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Autore: SummerRestlessness    31/03/2013    1 recensioni
È il 21 dicembre e c’è qualcosa nell’aria, ma Ellie non vuole ammettere che alla fine tutto quel parlare della fine del mondo le è un po’ entrato in testa e sotto la pelle… perché forse la fine del mondo non c’entra proprio niente e a esserle entrata in testa e sotto la pelle e a non voler più uscire è un’altra cosa… o una persona.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Autore: (SummerRain) [SummerRain su Efp]
Titolo: Apocalisse verde smeraldo
Genere: romantico, malinconico
Avvertimenti: Het
Raiting: Verde
Colore & Citazione: Verde smeraldo, “I knew you were trouble when you walked in, so shame on me now”
Introduzione: È il 21 dicembre e c’è qualcosa nell’aria, ma Ellie non vuole ammettere che alla fine tutto quel parlare della fine del mondo le è un po’ entrato in testa e sotto la pelle… perché forse la fine del mondo non c’entra proprio niente e a esserle entrata in testa e sotto la pelle e a non voler più uscire è un’altra cosa… o una persona.
Note (eventuali): Non avrei voluto scrivere una storia romantica e soprattutto non avrei voluto essere sdolcinata… spero ancora di non esserlo stata. È che ho “usato” questo contest che mi ispirava per sbloccarmi un po’, visto che non scrivevo da un po’ di tempo, quindi non garantisco troppo sul risultato e spero solo che sia leggibile.

 

 

APOCALISSE VERDE SMERALDO

I knew you were trouble when you walked in
So shame on me now

 

Cosa faresti se il mondo finisse oggi?
Le poche volte che si era sentita rivolgere quella domanda, Ellie era rimasta indifferente... Innanzitutto, pensava che fosse un'ipotesi talmente improbabile e campata in aria che non valeva nemmeno la pena rifletterci sopra. Inoltre, le sembrava davvero troppo difficile scegliere una sola cosa tra tutte quelle che avrebbe ancora voluto fare nella sua vita: d’altra parte, porsi delle priorità, scegliere qualsiasi cosa invece di qualcos’altro era sempre stato problematico per lei.

Ma era il 21 dicembre 2012 e alla radio, alla televisione e persino tra i passanti per strada non si sentiva parlare d'altro. "Cosa faresti se davvero il mondo finisse oggi?"
Si era sentita rimbombare in testa questa domanda ogni ora, ogni minuto, ogni secondo di quella giornata infinita, senza motivo apparente. Era come un mantra che non aveva scelto né desiderato avere. Cosa faresti? E ogni volta, inevitabilmente, la risposta erano due occhi verdi che le apparivano davanti quasi come fossero reali, distraendola dal lavoro, oscurandole la vista mentre guidava, tormentandola già la notte precedente mentre dormiva, quasi prendendola in giro mentre mangiava, o faceva jogging. Ed ogni volta lei scuoteva la testa forte come per scacciare quell'immagine e si diceva che era tutta colpa della maledetta festa che un paio di amici di Jake avevano organizzato per quella sera. "Apocalypse party", l'avevano chiamata, e lei era stata praticamente costretta ad accettare di andarci dall'entusiasmo eccessivo di Jake, mentre in realtà avrebbe volentieri aspettato che il mondo finisse accoccolata sul divano con lui davanti alla tv. Invece si era dovuta vestire dignitosamente (Jake aveva bocciato la tuta sdrucita che lei di solito indossava per stare comoda in casa, per non parlare del pigiama), truccare per nascondere un principio di occhiaie e infine, come se non bastasse, aveva dovuto presentarsi a quella stupida festa.

E ora erano passati solo pochi minuti, il suo drink era già finito e di Jake non si vedeva più traccia da quando Steve, il suo migliore amico nonché uno degli organizzatori, l'aveva trascinato via per fargli vedere qualcosa di "atomico" e "pazzesco" qualche secondo dopo il loro ingresso alla festa. Il locale era addobbato in modo dopotutto sobrio e divertente, perciò, pensò acida Ellie, il responsabile non poteva di certo essere Steve, che aveva arredato casa sua con quelli che sembravano mobili da Mac Donald's. Ellie cominciò a vagare con lo sguardo per la stanza: c'erano calendari vari sparsi per le pareti e su tutti era cerchiata in rosso la data fatale; su un muro spoglio un grosso orologio digitale con i numeri rossi faceva il conto alla rovescia che li separava dalla fine; qua e là erano sparsi soprammobili che evidentemente dovevano avere qualcosa a che fare con i Maya; sui tavoli c’erano bevande e cibi di ogni genere, a simbolizzare che per quella sera si era autorizzati a strafare, perché tanto non ci sarebbe svegliati la mattina dopo con sbornie colossali o un traumatico appuntamento con la bilancia. Tutto era consentito, quindi, ed Ellie notò che anche per quanto riguardava il vestiario gli invitati non si erano posti molti limiti: vedeva dappertutto camicie e camicette con troppi bottoni slacciati, pantaloni aderenti, gonne microscopiche, tacchi vertiginosi e in qualche caso un trucco decisamente pesante. Che fosse una scusa o no, prima che il mondo finisse quelle persone volevano proprio scoprire tutte le loro carte, pensò Ellie con una punta di sarcasmo. Qualcuno aveva addirittura messo un separé in un angolo di una stanza che nascondeva scatoloni pieni di vestiti bizzarri che una volta dovevano essere stati costumi di scena di qualche teatro, per permettere a chi volesse di indossare boa di piume o gilet da cowboy e così via. Ellie scivolò dietro al separé per curiosità, ma vi rimase scoprendo che in effetti le forniva un rifugio temporaneo da tutto quel frastuono di musica apocalittica e discorsi noiosi o completamente folli.
Dal suo rifugio dietro la spessa stoffa verde chiaro a roselline rosse, poteva cogliere qualche frase pronunciata dagli sconosciuti presenti alla festa e sbirciare dai lati senza dare nell’occhio. «Ho perso dieci chili con la dieta del minestrone!» squittiva una ragazza con una minigonna gialla cortissima. «Certo» rispondeva sorridendo la sua amica vestita totalmente di nero «ed è anche sano perché non mangi carne!». Ellie alzò un sopracciglio. Da un'altra parte, poco lontano, una voce maschile e chiaramente brilla cercava di sussurrare con poco successo all'orecchio di una ragazza bionda «Vuoi vedere la mia collezione di farfalle?», mentre un ragazzo con la coda di cavallo parlottava tra sé e sé fissando un punto imprecisato nel vuoto con sguardo assente. «Sentiamo...» disse poi all’improvviso qualcuno che Ellie non riusciva a vedere «Tu cosa faresti se il mondo finisse oggi?».
No!, pensò lei, era troppo! Stava per alzare i tacchi immediatamente per non sentire l'ennesima discussione sul tema o forse per sfuggire a qualcosa che la turbava, o meglio che sapeva l’avrebbe turbata, quando le apparve appunto la solita visione. Un paio di occhi verdi, sorridenti. Di un verde che Ellie non aveva mai più visto negli occhi di nessun altro, "assurdo" l'aveva definito la prima volta, perché non era tollerabile uno sguardo dal colore così strano e magnetico. Non era giusto. Mentre cercava di scuotere via la visione, però, Ellie si rese conto che stavolta era ancora più nitida del solito. E durava di più. E… non era una visione.

«...Ellie?» esclamò sorpresa la bocca che si trovava proprio sotto agli occhi verdi. Ellie ci mise ancora qualche secondo a capire. E quando finalmente si rese conto di averlo davanti a sé, lì con lei dietro a quel separé, soli, lo spazio in cui si trovavano iniziò a sembrarle angusto e soffocante.

 

Gliel’avevano detto di non cascarci, che lui portava solo guai. Con quegli occhi e quel sorriso e i capelli chiari sempre scompigliati e quel modo di fare. Gliel’avevano detto e ripetuto tutti quelli che lo conoscevano, anche solo di fama, che era meglio non dargli corda o fidarsi di lui.

 

Tuttavia, uscivano con gli stessi amici e, seppure lei cercasse di evitarlo il più possibile, si vedevano più spesso di quanto lei avrebbe voluto. E in realtà già l’aveva capito la prima volta che l’aveva visto, mentre lui spingeva la porta di un pub per poi entrare nel locale con aria noncurante e gli occhi bassi; lei, seduta al bancone con due amici, l’aveva fissato dal primo momento in cui l’aveva intravisto dalle grandi finestre del pub, che davano sulla strada trafficata. Ancora non lo conosceva, eppure ricordava bene di aver osservato ogni suo movimento sin dall’inizio, fino ad abbassare lo sguardo e arrossire quando aveva capito che lui si stava dirigendo verso di loro. E che lui era Nick, il famoso Nick Barrett. Non era stato però il colore dei suoi occhi a darle il colpo di grazia quando lui li aveva alzati per stringerle la mano e presentarsi. Quello l’aveva attratta sì alla prima occhiata, ma semplicemente per una curiosità quasi tecnica, perché non aveva mai visto niente del genere, un colore tanto intenso ed insolito. No, non era stato quello strano verde smeraldo dei suoi occhi a farle perdere la testa, ma la solitudine che vi si leggeva dentro, dietro la sfacciataggine di quello sguardo. Quella scintilla di nero, un lampo fulmineo che non era facile cogliere ma che doveva essere ancora meno facile da nascondere. E nella sua mente aveva dato ragione a tutti i pettegolezzi che aveva sentito su di lui fino a quel momento: era chiaro che non ci si potesse fidare di occhi del genere.

Finché una volta non erano andati a fare un breve viaggio con i soliti amici comuni. Avevano organizzato di andare tutti insieme a un concerto all’aperto che si teneva ogni anno in un grande parco, in una città poco lontana da dove vivevano. Così, avevano deciso di partire in macchina e assistere al concerto il giorno stesso, poi fermarsi a dormire in un hotel per smaltire la stanchezza e una probabile sbornia e tornare a casa la mattina dopo. Quel giorno, al concerto, Ellie si era divertita parecchio: aveva ballato, bevuto, ascoltato buona musica e in più era anche in compagnia di Lindsay, una delle sue migliori amiche, con cui avrebbe condiviso anche la stanza in hotel, e di altri ragazzi con cui si sentiva tutto sommato a proprio agio, cosa che in effetti le accadeva di rado. Certo, c’era anche Nick, la vicinanza del quale la turbava sempre un po’, ma per la maggior parte del tempo questo era stato occupato con una certa Sadie. A quanto si diceva i due erano già piuttosto intimi e in effetti non si erano staccati un attimo durante tutta la giornata. Non che Ellie avesse controllato. Era tornata in hotel con gli altri stanca e ancora un po’ brilla e si era messa nel letto matrimoniale che lei e Lindsay avrebbero condiviso per quella notte senza nemmeno togliersi i vestiti o il trucco. Si era addormentata subito come un sasso, solo per svegliarsi poche ore dopo in preda a una sete tremenda, come le accadeva spesso dopo aver bevuto un po’ troppo. Era scesa dal letto barcollando senza capire molto per via di un inizio di emicrania e al tempo stesso cercando di fare meno rumore possibile e, senza pensarci, era uscita dalla camera in cerca di qualcosa da bere, di un bar o di un distributore automatico. Appena la porta della camera si era richiusa dietro di lei aveva capito di aver commesso un errore. Non solo perché non aveva senso cercare qualcosa da bere in un corridoio o in una hall deserti, ma perché non aveva portato con sé le chiavi della stanza. Si era chiusa fuori. Si lasciò andare contro la parete e scivolò verso il pavimento, dando nel frattempo piccole testate al muro. Poteva provare a bussare, ma avrebbe svegliato tutti, tranne Lindsay, che non si svegliava nemmeno con le cannonate. Rimase in quella posizione per qualche minuto, con le mani tra i capelli, finché non sentì dei passi leggeri lungo il corridoio e, ancora prima che potesse alzarsi, un paio di piedi avvolti in calze grigie da uomo erano comparsi al suo fianco.

«Ehi» fece una voce fin troppo profonda e familiare «cosa ci fai qui fuori?»

«Uhm» rispose lei alzando lo sguardo mentre pensava al suo mascara sbavato che probabilmente la stava facendo assomigliare a un panda e alla voce assonnata di lui «Ehm, niente, io… e tu?»

Lui sorrise come se la trovasse buffa «Non riuscivo a dormire…» sospirò e riprese a sorridere «Ti sei chiusa fuori, eh?»

«Diciamo che… sì, si può dire così… Ok, sì, è così.»

«E hai intenzione di dormire qui fuori?»

«La moquette non è così scomoda…»

«Dai, vieni dentro»

Ellie spalancò gli occhi. Venire…? Cosa…?

«Non puoi stare qui fuori al freddo…» continuò lui osservando la sua canottiera blu e gli short di jeans strappati che Ellie indossava dal pomeriggio.

Eppure, dal suo sorriso non si sarebbe mai detto che fosse così… sbagliato, si ritrovò a pensare lei; la sua reputazione però era quella che era. Si diceva che non gli importasse molto di dormire con una ragazza una sera e con la sua migliore amica quella dopo. O con entrambe contemporaneamente. E poi di scaricarle come se niente fosse, come se fossero spazzatura. Non che Ellie si scandalizzasse: non era un comportamento così inusuale e quel modo di vedere le ragazze come damigelle che aspettavano che il principe azzurro difendesse il loro onore non le apparteneva. Tuttavia, un comportamento del genere non era di certo meritevole di attenzione, a meno che non si volesse esattamente quello che voleva lui. In più di lui si diceva che fosse presuntuoso e misogino, che non si fermasse davanti a nulla o quasi. D’altra parte con lei era sempre stato amichevole e niente di più, a parte forse qualche occhiata strana la prima sera. La sua mente era un turbinio di “ma” e “però” che si scontravano e annullavano tra loro, complice il mal di testa.Quello che era certo era che lei continuava a sentire quella specie di elettricità nell’aria tra di loro quando lui la guardava.

«No, ma…» rispose finalmente «tu non sei in camera con…?» non finì la frase per qualche motivo, anche se sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. Come se quel nome le facesse male.

«Sadie?» precisò lui alzando un sopracciglio «Oh, no. È rimasta fuori con un tipo che ha conosciuto» continuò distogliendo brevemente lo sguardo. «Andiamo» disse poco dopo deciso, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi.

Lei non seppe più cosa fare e accettò suo malgrado: si mise in piedi in qualche modo e lo seguì barcollando fino alla sua stanza. Appena la porta si aprì tirò un sospiro di sollievo.

«Ah, io posso stare sul divano» disse sorridendo timidamente nella sua direzione.

«Dai, per favore» replicò lui «Sul divano ci sto io» e senza aspettare una risposta si sdraiò sul piccolo sofà grigio che stava proprio di fronte al letto matrimoniale, le mani dietro la testa a indicare quanto fosse comodo e rilassante… e i piedi fuori dal bordo. A Ellie venne un poco da ridere. Lui le fece l’occhiolino sorridendo: «Ti preoccupi troppo, Ellie».

Cavolo, bello era bello… Lei riuscì appena a mormorare un «grazie» prima di infilarsi nel letto e spegnere la luce, per non mostrargli di essere arrossita. Pensava di essere troppo agitata per poter dormire, ma non appena appoggiò la testa sul cuscino il calore delle coperte la sopraffece e si appisolò quasi subito. Se non altro prima di poter rimuginare all’infinito su quel poco che era successo con Nick, come probabilmente avrebbe fatto se fosse rimasta sveglia.

 

Dormiva ancora profondamente quando il telefono dell’hotel iniziò a suonare. La sveglia automatica che evidentemente Nick aveva richiesto per quella mattina la avvisò che erano le nove. Ellie si stiracchiò e nella confusione di quel brusco risveglio si accorse di essere sola nella stanza. Nick se n’era andato, anche se i suoi vestiti erano ancora sparsi per la stanza. Ellie lasciò cadere pesantemente la testa sul cuscino e qualcosa che svolazzò brevemente lì vicino attirò la sua attenzione. Si tirò su e osservò da vicino: era un capello di un castano chiaro, quasi biondo. Corto. Lei aveva i capelli lunghi e di un castano molto scuro, perciò non poteva essere suo, quindi… Nick. Il pensiero di lui in quel letto con lei la colpì come uno schiaffo in faccia, ma subito dopo si diede della stupida, non solo per essere stata così infantile, ma anche perché la risposta a quel dilemma era molto più semplice e innocua: Nick aveva dormito in quel letto prima di lei, era completamente normale che ci fosse un suo capello sul cuscino. Quasi senza pensarci appoggiò una mano sul lato del letto opposto a quello in cui aveva dormito, ma la ritirò subito come se si fosse scottata. Toccò di nuovo con circospezione sotto le coperte. Era caldo. Non caldo per via delle coperte, caldo come se qualcuno ci avesse dormito fino a pochi minuti prima.

 

Proprio in quel momento, ancora presa dai suoi pensieri, Ellie sentì la porta della stanza aprirsi e si tirò su a sedere nel letto di scatto.

«Ehi» fece Nick entrando nella stanza con un sorriso e i capelli ancora arruffati «sono sceso a prendere un caffè, non volevo svegliarti. A proposito, dormito bene?»

Ellie pensò di essersi immaginata il lampo malizioso che gli vide negli occhi per un secondo: «Sì, grazie, tu?»

Lui fece una smorfia: «Insomma» ancora quel lampo «Qualcuno qui si agitava nel sonno» aggiunse sempre sorridendo. No, non se l’era immaginato. Quello era proprio un sorriso malizioso, ma non appena lui si accorse che lei forse stava realizzando qualcosa, abbassò gli occhi e si voltò dall’altro lato, mettendosi a riordinare i suoi vestiti.

Ellie era ancora persa nei suoi pensieri: aveva avuto un specie di visione all’improvviso e si era ricordata di un sogno che aveva fatto quella notte. Era stato un incubo, uno di quelli ricorrenti che faceva spesso: era distesa su qualcosa di freddo e duro, come ghiaccio, e non riusciva ad aprire gli occhi, né a muoversi, né a parlare. Era come se stesse dormendo ma non riuscisse a svegliarsi. Come sempre in quel sogno, sentiva freddo ed era terrorizzata, perché non sapeva cosa stava succedendo e non poteva fare niente per scoprirlo, o per scappare. Di solito, però, non succedeva niente, finché Ellie non si svegliava, tremante e impaurita. Questa volta però era stato diverso: Ellie ricordava perfettamente la solita sensazione di freddo e paura, ma poi era successo qualcos’altro. Nel sogno, su di lei era calata una coperta leggera ma calda che l’aveva riscaldata all’istante. Era proprio come… un abbraccio; era la sensazione di qualcosa di saldo e pesante, come per tenerla ferma, ma al tempo stesso per tranquillizzarla. Ricordava di essersi calmata un po’ ma non del tutto. Fu allora che ebbe un lampo e quasi vide quello che era successo dopo. Si ricordava di aver sentito un sussurro, una voce roca e familiare che le diceva: «Tranquilla, El». Nel sogno aveva ancora gli occhi chiusi, perciò non aveva potuto vedere chi fosse stato a parlare; in più nessuno aveva l’abitudine di chiamarla con quel soprannome. Subito dopo, le era sembrato che un paio di labbra calde lentamente si appoggiassero sulle sue, sorprendendola così tanto che aveva smesso di tremare e di tentare di muoversi. Si era finalmente rilassata e il suo incubo era finito così, trasformandosi in un altro sogno più pacifico. La sensazione di calore e tranquillità però non se n’era più andata fino al suo risveglio, o almeno così le sembrava.

Nick si girò verso di lei e le sorrise: «Non ti prepari per andare?»

Finalmente Ellie venne riportata alla realtà ed ebbe un moto di panico «Le mie cose sono nella mia stanza!».

Lui rise piano, di nuovo come se la trovasse buffa, ma stavolta con quella che a lei sembrò una briciola di tenerezza nello sguardo: «Possiamo andare a vedere se Lindsay si è già svegliata, che problema c’è?». Poi, vedendo che per qualche motivo lei non si era ancora calmata, aggiunse piano con un sorriso dolce: «Tranquilla, El».

 

Era da allora che ci pensava. Quella frase le era sembrata una conferma che qualcosa era successo davvero quella notte, che non era stato solo un sogno; ma come poteva esserne sicura? Quel giorno, non aveva più detto una parola neanche agli altri durante tutto il tragitto verso casa. Nick non aveva detto niente in proposito e lei non aveva avuto il coraggio di chiedere, per paura di essersi immaginata tutto. Forse per caso, da allora non si erano più rivisti. Ellie aveva iniziato a frequentare Jake pochi giorni dopo e aveva iniziato a uscire con gli amici di lui e a frequentare meno quelli con cui era uscita fino a quel momento. Non per colpa di Nick, ovviamente; semplicemente era successo. E si era detta che era stato meglio così, allontanarsi subito prima di bruciarsi, non era così che dicevano?

Evidentemente però la sua mente non la pensava così. La fine del mondo era solo una scusa, un modo che il suo subconscio aveva di vendicarsi di lei per aver respinto quel pensiero troppo a lungo; ma purtroppo ora questo era lì, materializzato davanti a lei, ed era ora di ammettere quello che aveva cercato di nascondere anche a se stessa.

Se il mondo fosse finito quella sera, avrebbe voluto passarlo con Nick.

Per scoprire cosa ci fosse dietro a quegli occhi verde smeraldo, per inseguire quel lampo nero e vedere dove portava. Per perdersi e non ritornare più.

Aprì la bocca per dire qualcosa, rendendosi conto di essere stata in silenzio a lungo, persa nei suoi pensieri, da quando Nick aveva pronunciato il suo nome, ma una voce che proveniva da dietro il separé la precedette. Sadie, in un vestito aderentissimo color oro, si affacciò da un lato del camerino improvvisato e puntò lo sguardo sorridente su Nick: «Tesoro, Cassie ti cercava, vuole parlarti di una cosa…»

«Arrivo, Sad» la interruppe lui «Stavo salutando un’amica» proseguì indicando Ellie. Sadie volse lo sguardo su di lei: «Oh, ci sei anche tu!» sorrise «È da parecchio che non ci vediamo, vero?»

«Dal concerto» risposero all’unisono Ellie e Nick. Lei lo guardò stupita. Per qualche motivo, non riusciva a credere che lui si ricordasse dell’ultima volta che si erano visti. Sadie buttò lì un «piacere di averti rivista» e scomparve di nuovo, lanciando un’occhiata a Nick per dirgli di sbrigarsi a seguirla.

 

Gliel’avevano detto tutti di non cascarci, le avevano ripetuto che non c’era da fidarsi, che da un tipo come lui era meglio stare alla larga… e lei l’aveva fatto. Aveva obbedito, seppur a malincuore, perché, a quelle voci di amici e conoscenti, si era aggiunta anche quella della sua coscienza che le diceva le stesse cose: non fidarti, finirà male. E lei seguiva sempre il suo istinto. Non aveva ceduto. Non l’aveva più visto, forse aveva cercato di evitarlo intenzionalmente , si era messa con Jake e aveva semplicemente smesso di pensarci. Credeva così di aver dimenticato quello che forse non era neppure mai successo, credeva di avere scampato il pericolo di cui tutti l’avevano avvertita, perché in fondo probabilmente non era successo nulla tra di loro.

Credeva di aver scampato il pericolo più grande: lui.

Il problema era che né lei né tutti gli altri ne avevano considerato un altro, ben più grande. Quello di non sapersi dimenticare di lui.

   
 
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