso di tanti, tanti altri anni. Tracce di tale peso erano i graffi che gli storpiavano il volto, e i vestiti. Sulla casacca malridotta era stampato un numero: 24601. Il vecchio ricordava di avere già visto, qualche volta, abiti simili. Così vestivano i prigionieri del carcere della città.
"Ti prego, vecchio, ho sete". L'uomo lo fissò negli occhi ancora una volta. La disperazione in quella profondità color nocciola si leggeva chiara e trasparente. Quegli occhi riflettevano mille storie. "Sì, sono un criminale. Chiamami ladro, chiamami assassino, chiamami come vuoi. Ma ti prego, ho poco tempo, e troppa fame".
Il vecchio era capace di leggere dentro a quegli specchi. Si sfilò di tasca il pane che era riuscito a guadagnarsi e porse all'uomo la bottiglia di vino che aveva comprato la mattina stessa. Nessun rimorso. Osservò l'uomo mentre si avventava su quel poco che aveva potuto offrirgli, e lesse le sue avventure. Il pane. Proprio il pane che stava mangiando l'aveva portato alla rovina, alla reclusione. Aveva rubato un pezzo di pane, e la sua vita era andata in frantumi. E ora, ora stava cercando di scappare dall'Inferno.
Leggeva in lui vecchie stradine di vecchi paesi, dominati dai cieli azzurri e dai fiori colorati alle finestre. Un vecchio cortile ombroso di una vecchia casa, un vecchio aprile. Una vecchia infanzia. Poi, la povertà, il dolore crescente, il senso d'impotenza. La paura, l'arditezza, il baratro. Leggeva il pianto che si ferma in gola, soffocante, come una morsa di pietra. Leggeva un uomo dagli occhi azzurri e la voce tagliente come una lama, una maledizione incombente.
L'uomo sollevò lo sguardo verso il vecchio. Aveva finito di mangiare. Fu un attimo: bevve in un sorso il vino che era rimasto nella bottiglia e riprese a correre, veloce come il vento, verso il vento, verso il Sole, piangendo al ricordo di quel vecchio aprile.
Il vecchio raccolse la bottiglia da terra e osservò incantato i suoi riflessi verdi fusi con l'arancio rosato del tramonto. Dio era nei colori, o forse nel vetro. Vetro come acqua, acqua di mare. Un rumore di zoccoli si avvicinava, da qualche parte, in lontananza. Poco importava. Dio era nella carità, la carità era nel vino. Il pane e il vino, come l'Ultima Cena. Sorrise. I colori dell'immensità, del mare. Il colore degli occhi di sua moglie, il colore nocciola degli occhi del granchio fuggitivo.

L'Assistente di guardia Javert stringeva forte le redini del cavallo mentre la spiaggia scorreva sotto di lui a tutta velocità. Aveva ancora una vita intera davanti, ma sapeva perfettamente a che cosa l'avrebbe dedicata. L'aria gli sferzava il viso, prepotente. Sentiva il cuore battergli forte mentre spronava il cavallo a tutta velocità all'inseguimento di quel fuggitivo: quella era la vita. Quella!
Lanciò un'occhiata distratta all'altro Assistente che lo accompagnava. Il suo cavallo galoppava leggermente più piano del proprio. Non c'era affatto bisogno di due persone per inseguire un inetto come quel ladruncolo che era evaso, avrebbe potuto farcela da solo. Invece gli era stato affibbiato come compagno un altro Assistente di guardia, lento per di più. Totalmente inutile. Come si chiamava, pure?...
Improvvisamente intravide una figura sdraiata sulla sabbia a qualche centinaio di metri di distanza. Tirò le redini con forza, sembrava un vecchio. Avrebbe potuto fornire loro informazioni utili sul fuggitivo.
"Signore!", chiamò avvicinandosi al trotto. Il vecchio non reagì. "Signore, stiamo cercando un fuggitivo, un criminale. E' passato di qui, per caso? E' il numero...". Prese fuori dalla tasca il foglio che gli avevano al carcere dato prima di mandarlo all'inseguimento. "E' il numero 24601".
Il vecchio, ancora una volta, non reagì. Gli si avvicinarono al passo, si fermarono.
"Forse è morto", azzardò il suo compagno di missione.
Javert osservò meglio l'uomo sdraiato davanti a lui. Aveva la pelle ramata di chi ha passato la sua vita in mare. Fra le mani stringeva una bottiglia di vino color verde scuro, e il suo volto dagli occhi chiusi era illuminato da un sorriso. O forse erano soltanto le rughe che disegnavano un sorriso sul suo viso, rischiarato dalla luce arancione del tramonto.
"Forza, andiamo. Non c'è tempo da perdere", borbottò. La vista di quel vecchio, immobile e sorridente, l'aveva turbato.
Si lanciò nuovamente al galoppo, seguito dal compagno. Correvano col vento, correvano verso il vento, correvano verso il Sole.
Dietro le spalle, un pescatore.




   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Teatro e Musical > Les Misérables / Vai alla pagina dell'autore: Sophie Isabella Nikolaevna