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Autore: moira78    31/03/2013    3 recensioni
[Maison Ikkoku]
E vissero per sempre felici e contenti... ma sarà stato proprio così? Nella quotidianità della vita familiare ci sono sempre mille problemi da affrontare e Kyoko e Godai non fanno eccezione: per loro convolare a giuste nozze è solo l'inizio di un'avventura costellata da novità, problemi, sorprese e, tanto per cambiare, vicini invadenti!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DI GELO E CALORE

Sentiva parlottare delle persone con toni concitati, poi rumore di ruote su un pavimento. Nel vortice di dolore che la trascinava sempre più giù, in una specie di baratro nero che prometteva pace, Akemi distinse solo frasi spezzate: 'ha il cordone intorno al collo', 'il battito rallenta' e 'dobbiamo intervenire'. Dovevano essere dottori, ma parlavano del suo bambino o di quello di Kyoko? Molto probabilmente non ce l'avevano con lei, perché altrimenti le avrebbero parlato direttamente, no? Ma chi era che le dava dei buffetti sul viso e la spruzzava d'acqua?

"Lasciatemi riposare!", sbottò scacciando una mano che le si era posata sulla fronte.

"Oh, ha ripreso i sensi! Ora cerchi di stare sveglia e cominci a spingere", le stava dicendo una donna vestita da infermiera. Ma si trovava ancora sulla barella? Volevano farla partorire nel corridoio?

"Mi fa male la schiena se spingo! Non potete tirarlo fuori e basta?". Ricordava vagamente di aver visto l'entrata del pronto soccorso, poi c'era stato un black out: non doveva essere passato che qualche minuto.

"Ma certo che le fa male la schiena, è normale: il bambino si trova in posizione occipito posteriore. Spetta a lei aiutarlo a nascere", le rispose paziente come se si rivolgesse a una bambina capricciosa.

Akemi la squadrò come se fosse matta. "In che posizione è?!". Poi urlò, sopraffatta da un'altra contrazione violenta: qualcuno sembrava divertirsi a trafiggerle la spina dorsale con una spada invisibile.

"Ecco, questo è il momento giusto, spinga più forte e più a lungo che può!". La voce apparteneva a un uomo che stava di fronte alle sue gambe allargate, i piedi erano poggiati sugli appositi supporti. La mascherina ne attutiva la voce.

"Datemi una birraaaaaaaaaa!", gridò mentre si adoperava nello sforzo più sovrumano che dovesse esistere. Pensò che il bambino sarebbe nato di almeno dieci chili; laggiù, dove si trovava, sembrava enorme.

"Cosa dice?", domandò l'infermiera mentre le tergeva la fronte dal sudore e riuscì a cogliere una nota scandalizzata nella sua domanda.

"Bene, la testa è fuori, vuole sentirla?", le stava domandando il medico mentre armeggiava nelle sue parti intime.

"No, voglio solo che passi questo dolore, o potrei cominciare a tirar calci!", grugnì domandandosi se sarebbe mai riuscita a sedersi di nuovo.

"Con l'ultima spinta lo faremo nascere, è bravissima! Ancora qualche minuto e sarebbe nata nel fuoristrada, questa piccola peste!". Gli occhi dell'uomo le sorridevano tra le ginocchia. In quel momento glieli avrebbe cavati volentieri. Così, solo per contrastare il dolore.

"Kusokurae!" (1) , disse prima di essere colta da una nuova contrazione che la fece urlare. Con la coda dell'occhio vide l'infermiera aprire bocca e le sbatté una mano sulla faccia senza tanti complimenti. "Non dirmelo, devo spingere, vero?". La poveretta rimase muta e fu un bene, perché temeva di essere posseduta da qualche demone mentre, con un'ultima dolorosa spinta, metteva al mondo il suo primogenito.

"Congratulazioni, è un maschietto!", esclamò il dottore tenendolo appeso per le gambe, il cordone che penzolava ancora attaccato a lei. "Infermiera, chiami il padre, così gli facciamo tagliare il cordone ombelicale".

Il dolore era scomparso, sparito. Al suo posto c'era una spossatezza pesante come un macigno, piacevole perché la stava guidando al sonno; le ultime parole del medico, però, non le capì: Hideo non si trovava lì.

Poi le venne posato qualcosa di caldo e piangente tra le braccia e il sonno le scivolò via come una pelle di serpente.

Quindi quello era suo figlio; come poteva una creatura così piccola esserle sembrata tanto enorme solo poco prima? La testolina era spruzzata di capelli rossi e Akemi sorrise.
"Così non somiglierai al tuo papà, vero?", gli disse solleticandogli il naso con un dito.

***


Isao Yamamoto saltò giù dall'ambulanza con il cuore in gola: la chiamata era stata fatta ore prima da una donna che chiedeva aiuto per una partoriente ma non c'era stato modo di arrivare prima, pur avendo messo quell'intervento in cima alla lista. Prima c'era stato l'uomo che era caduto nel condotto, poi il bambino mezzo assiderato dopo essere rimasto intrappolato in un ascensore con la madre; normalmente ci sarebbero stati molti più mezzi, ma con quelle condizioni meteo la loro era l'unica ambulanza che non si fosse arenata nella neve o che non avesse la batteria a terra.

"Non spegnere il motore!", gridò al conducente che gli fece un gesto con la mano guantata da dietro il finestrino accuratamente chiuso. "E non venire a darmi una mano, grazie", borbottò recuperando la barella e raggiungendo le scale d'ingresso.

Mentre camminava, inciampò in qualcosa e imprecò malamente contro le forze della natura mentre rotolava nella neve e tentava di rialzarsi. Bussò alla porta parecchie volte, chiamando a gran voce, ma gli rispose solo l'abbaiare un po' svociato di un cane.

"Chiama la tua padrona, bravo cane!", urlò ironicamente; attese per un minuto, poi tentò di sbirciare dalle finestre, nonostante la brina. Era tutto buio, non si sentivano movimenti o voci umane. Pregò di non essere arrivato troppo tardi e si domandò come dovesse comportarsi. Si incamminò di nuovo verso l'ambulanza, con l'intenzione di chiedere l'intervento dei pompieri, anche se con quel tempo e senza la certezza che ci fosse ancora qualcuno in casa poteva rivelarsi quantomeno inutile.

Istintivamente sbirciò ai suoi piedi tentando di capire in cosa avesse inciampato poco prima e si rese conto che era un sasso rosso. Aggrottò le sopracciglia: non sembrava un sasso, tuttavia... Si chinò per scavare intorno, dove la neve l'aveva completamente seppellito e il cuore gli fece un altro balzo quando si rese conto che si trattava di un uomo con un cappotto rosso.

"Oh, santissimi Kami del Cielo, Bunzo, aiutami!", gridò nella tormenta, cercando il battito e controllando le vie respiratorie.

"Devo proprio?", fu la risposta del collega che si era degnato, perlomeno, di abbassare il finestrino.

"Porta qui il culo subito! Quest'uomo sta morendo assiderato!", sbottò iniziando a praticargli il massaggio cardiaco. Non era facile con il vento e la neve che lo accecavano.

"Carichiamolo sulla barella e portiamolo nell'ambulanza, stabilizzalo mentre io guido", stava dicendo il suo collega mentre lo raggiungeva. Dovevano esserci più paramedici quella notte, dannazione! "Ma... e la donna incinta?".

"Non risponde nessuno. Magari l'amica l'ha già portata in ospedale". Assicurò velocemente le cinghie intorno al corpo del poveretto per impedire che cadesse e spinse la barella con tutte le sue forze. La neve ghiacciata la bloccò quasi subito. "Alziamola a braccia!", propose.

"O magari è svenuta e ora è dentro casa senza assistenza". Scoccò un'occhiataccia a Bunzo, desiderando improvvisamente che se ne tornasse al posto di guida.

"Ci ha chiamati un'amica, dubito che lei non correrebbe ad aprirci se fosse così! Ora muoviamoci o questo ci muore qui". Il collega chiuse le porte sottraendolo finalmente al vento e poté concentrarsi meglio sui segni vitali del paziente. Il respiro si era arrestato di nuovo e il battito stava già precipitando. Decise che doveva intubarlo e sottoporlo a massaggio cardiaco nello stesso tempo.

Sì, dovevano decisamente essere almeno in due, lì dietro.

***


"Le sto dicendo che non sono io il padre del bambino, lo vuole capire sì o no?". L'infermiera che li aveva accolti al Pronto Soccorso inarcò nuovamente il sopracciglio con la stessa aria ottusa di poco prima. Akemi alzò lo sguardo su di lui con il neonato stretto al petto e sperò che lei potesse spiegarsi meglio.

"Oh, Mitaka-san, senza di lei non avrei mai potuto avere questo bambino, grazie!". Shun sorrise, portandosi una mano alla nuca, imbarazzato.

"Ma no, non ho fatto niente di speciale, in fondo", si schernì.

"A-ehm!", si schiarì la voce l'infermiera. "Vuole ancora negare che è figlio suo?".

Shun si sbatté una mano sulla fronte. "Ma no, ha capito male!".

Fortunatamente intervenne la stessa Akemi: "Ma no, lui non è mio marito! Hideo è al Chachamaru adesso".

Allargò le braccia annuendo, felice che la cosa fosse finalmente risolta. Ma l'infermiera spalancò ancor di più gli occhi miopi, sistemandosi gli occhiali sul naso come se, guardandolo meglio, potesse scorgere la verità. "Oh, dei! Allora lei è l'amante della signora!".

"Che cosa?!". Per un attimo pensò che la faccia gli cadesse a terra sotto il peso della mascella spalancata, ma si stupì quando Akemi scoppiò a ridere.

"Guardi che non è figlio suo", disse infine.

"Ah, no?", fece quella guardando alternativamente prima l'uno e poi l'altra.

Shun le piantò un dito contro, compitandole la situazione come si farebbe con una scolara particolarmente difficile: "Il bambino è figlio della signora e di suo marito, che ora non è qui, capito?".

Illuminata, la donna batté le mani e lo afferrò per il polso. "Allora venga con me nell'altra stanza, sua moglie avrà certo bisogno di lei!".

Sua moglie? Oh, no...

"Ma... Kyoko non...". Non riusciva a dire altro. Da un lato voleva sapere come stesse, dall'altro chi era lui per deludere le certezze di un'infermiera che aveva accolto un uomo e due donne in travaglio? Non sarebbe mai riuscito a confessarle che nessuna delle due era la sua vera moglie.

***


Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che provò fu il dolore. Intenso, grave, le pesava sul corpo come fosse una cosa viva e vorace che non vedeva l'ora di digerirla per bene. Ma era troppo stanca per lamentarsi o emettere suoni, quindi vi si arrese, rimanendo in ascolto della voce che udiva: era il medico che parlava con Mitaka, l'espressione del volto la spaventò terribilmente.

"Il bambino si presenta podalico e ha il cordone ombelicale attorno al collo. Inoltre è prematuro, per cui noi opteremmo per un cesareo. Oppure, con un'abile manovra, potremmo riuscire a farlo nascere naturalmente ma sarebbe molto doloroso per la madre che è già molto debole; e non possiamo garantire neanche per il bambino stesso".

Ansimò e aprì la bocca per parlare, ma il dottore aveva ragione: non ne aveva la forza. Era semplicemente spossata.

"Kyoko!". Mitaka doveva essersi accorto del suo risveglio e quando le si avvicinò sembrava davvero in ansia per lei.

Udiva distintamente il 'bip' che segnalava il battito cardiaco di suo figlio e sapere che stava rischiando la vita le parve semplicemente un incubo irreale. Voleva suo marito accanto, aveva bisogno di stringergli la mano e di trarre forza da lui, ora che non ne possedeva più un briciolo.

"Signora, mi sente? Normalmente le permetterei di scegliere con suo marito la procedura che preferisce, ma come medico devo insistere per il cesareo; è la cosa migliore per il bambino".

Sbatté le palpebre per schiarirsi la vista e incontrò lo sguardo, stranamente imbarazzato, del suo ex allenatore di tennis; tentò nuovamente di formulare il nome di Yusaku.

"Dottore, vogliamo lasciarli soli per un minuto o due in modo che possano parlarne con calma?", stava dicendo l'infermiera spiazzandola: perché mai avrebbe dovuto parlare con Mitaka di una cosa del genere?

"La signora è convinta che io abbia una relazione con entrambe per il semplice fatto che sono arrivato con te e Akemi", spiegò Shun.

Non mi importa di cosa pensa l'infermiera, voglio solo che il mio bambino stia bene. E voglio Yusaku!

"Signorina, prego!", rettificò la voce già lontana della donna.

"Oh, non stento a crederlo", borbottò Mitaka muovendosi come al rallentatore.

Basta, era stufa di quella conversazione insensata. Il dolore la stava trascinando di nuovo nell'oblio e lei voleva essere vigile per seguire gli eventi e assicurarsi che tutto andasse bene! Si morse il labbro tentando di tenersi sveglia e cercò disperatamente lo sguardo di Mitaka. Mosse le labbra emettendo solo un flebile respiro, ma tanto bastò perché lui capisse. Annuì sorridendole.

"Ero convinta che tenesse il piede in due scarpe, dottore, cosa penserebbe lei di un uomo che si presenta al pronto soccorso a braccetto con due donne in travaglio?". Girò gli occhi verso l'infermiera e si sorprese a riflettere sulla possibilità di scoppiare a ridere o di rimproverarla per la sua indelicatezza. Beh, poco importava, visto che neanche riusciva a parlare.

"Ascolti, dottore: lascio la mia amica alle sue cure. Vado a prendere suo marito perché possa starle accanto; tornerò al più presto". Fortunatamente, dopo l'ultimo commento, Shun aveva ripreso il controllo della situazione ignorando l'inopportuna infermiera: lo ringraziò mentalmente.

"Bene, certo ". Il dottore era in evidente imbarazzo e lanciava occhiatacce, che lei stessa avrebbe voluto dare, alla sua collaboratrice. "Ma non so se potremo aspettare l'arrivo del marito per procedere. Il bambino rischia di soffocare se non interveniamo al più presto".

Riuscì ad emettere un gemito, tanta era l'apprensione. In quel momento avrebbe chiesto al medico di sacrificare la sua vita pur di non mettere a repentaglio quella di suo figlio. Le spuntarono le lacrime agli occhi.

"Kyoko, ascoltami". Mitaka era tornato accanto a lei e le stringeva una mano: il suo calore era confortante, lei si sentiva gelata. "Tornerò più in fretta possibile con Godai, te lo giuro; tu però promettimi che starai bene e farai tutto quello che ti dice il medico".

Annuì, deglutendo inutilmente le lacrime: "Non piangere, sei in buone mani". Shun le asciugò gli occhi, poi si rivolse di nuovo al dottore: "Mi raccomando".

"Stia tranquillo, faremo tutto il possibile perché le cose vadano per il meglio; la procedura è di routine, monitoreremo la salute della madre e del bambino ogni istante. Piuttosto, lei stia attento ad andare in giro con questa tormenta".

"Stia tranquillo, affronterei qualunque tempesta per questa donna!".

La fitta di dolore arrivò contemporaneamente allo stupore e Kyoko non seppe cosa l'avesse colpita maggiormente; le parole di Mitaka la riportarono indietro nel tempo e si chiese se i suoi vecchi sentimenti non fossero improvvisamente riaffiorati. Pregò che così non fosse, per il bene di tutti.

Poi cominciò a pregare perché le portasse Yusaku al più presto e che la trovasse con il loro secondogenito in braccio, sano e perfetto come era stata Haruka neanche tre anni prima.

***


Voci, nel corridoio. Le avevano detto che probabilmente Kyoko avrebbe dovuto subire un cesareo d'urgenza, poi le avevano fatto allattare il bambino ed era successo quel buffo equivoco con Mitaka. Infine l'avevano portata in una stanza dove potesse riposare. Eppure, non credeva di aver dormito più di qualche minuto prima di risvegliarsi in preda a una sensazione di vivo allarme.

"Maschio, asiatico, pressione ottanta su quaranta, ha avuto almeno un arresto cardiaco per via dell'ipotermia. L'ho rianimato ed era in stato confusionale, parlava di una moglie".

Ah, ecco cosa l'aveva svegliata! La sua stanza non era lontana dall'entrata del pronto soccorso e stavano ricoverando qualcuno proprio in quel momento: si chiese chi fosse il poveretto mezzo congelato e se l'avrebbero salvato. Strano, non era mai stata così altruista in vita sua, doveva avere gli ormoni in subbuglio per il parto.

"Signore, si trova in ospedale, può sentirmi? Mi sa dire come si chiama?".

Che domanda stupida, perché gliela facevano? Forse volevano vedere se era cosciente e ancora in possesso delle sue facoltà mentali. Udì un borbottio indistinto, segno di un'effettiva risposta: qualcosa nella voce dell'uomo le fece accelerare il battito cardiaco.

"Sua moglie era con lei?".

"Dove l'avete trovato?".

"Di fronte a una pensione, non ricordo come si chiamasse. In realtà la chiamata era per una donna in travaglio".

No, non era possibile, doveva trattarsi di una mera coincidenza... l'idea che le si stava profilando nella mente non le piaceva affatto. Trattenne il respiro, ora completamente vigile e in ascolto.

"Akemi...". Spalancò gli occhi, era Hideo quello che la stava invocando! Gridò il nome del marito e si tirò via le coperte; quando mise le gambe a terra cadde di peso sul pavimento perché non la ressero.

"Signora! Lo sa che non deve alzarsi!", accorse un'infermiera. Ma lei si stava già muovendo carponi per uscire dalla stanza.

"Quell'uomo è mio marito!", disse indicando il corridoio.

"Akemi?". Sì, non c'erano dubbi; non sapeva dove trovasse tanta energia viste le condizioni che avevano descritto poc'anzi, ma era proprio lui che la chiamava per nome. Si lasciò aiutare dall'infermiera e si appoggiò a lei per uscire in corridoio.

La scena che seguì le avrebbe ricordato uno di quei film smielati che odiava tanto e si sarebbe chiesta spesso, nel tempo, come avesse potuto esserne protagonista proprio lei.

Lui si protendeva dalla barella, pallido come un lenzuolo, allungando un braccio per toccarla, chiedendole se fosse davvero Akemi. "Oh, Hideo, certo che sono io, che domande! Ho appena partorito".

Gli afferrò la mano mentre l'infermiera continuava a sorreggerla. "Lo sentivo che stava accadendo qualcosa! Ma il telefono non funzionava e quella dannata auto...". Improvvisamente fu a corto di fiato e Akemi si spaventò a morte.

"Hideo!", proruppe. Uno dei medici la scostò gentilmente.

"Signora, ci lasci andare ora, dobbiamo scaldarlo e controllare le funzioni vitali".

"Ma parlavate di arresto cardiaco!". Si sentiva isterica come poco prima di partorire, l'adrenalina era tornata contro ogni sua aspettativa. Si chiese se sarebbe mai riuscita a riposare di nuovo.

Il medico le fece un sorriso confortante. "Suo marito è ancora giovane e in salute e sono certo che non vede l'ora di fare il papà. Quindi non lo faccia preoccupare e vada a stendersi, adesso".

Hideo la guardò: le apparve sfinito e le poche forze che prima lo avevano sorretto sembravano averlo abbandonato definitivamente. Le strinse a malapena la mano mentre la induceva con lo sguardo a non preoccuparsi.

Improvvisamente pensò a Kyoko, rimasta vedova dopo pochi mesi di matrimonio, e venne colta da un panico che non avrebbe mai creduto di provare, lei che era sempre passata da una storia all'altra ritrovandosi ogni volta più forte; lei, che non credeva esistesse l'amore vero. Lei, il cui unico amico veramente intimo era stato il datore di lavoro che l'aveva assunta al Chachamaru. L'aveva sposato perché erano simili e condividevano una complicità spontanea e naturale.

Ora si accorgeva di quanto ne fosse innamorata da sempre. Non voleva perderlo, non l'avrebbe sopportato.

"Vedi di rimetterti in piedi al più presto, hai un figlio a cui provvedere", disse con voce ferma prima che lo portassero via con un rumore infernale di rotelle e passi concitati. Quando sparirono dietro una doppia porta, si lasciò cadere a terra.

"Signora!", esclamò l'infermiera allarmata aiutandola a rialzarsi e riconducendola lentamente in camera.

"Mi faccia sapere, per favore", la pregò posando la testa sul cuscino. Solo quando si fu fatta promettere di avere sue notizie al più presto s'impose di rilassarsi.

Le sembrava tutto così assurdo, così irreale: era come se un demone particolarmente dispettoso stesse giocando con i loro destini divertendosi un mondo a far accadere le cose più assurde. La donna chiuse la porta della stanza, ordinandole di dormire senza mezzi termini e lei fece una smorfia: così si sentiva ancora più lontana da Hideo. E non avrebbe dormito, agitata com'era, nossignore. Invece scivolò nell'incoscienza senza accorgersene.

***


"Lei è stata alquanto inopportuna, signorina Fujiwara, non può e non deve giudicare un uomo solo perché si presenta qui con due donne. Non è affatto professionale!".

"Mpfh! Ha ben sentito cosa ha detto quel belloccio, prima di andare a prendere il marito di questa donna: se non è un uomo innamorato quello...".

"Non è nelle sue competenze trarre queste conclusioni, infermiera. Temo che dovrò farle un richiamo formale alla disciplina se continua con questo atteggiamento!".

Che diamine stava accadendo, si era addormentata davanti a una sit com? Oppure si trovava ancora in ospedale e aveva perso un'altra volta i sensi? Propendeva per la seconda ipotesi e il primo pensiero coerente fu per il bambino. Kyoko aprì gli occhi e scoprì di essere attaccata a una flebo; il dolore era un pulsare lontano e sembrava appartenere a un'altra donna, non più al proprio corpo.

"Oh, si è risvegliata, bene. Signora, fra poco arriverà l'anestesista per la spinale, quindi potremo andare in sala parto per il cesareo. Il dolore dovrebbe essersi già attenuato, no?". Il dottore parlava con tono pratico e professionale e nel frattempo controllava la flebo e scriveva appunti sulla cartella che teneva in mano.

"Per mio marito...". Il dolore era sì, scemato, ma la debolezza rimaneva. Si chiese come avrebbe affrontato tutto da sola se Yusaku non avesse fatto in tempo ad arrivare.

Il medico le sedette accanto e la guardò serio. "Per prepararla ci vorrà qualche minuto e ci auguriamo tutti che lui possa starle accanto mentre facciamo nascere suo figlio. Ma se ciò non dovesse accadere non possiamo aspettare oltre: come le ho detto il bambino sta soffrendo e lei non vuole mettere a repentaglio la sua vita, vero?".

"Oh, no, no di certo!". La voce le uscì flebile ma decisa; si sentiva come una bambina costretta a festeggiare il proprio compleanno da sola e si domandò quando le fosse accaduto di regredire all'età di Haruka: probabilmente lo stress e lo spavento di quelle ultime ore l'avevano destabilizzata a tal punto.

In quel momento entrò un uomo anziano, con grandi baffi bianchi e lo sguardo bonario; Kyoko si fidò istintivamente di lui e si accovacciò sul fianco come l'anestesista le chiedeva per procedere con l'iniezione.

"Aspetti! Dormirò mentre lo farete nascere?" Il medico si accigliò e rimase con l'iniezione a mezz'aria.

"La procedura normale è questa, sì. Le farò un'anestesia generale". Kyoko scosse la testa.

"Non c'è un altro modo? Io... voglio vederlo, prenderlo in braccio subito". Per un attimo scese il silenzio interrotto solo dal ticchettio di un orologio a parete che sembrava ricordarle quanto poco tempo ci fosse per i ripensamenti.

"A dire il vero ci sarebbe una nuova tecnica che consiste in un'anestesia locale, ma è ancora in fase di...".

"Io mi fido di lei. Se non procurerà alcun danno al bambino, la prego di somministrarmi quella. Per favore". Il dolore era sempre lontano ma in quel momento lo avvertì distintamente torcersi per l'ennesima volta dentro il ventre.

"Va bene, datemi un minuto. Anzi, due". Seguì con preoccupazione lo scambio di sguardi tra l'anestesista e l'ostetrico e decise che l'urgenza era tale che forse aveva fatto un grosso errore. Ma non ebbe il tempo di ritrattare, perché nel giro di molto meno dei due minuti previsti, l'uomo tornò con un'altra siringa.

"Grazie", mormorò mentre lo vedeva ricambiare il sorriso che gli stava dedicando per la sua sollecitudine. Avvertì a malapena la pressione dell'ago che le veniva infilato tra le vertebre.

***


Qualcuno bussava alla porta. Di notte, nel bel mezzo di una tormenta che aveva perso un po' della sua intensità solo qualche minuto prima. Yusaku rimase immobile, con la tazza di the a mezz'aria, indeciso se preoccuparsi di un malvivente o accorrere perché chi era alla porta poteva essere in difficoltà. Tentò di riflettere lucidamente e i colpi si ripeterono più forti e decisi: chiunque fosse aveva una bella fretta e un ladro non avrebbe voluto farsi certo sentire.

Per precauzione prese una delle piccole mazze da baseball dalla stanza dei giochi per bambini, chiedendosi cosa avrebbe potuto farsene visto che pesava la metà di una normale, e andò alla porta con uno stentoreo: "Chi è?".

"Godai, sono Mitaka! Dannazione, apri la porta!".

Mitaka? MITAKA?! Prima ancora che le considerazioni salissero a livello cosciente, il cervello aveva già portato le mani al lucchetto e alla chiave: armeggiò con la serratura e solo allora si accorse che gli tremavano. Quando lo vide, coperto di neve e mezzo assiderato, gli balzò alla mente la possibilità di offrirgli qualcosa di caldo, ma nello stesso tempo aveva il terrore di parlare, di chiedere, di sapere. Lo fece lui.

"Tua moglie... in ospedale, con Akemi... sta per partorire con un cesareo... devi fare presto...", ansimò balbettando. Le sinapsi si irradiarono di decine di impulsi: chiedere come sta; no, sbrigarsi e uscire subito; no, bisognava avvisare le colleghe di prendersi cura di Haruka fino al suo ritorno; Kami, se non prendeva almeno il cappotto sarebbe morto di freddo, ma chi se ne importava, Kyoko aveva bisogno di lui. Kyoko... Kyoko... il loro bambino...Haruka...

"Godai!". L'urlo di Mitaka lo riscosse. "Ho dovuto scavare nella neve per raggiungere questa dannata porta, vedi di non farmi fare il percorso inverso con te sulle spalle!".

"No, certo. A... arrivo subito". Doveva essere impallidito tanto che l'amico aveva creduto che svenisse. Ma ora era più controllato e sapeva quello che doveva fare. Chiuse la porta dietro Mitaka per impedire al gelo di entrare e fece qualche passo verso la stanza di Haruka. Poi ci ripensò e tornò indietro con foga tale che l'ex allenatore di tennis sussultò spaventato. "Come sta? Perché così in anticipo? E perché il cesareo? Kyoko voleva fare un parto naturale!".

"Io... io non lo so! Mi ha telefonato Akemi che era in travaglio e mi ha detto che si sono rotte le acque anche a Kyoko. Io mi sono precipitato a Casa Ikkoku prima possibile e Akemi ha partorito in ospedale poco dopo il nostro arrivo; ma a Kyoko devono fare un cesareo d'urgenza e le ho giurato che ti avrei portato da lei prima possibile, per cui ora muoviti! Le spiegazioni possono aspettare".

Era troppo da assorbire in così poco tempo, ma Yusaku sapeva che la priorità era correre da lei quanto prima; entrò come un razzo nella stanza dove dormivano le colleghe, senza neanche domandarsi se fosse prima il caso di bussare. Le due donne si svegliarono di scatto accendendo le lampade e lo guardarono con gli occhi di fuori, evidentemente allarmate; non diede loro modo di parlare e spiegò la situazione in due parole, pregandole di accudire Haruka fino al suo ritorno. Stavano ancora urlandogli dietro di non preoccuparsi e profondendosi nei migliori auguri mentre lui già si avviava nella stanza dove c'era la sua bambina addormentata. Prese un foglietto di carta e una penna e scribacchiò che stava andando dalla mamma perché il fratellino stava per nascere, ma sarebbe tornato il giorno dopo a prenderla. Aggiunse una faccina sorridente e afferrò il cappotto nell'atrio tornando da Mitaka dopo poco più di un minuto.

"Possiamo andare", gli disse col fiatone. Il tragitto verso il veicolo fu abbastanza difficoltoso, ma per lo meno il vento era calato e la nevicata aveva diminuito d'intensità. Quando vide il fuoristrada con le grosse ruote complete di catene, pensò che ce l'avrebbe sicuramente fatta.

Senza una parola, l'amico mise in moto e accelerò gradualmente sulla strada verso l'ospedale: vide il suo profilo serio e capì che era preoccupato almeno quanto lui.

"Grazie", riuscì solo a dirgli e gli parve quanto mai insufficiente ad esprimere quello che provava.

"Sai che farei di tutto per Kyoko", rispose sterzando bruscamente per evitare un cumulo di neve. La macchina slittò per qualche secondo e Yusaku si aggrappò al cruscotto, sperando che l'auto non si ribaltasse. Ma Shun fu abilissimo a riportarla in carreggiata.

Decise di non dare peso alla frase di poco prima, perché aveva avuto un flash del passato, quando discutevano a causa dei sentimenti che provavano per la stessa donna. E quello non era il momento di rivangare certe cose: tormentandosi le mani e imponendosi la calma, gli chiese come stesse sua moglie.

"Era molto provata, sentiva dolore ed era debole. Ma il medico mi ha rassicurato che sarebbe stata un'operazione di routine".

Yusaku annuì, cercando di assorbire il senso positivo di quelle parole e ripetendosi che andava tutto bene; poi, come per autodifesa, tornò col pensiero al viso dormiente e tranquillo di sua figlia. Le aveva scritto un biglietto e gliel'aveva lasciato accanto al futon. Si sorprese a ridacchiare.

"Cosa c'è di tanto divertente?", gli chiese Mitaka, quasi allarmato, mentre scalava la marcia per affrontare una leggera salita.

"Haruka non sa ancora leggere", disse mentre l'ilarità lo solleticava inesorabilmente.

Shun lo guardava alternativamente alla strada, lanciandogli occhiate perplesse.

"Le ho lasciato un bigliettino dopo aver avvisato le maestre: come se potesse leggerlo!".

"Vorrà dire che glielo leggeranno loro quando si sveglierà". Ora rideva anche Mitaka, probabilmente della sua ingenuità.

Ok, sto ridendo e mi sto rilassando. Andrà tutto bene, adesso lo so; Kyoko, aspettami, sto arrivando!

Subito dopo quel pensiero, Godai si ritrovò proiettato in uno di quei film horror di terza categoria dove, sempre nel momento in cui pare che il protagonista sia finalmente fuori pericolo e addirittura la musica di sottofondo diventa più leggera, accade l'impensabile che fa sussultare lo spettatore.

In quel caso l'impensabile fu un albero di discrete dimensioni che si abbatté, forse sotto il peso della neve, direttamente sul cofano del fuoristrada di Mitaka.

***


"Signora?". Chi era che la chiamava? Stava dormendo così bene! Erano settimane che non si girava su un fianco, così, senza avvertire il peso del bambino che gravava. Le sembrava di non stare tanto comoda da una vita.

"Akemi?", quella era la voce di Hideo. Perché la disturbava proprio adesso? Un momento. Ora che ricordava...

Si alzò di scatto su un gomito, quando la consapevolezza delle ultime ore la inondò come una marea che improvvisamente si alzi; decine di puntini neri le danzarono davanti agli occhi. Qualcuno le intimò di fare piano, allora sbatté le palpebre e mise a fuoco l'immagine di suo marito steso su una barella che le sorrideva.

"Ciao, mamma", le disse facendola sbuffare.

"Non sono tua madre", gli rispose prima di sorridere a sua volta. "Vedi di non farmi più certi scherzi, capito? Che ti è saltato in mente di fare una passeggiata sotto la tempesta? Non sei mica un orso polare!".

"Volevo venire da te. Sentivo che qualcosa non andava e sono venuto a cercarti. Il telefono non funzionava e neanche la cabina telefonica che ho trovato. Allora ho deciso di venire alla Maison Ikkoku ma tutte le luci erano spente, e poi... poi non ricordo più niente".

Un medico in piedi vicino alla barella si schiarì la voce. "Suo marito ha rischiato seriamente di morire assiderato, i nostri paramedici lo hanno trovato per puro caso sepolto sotto a un mucchio di neve. Se non avessero ricevuto la chiamata di una donna che stava per partorire non sarebbero capitati in quella zona neanche per sbaglio".

Rimase per un attimo a fissare l'uomo con la bocca semi aperta, assorbendo il senso di quelle parole. "Quindi, in pratica, quella piccola peste che mi ha quasi rotto la schiena ti ha salvato la vita?".

Hideo annuì: aveva ripreso colore. Il dottore spiegò loro che era di fibra forte e che nel giro di pochi giorni sarebbe stato di nuovo in piedi e a quel punto sarebbero potuti tornare a casa tutti insieme. Tutti e tre.

"Sukuinushi".

"Come? Cosa hai detto?". Si sporse un po' dal letto per udire cosa avesse appena detto suo marito.

"Sukuinushi, il nome che potremmo dare a nostro figlio".

Già, ora che ci pensava avevano parlato ben poche volte del nome da dargli e sempre in toni scherzosi, sciorinando appellativi di dubbio gusto come 'Biru suki' (2), o 'Pati yakiire' (3) e facendoci sopra grasse risate. Ma il nome che aveva appena pronunciato Hideo significava praticamente 'colui che salva' e calzava a pennello. Annuì compiaciuta: "Sukuinushi Juji (4). Sì, può andare; non sarà il nome più bello del mondo ma direi che stavolta ci abbiamo colto in pieno", concesse.

Improvvisamente le tornò in mente Kyoko e si domandò come stesse la sua ex padrona di casa; chiese notizie al medico che scosse la testa: "Oh, povera donna. Soffriva parecchio e il bambino era in pericolo di vita. Così l'hanno portata su per un cesareo d'urgenza; pare che l'uomo che vi ha portate sin qui sia andato a prendere di corsa il marito".

Lei e Hideo si guardarono. "Godai? Con questa tormenta? Mitaka dev'essere impazzito! Va bene scortarci all'ospedale ma uscire di nuovo con un tempo del genere è davvero un suicidio".

L'uomo accanto a lei chiuse gli occhi, sospirando rumorosamente: "Eh, che ci vuoi fare. Un uomo innamorato perde la ragione più spesso di quel che credi. Guarda me ad esempio...".

Akemi fissò suo marito accigliata: "Che diavolo stai dicendo? Mitaka è sposato e con prole, non è più... oh...!". Realizzò improvvisamente che un fondo di verità poteva ben esserci. L'allenatore di tennis era stato innamorato così a lungo di Kyoko che non poteva averla dimenticata completamente. Non ce lo vedeva a tenere il piede in due scarpe, tuttavia...

"Bene, ora basta chiacchierare. Datevi la buonanotte e cercate di riposare; la signora deve allattare tra qualche ora e lei deve farsi una bella dormita al caldo". Dichiarò il dottore guardando alternativamente lei e Hideo, neanche stessero all'asilo all'ora del riposino pomeridiano.

"Allattare? Di nuovo?! Non si potrebbe avere una birra prima? Devo reintegrare i liquidi!", protestò vivamente.

Il medico la guardò con un grosso sorriso accondiscendente mentre portava via la barella dove il suo altrettanto sorridente marito la salutava con la mano: "Signora, lei è davvero spiritosa!", disse chiudendosi la porta alle spalle.

Con un grugnito di disappunto, sprimacciò il cuscino e si girò sull'altro fianco. Sperò che anche per Kyoko e il bambino le cose andassero per il meglio; non vedeva l'ora di dare un'altra festa alla Maison Ikkoku e prendere un po' in giro Mitaka per quell'ultima scoperta!

***


"Dannazione!". Shun aprì la portiera di scatto e ispezionò il danno: il cofano era ridotto a un rottame e anche ammesso che fossero riusciti a spostare il tronco, dubitava che il fuoristrada sarebbe ripartito. Mancavano ancora un paio di chilometri buoni all'ospedale. E dire che erano quasi arrivati!

"Io vado a piedi", dichiarò Godai al suo fianco, sistemandosi il bavero del giubbotto a coprirsi meglio il viso dalle raffiche di vento: non si era neanche accorto che fosse sceso anche lui dalla vettura.

"E io verrò con te. Ma non a piedi". Girò intorno al fuoristrada e aprì l'ampio bagagliaio alla ricerca del necessario; qualche istante dopo aveva in mano due paia di sci e di bacchette: ne porse al suo passeggero e si chinò a cercare le mascherine.

"Che roba è?", domandò Godai con tono confuso.

"Non lo vedi da te?", ribatté seccamente. Certe volte si chiedeva come mai fosse tanto ottuso.

"Certo che lo vedo, ma non credo che potremo arrivare all'ospedale sciando!". Per tutta risposta gli lanciò addosso i grossi occhiali da neve che aveva finalmente trovato. Ne scovò solo un paio e decise che ne avrebbe fatto a meno.

"Mai praticato sci di fondo? Se camminiamo nella tormenta e continuiamo ad affondare i piedi nella neve saremo molto più lenti. Così ci muoveremo più in fretta. Sai metterli?", iniziò a indossare i propri sci e strinse a sua volta il bavero a ripararsi il viso.

"Certo che sì. Sono nato e cresciuto tra le montagne io!". E ora perché gli sembrava arrabbiato? "Piuttosto, dimmi una cosa: come mai fai tutto questo per noi? O... per Kyoko?".

Sussultò, come preso con le mani nel sacco. Sapeva controllare le proprie emozioni di solito ma era probabile che fosse diventato d'improvviso trasparente per lo stress accumulato. Non osò voltarsi verso Godai ma lo indusse a muoversi mentre si preparava mentalmente una risposta sincera: per farlo dovette cercare di capire innanzitutto se stesso e non fu affatto facile. Cosa sapeva dei propri sentimenti? Sicuramente amava Asuna e la sua felicità coniugale raddoppiava ogni volta che guardava uno dei loro figli. Quindi, cosa provava... ancora, per Kyoko?

"Sei mai stato innamorato prima di incontrare tua moglie?", domandò mostrandogli come prendere il ritmo nella maniera migliore usando le bacchette. Il vento era calato lievemente e la nevicata era diventata forte ma non impossibile da affrontare come qualche ora prima.

"Perché me lo domandi?".

"Lo sei stato, sì o no?!", ripeté esasperato.

"Beh, c'è stata una compagna al liceo... e poi ho frequentato Kozue per un periodo...".

"Ah, lascia stare! Io parlo di amore vero. Lo stesso che provi per Kyoko, per intenderci". Si voltò a guardarlo. Aveva preso il ritmo e, nonostante il fiatone evidente, non accennava a diminuirlo. Scosse la testa in segno di diniego, sbuffando per la neve che gli era finita in bocca. "Bene, io ero innamorato di Kyoko. Innamorato davvero; per lei avrei fatto qualunque cosa, il mio cuore era ricolmo di questo sentimento fino a scoppiare".

"Penso di ricordarmelo". Godai non aveva parlato ad alta voce, ma il vento gli riportò ugualmente le sue parole. Forse le aveva addirittura intuite.

"Bene, quando mi sono innamorato di Asuna è stato diverso. Più graduale. Non dimenticare che pur essendole affezionato sono stato costretto dagli... ehm... eventi a fidanzarmi con lei. Sorprendentemente l'amore è arrivato e mi ha reso altrettanto felice. Ma questo non significa che i sentimenti che provavo per Kyoko siano spariti all'improvviso".

"Vorresti dire che l'ami ancora? Che ami entrambe?!". Quasi si spaventò quando Godai gli si fece vicinissimo e gli urlò praticamente in faccia quelle domande.

"Certo che l'amo ancora e che le amo entrambe! Ma in maniera differente". Urlò a sua volta, poi lo allontanò con una spinta. Un'occhiata alla strada gli indicò che non erano ancora arrivati a metà del percorso e cominciò a disperare di arrivare in tempo.

Stavolta le parole di Godai gli giunsero come un mormorio indistinto: non sapeva se per il vento o per lo shock. Dovette gridargli di ripetere. "Ho detto: cosa vuol dire?".

Rifletté per pochi istanti, tentando di trovare le parole adatte nel suo cervello congelato nonostante il cappuccio di piume: "Vuol dire che amo Asuna come una moglie e Kyoko... beh, come la mia amica più preziosa. Un'amica della quale sono stato innamorato e con la quale ho bellissimi ricordi". Doveva essersi spiegato bene, perché Godai rilassò le spalle e la sua sciata divenne molto più elastica e veloce.

"Bene, è chiaro. E ora sbrighiamoci. Mi spiace di aver dubitato di te".

Già, anche io dubito di me, talvolta...

Perse la cognizione del tempo e gli parve di avanzare insieme a Godai nella neve per ore. Non sapeva se fosse per il freddo che nonostante i vestiti gli aveva congelato piedi, mani e ossa o per la consapevolezza di aver finalmente dato voce a ciò che provava togliendosi un grosso peso: gli parve quasi di avere le allucinazioni quando vide l'edificio dell'ospedale in lontananza. E, come in ogni allucinazione che si rispetti, sembrava che, invece di avvicinarsi, il palazzo rimanesse fermo o addirittura si allontanasse. Varcarono la soglia dell'entrata senza neanche togliersi gli sci e fu solo allora che si fermò a riprendere fiato; Godai proseguì nella sua tenuta senza tanti complimenti fino all'accettazione, dove farfugliò una domanda alla receptionist che, mentre gli indicava il reparto, gli intimava, inascoltata, di togliersi almeno gli sci, per favore, o avrebbe inzuppato tutto il pavimento!

Sedette in sala di attesa e cominciò a svestirsi, grato del calore all'interno. I muscoli gli bruciavano per lo sforzo ma l'allenamento continuo gli permise di recuperare il fiato in fretta. Mentre si chinava per sedere su una poltroncina, gli si avvicinò un uomo in camice bianco: un medico, o forse solo un infermiere.

"Posso aiutarla?".

"Oh, no, grazie. Sono venuto per accompagnare un amico, sua moglie è in travaglio. Le dispiace se lo aspetto qui?".

"Certo che no! Se le fa piacere laggiù ci sono dei distributori automatici di bevande calde: mi sembra davvero infreddolito". Il sorriso dell'uomo riuscì a scaldarlo quasi quanto la temperatura interna.

"Grazie, credo che andrò a prendere qualcosa, allora". L'altro annuì e si congedò con un lieve inchino. Shun prese fiato per qualche istante, concentrandosi sui rumori lontani dei passi e delle porte che venivano chiuse con discrezione. Udì uno sferragliare di rotelle al piano superiore, forse una barella, quindi si frugò nelle tasche alla ricerca di spiccioli. Era uscito senza portafogli ma fu grato di trovare qualche yen nei pantaloni: la sua mano stava andando in direzione della macchinetta del caffè quando vide il telefono.

Nonostante tutto, Godai, nell'amicizia che provo per Kyoko è rimasto un po' di quell'amore.

Inserì le monete, sorridendo all'idea delle sue piccole pesti che dormivano al calduccio di casa. Sperò di non svegliarle.

Ma non volevo che pensassi male. La mia vita ora è con Asuna, e niente al mondo potrà cambiarlo. Però quando Kyoko avrà bisogno di me non potrò fare a meno di accorrere. Mai.

"Tesoro? Sono io. Ancora non so nulla, no. Akemi invece ha partorito un bel maschietto. Sì. Ho avuto un piccolo problema con la macchina, ma non preoccuparti. Appena la nevicata smetterà chiamerò un taxi. Certo, prima mi informerò di come stanno andando le cose. Tornerò presto".

In fondo la felicità non aveva bisogno di caffè bollente, neanche in una giornata come quella.

***

Doveva essere l'effetto dell'anestesia, senza dubbio: altrimenti non si spiegava come mai vedesse Yusaku sulla soglia della stanza operatoria con ai piedi un paio di sci e in mano tanto di bastoncini. Aveva addirittura degli occhiali da sci accuratamente rialzati sulla testa.

"Signore, non può stare qui, esca immediatamente! Sta spargendo neve ovunque!". L'infermiera che aveva scambiato Mitaka prima per il marito di Akemi e poi per il suo fu categorica.

"No, vi prego", riuscì ad ansimare, "è mio marito, è arrivato in tempo; lasciate che assista alla nascita di suo figlio". Kyoko si sentiva come spezzata a metà: l'epidurale che le avevano fatto aveva reso completamente insensibile la parte inferiore del suo corpo; davanti a sé vedeva solo un lenzuolo celeste accuratamente drappeggiato a impedirle di visualizzare il ventre che stavano apprestandosi a incidere. Infermiere e ostetrico erano raggruppati di fronte alle sue gambe e formavano una barriera oltre la quale neanche Yusaku avrebbe potuto sbirciare.

Le si avvicinò trascinando gli sci faticosamente e non poté fare a meno di domandargli come avesse fatto ad arrivare, conciato così poi. "È una lunga storia, ma non ha più importanza ora. Ho lasciato Haruka alle cure delle maestre, giù all'asilo. Domani mattina i soccorsi libereranno accuratamente l'entrata per permettere a tutti i bambini di uscire in sicurezza. Ora però pensa solo a far nascere Fuyushi, va bene?".

Kyoko annuì e, quando vide il medico avvicinarsi a grandi passi alle spalle di suo marito, temette che lo avrebbe scacciato dalla stanza. "Mi faccia un favore", disse invece, "si tolga quei cosi, si dia una ripulita e indossi camice e mascherina. Non vuole essere portatore di batteri per sua moglie e suo figlio, vero?".

"Nossignore!", s'impettì lui cominciando subito a eseguire quanto richiesto.

"Regge bene la vista del sangue?". Quell'ultima domanda la preoccupò: Yusaku non doveva certo mettersi a guardare cosa accadeva là sotto!

"Sissignore!", rispose continuando a stare sull'attenti.

L'ostetrico scosse la testa e lo liquidò con un cenno. "Riposo. Ora infili quel camice e tenga la mano di sua moglie".

I minuti successivi le parvero infiniti: l'ostetrico spiegò loro la manovra che stava eseguendo per far uscire il bambino, mentre le assistenti monitoravano i battiti cardiaci di madre e figlio. Ogni volta che veniva pronunciata la frase "il battito sta scendendo", Kyoko aveva un sussulto e il proprio cuore subiva invece un'impennata.

"D'accordo, giovanotto, vediamo di farti uscire da lì". Yusaku le stringeva la mano con tanta forza che a un certo punto lei si ritrovò a gemere di dolore.

"Ti fa molto male?". Nei suoi occhi lampeggiava il terrore e per un istante si chiese se avesse colto con lo sguardo qualcosa di troppo durante una delle sue occhiate all'operazione.

"No... la mano...", mormorò.

"Oh, scusa". Allentò la stretta e girò di nuovo la testa per guardare.

"Non vorrei che sbirciassi troppo". Mentre lo diceva, si ritrovò a desiderare di guardare a sua volta.

"Stai tranquilla, non si vede molto", la rassicurò. Il pallore del suo viso però la preoccupò parecchio.

"Ora sentirà tirare, signora, e subito dopo potrà vedere suo figlio", annunciò un'infermiera. Kyoko assentì con la testa e strinse così forte la mano di Yusaku che dovette essere lui a provare dolore.

E in effetti la sentì. La netta sensazione che qualcosa le venisse strappato via dal bassoventre, senza dolore se non per la consapevolezza che Fuyushi non sarebbe più appartenuto al suo corpo; per un singolo, irrazionale attimo, desiderò che rimanesse laggiù, al riparo dal freddo del mondo, cullato dal calore del proprio corpo. Poi lo vide e fu come rinascere una seconda volta assieme alla vita che aveva dato alla luce.

Emise un gemito all'unisono con Yusaku ma i sorrisi scomparvero quasi simultaneamente dai loro volti quando un'infermiera sussurrò allarmata: "non respira". Solo allora si accorse che il bambino aveva un insano colorito bluastro, come se fosse rimasto per ore sotto la neve. Aprì la bocca per dire qualcosa e vide come al rallentatore suo marito alzarsi in piedi e fare altrettanto, senza smettere di stringerle la mano. Le lacrime l'accecarono.

"Vi prego, vi prego... fatelo respirare! Vi supplico!", pregò.

Anche Yusaku stava dicendo qualcosa ma lei non lo udì, concentrata com'era su quel corpicino esanime che veniva adagiato su una barella e cominciava a essere attorniato di infermiere, tubi e uno strano palloncino di quelli che dovevano gonfiarsi manualmente per insufflare aria nel paziente; era tutto così piccolo, a misura del neonato, che le si strinse il cuore.

Lo sapevo, dentro di me sarebbe stato più al sicuro.

Di nuovo quel pensiero irrazionale.

Dentro di te sarebbe morto.

"Per favore, fate qualcosa!". Chi aveva gridato? Lei o Yusaku?

"Fate uscire il padre, per la miseria!". Quello doveva essere sicuramente il medico.

Come in un incubo confuso e surreale, vide suo marito fare due passi verso l'uscita, sospinto da un'infermiera e poi accasciarsi di colpo a terra. Gridò il suo nome, poi quello di suo figlio, infine udì un'assistente esclamare: "qualcuno pensi alla madre!" prima di perdere i sensi per l'ennesima volta.



(1) Letteralmente: 'vai a quel paese!'
(2) Letteralmente 'Bevitore di birra'.
(3) Letteralmente 'Festaiolo incallito'.
(4) il suffisso Ju significa 'dieci'. La Takahashi utilizza i numeri nei nomi di quasi tutti i personaggi e il dieci mancava. Grazie al senpai Kuno per avermi dato la dritta!
   
 
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