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Autore: altemaree    30/03/2013    2 recensioni
Fumo. Una densa coltre di fumo riempiva la stanza. Finestre chiuse. Distinguevo solo diverse figure divise sui vari divani di pelle, figure ammassate, scomposte, come se fossero bambole di pezza e io ne avessi i fili. Feci oscillare il capo prima verso destra e poi verso sinistra, cercando di rilassare il collo e le spalle e ispirai a pieni polmoni. Rumori sommessi. Gemiti, urla, respiri mozzati, bottiglie che si rompono, lingue che si cercano, che si trovano, che si perdono.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Questo pezzo fa parte di qualcosa di molto più grande che sto andando scrivendo e che dovrei passare quando ne avrò tempo e voglia in una terza persona al passato, ma per adesso la lasciò così, che mi piace. Voglio vedere più che altro le reazioni per sapere se pubblicare qui tutto il resto. Per adesso buona lettura !
 

Poison and wine



Fumo. Una densa coltre di fumo riempiva la stanza. Finestre chiuse. Distinguevo solo diverse figure divise sui vari divani di pelle, figure ammassate, scomposte, come se fossero bambole di pezza e io ne avessi i fili. Feci oscillare il capo prima verso destra e poi verso sinistra, cercando di rilassare il collo e le spalle e ispirai a pieni polmoni. Rumori sommessi. Gemiti, urla, respiri mozzati, bottiglie che si rompono, lingue che si cercano, che si trovano, che si perdono. E io ne facevo parte, ne ero il centro, come Bacco che osserva i riti in suo onore senza intervenire ma sapendo di esserne l’artefice. Allungai una mano verso destra, incontrando la massa incolta dei capelli del ragazzino che tenevo al fianco, con un collare e una catena, ansioso di ricevere ordini, di fare contenta la sua padrona. Mi leccò la mano e mi feci passare la tazzina mentre mi succhiava l’indice, docile, completamente sottomesso. Ottimo tè inglese stava ancora fumando e ci soffiai sopra prima di berlo. Spostai la mano dal ragazzo e la pulii sulla sua spalla nuda mentre un altro lo richiamava a se e lo portava nelle stanze adiacenti. Mi lasciai scivolare sulla sedia, ad occhi chiusi, mentre il tè nero al limone mi entrava in corpo, lentamente come un veleno in vena. Da quante ore ero li ? Sembrava non essere mai cominciata e sembrava che non dovesse finire mai.
Dopo due anni dal mio arrivo a Parigi ero diventata la più richiesta, la più bella, tanto che le mogli erano felici che i mariti stessero con me e non con altre.
Organizzavo spesso quei salotti, in maschera, neanche il mio volto facevo vedere , benchè mi conoscessero tutti. Il segreto porta a peccare, il sapere che nessuno lo verrà mai a sapere, sapendo che qualunque cosa accade non uscirà mai fuori quelle mura.
Mi leccai le labbra, e da dietro la mia maschera da gatta mi beai osservando la scena. Non potevo nascondere una certa punta di noia. Stesse facce, stessi volti, da un sospiro sapevo dire nome e cognome di ognuno, età, gusti, perversioni. Perché tutti ne avevano. In un angolo un famoso musicista si stava facendo fare un salasso e l’odore di sangue si stava lentamente diffondendo per la stanza tanto da farmi arricciare il naso. Un pittore voleva che gli leccassero lo champagne direttamente dal corpo e quello, un politico, voleva invece che lo frustassero, e gli schiocchi di sentivano come un rimbombo lontano, un fulmine che si perde nella tempesta. Quelli accanto a me amavano essere trattati come cani, lasciando che bevessero dalle ciotole e venissero condotti fuori, attaccandosi alla gamba del padrone, mettendosi a pancia in su aspettando le coccole.
Una musica veniva trasmessa da un qualche aggeggio, ma appariva spezzata e a tratti sconnessa, tanto da diventare monotona e ripetitiva.
Nessuno è come vuole far apparire.
E a me ? Cosa piaceva a me ? In quel momento, piaceva guardare. Piaceva essere una brava padrona di casa, che osserva e che sa quando smettere.
Se qualcuno, per esempio, avesse superato un limite, e superarli era anche troppo facile, sarebbe stato mio compito mandarlo via, anche con la forza, e ovunque nella stanza vi erano miei devoti che avrebbero ucciso ad un mio cenno.
La bellezza, avrei dovuto godermela fino all’ultimo sorso, dissanguarla. Non potevo abbandonarmi a quelle pratiche, non nella mia dimora, altrimenti nessuno avrebbe avuto un freno se perfino io mi fossi lasciata andare. La porta si aprì e allungai di poco il collo per vedere chi fosse. Dovevano essere amici, altrimenti non avrebbero oltrepassato l’ingresso.
Facce che si confondevano nel fumo, niente più. Ma facce conosciute, tranne una.
Aprii meglio gli occhi, li spalancai, cercando di individuare quel volto, quel respiro, il petto che si alza e si abbassa, gli occhi che si aprono e chiudere.
Un uomo si avvicinò indossando una maschera da lupo, lasciando cadere a terra la giacca. Rilassò le spalle e emise un respiro che gli riempì la cassa toracica. Era inevitabile : una volta entrati, tutto ciò che grava sulla nostra vita, la famiglia, la salute, il lavoro, tutto va via.
E qualunque fossero i suoi timori, le sue ansie di quel momento, tutto volò via, lasciando posto a due occhi arrossati e ad una mano passata tra i capelli.
Ai lati della mia bocca si formò un accenno di un sorriso e mi alzai facendo leva sui braccioli della poltrona per andare a salutare il nuovo venuto.
Mi misi davanti all’uomo e agli altri tre uomini e sorrisi fingendomi gentile e ospitale
“Miei cari, è sempre un piacere avervi nella mia salata da tè” i tre uomini mi baciarono la mano e si inchinarono, dando una gomitata al lupo perché facesse lo stesso
“Jonathan Talbot, è un piacere conoscervi” Talbot alzò di poco lo sguardo verso di me mentre mi baciava la mano, soffermandosi più del dovuto sui miei occhi, ma non distolsi lo sguardo, abituata a quel genere di occhiate
“Che strano accento che avete, non siete di queste parti, o sbaglio ?” Si accese, nel suo moto di parlare, una punta maggiore di curiosità
“In effetti no, non sono di Parigi. Sono arrivato qualche settimana fa e conto di trattenermi per un mese o due”
“Siete un viaggiatore ?” A quel punto Talbot gettò un’occhiata a chi lo aveva accompagnato che lo lasciarono solo immediatamente. Talbot mi diede il braccio, che accettai “Posso essere di tutto, a dir la verità, se volete, per voi posso essere un viaggiatore e narrarvi dei luoghi che ho visto, che, credetemi, non si limitano alla provincia e alla campagna”
Talbot sorrise, ma non come quando mi baciò la mano, in maniera diversa.
Lo portai alla mia sedia su cui mi sedetti lasciandolo all’in piedi “Non vorrei di certo evitare che vi divertiate. Prego, prendete da bere e fate come se foste a casa vostra”
Schioccai le dita e uno dei cagnolini gli portò un bicchiere pieno di vino rosso, accarezzandogli lascivo il braccio quando tolse il vassoio. Talbot non lo degnò di un solo sguardo, come non guardava me come di solito venivo guardata. Prese un sorso di vino , strinse le labbra per qualche istante e esattamente come avevo fatto io, schioccò le dita due volte e il ragazzo si precipitò da lui. Teneva le mani dietro la schiena e aveva il petto in fuori “Se insistete va bene, ma mi sembra scortese non conoscere chi offre a noi tutti questo tè, quindi ben presto mi riavrete qui vicino” e detto questo fece finta di toccarsi il cappello e se ne andò, scomparendo nel fumo.
Ogni tanto riemergeva e gli dedicavo la mia attenzione, cercando di capire quanto di bugiardo ci fosse in lui. Non mettevo in dubbio che avesse mentito anche solo nel dirmi il proprio nome, ma non era quello ad interessarmi, quando i posti che diceva di avere visto.
Un uomo che gira il mondo deve per forza avere qualcosa da dire, soprattutto se lo gira da uomo libero. Non doveva avere moglie, non doveva avere figli, non doveva avere nessun legame che lo costringesse a vivere nella stessa casa, nella stessa vita.
Mi immaginai cambiare nome ogni giorno, cambiare me stessa con la stessa velocità con cui la sognavo. Ma non avevo bisogno del mondo intero, non avevo bisogno di attraversare l’oceano, poiché Parigi mi dava tutto ciò di cui avevo bisogno.
Non che non progettassi di andare via, un giorno, quando avrei smesso, quando nuove ragazze avrebbero preso il mio posto e io le avrei lasciate fare, ma non in quel momento.
Avevo cambiato vita una volta, niente mi impediva di farlo ancora.
Quando il sole cominciò a sorgere i miei invitati si alzarono, si rimisero addosso le maschere da bravi cittadini ed uscirono di casa, togliendosi quelle che avevano indossato qui.
Mossi appena la mano per salutarli, sapendo che sarebbero tornai appena calato il sole, come le creature della notte che in realtà erano.
La casa tornò vuota, e silenziosa.
Solo una maschera rimaneva ancora. Un uomo senza giacca, una faccia da lupo. Talbot.
“Non avete qualcuno che vi aspetta ?” Dal mio trono parlai piano, come se la casa adesso si fosse addormentata. Lui stava su un divano, con ancora un bicchiere in mano, gambe accavallate e braccia lungo lo schienale “Non più, e voi ?”
“Molto lontano da qui. Potete togliervi la maschera, se volete”
“Credo che la terrò ancora” Talbot si toccò il muso e immaginai che sorridesse da sotto la maschera. Non mi dava particolare fastidio la sua presenza, ma non potevo rimanere del tutto tranquilla, dovendo, per esigenza, tenere tutti gli occhi aperti e sempre. Talbot mi si avvicinò, alzandosi di poco la maschera per scoprire la bocca, adornata da barba appena accennata “Ma, se volete, potete cercare di togliermela voi, non ve lo impedirò”
Indugiai. Misi una mano sul muso, accarezzandole il pelo. L’alzai di poco, come aveva fatto precedentemente lui, e mi avvicinai finchè le nostre labbra non furono a poca distanza. Il suo respiro divenne il mio respiro. Il suo petto che si abbassava e si abbassava all’unisono del mio. Lievemente poggiai le mie labbra sulle sue, per poi ritrarle forse qualche secondo dopo il dovuto. Potei sentire l’incredulità, e la curiosità che avevo scatenato in lui, che lasciò che la maschera ricadesse sul suo volto di nuovo. Avrebbe voluto chiedere perché, ma non lo fece. Rimase in silenzio, il lupo, divenuto agnello. 

   
 
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