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Autore: Cleo    21/10/2007    4 recensioni
Sua madre li chiamava “momenti di debolezza” e le diceva sempre che bastava non pensarci.
Sara non ci pensava quasi mai (cercava di non farlo), ma nonostante questo ogni tanto tornavano e il respiro le si mozzava in gola, mentre il nero nei suoi occhi lottava per sfocare ogni cosa (tornavano ogni sera, per fare da contorno ai suoi incubi).
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“In Termodinamica l'entropia è una funzione di stato che si introduce insieme al secondo principio della termodinamica […] In base a questa definizione si può dire […] che quando un sistema passa da uno stato ordinato ad uno disordinato la sua entropia aumenta. “
Da Wikipedia
 
 



C’era stata quella volta, a scuola, quando si era chiusa nello sgabuzzino del bidello e aveva dovuto appoggiarsi contro al muro sudicio per evitare di cadere.
E poi era successo di nuovo, in camera sua, mentre era tranquillamente sdraiata sul letto intenta a leggere una rivista.
Sua madre li chiamava “momenti di debolezza” e le diceva sempre che bastava non pensarci.
Sara non ci pensava quasi mai (cercava di non farlo), ma nonostante questo ogni tanto tornavano e il respiro le si mozzava in gola, mentre il nero nei suoi occhi lottava per sfocare ogni cosa (tornavano ogni sera, per fare da contorno ai suoi incubi).
 
Sara pensava che la sua vita andasse nei migliori modi possibili. Mamma era felice davvero di stare a casa (anche se “le pillole per la notte”, come le chiamava lei, erano sempre sul comodino) e Papà aveva un buon lavoro (quella sera tutti avevano notato la macchia di rossetto sulla camicia). Suo fratello Marco non era quasi mai in casa e spesso il sabato sera rientrava con gli occhi rossi e lo sguardo spento e lei non capiva, ma Mamma le diceva che bastava non pensarci e Sara non ci pensava quasi mai (cercava di non farlo).
Prima di dormire, Mamma le ripeteva sempre quanto fortunata lei fosse. Avevano i soldi, una bella casa, una macchina nuova, lei e suo fratello potevano frequentare le scuole più prestigiose. Mamma le ripeteva sempre quanto fosse una Bambina Fortunata e Sara ci credeva. Se lo ripeteva spesso, soprattutto quando usciva con le sue compagne di scuola (amiche, Sara, amiche) e andavano a fare shopping nei negozi più costosi della città, chiaccherando di ragazzi (me lo sono fatto una volta, ma adesso è storia passata) e scambiandosi confidenze e Tampax.
 
Sara era una ragazza ordinata e tutti gli oggetti nella sua stanza erano accuratamente sistemati secondo ordine di altezza o di spessore. Spesso quando vedeva qualcosa fuori posto sentiva il respiro farsi più pesante e le lacrime pungere dietro ai suoi occhi, prologo del nero che li avrebbe invasi, ma bastava solo allungare di un po’ la mano (Mr. Tappo non era mai sistemato bene sulla mensola) e riusciva a respirare di nuovo.
A volte Sara si domandava come sarebbe stato sparire, inghiottita da quel letto enorme colorato di rosa che Mamma aveva amorevolmente scelto per lei (è così femminile!). Quando si accorgeva di pensare queste cose Sara si riscuoteva e si rimproverava mentalmente, perché lei era una Bambina Fortunata e ogni Bambina Fortunata deve essere grata per ciò che ha, anche se Papà siede davanti alla tv immobile come un robot spento e Mamma piange tutte le sere. 
 
Sara cercava sempre di non pensarci (ci pensava sempre più spesso), ma ormai aveva quasi esaurito i pensieri di scorta e a volte era inevitabile (era una liberazione) che la sua mente andasse alla deriva e la portasse nei suoi meandri più oscuri, e quando succedeva non poteva far altro che raggomitolarsi sul suo grande letto rosa e cercare nelle mani fredde un calore che non trovava mai, sperando che sotto di sé si aprisse un buco che la inghiottisse ed esaudisse finalmente quel desiderio così potente (così spaventoso).
Anche se fuori era caldo, Sara sentiva tanto freddo da tremare. La Mamma la guardava dalla soglia bevendo il suo caffè americano e le diceva che doveva coprirsi di più alla mattina, per andare a scuola.
 
Sara continuava a negarlo (ma in fondo sapeva qual era la verità), ma i suoi “momenti di debolezza” si facevano sempre più frequenti (tornavano tutte le sere e lei sentiva il nero anche dentro l’anima) e sentiva di aver perso il controllo. Marco le aveva detto di andare a farsi curare, mentre Mamma sorseggiava il suo liquore al malto (il caffè americano non bastava più), continuando a ripetere che bastava non pensarci, e Papà siedeva immobile sul divano, guardandola con uno sguardo così strano (pieno d’odio) che al solo pensiero Sara iniziava di nuovo a tremare.
Ma ormai non era più come diceva Mamma. Ci pensava e ci pensava ancora (anche se non voleva pensarci) e il letto si faceva sempre più grande e il rosa diventava nero, inghiottendo la sua vita di Bambina Fortunata.
 
La Mamma diceva sempre che bastava non pensarci, ma poi c’era stata quella volta al centro commerciale e Sara aveva tremato così violentemente che avevano dovuto chiamare l’ospedale. In quella camera bianca, piccola e mal arredata, aveva avvertito il letto diventare ancora più grande e le era sembrato di affogare (ma non c’era nessuno per salvarla) e quando il dottore era entrato si era tappata le orecchie per non sentire il suo male.
E quando Mamma aveva pianto e Papà l’aveva abbracciata senza alcuna luce negli occhi, Sara si era ricordata di una parola che aveva sentito durante una lezione di Scienze di tanto tempo prima. Allora lei stava ancora bene (il nero non le faceva paura e il respiro non la tradiva mai) e non ci aveva ancora mai pensato, ma quella parola le aveva ugualmente messo uno strano senso d’angoscia addosso.
Entropia.  
  
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