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Autore: Carrie Bradshaw    18/10/2007    6 recensioni
"La mia pelle scottava, mi girava la testa. Incapace di reggermi in piedi, mi sostenni a lui, posai il capo sul suo petto. E fu così, che iniziai a fare chiarezza nella mia mente.
Non ero più il natante disperso tra le acque, ma il naufrago coraggioso, che si aggrappava alle rive dell’isola deserta per non affogare. Un naufrago che solo allora imparava a sentire il profumo del mare, il sapore del sale sulle labbra. E gioiva di non essere morto."

La fine della guerra ha portato la pace nel mondo magico, ma non la felicità nell’animo di Hermione Granger. Ma è proprio quando sembra non ci sia più niente da aspettarsi oltre il crollo definitivo nel baratro del dolore, che la felicità riaffiora lentamente, celata sotto una maschera d’antico e mai celato odio. E la speranza torna a rinascere…
Genere: Romantico, Triste, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bring Me To Life

1° Capitolo: Fantasmi del passato

 

 

Bene e male, peccato e innocenza, attraversano il mondo tenendosi per mano. Chiudere gli occhi di fronte a metà della vita per vivere in tranquillità è come accecarsi per camminare con maggior sicurezza in una landa disseminata di burroni e precipizi.

 

Oscar Wilde

 

Non avevo mai immaginato che sarebbe andata così, la mia vita. Un tempo avevo disprezzato la guerra, e tutti coloro che ad essa prendevano parte.

Avevo imparato a distinguere il bene dal male, e ad evitare, per quanto fosse possibile, il secondo. Cercavo sempre di mostrarmi buona e gentile con tutti, nel mondo babbano.

Ricordo che i miei compagni dell’asilo mi facevano sempre i dispetti, quando le maestre erano distratte: mi tiravano i capelli, mi strappavano dalle mani i giocattoli.

Eppure io non mi arrabbiavo, né mi lamentavo con i miei genitori.

Non scorderò mai il giorno in cui mio zio Daniel mi disse che i miei ricci erano crespi per colpa di tutte le volte che gli altri bambini me li avevano tirati.

Sapevo di non essere bella, ma non mi vedevo nemmeno brutta. Ero minuta e mingherlina, a differenza delle mie cugine, che già a tredici anni iniziavano il processo di sviluppo. La mia stessa madre, Jane, aveva avuto un corpo sinuoso ed elegante sin da adolescente.

Io ero goffa, e non in grado di mantenere per più di un istante una postura corretta, poiché abituata a stare per ore china sui libri.

Mi avevano salvato la vita, quei narratori onniscienti. Un libro era come un amante, per me. Mi teneva compagnia quando ero oppressa, mi intrigava e allo stesso tempo era un appoggio nei momenti di noia e dolore. Solo sfiorare la copertina di un vecchio tomo impolverato mi provocava un brivido, e mi sentivo fremere sino infondo l’anima.

Anelavo il sapere, ed estasiata non mi davo pace nella ricerca di esso.

Sono sempre stata avida di conoscenza, sia nel mondo babbano che in quello magico.

I miei genitori non si stupirono, quando scoprirono che ero destinata ad andare a studiare in una scuola per persone diverse, per maghi e streghe. Avevano sempre saputo che io ero una ragazza particolare, fin troppo brillante per trascorrere tutta la sua esistenza nel mondo babbano. E fu così che conobbi Hogwarts.

La mia passione, ma anche il mio tormento. Prima di sentir parlare della magia di Hogwarts, ero abituata alla realtà dei libri fiabeschi, effimera e sorprendente.

Vivevo nella convinzione che i maghi, grazie ai loro poteri, potessero risolvere tutti i problemi dell’umanità, con un colpo di bacchetta. Ma mi sbagliavo.

Non appena ricevetti la lettera per Hogwarts, comperai immediatamente i libri scolastici, e li divorai alla velocità della luce. Ero bramosa del sapere magico, molto più che di quello babbano. Desideravo imparare gli incantesimi magici, per poterli poi padroneggiare con la bacchetta. Avrei dimostrato a tutti che, nonostante fossi babbana, ero in grado di fare le magie, quanto coloro che erano di assoluta stirpe purosangue.

Mi piaceva l’idea della diversità, da bambina. Ero oppressa dal mio aspetto esteriore insignificante, e lo compensavo con carisma e dedizione allo studio.

Era un periodo di transizione, scialbo ed immaturo. Dentro di me cresceva l’odio per Voldemort e per i suoi seguaci. Non riuscivo a capire il motivo per cui un uomo potesse essere così spietato, e di conseguenza desiderare con così tanto ardore la distruzione di un mondo costruito su basi solide, quali la pace e l’armonia.

Perché tutto questo?

Questa la domanda che mi posi per anni ed anni: cercavo la soluzione a quel tormentoso enigma dentro i libri, nelle esperienze dei passanti, negli oggetti immutabili di Hogwarts.

Rimanevo per ore immobile ad osservare il tramonto, senza capire.

Sfioravo delicatamente la superficie dei petali di un fiore di campo, ne annusavo la fragranza, eppure perseveravo nel mio stato di ignoranza. Non mi curavo della pazzia che affliggeva la mia mente: ero come un fumatore, incapace di vivere nel buio dell’astinenza, e costretto ad appigliarsi ad una sigaretta accesa per essere felice.

Come se bastasse la nicotina, poi, per guarire i problemi del mondo.

Ma questo lo capì troppo tardi. La ragione ha i suoi limiti, ahinoi. Lo diceva Kant, e io ero come muta davanti alla sua constatazione. La trovavo ridicola, e banale.

Tutto aveva una spiegazione, per la mia etica razionale. Il mondo sarebbe stato facilmente svelabile dai miei occhi, non appena essi fossero stati opportunamente combinati con i meccanismi che regolavano la mia mente.

Quanto ero sciocca ed immatura!

 

Nella vita cerchiamo sempre una spiegazione, perdiamo del tempo cercando un perchè, ma a volte non c’è, e per triste che sia, e’ proprio quella la spiegazione.

 

Posai due monete sul consunto bancone di legno, e richiamai l’ attenzione il barista, con un leggero colpo di tosse. L’uomo mi raggiunse, fulmineo.

Si muoveva come un fantasma, dietro il tavolo di legno scuro.

- Cosa ti porto? – chiese, non troppo educato.

Compresi la sua arroganza: era notte fonda, e probabilmente desiderava riposare. Da quando era finita la guerra il mondo aveva ripreso a respirare, seppure lentamente.

Non era semplice riprendere i ritmi pacifici: gli uomini dovevano lavorare duramente, per ricostruire ciò che era andato perduto. La sera si radunavano nei locali, per festeggiare e ristorarsi. I bar rimanevano aperti notte e giorno, al servizio di coloro che volevano sentire almeno un po’ di calore, prima di riprendere il lavoro, o semplicemente di tornare a casa.

Il vecchio pub di Jod era inutile, a questi fini. Quasi nessuno frequentava più quell’ambiente inquietante e deprimente, dopo la guerra. Ciò nonostante, il gestore era costretto a lavorare giorno e notte, per servire gli spettri notturni. Così voleva la nuova legge del mondo magico.

Jod, il barista spettrale, sollevò un sopracciglio nella mia direzione, irritato.

Attendeva una risposta, ovviamente.

Non aveva mai amato tanto le donne: era un uomo all’antica, ancora convinto che il gentil sesso avesse come unica funzione quella di gestire la casa e i pargoli.

Come si sbagliava, pover’uomo! Io, Hermione Jane Granger, sapevo di aver avuto un valore cento volte più apprezzabile del suo, e di molti altri simili a lui.

Eppure, anche io ero caduta nel tunnel della depressione. Io che per anni avevo lottato per i diritti degli Elfi Domestici, e vissuto per sostenere i deboli e gli oppressi, ero diventata né più e né meno come loro. E la contraddizione era che nessuno si era prodigato per aiutarmi. Nessuno. Mormorai qualche parola in direzione di Jod, poi riservai la mia attenzione al resto della clientela del locale. Non erano tanti, i frequentatori della Testa di Porco. C’erano due maghi seduti ad un tavolo. Giocavano a scacchi magici, intuii.

Una vecchia strega ricoperta interamente da un velo sedeva in un tavolino lontano, e fumava la pipa. Potevo sentire l’odore forte del tabacco sin dalla mia postazione: mi venne l’acquolina in bocca. Le mie mani corsero veloci al bottone automatico della borsetta, alla ricerca del mio unico momentaneo svago. Richiusi quasi subito la pochette di raso, ed aprì il mio pacchetto di sigarette.

Una, due… - Maledizione a me, mi ero scordata di ricomprarle.

Presi la penultima sigaretta, e me la portai alla bocca. La strinsi con le labbra, mentre la fiammella del mio accendino illuminava il locale, e bruciava lentamente l’ estremità opposta alle labbra. Inspirai una boccata di fumo, e subito il sollievo pervase il mio corpo insaziabile.

- Hai bisogno d’altro?

Le parole grevi del barista risuonarono come una eco, nella mia mente.

Oh sì, eccome se avevi bisogno d’altro. Avrei voluto una casa, una famiglia ed un uomo.

E li avevo avuti, a dire il vero. Solamente un anno prima ero andata a vivere con Ron Weasley: ero incinta di Beth, la bambina dei miei sogni.

Passavo ore ed ore a progettare la mia futura vita, non appena la guerra fosse finita. Io e Ron avremmo comprato, grazie alla ricompensa del Ministero per il servizio prestato come auror, una nuova casa. Mi figuravo nella mente mobili chiari, finestre ampie e tanti, tantissimi libri. Avrei adibito la sala più grande a Biblioteca, ed in essa avrei raccolto ordinatamente tutti i miei libri. Avrei comprato una culla di legno per la mia bambina, e dei giocattoli babbani. Le avrei insegnato a dire il mio nome …

- Un altro bicchiere, per favore…

Dovevo dimenticare la mai vita passata. Era sfumata nel nulla, come la cenere al vento.

Proprio come i miei sogni, troppo belli per avverarsi, anche soltanto parzialmente.

Avevo perso tutto quello a cui tenevo di più: Ronald Weasley, e nostra figlia.

I mangiamorte erano entrati in casa nostra nel pieno della notte. Erano cinque: pochi, ma abbastanza per distruggere la mia vita. Rubarono i nostri risparmi, diedero fuoco alla nostra casa. Al tempo ero incinta di sei mesi, e quando Ron si parò davanti a me per convincerli a risparmiarci, lo uccisero brutalmente. Non avevamo la bacchetta, né altre armi per difenderci.

Del resto non ricordo molto: solo che tentai di fuggire, e venni brutalmente picchiata per questo. All’ennesimo colpo persi i sensi, incapace di resistere oltre.

Per un attimo pensai di essere morta, e me ne rallegrai. Avrei raggiunto Sirius, Silente, Harry, Ron e tutti gli altri. Dopotutto erano più gli amici morti, ormai, di quelli vivi.

Ma non fu così. Mi risvegliai in uno dei freddi letti scomodi del S.Mungo, sola.

Mi sfiorai la pancia, non più florida e sporgente come prima, e scoppiai a piangere. Avevo perso anche mia figlia. Volevo morire, per porre fine al mio dolore.

Perché mi avevano risparmiato? Non riuscivo a capire.

Ma poi, a mente lucida, mi resi conto di quanto sarebbe stato eccitante, per un mangiamorte, distruggere completamente la vita di un loro nemico.

La morte non sarebbe stata la soluzione peggiore, nel mio caso. No.

Avrei vissuto in eterno, tormentata dai ricordi, e dai rimorsi.

Sola e triste, presi con me il denaro guadagnato per le innumerevoli missioni dell’Ordine, e andai a vivere insieme a Ginevra Weasley.

In un certo avevamo qualcosa in comune, io e lei: avevamo perso entrambe le nostre famiglie, e i nostri sogni erano stati amaramente distrutti.

Per un certo tempo vivemmo insieme, alla Tana. Poi anche Ginny mi abbandonò.

Decise di raggiungere la sua famiglia, trasferita in Francia dopo la guerra.

Eh sì, perché anche la guerra finì. L’attacco che rese vittime Ron e Beth fu l’ultimo di una lunga e sanguinosa serie. I responsabili vennero rinchiusi ad Azkaban, ed infine processati.

Tutti festeggiarono la fine della guerra… Tutti tranne me.

Non mi importava più niente, ormai. Avevo perso ogni cosa.

- Grazie, Jod. – dissi, afferrando bramosamente il secondo bicchiere che il barista mi porgeva. Lo trangugiai senza indugio, bramosa del sapore pungente del liquore nel palato. Solo quando anche l’ultima goccia del liquido vermiglio raggiunse la mia gola assetata, poggiai il bicchiere vuoto sul tavolo.

- Un altro. – mormorai, mentre mi accendevo l’ultima sigaretta.

- Lei è una gran bevitrice…

Una foce melliflua mi giunse immediatamente alle orecchie, gelida come il ghiaccio.

Ero certa di averla già sentita, almeno un’altra volta nella mia vita, ma non mi sforzai di ricordare dove e quando. Avevo la mente annebbiata, e non ero sicura di padroneggiare ancora appieno le mie capacità di raziocinio.

Non risposi. Assaporai in silenzio il gusto della sigaretta.

- Ci siamo già visti? – chiese ancora il misterioso uomo.

Sentì il suo sguardo sul mio corpo, e venni pervasa da un brivido.

La porta del pub si era appena spalancata, lasciando entrare un gruppo di ragazzi chiassosi, probabilmente ubriachi. Li seguì con lo sguardo, e mi accorsi che prendevano posto nel tavolo della strega, senza preoccuparsi troppo della sua presenza.

- Vattene, vecchia! – li sentì strillare, esagitati e ridenti.

La vecchia donna non reagì a quel tono di comando, e rimase immobile.

- Questo tavolo è nostro! – protestarono ancora, prima di gettarsi di peso sulla donna, e scaraventarla sul duro pavimento della locanda. Per un po’ si divertirono a percuoterla e schernirla, poi passarono alle bacchette.

- Oh, è disgustoso…

Le parole mi uscirono spontanee dalla bocca, senza che potessi rendermene conto.

- Già. Ma non sarebbe opportuno fermarli: sono ubriachi.

Udì la voce dell’ uomo misterioso rispondermi, e finalmente mi voltai verso di lui.

Era seduto alla mia sinistra, su uno sgabello identico al mio.

Doveva avere più o meno la mia età: lo si intuiva dai lineamenti del viso, marcati ma ancora giovanili.

Aveva liscissimi capelli biondi, e occhi chiari. Era un bell’uomo, e il suo viso mi era stranamente familiare. Mi portai una mano alla testa, a risposta di una forte fitta.

Okay, avevo esaurito buona parte delle mie facoltà intellettive, almeno per quella notte.

Spensi anche l’ultima sigaretta nel posacenere, mentre uno dei due uomini al tavolo da gioco raccoglieva la vecchia da terra, per sottrarla alla furia dei ragazzi, e si smaterializzava insieme a lei. L’altro giocatore del tavolo da gioco posò alcune monete sul  bancone, poi uscì dal locale. Eravamo rimasti in pochi, alla Testa di Porco.

Mi voltai nuovamente verso l’uomo al mio fianco, mentre cercavo con una mano la fredda superficie del bicchiere. Notai un’espressione turbata, sul suo viso.

- Sei cambiata molto. – disse, gelido. E fu allora che mi chiesi come poteva quell’uomo conoscermi. Io non l’avevo riconosciuto, dunque non doveva essere un amico, né una persona degna di ricordo.

Gli diedi il fianco per portarmi nuovamente il bicchiere alle labbra, ed assetata vuotarne il contenuto.

- Ti sei ridotta male, Granger.

Ancora non avevo prestato particolare attenzione all’uomo misterioso, ma al momento mi sentì sorpresa. Solo una persona, nel corso della mia vita, aveva pronunciato il mio nome il quel modo. Mi voltai di scatto, ed incontrai quegli occhi color ghiaccio. Così finalmente capì.

 

Essere allegri non significa necessariamente essere felici, talvolta si ha voglia di ridere e scherzare per non sentire che dentro si ha voglia di piangere.

Jim Morrison

Ero sempre stata snobbata, ad Hogwarts. La classica secchiona, brutta e di mentalità arretrata e rigida.

Col passare del tempo il mio aspetto era leggermente migliorato: ero cresciuta di circa quindici centimetri, e mi ero tagliata i capelli. Non ne potevo più di quei riccioli indisciplinati, e per andare a lavoro erano estremamente ingombranti.

Quando ancora vivevo con Ron avevo optato per il liscio. Impiegavo ore, ma al termine della preparazione avevo capelli ordinati e lucenti. Non erano più lunghi come un tempo, ma ero soddisfatta.

Col tempo però smisi di curarli: non mi importava di apparire bella, né di attirare sguardi maschili. Non mi truccavo più, né portavo abiti eleganti.

Quel giorno indossavo appunto un paio di vecchi jeans aderenti, e le mie immancabili scarpe col tacco. Quella per le scarpe alte era una passione maturata col tempo, e trasmessami da Ginny.

La rossa mi aveva lasciato buona parte delle sue scarpe eleganti, pregandomi di continuare ad utilizzarle. E senza un motivo preciso, le avevo sempre dato ascolto.

Non mi facevano sentire bella, né importante. Erano solo un banale svago, un po’ come le sigarette e l’alcool.

Avevo una vecchia camicia rossa, chiusa sino all’ultimo bottone, con pudicizia.

Sullo sgabello alla mia destra avevo posato il cappotto invernale, e la mia vecchia borsa. Un regalo di Ron. Al solo ricordo dell’occasione in cui me la comprò, mi si strinse il cuore.

Frugai al suo interno, per estrarne il mio pacchetto di sigarette. Vuoto.

- Posso offrirtene una? – mi chiese Malfoy, porgendomi il suo pacchetto già aperto.

Non sapevo il motivo per cui me lo chiese, né quello per cui accettai. Probabilmente ero troppo ubriaca per pormi il problema.

Mi portai la sigaretta alle labbra, e fulminea la mano di Malfoy si accostò ad essa, con un accendino fiammante. Inspirai finchè non si accese, e lo vidi scostare lentamente la mano. Per un istante desiderai che non la allontanasse, senza capire però il motivo.

- Allora Granger, come andiamo? Pensavo che aver vinto la guerra ti rendesse felice…

- Tu dovresti essere morto…

Una constatazione credibile, ma non certa.

- Ma sono qui. Non hai saputo del mio pentimento, dei miei innumerevoli favori al Ministero? Ti facevo più partecipe alla vita pubblica, Granger. Il tuo maritino si arrabbierebbe, se ti sapesse qui, non credi?

Malfoy rise, glaciale. Sentì di odiarlo, in quel momento più che mai.

- Vai al diavolo.

Avrei voluto sputargli in un occhio, ma mi limitai a dargli le spalle.

Ordinai un altro bicchiere di pura Vodka, e finì la mia sigaretta.

Malfoy capì di aver toccato un nervo scoperto, e continuò a torturarmi.

- Curioso che ti sia lasciata andare in questo modo, Granger. Un tempo eri una coraggiosa Gryffindor, ed ora sei un’alcolizzata depressa…

Infieriva nel mio dolore, senza alcun apparente scrupolo. Ma in realtà stava solo sondando il terreno: lo capì più tardi, col passare del tempo.

Lo ignorai, e mi guardai attorno in cerca di qualcuno a cui chiedere una sigaretta.

Gli unici rimasti erano i ragazzi chiassosi al tavolo lontano: intrepida, mi alzai in piedi per raggiungerli. La mia andatura era incerta, ma ero troppo arrabbiata per poter ascoltare ancora le umiliazioni di Malfoy,.

- Fossi in te non lo farei, Granger. – mi avvertì l’ex Slytherin.

Non detti segno di averlo sentito: lo odiavo, quel bastardo.

Sarebbe dovuto essere lui a morire, e non Ronald… – Mi ripetevo incessantemente quelle parole, mentre raggiungevo il tavolo dei ragazzi.

- Ehi, ciao bella! – esordì uno di loro, attirando l’attenzione degli amici su di me.

- Non avreste un sigaretta da offrirmi? – chiesi, per nulla titubante.

I ragazzi mi guardarono, sorridenti. Attesi che finissero di bisbigliare, in silenzio.

- Io per te avrei un’altra cosa… - mi disse uno, alzandosi in piedi.

In men che non si dica me lo ritrovai dinanzi, e sentì il suo sguardo su di me.

- Ehi, l’ho vista prima io! – si lamentò il primo dei ragazzi che aveva parlato.

- Non ti preoccupare, ce n’è per tutti. – scherzò un terzo, alzandosi in piedi a sua volta.

In pochi istanti tutti si alzarono, e mi circondarono.

-  Allora, posso avere una dannata sigaretta?

Ero un po’ ubriaca, ma non stupida: non mi piaceva quella situazione. E nonostante avessi perso quasi del tutto la mia capacità di raziocinio, non ero tanto ubriaca al punto da farmi prendere da cinque ragazzi insieme. Non distinguevo le loro facce, ma intuivo il loro desiderio.

- Okay, non ce l’avete.

Mi voltai e feci per andarmene, ma sentì una mano che si serrava intorno al mio braccio, e mi costringeva a voltarmi.

 

 

Finora ignoravo cosa fosse il terrore: ormai lo so. E’ come se una mano di ghiaccio si posasse sul cuore. E’ come se il cuore palpitasse, fino a schiantarsi, in un vuoto abisso.

 

Oscar Wilde

 

 

Cercai di divincolarmi dalla salda presa, ottenendo come unico risultato quello di divertire i miei assalitori. Mi sentivo come un agnellino, spaurita in mezzo ad un branco di leoni affamati. Oh, quanto era lontano il tempo in cui anche io ero una forte, grintosa leonessa! Ripensai invano alla mia bacchetta, che già da tempo non usavo più.

- Lasciatemi in pace. – mormorai, con forse troppa poca convinzione.

Mi resi conto, seppure la mia mente fosse offuscata dall’alcool, di quanto la mia voce suonasse debole ed incerta. I ragazzi risero, ed io indietreggiai.

Mi artigliarono anche il braccio destro, e lo tennero stretto insieme all’altro, dietro la mia schiena. Tentai di divincolarmi, facendomi male. La posizione delle mie braccia mi impediva di muovermi, a meno che non volessi soffrire le pene dell’inferno.

E poi, in ogni caso, l’uomo che mi teneva ferma era molto più grosso e forte di me.

Ero spacciata. Sentì una mano aprire i primi tre bottoni della mia camicetta, per poi chiudersi con forza intorno al mio seno. Mi morsi le labbra, soffocando un urlo.

- Spogliala! – strillò uno dei ragazzi, esagitato. Chiusi gli occhi, troppo impaurita e disgustata per osservare il mio corpo nudo in balia di quegli ubriachi.

Nessun altro uomo mi aveva mai sfiorata, oltre Ron Weasley. Sentì una mano indesiderata, che discendeva verso la cintura dei miei pantaloni.

Sentì le lacrime di umiliazione rigare il mio viso, mentre la cintura di pelle scivolava via attraverso i passanti.

- Adesso basta, vi siete divertiti abbastanza.

Quella voce fu come un’ancora di salvezza per me. Qualcuno si era accorto dei soprusi che stavo subendo, ed aveva deciso di venire a salvarmi.

Aprì gli occhi, incapace di trattenere la curiosità, ed incrociai lo sguardo ghiacciato di Malfoy. Erano lontani i giorni in cui avrei preferito morire, piuttosto che accettare l’aiuto di un traditore come lui. Ero ubriaca, e degli uomini ubriachi stavano per approfittarsi di me. Malfoy era la mia salvezza, forse…

- Vattene, non sono affari tuoi. – disse uno dei ragazzi, rivolto all’ex Slytherin.

Draco ignorò la minaccia, e puntò la bacchetta verso l’uomo che mi teneva ferma.

Osservai la sua espressione di ghiaccio, e ne rimasi colpita. I lineamenti del suo viso erano rilassati, come se non avesse mai provato la paura in tutta la sua vita.

Come se nessuna emozione colpisse il suo cuore e la sua mente.

- Lasciala. – intimò, minaccioso. Ora la sua espressione era mutata: era irritata, quasi rabbiosa. Stringeva la bacchetta con forza, le sue nocche sbiancavano.

- Se non lo facessi?

- Ti ucciderò.

Mi sentì tremare. Malfoy mi stava aiutando, e non capivo il motivo.

La sua voce incuteva paura: avevo la pelle d’oca. Ma evidentemente gli assalitori non la pensavano allo stesso modo. Scoppiarono a ridere, all’unisono.

Poi sentì una mano farsi strada sul mio collo, scostando i capelli disordinati, e sulla pelle l’alito dell’ uomo che mi teneva ferma. Era disgustoso, ed avrei desiderato morire. Rabbrividì per l’orrore, quando quelle labbra non desiderate si posarono sulla pelle del mio collo, assaporandola.

Tentai di divincolarmi dalla presa ferrea, facendomi nuovamente male.

Allora chiusi gli occhi, intorpidita dall’orrore. E poi accadde tutto in un attimo.

Tempestiva e feroce, la voce di Malfoy si levò sulle risate degli altri.

Sentì la presa sulle mie braccia diminuire, fino a sparire del tutto.

Ero libera. Il tonfo provocato dal corpo dell’uomo che toccava il terreno mi convinse ad aprire gli occhi, con una nuova speranza nel cuore.

- Andiamo, Granger. –  mi disse Malfoy, improvvisamente materializzatosi al mio fianco.

Gli assalitori rimasti non ridevano più. Erano furiosi. Vidi che rovistavano nelle vesti, probabilmente cercando qualcosa. La bacchetta. Tremai di paura.

Volevo allontanarmi, ma non riuscì a muovere un passo. Ero immobilizzata dal terrore.

Alzai lo sguardo, e vidi Draco che sfidava gli assalitori con lo sguardo, la bacchetta alla mano. Sentì improvvisamente la sua mano afferrare dolcemente la mia, e vidi che i suoi lineamenti si corrugavano, in un chiaro segno di concentrazione.

Poi sentì le mie gambe che si staccavano da terra, e non vidi più niente.

Ci eravamo smaterializzati, chissà con che destinazione.

 

Le fumerie d’oppio, dove si può comperare l’oblio, sono covi di orrore dove il ricordo di vecchi peccati può essere distrutto dalla follia di quelli nuovi.

Oscar Wilde

 

- L’hai ucciso.

Non una domanda, una semplice affermazione. Pura e sincera, come ero un tempo io.

Non avevo sentito la voce di Malfoy mentre pronunciava l’incantesimo, ma non ero certa che la magia da lui usata non fosse una maledizione. Anzi, ero convinta proprio di quello.

- E’ solo stordito, – mi contraddì – Non sono un assassino.

- Stronzate…

Non parlavo più dell’uomo che mi aveva aggredito, ma di una realtà vasta ed immersa nell’oscurità, che mai avevo compreso. Una realtà che aveva distrutto i miei sogni.

Opprimente, selvaggia.

Sentì le lacrime rigare il mio viso. Mi sentivo fragile, impotente.

Poi un dubbio si fece strada nella mia mente, infido.

- Perché? – chiesi soltanto, incontrando il suo sguardo con gli occhi.

Non avevo mai notato la pigmentazione argentea di quelle iridi glaciali, e rimasi sorpresa dalla loro profondità. Mi sentivo persa, mentre lo guardavo negli occhi.

Eppure, non riuscì ad abbassare lo sguardo, davanti alla sua tempra morale.

Forse qualche tratto di Hermione Granger era rimasto, in me.

- Cosa? – mi rispose Malfoy, ostentando indifferenza.

- Perché mi hai salvata?

Lo sentì ridere, come per una battuta incomprensibile alla mia intelligenza. Avevo sempre odiato non poter capire. E forse anni prima mi sarei arrabbiata, per quella situazione. Eppure non riuscì ad ostentare alcuna emozione, oltre alla sorpresa. Le lacrime scivolavano incessanti sul mio viso, ancora ed ancora. Come un fiume in piena, lavavano e purificavano il mio corpo, macchiato dal dolore.

Non tutto. Quello non potranno mai cancellarlo… - mi corressi, mentre attendevo, impassibile, una risposta alla mia domanda.

- Granger, i tempi sono cambiati. Non siamo più bambini, e io sono cresciuto.

- A scuola mi odiavi… - mi giustificai.

- Probabile, - opinò lui, - Per la visione che avevo della vita, era inconcepibile che una mezzosangue frequentasse Hogwarts, figuriamoci che dominasse gli studenti con le sue superbe capacità intellettive… Era ben oltre la mia comprensione.

- Ed ora che succederà? – chiesi, forse più a me stessa che a lui.

Il momento di rabbia era passato. Dopotutto Malfoy mi aveva salvato la vita, e avevo già abbastanza dolore serbato nel cuore, senza che anche lui me ne provocasse altro.

Sentirlo gentile – ovviamente nei limiti, stiamo sempre parlando di un Malfoy! – e cambiato mi sorprendeva, e non in negativo.

- Non lo so… - mi rispose, insicuro per una volta. Umano, e non vergognoso per questo.

Mentre ascoltavo le sue parole, in silenzio, mi resi conto che non mi ero mai posta il problema che i suoi comportamenti avessero un motivo superiore ad alcuni banali vizi da ragazzino. Dopotutto suo padre era morto per aver prestato un fedele servigio a Voldemort, e Draco doveva essere cresciuto in un ambiente di complotti, classificazioni razziste e magie oscure. Avrebbe potuto tentare la fuga, però.

Era sempre un ragazzino, ma Dumbledore lo avrebbe aiutato. L’avrebbe accolto a braccia aperte, buono com’era. Invece no, lui era stato testardo.

Chissà se credeva davvero nella missione di suo padre, oppure no.

- Perché non passasti subito dalla parte del bene? – gli chiesi, incapace di frenare la mia curiosità. Ero io stessa stupita dalla mia audacia.

Fino a pochi istanti prima avrei desiderato la sua morte, al posto di quella di Ronald, e me ne stavo già pentendo. Forse Malfoy non era poi così mostruoso come lo dipingevano. Mi asciugai le lacrime, con l’orlo della camicia.

- Quando vivi in una famiglia come la mia non hai il diritto di scelta. – sbuffò lui, distogliendo lo sguardo dal mio. Sembrava irritato dalla mia domanda.

Intuii che doveva essere una sconfitta, per lui, ammettere di essersi piegato ai doveri del padre. Lo osservai allontanarsi da me, senza dire una parola.

Sentì la gola seccarsi, alla vista di lui che, fatto comparire dal nulla un bicchiere, raggiungeva un vecchio tavolo di legno, dall’altra parte della stanza, sul quale era posata una piccola bottiglia di vetro, e versava all’interno del contenitore di cristallo il liquido ambrato. Deglutì velocemente, sperando così di saziare almeno in parte la sete che mi divorava l’animo.

Per un attimo pensai di chiedergli il permesso di poter favorire, ma rinunciai quasi immediatamente all’idea. Ero già abbastanza vulnerabile, senza che anche l’alcool mi rannuvolasse la mente.

- Che stai facendo della tua vita, Granger?

La domanda piovve su di me come uno schiaffo, tant’era la forza con cui Draco la pronunciò. Era come se volesse farmene una colpa.

E non ha tutti i torti. – dovetti ammettere, seppur di malavoglia.

Chinai il capo, mentre sentivo l’impellente bisogno di piangere nuovamente, fino ad espellere tutta la sporcizia della mia vita. L’alcool, la depressione…

Prima ho perso mio marito, poi mia figlia, ed ora sto perdendo anche me stessa…

Era terribile, quella constatazione. Terribile e spudoratamente veritiera.

Non mi era rimasto più niente e nessuno, in quello schifo di mondo.

Mi sentii improvvisamente sola, e provai quella sensazione provocata dall’angoscia, che stringe l’anima in una morsa di ferro bollente.

Non riuscivo a parlare: la risposta a quella domanda pesava troppo, persino per Hermione Granger. Seppure mi fosse rimasto poco di lei, ultimamente.

Non riuscì a celare la mia sorpresa, quando l’elegante figura di Malfoy mi raggiunse, reggendo con le dita sottili un calice di cristallo, già pieno.

Con dita tremanti, afferrai il bicchiere, e lo portai alle labbra.

Saziai il mio corpo e la mia anima con foga, come un affamato durante la carestia. Mi bagnai le labbra col liquore, e socchiusi gli occhi.

Che destino deprimente. Vivere nel baratro della depressione, e trovare unico svago in un vecchio liquore da soffitta. Quella verità mi fece male, ma non più del solito.
Ero abituata a rimproverare me stessa, ad affliggermi più dolore di quanto ne meritassi. Riaprivo le ferite rimarginate, e godevo nel vederle ancora sanguinare.

Mi volevo far male da sola, per aver sbagliato tutto, nella mia vita.

Non avevo salvato mio marito, né mia figlia. Ero una donna fallita.

Solo dopo ave sorseggiato metà del contenuto del bicchiere, mi guardai intorno. Per la fretta e per l’ansia, non mi ero resa conto del luogo dove Malfoy mi aveva portata.

Mi trovavo in una Sala da Pranzo, pulita ed ordinata. In puro stile classico, i mobili erano lucidati con impeccabilità, e fiori freschi pendevano dalle fioriere argentate.

La stanza ospitava un grosso tavolo il legno, completo di sedie intarsiate. Notai con stupore il colore delle federe dei cuscini, coordinate al copri-divano e alle tende sontuose. Rosso fuoco. Come il mio sangue, che sentivo sgocciolare dalle ferite inflittemi dal destino, ogni istante della mia vita da quel maledetto giorno.

C’erano altri mobili, nella grande stanza: librerie, scaffali ed un mini-bar, tutti nello stesso stile classico e forse un po’ troppo pomposo.

Alle pareti erano affissi quadri di ottima fattura: le immagini in essi rappresentate erano stupefacenti, nei loro colori vivi e allo stesso tempo tetri.

In un lato della stanza c’era una pendola: sembrava nuova, ma le lancette erano immobili, proprio come il resto della stanza. Era come ritrovarsi in un mondo fatato, imperturbato. I fiori giacevano placidi nelle fioriere, la luce della luna penetrava leggermente attraverso le finestre serrate. Il divano era a pochi passi dietro di me, e notai Draco sedersi sopra esso, con indifferenza. Come se quel gesto non potesse turbarmi. Eppure lo fece. Perché, senza spiegarmi il motivo, desiderai anche io poterlo fare. Desiderai poter vivere  in una casa come quella: spettrale, silenziosa ed affascinante. Mi intrigava ogni singolo volume poggiato sulle antiche librerie, e sentivo un’antica voglia riaffiorare: il sapere.

Mi sostenni poggiando una mano alla superficie fredda del muro, per riprendere il respiro. Mai avevo avuto un desiderio diverso dalla morte, in quel periodo.

Era la prima volta che sentivo nuovamente vivo in me quel desiderio di sapere.

Era come se avessi scordato ogni preoccupazione, cullata dall’atmosfera di quella stanza. Ero impaurita, e al tempo stesso intrigata dal mistero che aleggiava nell’aria.

 

How can you see into my eyes
like open doors.
Leading you down into my core
where I've become so numb.
Without a soul
my spirit's sleeping somewhere cold
until you find it there and lead it back home.

 

- Ti piace, Granger?

Cascai dalle nuvole, colta alla sprovvista da quella domanda.

- E’ il posto più bello che abbia mai visto. – risposi, troppo scioccata per mentire, a me stessa ma soprattutto a lui. Era un miracolo, che mi avesse portato proprio in quell’angolo di Paradiso.

- E’ casa mia. – disse Draco, alzando leggermente le spalle.

E per un istante soltanto lo invidiai. Perché lui aveva potuto godere appieno delle meraviglie di quella casa spettrale, osservarne e tastarne ogni angolo.

- Purtroppo no, Granger. Non ho mai potuto provare un sentimento verso questo posto che non fosse rimorso, o ancora peggio rabbia.

Non fui tanto colpita, da quelle parole. Ero stata stupida, a pensare che Malfoy, vivendo in un’ ambiente familiare teso e distaccato, potesse godere delle meraviglie della sua casa, Sapevo che lui non era un tipo molto loquace, e il fatto che mi stesse raccontando il suo desiderio mai avverato di poter scoprire i misteri di quella casa, e di viverli in prima persona era una gran rivoluzione.

D’altronde aveva ragione: chiunque avrebbe odiato la propria casa, se vivere in essa includeva la compagnia di persone come Malfoy Senior e, ancora peggio, Voldemort.

Osservai Draco, ed immaginai, seduto al suo posto, il Signore Oscuro.

Rabbrividì, stupendomi dell’audacia insensata dei miei pensieri.

Poi mi voltai nuovamente verso le librerie, alle mie spalle, per ammirarle.

Avvicinai le mie dita ai vecchi volumi, senza però toccarli mai davvero. Volevo violare la loro quiete, e carpire i loro segreti. Ma non ero sicura che a Draco avrebbe fatto piacere. Quasi non mi accorsi di lui, quando venne alle mie spalle.

- Ci sono libri risalenti a secoli fa, che credo solo mio bisnonno abbia avuto l’onore di sfogliare. Mio padre non amava leggere, e mio nonno morì prima di avere in eredità la casa. – disse, con tono neutro.

Mi voltai lentamente, e sentì il sangue gelarsi nelle mie vene.

Malfoy era a pochi passi da me, immobile. Improvvisamente, pensai che fosse bello.

Mi morsi le labbra, e chinai il capo. – Stupida! – gridai a me stessa.

Avevo odiato per anni Draco Malfoy, e non sarebbe certo bastata la sua bellezza a renderlo ammirabile. Aveva commesso tanti peccati, e non sarebbe mai stato un modello di vita. Eppure… Con mia sorpresa, mi accorsi di avere ancora il bicchiere di cristallo in mano. Me lo portai alle labbra, per trangugiare la parte restante del liquido.

Sentì la gola bruciare, per l’irruenza con cui avevo bevuto, ma non me ne curai.

Lo accostai nuovamente alle labbra un attimo dopo, e sospirai di delusione, quando mi accorsi che era vuoto. Passai un dito sulla superficie interna, per attingere il liquido residuo. E fu solo dopo aver assaporato ogni minima sfumatura del liquore, che mi resi conto di quella piccola goccia. Minuscola e fremente, giaceva sul mio petto, ora scoperto dalla camicetta leggermente aperta, e si abbassava in sincronia con quest’ultimo, al ritmo accelerato del mio cuore.

Volli raggiungerla con la punta delle mie dita, per assaggiarla, ma non potei farlo.

Un altro dito, più veloce di me, l’aveva già catturata. Con piacevole orrore, mi resi conto che Draco Malfoy mi aveva appena toccato. E ciò non mi aveva disgustato, come invece sarebbe dovuto essere.

Alzai il capo, e lo osservai portarsi il dito umido alle labbra, e saggiare con la lingua la piccola goccia di vino. Mi si seccò la gola, nell’osservarlo.

Strinsi i pugni, stupita delle sensazioni che mi divoravano. Il mio respiro aumentava di frequenza, compatibilmente col mio battito cardiaco. La mia mente era offuscata, e solo un pensiero si faceva strada in essa.

Pazza. Oh sì, ero piacevolmente pazza. E il brutto era che non mi odiavo, per desiderare perdermi in quella pazzia malata. Sadica. Sentì le unghie lacerarmi la pelle delle mani, ma non mossi ciglio. Dovevo bloccare quel desiderio, prima che potesse evadere da quella prigione che era divenuta il mio corpo.

- Ottima annata.

Udì Malfoy borbottare, con quel suo sono di voce suadente. L’avevo sempre trovato irritante, a scuola. Una voce infantile, immatura. Ma ora potevo vedere il suo pomo d’Adamo ingrossato, e udire il suo timbro di voce matura, incredibilmente sensuale.

Sentì la vista appannarsi, per la brama. Maledizione a me.

Fino a pochi istanti prima mi trovavo in uno sporco pub, col solo intento di dimenticare il mio dolore per aver perso il mio uomo. In quel momento, isolata dentro quella stanza lontana dal mondo, non ricordavo chi fosse più Ron Weasley.

Dov’era finito, l’amore per lui? Fino ad un secondo prima giuravo di amarlo, eppure in quel momento non riuscivo a pensare ad altri che ai misteri di Draco Malfoy e della sua casa fatata.

Come ero volubile, ed incostante! Mi diedi della stupida mentalmente, ma ciò non sortì alcun effetto. Traditrice. – mi rimproverò la mia coscienza, muta fino a quell’istante.

Incassai il colpo a capo chino, e chiesi perdono mentalmente per i miei peccati. Per poi rendermi conto, un solo istante dopo, quando il mio sguardo incontrò gli occhi di ghiaccio di Draco Malfoy, che non sarebbe servito a niente. Mi stavo prendendo in giro da sola. Il mio corpo era proteso verso di lui, e i miei occhi erano appannati dal desiderio. La mia mente? Beh, aveva smesso di funzionare già da un pezzo.

La mia anima l’avevo venduta a Bacco, insieme a tutti i miei oggetti personali, con la speranza di guadagnare qualche soldo per potermi scolare almeno due bottiglie ogni sera.

 

(Wake me up.
Wake me up inside.
I can't wake up.
Wake me up inside.
Save me.
Call my name and save me from the dark.
Wake me up.
Bid my blood to run.
I can't wake up.
Before I come undone.
Save me.
Save me from the nothing I've become.)

 

Mi sentii improvvisamente accaldata, e con una mano mi scostai i capelli dal viso.

Pesava, il cristallo sulla mano sinistra. Avrei voluto posarlo, ma capì in principio di non avere la forza di compiere un altro passo, finchè quello sguardo sottometteva il mio e la mia mente si rifiutava di connettere.

 

*

Verso la fine della vita avviene come verso la fine di un ballo mascherato, quando tutti si tolgono la maschera. Allora si vede chi erano veramente coloro coi quali si è venuti in contatto durante la vita.

Arthur Schopenhauer

 

Accadde tutto velocemente. Troppo velocemente.

Le sue mani sui miei fianchi, il suo corpo stretto al mio. E il fragore del cristallo. Rimasi immobile, ad ascoltarlo infrangersi sul pavimento. E fu come se insieme ad esso si fosse rotto anche qualcos’altro, dentro di me. Ero incapace di muovermi, tremavo.

Dischiusi le labbra, oppressa dal desiderio di aria. Inspirai, ed espirai un istante dopo.

Ancora, ed ancora. Non proferì verbo, quando una mano di Malfoy si posò sul mio petto, in corrispondenza del cuore. In un altro momento avrei potuto considerare volgare quel gesto, ma le sue mani si muovevano talmente delicate su di me, che non riuscì a provare disgusto. Il mio seno si tendeva sulla stoffa della camicetta, ad ogni respiro. Malfoy sembrò accorgersene, e sorrise.

- Sei agitata, Granger?

Non risposi. Passò un istante, prima che quella mano gentile abbandonasse il mio petto, per posarsi sulla pelle delicata del mio viso. Mi sfiorò una guancia.

Le sue mani erano fredde, ma dal tocco delicato. Rimasi immobile, mentre quelle dita lunghe ed agili esploravano il profilo del mio viso, soffermandosi sulle mie labbra dischiuse. Sospirai leggermente, al contatto tra i nostri corpi.

Era dunque quello, l’inferno? Si trattava solo di dimenticare per un istante il dolore, poiché surclassato dalla passione? Mi morsi il labbro inferiore, rimuginando sul dubbio. Forse non era così male, dopotutto.

- Scusa, non volevo romperlo… - borbottai, indicando con lo sguardo i cocci di vetro, sparsi ai nostri piedi sul pavimento. Mi sentivo una profana, per aver spezzato l’atmosfera surreale della stanza, anche se solo per un istante.

- Non essere ridicola, Granger. Posso permettermi di comprarne un altro miliardo, anche più belli. – rispose Draco, con sarcasmo.

Non commentai quell’esplicita ostentazione di ricchezza, unita a quell’impudica e malcelata superbia. Distolsi lo sguardo dal pavimento, per concentrarmi su un dipinto, appeso alla parete di fronte a me. Avevo già visto la donna ritratta, seppure solo una volta. Riconobbi Narcissa Malfoy per la sua bellezza ammaliante, da fare invidia a qualunque altra donna della sua età. Nel ritratto non doveva avere più di quarant’ anni, portati per giunta bene.

Solo qualche piccola ruga incorniciava il suo viso sottile, e nessun capello bianco dimorava tra la sua chioma color grano, ereditata da entrambi i suoi figli.

Gli occhi azzurri, incorniciati dal trucco scuro, erano profondi, e non era difficile perdersi al loro interno, quando li si guardava. E le sue labbra, in grado di contrarsi per esprimere disprezzo, amore e dolore, erano incurvate in una sorta di broncio, e truccate di rosso scuro.

Sul suo decoltè scintillava un diadema d’ oro bianco e diamanti, di fattura certamente artigianale. Doveva essere costato quanto lo stipendio di una vita, per un uomo come Jod il barista. Non avevo mai visto un gioiello così bello, neppure nei numerosi libri che avevo letto.

- L’ha disegnato per lei mio padre. – spiegò Draco, con tono neutro.

Incrociai per un istante i suoi occhi di ghiaccio, per dimostrargli che lo avevo ascoltato, e capito. A dir la verità non avevo niente da dire. Ogni idea di conversazione suonava banale, e temevo di poter spezzare l’equilibrio armonico della stanza, con una parola di troppo. Rimasi dunque immobile, in silenzio, a contemplare quegli occhi di ghiaccio. Ancora una volta quello sguardo ebbe il potere di scuotermi dentro, violentemente. Mi sentì percorsa da un tremito, mentre quelle mani delicate si posavano sui miei fianchi, sulla mia schiena, e poi circondavano il mio corpo.

Il mio cuore perse un battito, quando sentì il suo buon profumo muschiato invadermi le narici, e penetrare dolorosamente nel mio spirito.

Vagavo per mari ghiacciati e deserti, incapace di formulare un pensiero coerente. Perduta, come un’anima in procinto di entrare nell’inferno. E mi mancò il respiro, quando le sue labbra si posarono sulla pelle del mio viso. Tornai a respirare un istante dopo, quando si staccò da me.

La mia pelle scottava, mi girava la testa. Incapace di reggermi in piedi, mi sostenni a lui, posai il capo sul suo petto. E fu così, che iniziai a fare chiarezza nella mia mente.

Non ero più il natante disperso tra le acque, ma il naufrago coraggioso, che si aggrappava alle rive dell’isola deserta per non affogare. Un naufrago che solo allora imparava a sentire il profumo del mare, il sapore del sale sulle labbra. E gioiva di non essere morto.

Un naufrago che ancora poteva camminare sulle spiagge deserte, stupendosi dalla morbidezza della sabbia calda, sotto i suoi piedi, ed osservare il sole tramontare, chiedendosi le cause di quel fenomeno naturale così irreale.

Non ero più sospesa nel vuoto, non mi trovavo più sull’orlo del baratro. Il calore avvolse il mio corpo, ancora una volta, ma con più vigore. Non capivo il motivo di quelle intense emozioni, ma decisi di lasciarmi trascinare dal vortice. Alzai il viso, fino ad incontrare lo sguardo seducente ed insieme misterioso di Malfoy. Mi persi nelle pozze di ghiaccio dei suoi occhi, e sospirai di piacere, nel vederle sciogliersi sotto il mio sguardo, che tornava ad ardere.

Percepì la vicinanza del suo viso, ma non mi scostai. Attendevo in silenzio il culmine di quello stato ansioso e surreale, bramosa di lui.

 

Now that I know what I'm without
you can't just leave me.
Breathe into me and make me real
Bring me to life.
Bring me to life.
I've been living a lie
There's nothing inside.
Bring me to life.

 

Il suo viso era vicino sempre più, sarebbe stato sufficiente uno scatto fulmineo a catturare le sue labbra. Ma non lo feci. Volevo godermi attimo per attimo il piacere dell’attesa, sentire la mia gola seccarsi per il desiderio, il mio corpo implorare ancora un po’ di quella parvenza di calore, le mie unghie lacerare la pelle delle mani.

Mi alzai sulle punte dei piedi, ed impressi ancora una volta il mio sguardo nel suo.

Poi chiusi finalmente gli occhi, ed assaggiai il sapore del peccato.

Esiste un momento in cui le parole si consumano, ed il silenzio comincia a raccontare…

Fine Capitolo

 

Note dell’autore:

 

Sono imperdonabile, ahimè. Devo terminare Everything can be changed, e portare avanti Rules of Seduction. Eppure, qualcosa mi ha spinto ad interrompere per un attimo la scrittura di queste due fanfiction: il periodo nero.

Ebbene sì, chi non conosce il periodo nero? Ne vissi uno anche l’anno scorso, seppure breve e poco intenso, durante la pubblicazione di Everything can be changed.

Ecco, chi mi seguiva già all’epoca ricorderà le mie motivazioni. Moltiplicatele per dieci, ed otterrete la mia attuale situazione. Mi faccio schifo.

Ci sono momenti in cui passo la vita a scarabocchiare, ed altri in cui non riesco a buttar giù niente di decente, e rinuncio totalmente allo spreco di fogli.

Una notte, mentre riflettevo – eh sì, perché dovete sapere che io, nota dormigliona scansafatiche, da alcune notti a questa parte sto prendendo dei sonniferi per riuscire a chiudere occhio -, si è delineata nella mia mente questa storia.

Ho preso carta e penna, ed ho buttato giù una drabble, assolutamente introspettiva.

Alcuni giorni dopo ho rivenuto lo scritto, e l’ho ampliato, con naturalezza, scegliendo personaggi differenti, ed ambientazioni che manifestassero il mio stato d’animo.

“Per tutto ciò che scrivi dici di ispirarti alla tua vita” sosterrete voi. Ed avete ragione.

Con la differenza che le scene raccontate in questa fanfiction non sono banali imitazioni della mia vita. Sono la mia vita. E con queste parole chiudo, augurandomi che possiate trovare di vostro gusto questo piccolo sclero che, da piccola drabble introspettiva, è divenuta una vera e propria fanfiction, i cui personaggi non potevano essere altri se non Draco ed Hermione, la coppia del mio cuore.

 

Saluti e baci,

Chiara

 

* Le parti in blu sono tratte dalla canzone degli Evanescence “Bring me to Life”, alla quale mi sono ispirata per scrivere questa fanfiction.

   
 
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