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Autore: boobearandhiscurly    01/04/2013    6 recensioni
"Non so se si dedide di chi innamorarsi, chi finisce per prendersi un piccolo pezzo del tuo cuore con sè quando se ne và. Se qualcuno me lo avesse chiesto, non penso che avrei scelto Harry Styles, e non so se lui avrebbe scelto me. Ma stando qui, guardando indietro attraverso la lente cristallina del senno di poi, mi piacciono le mie scelte."
A fic based off The Fault In Our Stars, an absolutely lovely novel by John Green.
(Traduzione dell'omonima fic, "Catch me, I'm falling")
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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ATTENZIONE: questa storia non mi appartiene, io ed Elisa, l’amica che lavora con me, stiamo solamente traducendo con il consenso della scrittrice. La storia originale si trova a questo indirizzo  http://infinitylourry.tumblr.com/Catch_Me_Im_Falling
   e potete trovare Mattie, l’autrice, qui  http://fattietakesthecake.tumblr.com
Buona lettura!
 
 
 
                                                                                                                                                        Chapter 1
 

17 Gennaio - Giorno 1
 
Avevo sempre amato ed odiato allo stesso tempo il reparto di oncologia. Amavo essere lì per i bambini che non avevano nessuno che li ascoltasse, e per quelli che in primo luogo non sapevano cosa dire. Sapere che avrei potuto aiutarli in qualche infinitesimale modo mi faceva andare avanti quando rimanevo sdraiato sveglio, di notte, chiedendomi cosa diavolo avrei dovuto fare con la mia vita.

Fu nel reparto di oncologia che incontrai Harry Styles il 17 Gennaio, in una serata grigia che non prometteva niente di spettacolare.

Presi il suo file da dove era stato lasciato cadere sulla mia scrivania, soppesandolo tra le mie mani. Era pesante, più del normale. Le mie dita fremevano dalla voglia di aprirlo, ma resistetti, sapendo che sarebbe stato meglio andare ad un primo incontro senza aspettative.

Entrai nella sua camera d'ospedale con il mio normale sorriso allegro sul viso, preparandomi ad incontrare il mio nuovo pazione. Era sdraiato semieretto sul letto, i brillanti occhi verdi incollati al computer portatile sulle sue cosce, la faccia tesa e pallida. Aveva  un alone di riccioli marroni disposti ad arco attorno al viso, in un lato un pò arruffati all'ingiù come se ci avesse dormito sopra.

"Ciao" dissi, portando i miei appunti al petto e cercando di avere un atteggiamento amichevole. "Sono Louis."

Non si mosse, sbattendo appena gli occhi. "Ciao. Sei qui per farmi stare meglio?"

Non mi scoraggiai, avevo già ottenuto questo tipo di reazione in precedenza.  Avevo scoperto che mentre tutti desiderano qualcuno da ascoltare, nessuno vuole davvero aprirsi. "Vorrei solo parlare, farti sentire meglio sarebbe solo un piacevole effetto collaterale."

Gettò lo sguardo verso di me, il suo viso ancora vuoto. "Non sei il primo, lo sai."

Annuii. Il mio supervisore mi aveva informato della tendenza del ragazzo a mandare via correndo i terapisti, ma mi piaceva pensare che io fossi più robusto. "Così ho sentito." Camminai timidamente verso il fianco del suo letto,  tirando fuori una sedia. "Ti dispiace se mi siedo?"

Si strinse delle spalle. "Fai pure."

Scivolai sulla poltrona rattoppata, incrociando le gambe sotto di me e guardandolo, cercando di ottenere un contatto con lui. Lui, dal canto suo, ignorò meticolosamente la mia presenza, guardando lo schermo del suo computer come se stesse provando a fare un buco attraverso di esso.

Sembrava piccolo stretto nelle sue coperte, le spalle forti sminuite da una pila di cuscini e  una trapunta avvolta intorno alla vita. Aveva un'aria sconfitta, come se avesse guadato nel futuro e avesse oramai accettato il suo destino.
Indossava la morte come un mantello, lasciandola penetrare nei suoi pori.

"Hai voglia di parlare, o devo solo stare qui seduto per tutta l'ora?" chiesi con fare colloquiale,  appoggiando i gomiti sulle ginocchia e puntando i miei occhi su di lui.

Fece un mormorio vago, mentre lasciava scorrere lentamente il suo dito sul trackpad.

Annuii, accettando la sua risposta. Se non voleva parlare, non c'era niente che io potessi fare per constringerlo, anche per quanto l'avessi voluto. "Okay." Aprii la mia borsa a tracolla, tirando fuori dalla tasca grande la mia copia malridotta de "Il grande Gatsby".

Lo aprì ad una delle pagine con il margine superiore piegato ad orecchio di cane, lasciandomi sprofondare in paragrafi che avevo letto già spesse volte. Lo avevo letto per la prima volta come matricola nella mia classe d'inglese, ed ero stato risucchiato dalle metafore e dal modo in cui le parole si amalgamassero quasi come poesia. Avevo ancora i miei disordinati scarabocchi  a penna, a margine, in cui erano scritte stupide domande retoriche che mi ero evidentemente annotato e che mi avrebbero 'aiutato a comprendere meglio il romanzo.'

L'ora passò velocemente senza che una sola parola fosse pronunciata in quella scura stanza ospedaliera. Non fu il più innovativo primo incontro che avessi mai avuto, e sinceramente sperai che fossi pronto per la sfida di Harry Styles: rimasi fino a che l'orologio digitale sul suo comodino non segno le nove, dopo di che spinsi il mio libro dentro alla borsa e la richiusi.

"Ci vediamo la settimana prossima, Harry." dissi, rivolgendogli un piccolo sorriso. Ero sul punto di girarmi ed andarmene quando parlò, le sue labbra si mossero appena mentre pronunciava le parole.

"Mi piace quel libro."

Feci una paura, leggermente colto di sorpresa. "Anche a me."

Mi fece un piccolo cenno con il capo. “So we drove on toward death through the cooling twilight.”

Cercai di non far sì che la mia mascella cadesse per terra mentre lo guardavo.  Stava citandoa me. Questo cazzo di bambino che aveva pronunciato non più di dieci parole mi stava citanto Gatsby come se fosse stata la cosa più normale del mondo. "E' bellissimo",  balbettai alla fine , e non fui sicuro di cosa esattamente fosse bellissimo,  ma c'era qualcosa e questo qualcosa mi aveva annebbiato il cervello.

"Lo so."

Lo guardai per un lungo momento, in attesa di vedere se avrebbe detto qualcos'altro prima che lentamente mi girassi per andarmente, a malapena ricordandomi di pronunciare un 'arrivederci' da dietro le spalle, mentre uscivo.
 

24Gennaio - Giorno 8


Non spesi tutta la settimana a ripensare alle sue parole. Sarebbe stato stupido. Non aspettai ansiosamente il martedì e certamente non contai le ore che mancavano alle otto.
Entrando nella stanza dell’ospedale, sentii la stranissima mescolanza di speranza e insistente nervosismo. Harry mi lanciò un’occhiata non appena misi piede lì dentro, ma riportò velocemente i suoi occhi allo schermo di fronte a lui, senza alcun cambiamento nella sua espressione.

“Ciao.” Dissi, accomodandomi accanto al suo letto senza alcun invito. Il tessuto blu di pile era ruvido, ma la sedia era comoda e grande abbastanza tanto che potei ripiegarmi su me stesso, infilando le mie gambe verso un lato. 

Fece solo un cenno con il capo come saluto e sembrò che si fosse reinserito nella sua politica di ignorare la mia attuale presenza. Lasciai uscire un sospiro. Me lo ero aspettato, ma savevo sperato che tutto ciò sarebbe stato più semplice.

"Pensi che riusciremo a parlare questa volta?” chiesi, spingendomi un po’ di più nella speranza di poter ricevere un qualcosa in cambio.

“Cosa c’è da dire.” Rispose, con le parole che uscirono più come affermazione che come domanda.

“Potresti parlarmi di te.” Offrii, rifiutandomi di credere che fosse davvero così spinoso fino al midollo. Sarei potuto riuscire a farlo aprire, lo sapevo.

“Qualcuno non ha fatto i compiti.” Sorrise compiaciuto, accennando con il capo ai documenti nelle mie mani.

“Non mi piace arrivare con prime impressioni piene di preconcetti. Preferisco ascoltare te, prima.” Risposi, provando a non lasciare che il suo atteggiamento mi colpisse. Per l’amor di Dio, aveva il cancro, avevo il diritto di essere almeno un po’ insolente.

Sembrò soddisfatto della mia risposta. “Beh, lascia che ti metta al corrente di ciò. Tu sei qui perché io sono depresso.” Disse quelle parole con una certa malizia, una sorta di finto fastidio, come se le avesse sentite un milione di volte e le avesse odiate ogni volta di più. “Perché apparentemente, avere un fottuto tumore al cervello e sei mesi rimasti da vivere a diciassette anni, è qualcosa di cui dovrei essere felice.”

“Nessuno ha mai detto che devi esserne felice.” Dissi, mentre il mio cuore era completamente vicino al suo. Sei mesi. Sei mesi e il suo corpo avrebbe smesso di respirare. “Ma a me sembra proprio che tu ti sia arreso.”

Mi guardò con uno sguardo impassibile. “Mi chiedo il perché.”

Mi morsi il labbro. “Il punto non è quanti anni hai, è che cosa ne fai di questi.”

“Non sai cosa si prova, vero? A sapere che hai solamente 180 giorni rimanenti, a poter fare il conto al rovescio fino a che non muori? A sapere che non importa ciò che fai, accadrà in ogni caso? Sono già morto, Louis. Sono morto il giorno in cui mi hanno diagnosticato il cancro.” Diventò rassegnato, con i suoi enormi occhi verdi pieni di una tristezza tremenda. “Mi perderò, e non c’è niente che nessuno possa fare.”

Scossi lentamente la testa alla sua risposta, un po’ sopraffatto dalla sua improvvisa ammissione. Capivo tante cose sulla morte, non perché ci stavo passando, ma perché la rivedevo in continuazione. C’erano molte persone che non avevano alcuna idea di come fosse la morte, ma non ero mai stato uno di loro. “Da quando ho iniziato a fare questo lavoro, ho visto sette bambini morire. Potrei elencare i loro nomi, la loro malattia, il loro aspetto, e il giorno in cui sono usciti dalla porta dietro.” Gli lancia uno sguardo duro, sperando di riuscire ad arrivare a lui.  
Il primo strato del guscio è sempre il più difficile, irrompere nella vita di quelli che sono diventati esausti e stanchi anni prima, ma ero speranzoso."

“Credimi quando ti dico che so bene cosa si prova.”

“Cosa si prova?” La sue labbra erano disposte in una linea non ordinata, e i suoi occhi mi sfidarono a rispondere.

Presi un respiro profondo, e mi sforzai a rispondere. “E’ come guardare qualcuno scivolare tra le tue dita; non importa quanto tieni duro. Non so cosa si prova a morire, Harry, ma so cosa significa guardare il cuore di qualcuno fermarsi. E so che non potrò salvarti, ma dannazione a me se non ci provo.”

Piegò il capo verso di me, le sue parole erano basse e dure. “E’ un po’ come cadere.”

“Cosa?” Chiesi, quasi insicuro del fatto che avesse parlato del tutto.

“Morire. E’ un po’ come cadere.” Sorrise, nonostante la sua espressione fosse priva di gioia. “E puoi anche vedere il fondo, e sai che lo colpirai. Forte.”

Rimasi senza fiato. “Ciò non significa che non puoi goderti la caduta.”

Alzò le spalle, affondando nuovamente nel suo cuscino. “Suppongo di sì.”

Mi protesi dalla sedia. “C’è qualcosa di cui vuoi parlare?”

Scosse la testa, senza incontrare i miei occhi. “No.”

Mi alzai, accettando la sua risposta. La cosa peggiore che potessi fare in quel momento era fargli pressione. A dire la verità eravamo arrivati già da qualche parte in quella settimana e iniziai a sentirmi cautamente ottimista. Harry Styles non sarebbe stato il più facile da decifrare, ma sapevo di poterlo fare. “Ok, alla prossima settimana, allora?”

“Te ne vai?” Chiese, e per un momento pensai che magari nella sua voce ci fosse una qualche traccia di tristezza, anche se ciò sarebbe potuto essere più un mio desiderio.

“Se non ti va più di parlare, non ho intenzione di disturbarti.” Gli sorrisi. “Se ti viene in mente qualcosa di cui parlare tra ora e la prossima volta, puoi chiedere il mio numero ad una delle infermiere. Chiamami ogni volta che hai bisogno di me.” 

Annuì, senza rispondere. Solamente una volta giunto alla porta, la sua voce mi bloccò, più chiara e più all'allerta di quanto fosse un minuto prima. “Buona nottata.”

“Buona nottata?” Chiesi, scherzando. “Sembra che tu stia imbustando la mia spesa.”

Alzò le spalle, la sua letargica espressione fiorì in una specie di volgare sorriso compiaciuto. “Beh ti stavo controllando.”

Portai velocemente una mano alla bocca, incapace di fermare la risatina che ne uscì. “Questo è completamente inappropriato!”

“Sono sicuro che sopravvivrai.” I suoi occhi sembrarono luccicare e mi parve di poter intravedere del ragazzo che probabilmente avrebbe potuto essere, affascinante, sfacciato, e inevitabilmente adorabile. Decisi cheanche fosse stata l’ultima cosa che avrei mai fatto, l’avrei fatto sorridere in quel modo ancora una volta.

Ricambiai il sorriso. “Buona nottata, Harry.”

Annuì, mordendosi il labbro. “Buona nottata, Louis.”
 
 
27 Gennaio - Giorno 11


Fui svegliato alle 2:35 dalla mano di Liam che mi scuoteva le spalle. Guardai il mio coinquilino con occhi ancora cisposi, a malapena capace di registrare cosa stesse succedendo, mentre lui mi mostrò il cellulare che vibrava nelle sue mani. "Smettila di lasciare il tuo dannato telefono nella mia stanza." Disse, le sue parole assonnate e scocciate.

"Mi dispiace." Mormorai, più divertito dalla sua irritazione che da qualunque altra cosa. Gli sarebbe passata entro la mattina.  Premetti il pulsante verde per accettare la chiamata, appoggiando poi il ricevitore sull'orecchio e sorridendo assonnanatamente mentre Liam mi mandava a quel paese, arrancando indietro verso la sua camera. "Pronto?"

Una voce, morbida e bassa, mi salutò dall'altra parte. "Ti ho svegliato, non è vero?"

"Non ti preoccupare." C'era una ragione per cui solitamente cercavo di tenere il telefono sul mio comodino. Essere un terapista non era esattamente un lavoro part time, si trattava di esserci incondizionamente per le persone che avevano bisogno di te, e le chiamate a tarda notte erano solo una parte della descrizione di questo lavoro.

"Mi dispiace. Ma avevi detto-" fece una paura, e potei udire il chiaro rumore di coperte strusciare tra di loro dall'altra parte della linea. "Se avessi avuto bisogno di parlare..."

Mi misi seduto, facendomi correre una mano tra i capelli arruffati, tirando sù un cuscino e posizionandolo contro la testata del mio letto. "Questo è quello per cui sono qui. Di cosa vuoi parlare?"

"Volevo solo...sentire la tua voce."

Una sorta di calore sfocato mi crebbe nel petto, un sorriso si arricciò sulle mie labbra. "Beh, sono qui. Di cosa vuoi parlare?"

Emise un leggero rumore con le labbra che lentamente si tramutò in parole. "Parlami di te."

Solitamente non parlavo della mia vita con i pazienti. Non che ci fosse una regola che lo vietasse o che altro, solo loro non lo chiedevano spesso ed io non ne parlavo. Ma Harry me lo aveva chiesto ed era tardi e immediatamente sentì l'impulso di dirglielo, di sussurrare i miei segreti attraverso il filo del ricevitore, dritto nel suo orecchio. "Sono nato il 24 Dicembre del 1991. Ho quattro sorelle e sono cresciuto a Doncaster."

Harry mormorò un piccolo 'mhmm' nel ricevitore e io chiusi gli occhi, avendo come l'improvvisa sensazione che lui fosse lì con me, o che io fossi con lui, o che le essenze dei nostri corpi fossero intrecciate in qualche luogo che i nostri corpi non avrebbero mai potuto visitare.

"Mia madre si chiama Jay. Ho un coinquilino che si chiama Liam, che ha una fidanzata che si chiama Danielle e che si arrabbia quando lascio i miei vestiti in giro per l'appartamento. Cosa che faccio. Molto spesso."

Ridacchiò.

"Quando avevo dodici anni.." feci una pausa, pensando se quella fosse l'idea migliore.  Avevo cercato di non parlare di quel mattino, quando il dottore era entrato con un'espressione severa e aveva parlato con mia madre a bassa voce, e lei mi aveva guardato e si era messa a piangere. In più di un modo, era stato il giorno più importante della mia vita, il giorno che mi trasformò in me.
"Mi era stato diagnosticato un linfoma."

Lasciai che le parole si disperdessero nell'aria per un momento, sentendo la mia voce così secca da diventare quasi un sussurro. "L'hanno preso in tempo, ma ho passato un anno facendo avanti ed indietro dall'ospedale. Avevo perso i miei capelli. Avevo perso  44 chili.  Ma non ho mai pensato che stessi per morire. Anche quando ero calvo e stanco non mi sono mai davvero dato pervinto. Non potevo, il mio corpo si rifiutava anche quando la mia mente lo aveva già fatto. Penso che forse qualcosa in me sapesse che dovevo tenere duro."

"E' per questo motivo che fai tutto questo?" chiese lentamente, ed io sperai di poter vedere la sua faccia, per poter leggere le sue emozioni.

"Penso di si. Voglio solo aiutare qualcuno. So che non posso salvare il mondo, ma se solo salvassi qualcuno, anche solo per un piccolo momento, allora ne sarebbe valsa la pena."

Mi fermai, senza parole. Non rispose, la staticità morbida del suo respiro era l'unico rumore nella stanza.

"Penso che forse tu mi stia salvando, Louis Tomlinson." Mormorò, ed il cuore mi sembrò saltare in gola, le sue parole brillarono nel buio come una promessa.

Cercai di dire qualcosa, ma le possibili risposte mi morirono in gola. Strinsi il ricevitore in mano, cercando di trovare un modo per formulare uno strozzato 'grazie'.

"Non hai ancora letto il mio file, non è vero?" chiese, la sua voce era colloquiale, come se non avesse nessuna idea circa l'effetto che le sue parole avevano su di me.

"Non ancora." Avevo programmato di leggerlo con lui il Mercoledì seguente, quando l'avrei rivisto.

"Leggilo." Potei rilevare una nota di stanchezza nella sua voce, come se fosse sull'orlo dell'esaurimento.

"Okay." Mi chiesi cosa avrei  trovato in mezzo a quelle pagine spesse, quali segreti vi fossero nascosti.

"Louis?"

"Si?"

"Sai cantare?"

Feci una pausa, considerando la domanda. Avevo cantato a qualche talent show nella mia vita, ma non mi ero mai considerato un cantante. "Un pochino."

"Cantami qualcosa per farmi addormentare"

"Che canzone?" Avevo bisogno di qualcosa di soft, una ninna nanna da canticchiare attraverso delle linee telefoniche.

"Qualunque cosa tu voglia." Ci fu un sorriso nelle sue parole, caldo e quasi tangibile. C'era qualcosa di lui che mi calmava,  che placava il mio cervello esausto e che rimetteva tutto al suo posto.

Presi un respiro profondo, cominciando a cantare a voce bassa, non volendo svegliare Liam. Ero abbastanza sicuro di essere fuori tempo e che la mia voce scivolasse sgradevolmente sulle note alte, ma ebbi come l'impressione che ad Harry non importasse e quindi non importò neppure a me.

"When you try your best but you don’t succeed, when you get what you want but not what you need.” lasciai che i miei occhi si chiudessero, e mi feci scivolare nuovamente sotto le lenzuola. 

“When you feel so tired but you can’t sleep, stuck in reverse.”

“When the tears come streaming down your face, when you lose something you can’t replace, when you love someone but it goes to waste, could it be worse?”

Il mio sguardo rimase fisso sul soffitto, mentre le note calpestavano il confine tra canzone e sussurro. E quando le dissi, queste non erano solo parole ma promesse. “Lights will guide you home, and ignite your bones, and I will try to fix you.”

Continuai la canzone, il testo discese in un dolce ronzio quando persi il conto delle frasi e quando rimasi con niente se non il coro e la mia promessa. Non ero sicuro di quando tempo ancora rimasi sdraiato così, mandando piccoli pezzi di me stesso giù per la cornetta telefonica, ma quando mi fermai lui non protestò.

"Harry?" chiesi a bassa voce, ma non ci fu risposta dall'altra parte, solo l'inalare ed esalare costante del suo respiro. "Buona nottata."

Pensai di riagganciare, ma alla fine mi girai solo su di un fianco, posizionai il telefono sul cuscino di fianco a me e mi abbandonai al ritmo del suo respiro.


Inala. Esala. Inala. Esala. Inala. Esala.

Il sonno ebbe la meglio su di me.
 






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Buonasera, qui sono Cristina ed Elisa a parlarvi!
L’idea di tradurre questa fic è venuta quasi naturale, sinceramente. Davvero, come potrebbe una meraviglia come questa rimanere nascosta?
Non so, al prossimo aggiornamento! E mi raccomando…non fatevi problemi a scriverci qualsiasi commento, pensiero o che altro. Siete sempre tutti ben accetti qui! :)
  
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