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Autore: Rico da Fe    31/03/2013    4 recensioni
Israele c'era quel giorno. E ricorda tutto alla perfezione.
Vaticano è nato dopo. E ha bisogno di sapere.
Con questa storia vorrei augurare a tutti BUONA PASQUA e introdurre i miei due OC preferiti, Israele e Vaticano, nonchè un Ancient OC, Antico Israele...
Su deviantArt vedrete presto i disegni.
Spero che questa storia vi piaccia... come spero che non vi turbi. Perchè è un po' particolare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era la vigilia di Pasqua. Sabato Santo.
La città di Gerusalemme languiva, come sempre gravata dai torridi raggi del sole mediorientale.
Lo spiazzo antistante il Muro del Pianto era affollato di gente di ogni tipo, dai soliti turisti giapponesi muniti di macchina fotografica fino ai fedeli ebrei giunti lì per pregare dinanzi all'ultimo brandello del sacro Tempio di Salomone. Tra di essi, in piedi davanti al Muro, un giovane in divisa militare e anfibi ai piedi recitava le sue preghiere con la Torah tra le mani.
Israele.
Un giovane uomo robusto e forte, con corti capelli scuri e un ricciolo sottile che scendeva lungo un lato del viso, illuminato da due vividi e insoliti occhi viola e impreziosito da tratti delicati e duri al tempo stesso.
La voce calda e marziale salmodiava i versi della Torah con profondo rispetto e venerazione. Sembrava non curarsi del frastuono che lo circondava, dei click delle macchine fotografiche e delle litanie degli altri fedeli.
Sbagliato.
In realtà ascoltava con tale attenzione da riuscire ad isolare ogni singolo suono... Anche il suono di un paio di eleganti stivali di cuoio, il fruscio di una tonaca rossa accarezzata dal vento, l'odore d'incenso che solo una persona poteva emanare...
"Shalom, Vaticano." salutò, interrompendo le sue preghiere e volgendosi verso l'altra nazione.
"Salute a te, Israele." rispose la voce dolce e carezzevole del giovane davanti a lui. Un giovane di una bellezza quasi angelica, dai capelli insolitamente bianchi ornati da un bizzarro ricciolo dietro la testa. La brezza leggera che spirava sulla piazza accarezzava dolcemente la corta tonaca rossa e la mantella della nazione, che sorrideva cordiale e al tempo stesso gelida al mediorientale.
"A cosa devo questa visita?" chiese freddamente Israele, riavvolgendo la Torah e riponendola in una tasca della divisa.
"Uh... Non sono gradito?" domandò a sua volta Vaticano avvicinandosi al Muro. "Eppure dovresti sapere perché sono qui... Domani è Pasqua anche per me, sai?"
Israele sorrise sprezzante.
"Tsk... Cos'è, pensi di vederlo risorgere di nuovo dal sepolcro?" ribatté ammiccando al crocifisso che l'ecclesiastico portava al collo.
Vaticano smise di sorridere. Non sopportava che qualcuno bestemmiasse in sua presenza.
Tuttavia decise di ignorare la battutaccia: non era lì per litigare.
Era lì per altro.
"Colui che secondo te io mi aspetto di veder risorgere" riprese freddamente il chierico avvicinandosi al Muro "in teoria sarebbe già risorto. Io sono qui semplicemente per commemorare tale avvenimento..."
Fece per poggiare una mano sul muro di pietra, ma Israele lo anticipò con uno scatto repentino, prendendogli il braccio e costringendolo a voltarsi.
Non voleva certo che uno stupido cattolico gli abbattesse l'unico muro rimastogli del Tempio!
Vaticano gli rivolse un sorrisetto canzonatorio.
"Tranquillo... Non ho alcun interesse a buttartelo giù!"
"Sicuro?" commentò sarcastico l'ebreo. "Tu sei solito avere interessi su qualsiasi cosa..."
Vaticano tornò serio e decise di venire finalmente al punto. Era stufo di tutti quei giochetti.
"Senti, non sono qui per bisticciare, va bene? Sono qui per..."
"Per... ?" chiese Israele, aggrottando le sopracciglia e sorridendo sprezzante.
"... Per parlare." concluse la nazione teocratica, fissandolo con i suoi penetranti occhi celesti.
"Ah! Parlare..." sbottò amaro Israele. "Di solito quando qualcuno vuole 'parlare' con me è sempre per il solito motivo..."
"Rilassati, non voglio parlare di Palestina..." replicò con noncuranza Vaticano. Sfiorò la croce che portava al collo.
"Volevo parlare... Di lui."
"Di chi? Di... Lui?"
"Esatto."
L'israeliano si passò una mano tra i capelli.
"Perché vuoi parlarne proprio con me? Sai che non ci credo..."
"Ma tu... C'eri. Quando è successo." lo incoraggiò il prelato, stringendo il crocifisso con espressione indecifrabile.
Israele si allontanò dal Muro scuotendo la testa. Con le mani sui fianchi, a testa china, stette un po' in pensiero.
Vaticano attese.
Poi, l'israeliano alzò il capo e si voltò, con un profondo sospiro, verso l'ecclesiastico.
"Va bene. Se... Se proprio ci tieni..."
Vaticano gli si avvicinò, appoggiando una mano sulle possenti spalle dell'ebreo.
"So che è difficile" disse "ma... Ho bisogno di sapere."
"Va bene." Israele gli indicò due delle sedie di plastica che i fedeli si portavano da casa per sedersi a leggere la Torah in piazza.
Entrambi si sedettero.
"Certo, non sono i seggi dorati di casa tua, ma... Chi si accontenta gode, no?" ridacchiò la nazione, ma l'altro, con un'occhiata, gli fece capire che forse era ora di smetterla con le frecciatine e di comportarsi seriamente.
Israele sospirò di nuovo, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e chinò il capo. E incominciò a raccontare.
 
 
Faceva caldo quel giorno. Un caldo pesante e afoso, che pesava su Gerusalemme come una plumbea cortina di velluto. Il cielo era grigio, denso di nubi pronte a scaricare il loro gravoso carico di pioggia sulla terra di Giudea.
Antico Israele, un uomo alto e robusto dalle gote ornate da una corta barba nera, attendeva assieme al piccolo Israele e ai membri del Sinedrio sulla spianata dinanzi al Tempio il passaggio del corteo diretto al Golgotha.
 "Che stiamo aspettando, papà?" chiese il bambino alzando il capo verso il padre.
"Aspettiamo che passi Impero Romano con... Il condannato." rispose Antico Israele, imperscrutabile come sempre.
Dovettero attendere ancora per poco.
Da dietro un angolo, circondato dai suoi legionari, Impero Romano avanzava alto e solenne, a testa alta; sembrava dire alla folla di israeliti radunata lì intorno: 'Guardate, barbari, la grandezza di Roma!'. Il suo solo aspetto fiero e imponente bastava a metterli tutti in soggezione.
Dietro di lui avanzavano altri soldati, scortando i condannati legati alle loro pesanti croci di legno. Quel giorno erano tre in tutto.
L'ultimo di essi avanzava a fatica, tanto da doversi incassare, oltre all'umiliazione di dover sfilare tra la folla con quelle due pesanti travi incrociate in spalla, anche gli spintoni e le percosse dei legionari che gli intimavano di muoversi.
Il piccolo Israele si issò in punta di piedi per guardarlo meglio. Gli sembrava di conoscerlo... Ma no... Possibile che fosse lo stesso uomo entrato a Gerusalemme appena una settimana prima come un re, a cavallo di una mula e attorniato da una folla in delirio che agitava palme e rami d'ulivo? Possibile... Che quella stessa folla appena pochi giorni prima lo avesse dato in pasto alla croce preferendogli a gran voce un brigante della peggior risma?
In punta di piedi, Israele cercò di scorgerlo al di sopra delle teste barbute dei farisei e dei sacerdoti che componevano il Sinedrio.
Giunto davanti al Tempio, all'ennesima frustata il condannato inciampò e cadde rovinosamente sul selciato sabbioso.
Impero Romano si fermò, sbuffando impaziente.
"Cane schifoso!" sussurrò a mezza voce e a fior di labbra Antico Israele "Non vede l'ora di vederli soffrire e sanguinare... Bestia sadica e assetata di sangue, ecco cos'è Roma!"
Si staccò dai membri del consiglio tenendo per mano il figlioletto e entrambi raggiunsero Roma alla testa del corteo.
Mentre passavano davanti all'uomo ancora a terra, gravato dal peso dell'infernale arnese di legno, finalmente Israele lo vide in volto: un uomo dal viso dolce e fermo al tempo stesso, dall'aspetto quasi regale nonostante le umiliazioni, incorniciato da lunghi capelli castani e da una corta barbetta scura.
Alzò lo sguardo.
Per un attimo i loro occhi si incontrarono.
Gli occhi viola del bambino negli occhi castani dell'uomo.
Una sottile ombra di malinconia attraversò quegli occhi così banali eppure così penetranti.
Poi Antico Israele lo tirò via da lì, conducendolo verso la 'bestia' e costringendolo così a distogliere lo sguardo. I soldati rimisero in piedi in malo modo il condannato, lo caricarono di nuovo della croce e fecero ripartire il corteo.
Antico Israele e Israele lo guidavano assieme a Roma, che godeva nel vedere le facce spaventate e sottomesse degli Israeliti al suo passaggio. Tanto più che Antico Israele e il figlio dovettero stare un passo dietro di lui, tra i soldati, neanche fossero da crocifiggere anche loro.
Il corteo attraversò la città, uscì dalla porta e attorniato da due ali di folla iniziò la faticosa salita verso il monte Golgotha, o Calvario, come lo chiamavano i Romani.
Durante il tragitto il corteo dovette fermarsi altre due volte, sempre a causa dell'ultimo condannato che incespicava e cadeva.
"Papà... Come mai il condannato cade sempre?" chiese Israele al padre.
A rispondere però fu Roma.
"Beh, vedi piccolo, quella croce è pesante... E poi lo abbiamo pure flagellato! È stato divertente... In un certo senso..."
A dire la verità, Roma non sembrava poi così divertito. Parecchi suoi cittadini avevano dovuto subire quell'atroce tortura, prima che il suo Senato la vietasse di fatto ai cittadini romani.
"Probabilmente vuole solo allontanare la pena." fu invece la risposta piatta di Antico Israele.
Giunti in cima alla collina, i condannati, e tra essi anche quello che cadeva sempre, furono denudati e posti sopra le loro croci.
Il piccolo Israele perse di vistailcondannato, dal momento che suo padre lo stava trascinando verso un gruppetto composto da alcuni uomini e due donne in lacrime. Probabilmente i parenti di quel condannato.
Un urlo, seguito da molti altri, richiamò l'attenzione di tutti.
Avevano iniziato a inchiodare i condannati.
Cercò Roma con lo sguardo, aspettandosi di vederlo tutto contento mentre si beava di tutta quella sofferenza inferta agli altri... Lo individuò, ma non sembrava affatto beato né contento.
Sembrava anzi turbato.
Frattanto, le due donne vicino alla piccola nazione piangevano sommessamente. Suo padre cinse le spalle di una di esse, avvolta in un velo nero, che sembrava soffrire più di tutte.
Israele le si avvicinò.
"Perché piangi?" le chiese.
La donna, che mostrava all'incirca quarant'anni, gli sorrise tra le lacrime e lo prese in braccio.
"Vedi quell'uomo? Quello cui stanno... Stanno... Inchiodando i piedi... Quello è... Il mio... Il mio figliolo..." singhiozzò indicando proprio l'uomo che Israele aveva incrociato al Tempio.
La donna strinse il piccolo tra le braccia, quasi a voler ricordare il suo piccolo, il bimbo che una trentina d'anni prima aveva stretto al seno e che ora stava per morire nella maniera più atroce possibile.
Le prime croci furono issate in piedi, ciascuna con il proprio cartiglio indicante il nome del condannato appeso sopra. Tra le urla e i gemiti dei crocifissi e dei parenti in lacrime, l'ultima croce, quella con il figlio della donna che aveva Israele tra le braccia, fu ribaltata costringendo il pover'uomo a restare appeso per i polsi e i piedi alla croce.
Pian piano, l'orribile supplizio fu issato in piedi, così che anche quell'uomo potesse morire agonizzante come tutti gli altri.
L'uomo, sporco, sanguinante e sofferente, ansimava alla disperata ricerca di aria.
La donna, che Antico Israele chiamava Maria, piangeva disperatamente.
Per una donna, vedere la lenta agonia e la morte del proprio figlio è lo strazio più grande che possa mai sopportare.
Addirittura un centurione, avvicinandogli con la lancia una spugna imbevuta d'aceto perché potesse bere, gli trafisse per errore il costato che iniziò a sanguinare.
Roma rimproverò il centurione, come rimproverò i soldati che si stavano giocando le vesti del condannato proprio sotto la croce.
Poi l'impero si avvicinò a Maria e le sussurrò qualche rude parola di conforto, prima di allontanarsi.
L'agonia di quel pover'uomo durò circa tre ore.
Poi, ansimando con sempre maggiore difficoltà, ormai esangue, mormorò le ultime parole.
E spirò.
Israele abbracciò Maria, che si accasciò al suolo dilaniata dal dolore, mentre Antico Israele voltava il capo.
Anche l'altra donna, Maddalena, si gettò in terra piangendo e cospargendosi i bei capelli ramati di terra, mentre gli uomini si avvicinavano alla croce per recuperare il corpo.
Israele era sconvolto. Non aveva mai assistito a una crocifissione, ma la cosa peggiore, che non avrebbe mai scordato per tutta la vita sarebbe stato il dolore straziante di quella povera madre privata del figlio. E gli occhi di quel figlio, quegli occhi dolci e malinconici, gli occhi di una persona che non aveva fatto nulla se non predicare l'amore per Jahvé e per il prossimo.
Si poteva morire per aver predicato l'amore? Forse suo padre poteva considerare imperdonabile il fatto che quell'uomo si fosse proclamato Messia, figlio di Jahvé... Ma si poteva morire per quello?
Israele non lo sapeva. Fatto stava che ora quell'uomo era morto, e non avrebbe salvato lui e suo padre dal dominio di Roma. Era solo un profeta, si disse il bambino.
Forse il più grande di tutti, ma pur sempre solo un semplice profeta.
Il Messia doveva ancora venire.
Mentre calavano il corpo dalla croce e lo avvolgevano nel sudario per poi seppellirlo, mentre Maria lo lasciava andare per dare l'estremo saluto al figlio, il cartiglio si staccò dalla croce.
Con ampie volute, svolazzò portato dal vento fino ai piedi della piccola nazione, che lo raccolse. A fatica, lesse i caratteri latini scritti sul foglio di papiro.
"IESUS NAZARENI, REX IUDAEORUM"
"Gesù il Nazareno, Re dei Giudei"
 
 
Vaticano cinse le robuste spalle di Israele, rimasto in silenzio una volta concluso il racconto. Da quel momento in poi, l'ecclesiastico sapeva benissimo come continuava la storia.
Mentre lui, appena nato, era costretto a nascondersi nelle catacombe di Roma assieme al suo primo pontefice Pietro, Israele perdeva il padre per mano di Roma dopo l'assedio di Gerusalemme ad opera di Tito.
Mentre lui, dopo molte persecuzioni, veniva infine riconosciuto da Costantino, Israele vagava di terra in terra, disprezzato, emarginato, costretto dalle altre nazioni a vivere confinato nei ghetti, a dover fuggire continuamente a causa delle persecuzioni che lui stesso, Vaticano, aveva legittimato.
Mentre gli europei combattevano innumerevoli crociate per strappare casa sua agli Arabi, lui veniva messo da parte, invidiato perché il suo popolo si arricchiva mentre loro si impoverivano.
Mentre Vaticano, nelle belle sale dei palazzi apostolici, si godeva le sue opere d'arte, Israele era costretto a vedere la sua gente torturata e uccisa nei lager, a sottostare a umilianti leggi razziali perché giudicato inferiore, a dover portare addirittura la stella di David come marchio affinché tutti potessero sputargli addosso.
Mentre Vaticano comandava a bacchetta Italia, Francia e svariati altri cattolici dall'alto della cattedra di San Pietro, Israele lottava per riprendersi la sua terra, riuscendo infine a strapparla a Palestina, vistosi da un giorno all'altro cacciare di casa da un perfetto sconosciuto.
E ora, davanti al meraviglioso tramonto di Gerusalemme, entrambi si sentivano terribilmente soli.
Ma c'era ancora qualcosa che spingeva entrambi a continuare.
La loro fede.
La fede per la quale Vaticano aveva fatto cose terribili, attirandosi addosso il timore, il disprezzo e la diffidenza di mezzo mondo.
La fede per la quale Israele si era trovato, solo e circondato da nazioni ostili, a dover lottare per vivere e per avere finalmente un posto dove stare.
La fede per la quale, entrambi, avevano dato la vita innumerevoli volte. Proprio come lui.
Iesus Nazareni, Rex Iudaeorum.
 
  
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