Disclaimer:
i miei cari e
preziosissimi Hyuuga, e ovviamente tutto il resto dei personaggi di
Naruto,
purtroppo non mi appartengono… Sigh… (Wiwo
sospira) Ma li amo tanto comunque!
Questa
fic è il risultato di quando
la gente mi fa arrabbiare e devo sfogarmi, non vi spaventate! Enjoy!
DISPERAZIONE
Odiava,
odiava, odiava. Hinata odiava e taceva.
Com’era dolce il sapore dell’odio sulla punta della
lingua, quando lo
assaggiavi piano piano per la prima volta e poi ne diventavi
dipendente, quando
la consapevolezza di non poter più vivere senza quel mielato
fluido in bocca si
svegliava lentamente in te e ne diventavi succube, volontaria vittima
dell’unico sentimento che era davvero eterno. Sì,
odiare era la cosa più bella di
questa vita. Tutte le strade si aprivano,
l’autocommiserazione non era più un
peccato, tutto il mondo iniziava a girare intorno a te e al motivo del
tuo
odio. Adesso capiva perché Neji aveva nutrito quel rancore
profondo per tanti
anni dentro di lui, e capiva anche che in realtà era il
rancore a nutrire lui,
dandogli la forza di continuare quella vita di schiavitù e
servaggio in una
famiglia che non gli rendeva giustizia. Ma poi qualcosa era scattato in
lui,
qualcuno l’aveva tirato fuori dalle paludi in cui si era
invischiato e lui era
cambiato, aveva messo da parte il suo odio per tentare di ricominciare
da capo,
e forse ci stava riuscendo, Neji, d’altronde la sua forza di
volontà era
incredibile come la sua forza fisica. Hinata si conficcava le unghie
nei palmi,
mentre pensava questo, fino a farne uscire sangue. Ce n’erano
molte, di queste
cicatrici, sui palmi delle sue mani. Lui, sempre stato così
maledettamente
abile, dotato, in lui c’era il vero sangue degli Hyuuga,
altro che in lei, la
primogenita della casata principale nata sbagliata, la cosina timida e
arrendevole. Non doveva andare così, così era
tutto sbagliato. Lui doveva nascere
nella casata
principale, con il suo carattere e la sua voglia di dominare, le sue
abilità
straordinarie, il suo orgoglio smisurato e i suoi occhi che sfondavano
ogni
difesa posta a protezione dell’anima. Non lei.
Lei, per il suo modo di essere, sarebbe vissuta serena, nata nella
casata
cadetta, all’ombra
di Neji, in pace e armonia;
avrebbe asservito ai suoi compiti senza lamentarsi, cosciente che
quello era il
suo posto, giusto per lei, fatto apposta per lei. Ma invece era su di lei che ricadevano le aspettative di
quella maledetta famiglia che non era davvero una famiglia, ma solo un
ammasso
di gente con occhi così bianchi da sembrare vuoti, legati da
legami di sangue e
di odio reciproco. Ricadevano su di lei che detestava la battaglia e
combatteva
più con la sua paura di morire che con
l’avversario in assetto d’attacco
davanti alla sua figura tremante. Su di lei che detestava essere al
centro
dell’attenzione generale, che detestava la sensazione di
tutti quegli occhi
bianchi puntati giudicatori sulle sue azioni, sul suo comportamento, su
chi
frequentava, fino addirittura sull’accesso sprangato dalla
disperazione della
sua mente. Davanti a tutti questi errori irrimediabili,
l’unica difesa era
odiare, odiare con tutte le forze, perché erano cose che non
potevano essere
rimediate. Si può cambiare solo ciò che ancora
deve venire, non ciò che ormai è
passato, perso per sempre nella matassa arruffata del tempo. E quando
pensava
che forse allora anche lei poteva cambiare la sua vita, Hinata scuoteva
la
testa, amaramente consapevole del fatto che anche tutto ciò
che ormai è passato
e che non si può correggere in realtà continua a
esserci, lascia comunque uno
strascico nel presente, quello strascico che viene chiamato
conseguenze. E le
conseguenze di ciò che era successo erano che ormai lei era
considerata come la
buona a nulla incapace anche di cambiare la sua esistenza,
perciò qualunque
tentativo avesse fatto per imboccare un’altra strada sarebbe
stato vano, perché
nessuno l’avrebbe presa sul serio, o non le avrebbe permesso
di farlo con la
forza. Lei non era come Neji, non era come il genio del clan, che era
riuscito
davvero a cambiare sentiero da percorrere… ma forse no.
Forse aveva cambiato
anche lei qualcosa, scegliendo l’odio incondizionato. Forse
era la sua prima
vittoria. E forse era la sua prima sconfitta. Non riusciva a capirlo.
Che era
una vittoria lo diceva il suo io, la sua parte aggressiva rimasta
segregata praticamente
da sempre, e che adesso riemergeva acquistando forza
dall’odio che divampava
come fuoco greco nella sua anima. Che era una sconfitta lo dicevano le
pupille
gelate di Neji, che le sussurravano ogni volta che la vedevano che
sbagliava,
che capivano che cosa provasse, perché una volta anche loro
erano incendiate
dallo stesso fuoco, ma che l’odio finisce per incenerirti. E
ogni volta che i
loro occhi si incontravano, Hinata sentiva che quel fuoco distruttore
(perché
in realtà lo sentiva che la consumava, lo avvertiva
chiaramente) si acquietava
un poco, avvolto dalle correnti fredde che Neji portava con
sé. Era in quei
momenti che si sentiva confusa, che le venivano i dubbi più
forti, che però poi
sparivano dopo, quando era da sola, divorati dall’incendio in
lei. Sospirò. Che
senso ha vivere, se la vita che il destino ha scelto per noi
è del tutto
sbagliata? Perché cercare disperatamente di cambiare il
corso delle cose,
invano, quando crogiolarsi nell’odio e
nell’autocommiserazione è immensamente
più facile e meno doloroso? Questo era ciò che
veramente non capiva. E
nell’attesa di comprenderlo lasciava che il rancore e
l’odio e la rabbia
furiosa senza sbocco contro la vita e l’ordine del mondo
continuassero ad avere
il pieno possesso di lei. Continuava a odiare, odiare convinta di non
avere più
niente in cui sperare.
Ma
in realtà, senza che lei ne fosse consapevole, un
piccolo barlume di speranza e voglia di vivere e cambiare in lei
c’era ancora.
Piccolo, tenue e barcollante, ma c’era. E, perso
nell’immensità dell’oceano di
fuoco dal colore del sangue, continuava ad esistere imperterrito,
perché la
speranza non muore, non deve
morire.
La volta che verrà soffocato dalle fiamme sarà la
volta che il cuore dolorante
di Hinata cesserà di battere. Questo non doveva accadere,
non poteva, ed è per
questo che avrebbe tentato di spegnere quel fuoco in tutti i modi,
senza
desistere mai. Mai. E Neji sapeva di non scherzare, lui non scherzava
su queste
cose. L’aveva giurato a se stesso e l’avrebbe
salvata.
_________________________
Ohayo’su!
(l’anime di Pita-Ten ha
contagiato anche Wiwo) Piaciuto questo (ennesimo) esperimento di
sfogo-di-problemi-personali-attraverso-fic? Ma d’altronde se
la gente non ha
altro da fare che scassare l’anima degli altri mi
dovrò pur incavolare senza
prendere a insulti la persona a cui presto capiterà qualcosa
causa innumerevoli
accidenti ricevuti da me… Chi mi conosce sa a chi mi
riferisco! Stragrrr… odio
i rompicoglioni!
..Ma
cambiamo argomento! Allora..
Neji:
Non ci credo. Mi hai messo un’altra
volta con lei?!
(esitazione
sospetta) …m-ma che
dici? Non vedi che questa non lo implica necessariamente? È
solo una tua
impressione!
Neji:
Ti conosco ormai. Anche se non è evidente lo pensavi, vero? Io
lo
so.
…M-ma…
ehi! Calmo, calmo! Cosa vuoi
fare con quel juuken? Aiutooo!! (Wiwo fugge disperatamente inseguita da
Neji
furioso)
Puff,
pant… Alla prossimaaaaah!
Wiwo