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Autore: Stateira    21/10/2007    16 recensioni
- Sai Roy, c'è una cosa a cui stavo pensando. -
Ci sono desideri che ti mangiano l'anima. Cose che sarebbe meglio tener chiuse nella fantasia. Sono proprio queste le cose per cui vale la pena lottare.
- Tu ci credi così tanto. Così tanto, vero Edward? -
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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PREMESSA

PREMESSA

 

Questa breve fic in tre capitoli tratta di male pregnacy, ovvero di gravidanza maschile. Per quanto ciò non sia fisiologicamente possibile nella realtà (mi sento abbastanza cretina a dirlo), ho cercato di trattare l’argomento nel modo più verosimile e serio possibile, e mi auguro di tutto cuore di esserci riuscita, ma questo sarete voi a giudicarlo.

 

Va da sé quindi che il contenuto della storia è piuttosto delicato, e potrebbe risultare sgradito a qualcuno. Ho scelto il rating arancione perché non ci sarà nessuna scena esplicita di nessun genere, ma se pensate che un rating rosso sia più adeguato, non fatevi scrupoli a dirmelo.

 

Meglio abbondare che deficientare, come diceva quella saggia donna della mia prof di latino.

 

Ah, come di consueto, niente spoiler, nada de nada.

 

Un sentitissimo, enorme ringraziamento ad Elyxyz, per essersi prestata a betare la storia e a darmi qualche prezioso consiglio. E per essere un tesoro di donna, soprattutto.

 

I owe you one.

 

Enjoy!

 

Stateira

 

 

 

1_ Collapse

 

 

 

- Roy. –

 

Roy Mustang fece un sorriso sghembo e intenerito, quando una mano gli solleticò furtivamente il fianco sinistro nel bel mezzo della notte. La afferrò con le dita intorpidite dal calore e dal sonno, prendendosi un po’ di tempo per coccolarla e per esplorare pigramente la forma affusolata di quelle dita.

 

- Sono sveglio, Ed. –

 

Rumori lievi, fruscii sommessi e confusi di coperte, il cigolare stridulo del materasso, e alla fine, una testa bionda che emerge dal tutto, con due occhi color oro che guardano Roy seri seri.

 

- Sai Roy, c’è una cosa a cui stavo pensando. –

 

Edward Elric aveva ventuno anni. Il bel viso di sempre, i capelli lunghi di sempre, e una vecchia maglietta sformata color blu sbiadito come pigiama. Era di Roy, quella maglietta, tra l’altro. Gli arrivava quasi alle ginocchia. Roy vestiva spesso di blu, anche fuori dall’uniforme. Era un colore che gli donava moltissimo.

 

- E’ una cosa importante? –

- Sì. Sì, abbastanza. –

- E allora come mai ti è venuta voglia di parlarmene proprio alle due del mattino? –

- Ecco… - Ed non badò allo sbadiglio divertito con cui Roy aveva sottolineato la sua osservazione. Non lo stava nemmeno guardando negli occhi. – Perché penso che ti arrabbierai. –

 

Roy Mustang aveva trentaquattro anni, e un gran sonno. Però Edward aveva bisogno di sentirsi dire che no, non si sarebbe arrabbiato con lui, qualunque cosa fosse la misteriosa idea che gli frullava per la testa, e lo preoccupava tanto da avergli cancellato persino il suo solito broncio.

 

- Ti ascolto. – sussurrò affondando teneramente le labbra proprio dietro l’orecchio destro di Edward.

 

- Sì. Beh ecco, io stavo pensando che… - Edward deglutì rumorosamente e scattò alla ricerca delle dita di Roy, quanto di più simile per lui ad un appiglio per non annaspare nel mare di cose che stava per dire. – L’alchimia. – sputò.

 

Nonostante tutto il tempo passato insieme – quattro anni, ormai, mio dio, quattro interi anni – Ed non era cambiato quasi per niente. Faceva sempre una fatica del diavolo a parlare di ciò che provava, e più intensa era l’emozione che si teneva dentro, più tempo impiegava ad esprimerla, e alla fine, più goffo era il risultato. Roy ricordava molto bene la prima volta, ed una delle pochissime, che Edward gli aveva detto di amarlo. Aveva tergiversato per ore, rintronandolo con i suoi “ehm, ecco, dunque”, e alla fine aveva strizzato forte gli occhi, e gliel’aveva detto con una vocina piccola piccola, nemmeno avesse dovuto confessare un qualche tremendo crimine.

Edward si faceva adorare per cose come queste, che davano a Roy la possibilità di sentirsi adulto.

 

- Mi chiedevo se potessimo usarla per… per noi. –

- Per noi? –

 

Dal punto in cui era nascosto, Ed riuscì a sentire la fronte di Roy che si aggrottava, e le sopracciglia che si inarcavano. – Perché, a cosa dovrebbe servirci? –

- All’unica cosa che non siamo in grado di fare da soli, Roy. –

- L’unica cosa che…? – Roy Mustang si sollevò di scatto sulle braccia, dimenticandosi di tutto, dell’ora, del sonno, degli anni. – Ed, ma di cosa…? –

 

Edward cercò di accumulare e condensare tutto il suo orgoglio nello sguardo con cui affrontò il suo compagno nella semioscurità quieta e tesa della loro camera da letto. Doveva giocarsi la sua carta ora, lo sapeva bene, o non avrebbe mai più trovato il coraggio di farlo.

 

- Un bambino. – pronunciò, rompendo ogni decenza con voce suo malgrado delicata, esitante e ben scandita allo stesso tempo.

 

Il tabù dei tabù andò in frantumi fracassandosi sul pavimento della bella camera da letto della casa di Roy, dove lui e Ed vivevano insieme da un paio di anni, e schizzando schegge acuminate in ogni direzione, investendo in pieno Roy che, incredulo, le ascoltava conficcarsi e scricchiolare dentro il suo petto.

Non servì molto altro per capire che qualcosa, fra loro due, aveva cominciato a sanguinare.

 

- Un bambino. – ripeté Roy, scavando qua e là nella federa del cuscino per cercare di estrarne fuori un qualche significato inafferrabile che lo salvasse e gli spiegasse. – Edward, io non credo che… -

 

- Aspetta, ti prego. Possiamo almeno parlarne? –

 

Parlare? Oh, parlare non portava mai a niente di buono. Roy si ritrovava sempre in balia di Ed e della sua voglia di fare, finendo con l’assecondarlo a prescindere. Era sempre stato così, fra di loro, anche quando non stavano insieme, quando non si era ancora innamorato di lui, se poi c’era mai davvero stato un tempo in cui lui non lo aveva amato.

 

- Roy, senti, se solo noi provassimo. –

 

Roy trasalì e stirò le braccia per ricacciare indietro un brivido freddo che minacciava di rigargli la schiena.

Stava dicendo sul serio. Edward, il suo Edward aveva sempre avuto la testa piena di sogni. Le ricerche per recuperare i vecchi corpi, suo e di suo fratello, a cui lui non aveva mai rinunciato in quegli anni, e la volontà ferrea di sostenerlo nella sua lenta conquista del potere, erano tutte cose che lo animavano di energie inesauribili, dando l’impressione che uno come lui non si sarebbe mai potuto spegnere.

 

- E’ nostro diritto, non credi? Abbiamo il diritto di volere una cosa del genere, e non faremmo del male a nessuno. -

 

Edward voleva soltanto sentirsi dire da Roy che ciò che desiderava non era cattivo, che non era sbagliato, che non era criminale. Glielo si leggeva negli occhi, che aveva bisogno innanzitutto di trovare la pace con sé stesso. Non c’era da stupirsi; sogni del genere corrodono dentro, fino ad arrivare all’anima e ridurla in brandelli. Aveva sempre avuto un rapporto morboso con le cose impossibili, fin da quando aveva cercato di derubare la morte da piccolo, finendo quasi per esserne preda. Ma Edward non era uno che imparava dal passato.

 

- Hai quasi trentacinque anni, Roy, e io vorrei soltanto che… -

 

Che poi non fosse troppo tardi.

Non lo era, dannazione, certo che no, ma si sa come vanno queste cose, il tempo comincia a scorrere, e gli impegni si accumulano, i gradi sull’uniforme aumentano, e con essi il rischio di fare passi falsi; e allora ci si comincia a ripetere che si può aspettare ancora un altro po’, per aspettare un momento migliore, ma intanto i giorni passano, e passano, e passano.

 

Roy sentì il suo stomaco contorcersi e minacciare di andare a fuoco.

 

Un figlio, già, e chi non lo desidera, quando la tua vita sembra aver preso la piega regolare e tranquilla della quotidianità condivisa con la persona che ami? Se Roy non ci aveva mai pensato era soltanto perché aveva sempre, professionalmente dato per scontato che fosse semplicemente qualcosa di irrealizzabile. Lui e Edward si erano guadagnati la loro pace lottando, e, maledizione, non era sempre stato lui a dire che per questo si sarebbero meritati ogni gioia? Non era proprio lui, l’uomo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendere Edward felice? Dio, glielo aveva giurato, gli aveva fatto una promessa vera, una promessa di quelle serie, con gli amici come unici, silenziosi, inutili, commossi testimoni, soltanto pochi anni prima.

 

- Io lo vorrei tanto. Tanto da morire. –

 

Usare le armi di Dio per diventare Dio per un momento. Roy avrebbe corrucciato severamente la fronte e avrebbe pronunciato un no senza appelli, secco e definitivo, se non si fosse trattato di Edward, del suo Edward.

 

- Ho imparato dai miei errori, Roy, non sono più il bambino avventato di una volta. Faremo delle ricerche approfondite, studieremo ogni particolare, non ci lasceremo sfuggire nulla, faremo in modo che ogni cosa vada per il meglio. –

 

Miseria, la forza del desiderio di un bambino che vuole un bambino. E la nebulosa immagine di quel sogno che si avvera, così vicino, così a portata di mano. Così possibile.

 

L’alchimia ha un potere davvero tremendo, Roy se ne rendeva conto soltanto in momenti come questi. Ti seduce con promesse da puttana che poi non mantiene mai, come una sirena vigliacca, nascosta fra gli speroni aguzzi degli scogli, e più male faceva vedere Edward correre incontro a quella chimera, più lui si interrogava su quale fosse il prezzo effettivo, se fosse poi un costo così elevato, e senza nemmeno accorgersene si lasciava sedurre dalla stessa melodia assassina.

 

- Ed, non lo so. È rischioso. –

- Sì, però ti prego, ti supplico Roy, lasciami provare. –

 

Roy si strofinò gravemente la mano sugli occhi. – Dio, è così difficile. –

- Offrirò il mio corpo come incubatrice, penserò a tutto io, te lo giuro Roy, tu non dovrai fare altro che stare a guardare, non ti sarò di peso in alcun modo, vedrai, andrà tutto a meraviglia, riuscirò a… –

 

Roy premette le labbra del compagno con le sue dita, fermando la frana di parole concitate che sgorgavano inarrestabili dalla sua bocca. Lo squadrava seriamente, profondamente, sondando fra i suoi pensieri confusi ed illusi, alla ricerca di una paura a cui appigliarsi per smontare la sua fantasia. Un’esitazione che molto probabilmente non esisteva.

 

- Tu ci credi così tanto. Così tanto, vero Edward? –

 

Gli occhi di Ed si riempirono di lacrime, facendosi ancora più grandi nella penombra. Si sentiva un bambino stupido e capriccioso, e si vergognava da morire di non riuscire a far finta di niente per quella volta, per quella cosa che si faceva desiderare sempre di più, rodendogli lo stomaco pian piano con le prepotenti immagini che formava a tradimento nella sua testa.

 

- No, Ed non… -

 

Roy se lo ritrovò fra le mani che ormai era troppo tardi.

Gli accarezzò i capelli sciolti più dolcemente che poté, sfiorandogli la fronte con le labbra calde fra un tocco e l’altro. Se c’era una cosa che aveva sempre detestato con tutto il suo cuore era proprio lo scoprirsi cieco. C’era qualcosa di grosso che faceva star male Edward da chissà quanto, c’era questa cosa macroscopica che gli offuscava il sorriso, e lui dov’era? Al quartier generale, a occuparsi di documenti stropicciati? Edward non voleva farlo sentire in colpa, lo sapeva benissimo, ma lui era il genere di uomo che era sempre scappato dalle responsabilità che riguardassero il cuore invece della testa, e proprio perché alla fine ci era cascato anche lui, ora si sentiva in dovere di assumersene fin troppe.

 

- Non piangere. –

 

Gli sembrava di impazzire, se solo vedeva gli occhi di Edward vacillare.

 

- Scusa. Mi dispiace, è solo che… -

 

Ed si sforzò di tirarsi su a sedere, e il risultato fu che si stropicciò gli occhi con troppa forza, finendo con il diventare rosso.

 

- E’ solo che ci penso. – sussurrò disperatamente. – Ci penso sempre. Penso sempre di più che sia possibile. –

 

Così tanto possibile.

Ed aveva smesso subito di piangere, e del resto non era da lui farlo. Era stato un momento di sconforto, un collasso, mettiamola così, ma la verità incontrovertibile delle parole venute a galla quella notte sarebbe rimasta viva anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Roy non era nessuno per negare ad Edward un figlio, ma non c’erano dubbi sul fatto che lui volesse che quel bambino fosse davvero loro, non di una donna, e non di chissà chi altro. E, siamo seri, Roy sapeva perfettamente di essere troppo geloso ed egoista per suggerire qualcosa di alternativo e di meno complicato.

 

E quella cosa, quell’idea, quel miraggio, era davvero così possibile che sarebbe bastato tendere la mano per afferrarla. Forse Roy non voleva farlo semplicemente per la paura di dimostrare a sé stesso quanto fosse terribilmente concreta.

 

- Se ti accadesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo. –

 

- Ma non mi accadrà niente. – rispose Ed, con quel suo sorriso inconsolabile che aveva il potere di farlo a pezzi dentro. – Andrà tutto bene, sarà tutto magnifico, e vedrai, ti piacerà tanto, potrai scegliere tu il nome, e potremmo risistemare la stanza del tuo ufficio, che è grande abbastanza ed è proprio qui di fronte a camera nostra; io ti cederò il mio, tanto non lo uso mai. E in salotto metteremo un box, basterà spostare il tavolino un po’ più a destra. E in cucina un seggiolone, e tutto quello che serve, lo spazio c’è, e per le cose ingombranti come la carrozzina c’è sempre lo sgabuzzino, così magari ci decideremo a buttare via quel tuo vecchio cassettone che ne occupa metà per niente. –

 

Le parole di Edward fluivano come se fossero state pensate, pianificate e fantasticate per chissà quanto tempo. Roy desiderò di non conoscere così bene il suo compagno, per potersi illudere che quella non fosse altro che un’impressione.

 

Ed insisteva nel sorridergli, accoccolato nel suo abbraccio caldissimo, fra le coperte tutte stropicciate, imbacuccato com’era nella sua maglietta blu, e fu così che Roy si tradì. Senza riuscire ad opporsi, si sorprese a immaginare, per un momento soltanto, come sarebbero potuti essere gli occhi di Edward che brillavano nel viso di un bambino.

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ed eccoci qui con questa nuova, breve avventura. Non credo ci sia granché da aggiungere, rispetto a quanto già esposto nella premessa.

Tre capitoli in tutto, che dovrei pubblicare con una certa regolarità, fra il venerdì e la domenica.

Di nuovo grazie ad Ely, che non è mai abbastanza, e grazie anche a tutti voi che vorrete leggere, e perché no, lasciarmi le vostre impressioni.

 

Appuntamento alla prossima settimana!

  
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