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Autore: Cialy    20/10/2007    16 recensioni
Ha paura della gente come Potter, ma, tutto sommato, non ha paura di Potter. E, a conti fatti, l’idea di non averlo più tra i piedi un po’ lo sconvolge.
SPOILER dei primi capitoli del settimo libro!
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Famiglia Dursley, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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ATTENZIONE! SPOILER DEI PRIMI CAPITOLI di Harry Potter & The Deathly Hallows.

 

 

Disclaimer: I personaggi della storia non mi appartengono. Sono di proprietà di J.K.Rowling, per tanto completamente frutto di fantasia, e vengono da me utilizzati non a scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.

 

Note: Per Bittersugar. Mi ha chiesto di scriverla e l’ho fatto; non sono una bravissima ragazza? :D

Ambientata all’inizio del settimo libro, a luglio, entro il terzo capitolo.

La frase finale è liberamente tradotta dal capitolo terzo del libro e il titolo proviene da un verso di Sleeping With Ghosts dei Placebo leggermente modificato ('But we can't read between the line').

Potete vederla come pre-slash, se non vi disturba.



 

 

 

Read Between The Lines

 

 

 

La prima settimana di luglio, Dudley vede Harry solo quando i Dursley vanno a prenderlo a King’s Cross.

Giunti a casa, infatti, il cugino passa gran parte del tempo chiuso nella propria camera; eviterebbe anche di mangiare, sembrerebbe, se Vernon non bussasse periodicamente alla porta per trascinarlo a cena. Nonostante tutto, non vuole rischiare di ritrovarsi un nipote quasi diciassettenne morto di fame. E poi, anche se quell’avanzo di galera del padrino di Potter è morto, non è detto che qualche altro delinquente della sua specie non sia disposto comunque a fargliela pagare.

 

Dudley, così, lo vede raramente, in quella prima settimana.

A cena, per giunta, Harry sembra più silenzioso e meno ribelle del solito – obbedisce senza recriminare agli ordini di Petunia, non risponde alle battutacce di Vernon.

Dudley lo osserva senza dire nulla, nemmeno osa spintonarlo quando salgono le scale per dirigersi ognuno nella propria camera. Camminano fianco a fianco e non parlano; è come se una cappa scura circondasse il cugino e persino lui è abbastanza intelligente da capire quando si rischia di esagerare. E poi, Potter, ha sempre la cosa con la M dalla sua parte.

Dudley ancora non si fida tantissimo.

 

*

 

La seconda settimana di luglio, le cose non migliorano poi molto. Harry scende a cena di propria spontanea volontà, è vero, ma vederlo in giro per casa sembra un evento eccezionale.

«Finalmente ha capito che non lo vogliamo fra i piedi,» borbotta Vernon, accomodandosi sulla poltrona del salotto.

Dudley mugugna qualcosa che dovrebbe sembrare un assenso, ma poi si defila immediatamente scartando Petunia e le sue dimostrazioni di affetto.

Quando giunge sul pianerottolo del primo piano, osserva per un attimo la porta chiusa della stanza di Harry e viene colto dallo strano impulso di bussare. Non sa per quale motivo, non sa nemmeno cosa potrebbe dirgli, una volta trovatosi faccia a faccia con lui. Eppure l’impulso c’è.

Ma non ci mette nulla a scacciarlo, sbattendosi la porta della propria stanza alle spalle.

 

*

 

«Arriveranno delle persone, tra poco,» dice Harry, all’inizio della terza settimana di luglio.

«Persone come te?» replica Vernon, con il solito tono disgustato.

Dudley stringe le dita intorno al gioco elettronico che ha tra le mani e tende le orecchie. Ha le sue buone ragioni per temere la gente come Potter.

«Sì. Vi spiegheranno delle cose, perché… perché dovrò andar via, tra poco,» continua il ragazzo, aggiungendo, prima che l’uomo possa parlare, «Ma dovrete ascoltarli attentamente, chiaro?»

Il viso di Vernon diventa paonazzo. «Ascolterò quella gente solo se si comporterà in modo civile, in casa mia!»

Harry alza brevemente le spalle in cenno di assenso e si dirige verso le scale, uscendo dal salotto.

Dudley guarda suo padre tremare leggermente e borbottare l’ennesima sfilza di improperi. Mette da parte il videogioco. «Ha detto che tra poco se ne andrà…» mormora, assorto.

Vernon si volta spalancando gli occhi. «E sarebbe ora che se ne andasse!» sbraita.

Dudley deglutisce e riprende in mano la consolle.

 

Ha paura della gente come Potter, ma, tutto sommato, non ha paura di Potter.

E, a conti fatti, l’idea di non averlo più tra i piedi un po’ lo sconvolge.

 

*

 

Vernon e Petunia non hanno voluto che Dudley ascoltasse quello che quei due signori-- quella gente come Potter aveva da dire. Sua madre gli ha accarezzato la testa e gli ha detto di andare in camera che, entro breve, lo avrebbe chiamato per la merenda.

Lo tratta ancora come un bambino, sua madre, ma Dudley non lo è più. Non è più un bambino da quando quel-- quel Dissennatore ha tentato di succhiargli via l’anima. Perché, quando si è bambini, si crede di poter essere sempre innocenti, sempre felici e che la vita sarà sempre facile, con la mamma accanto ad esaudire tutti i più futili desideri. Ma Dudley ha creduto di non poter essere mai più felice, in quel vicolo, e si è sentito succhiare le più belle sensazioni dal petto come se non avesse dovuto riaverle mai più.

Ed è stato quando ha perso quell’innocenza, seppur per pochi minuti, che Dudley ha smesso di essere Diddino-piccino. E, se lo ricorda bene, avrebbe perso molto di più se non fosse stato per Harry.

 

*

 

Vernon ha annunciato alla famiglia – e ad Harry – che nel pomeriggio partiranno con quella gente strana. Dudley non ci sta capendo molto, ma ha ascoltato stralci di conversazione – mettersi al sicuro, avrete salva la vita, tornerete a casa appena sarà possibile – e queste poche cose gli bastano per fidarsi. È gente strana, certo, magari sono dei pazzi, ma magari sono più strani e pazzi quelli contro cui stanno lottando.

Vernon, però, non sembra ancora convinto. Cammina avanti e indietro per il salotto e parla fitto con Petunia.

«Se li seguiamo, staremo al sicuro,» Dudley sente dire a sua madre, passando nel corridoio per raggiungere le scale con una tazza piena di tè fumante fra le mani.

E, quando giunge sul pianerottolo, sente di nuovo l’impulso di bussare alla porta del cugino, ancora una volta senza sapere esattamente cosa dirgli.

Gli risulta difficile, adesso, trattare Harry con la medesima freddezza di un tempo, schernirlo, ferirlo. Li sta aiutando, in fondo, si sta preoccupando per loro.

Dudley stringe assorto le dita grassocce attorno al piattino e la tazza traballa, rischiando di versare il liquido. Mentre la riassesta scottandosi le dita sulla ceramica calda, un’idea sciocca gli si affaccia alla mente; la scaccia subito – perché bussare a quella dannata porta porgendo a Harry una tazza di tè fa davvero troppo ragazzina e Dudley non si è certo rammollito fino a questo punto.

Però una sorta di tregua ci vuole. Un ringraziamento, in fondo, glielo deve.

Così, semplicemente, appoggia il piattino con la tazza sul pavimento, esattamente davanti alla porta, con un sorriso rassegnato sul volto. Perché, per Dudley, è sempre stato più facile agire che parlare. E spera vivamente che quel gesto venga interpretato come il grazie che non riesce a pronunciare.

 

 

 

 

Io non penso che tu sia uno spreco di spazio, Harry.

 

 

  
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