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Autore: dontblinkcas    02/04/2013    10 recensioni
«Il senso di colpa che proverai quando mi farò uccidere, perché mi farò uccidere. Io ti odio Magnus, e l'unica consolazione che mi rimane è sapere che soffrirai, come sto soffrendo io, ogni volta che mi penserai. Il senso di colpa che proverai sapendo di avermi ucciso ti seguirà per l'eternità, questa è la mia unica consolazione».
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno.
Mi ero ripromessa di prendermi una pausa dallo scrivere di questa coppia, ma la mia fantasia ha preso il sopravvento...di nuovo.
Nella mia mente questa OS era molto più figa, ma dopo averla scritta mi sono resa conto che non mi soddisfa appieno, non per la trama in generale ma proprio il modo in cui è scritta.
Spero che a voi piaccia, vorrei sapere tanto cosa ne pensate, ho bisogno come non mai di un vostro giudizio.
Ah, il titolo e la strofa all'inizio è tratta dalla canzone "Leave My Body" dei Florence and The Machine.
Buona lettura,
Dany.




Leave My Body


I'm gonna be released from behind these lies

And I don't care whether I live or die

And I'm losing blood, I'm gonna leave my bones

And I don't want your heart, it leaves me cold

 

 

 

 
«Jace, ti prego. Torniamo a casa», la voce di Alec era implorante.
Jace si stupì nel sentire quel tono: erano ormai due settimane che Alec risultava apatico in ogni circostanza e quella era la prima vera emozione che sentiva da molto tempo.
Il biondo strinse ancora di più la presa sul braccio di Alec e lo trascinò verso la porta d'ingresso.
«No Alec. Non posso sopportare un altro giorno di più la tua malinconia. Tu e Magnus dovete risolvere oppure ti devi trovare un rimpiazzo. A te la scelta».
Detto questo Jace prese dalla cintura il suo stilo e spalancò la porta con una runa di apertura, poi precedette Alec sulle scale fino ad arrivare al pianerottolo dove la musica e il frastuono iniziavano a sovrastare qualsiasi cosa. Jace guardò negli occhi il suo parabatai per infondergli coraggio prima di attraversare la porta.
La musica li investì mentre entrambi osservavano la folla di nascosti che beveva e ballava nell'appartamento del sommo stregone di Brooklyn. Sempre tenendolo per un braccio, Jace trascinò un riluttante Alec in mezzo alla ressa nella speranza di trovare il loro obiettivo.
Dopo qualche minuto di ricerca, in cui molti nascosti si girarono per lanciare loro sguardi assassini, Jace vide quello per cui erano venuti. Prima che potesse evitarlo, però, anche Alec fissò la scena che gli si presentava davanti.
 
Magnus stava ballando, anzi si stava strusciando contro una ragazza alta e dalla pelle verde-azzurrognola. La ninfa indossava un abito di tulle bianco e i capelli erano un complicato intreccio di rami in cui i germogli di foglie erano di un verde brillante. Magnus indossava invece un paio di strettissimi pantaloni in pelle e la camicia bianca era sbottonata, probabilmente per colpa della ragazza.
Jace stava per dire qualcosa per rassicurare Alec, ma in quel momento lo stregone decise di fiondarsi sulla ninfa in un bacio in cui anche il biondo dovette distogliere lo sguardo.
Nel frattempo Alec, incapace di resistere a quella scena, si era avvicinato a un tavolo che serviva da bancone del bar.
Senza preoccuparsi del contenuto prese un bicchiere e lo scolò in un solo sorso; finì il secondo proprio mentre Jace lo raggiungeva, districandosi dalla folla.
«Così non risolverai nulla!» urlò Jace per sovrastare la musica, ma Alec afferrò un altro bicchiere dal contenuto misterioso e lo bevve prima che potesse essere fermato.
Alec si sentiva stordito: l'effetto dei cocktail fatati stava già facendo effetto, i colori gli sembravano più vividi e la musica gli rimbombava nelle orecchie. Si guardò attorno e si accorse di essere squadrato da un ragazzo appoggiato alla parete opposta della sala.
«Alec è meglio se andiamo via. É stato stupido portarti qui» disse Jace preoccupato per la piega che la serata stava prendendo.
Ma Alec non lo ascoltò e si diresse verso quel ragazzo dai capelli color sabbia cercando di mantenere il passo dritto: ormai l'alcool in circolo aveva preso il sopravvento sulla sua parte razionale. Il ragazzo continuava a guardarlo con una faccia incuriosita e appena Alec fu a portata di orecchio gli sorrise e gli disse qualcosa ammiccando. Alec in risposta lo spinse ancora di più contro al muro e iniziò a baciarlo.
Jace rimase impietrito da quella scena nonostante fosse stato uno dei piani della serata che si era riproposto; si affrettò a raggiungere il suo parabatai, ma una stretta al braccio lo costrinse a voltarsi e il biondo si ritrovò a doversi scontrare con un paio di occhi felini.
«Cosa ci fai qua, Jace? E perché hai portato lui?» chiese Magnus con voce infastidita.
«Volevo vi chiariste Magnus. Non posso sopportare di vedere un altro giorno di più Alec in questo stato» replicò Jace implorante.
Magnus alzò lo sguardo e lo puntò verso Alec.
«Ho notato quanto sta male» replicò lo stregone con una punta di gelosia.
«Ti prego Magnus. Si sta distruggendo, se tieni ancora a lui devi provare a parlargli», gli occhi ambrati di Jace brillavano di preoccupazione e Magnus non poté negare quando quel ragazzo volesse bene ad Alec. Senza dire una parola Magnus lo superò e si diresse verso Alec, che era ancora incollato al ragazzo biondo.
Lo stregone gli appoggiò una mano sulla spalla e lo costrinse a girarsi: dopo un iniziale stordimento Alec si accorse di chi lo stava fissando.
«Noi dobbiamo parlare» disse freddamente Magnus e lo trascinò senza troppa fatica nella camera padronale.
 
Lo stregone chiuse la porta e si voltò per guardare il suo ex ragazzo.
«Che cosa ci fai qui? E cosa credevi di fare?» la voce era fredda come il ghiaccio.
«È stato Jace a portarmi qui. Credeva che avremo potuto risolvere oppure che avrei potuto trovare qualcun altro con cui divertirmi» replicò Alec seccamente.
«E quel licantropo ti sembra la migliore distrazione?» ribatté Magnus con rabbia.
«Perché? Perché tu puoi strusciarti contro quella sottospecie di albero mentre io non posso nemmeno provare a dimenticarti?» urlò Alec con lo sguardo infiammato.
«Alec sei ubriaco».
«Sai come ho passato queste ultime due settimane? Non sono mai uscito da camera mia, a malapena mangiavo, persino mio padre ha iniziato a preoccuparsi per me! E tu invece cosa hai fatto? Hai organizzato una festa ogni sera e hai trovato sempre una distrazione! Mi chiedo se tu mi abbia mai veramente amato»le guance di Alec erano diventate rosse per l'ira e la voce era tagliente come una lama.
«Non puoi davvero pensare che io non ti ami»replicò lo stregone con rabbia.
«E allora perché mi hai lasciato?».
«L'amore non basta a tenere unite le persone» rispose Magnus cercando di controllare la voce: sapeva che Alec era sotto l'effetto delle polveri fatate e che tutto quello che diceva era gonfiato, ma faticava comunque a mantenere la ragione. «Servono anche interessi comuni, comunicazione, fiducia», l'ultima parola, però, la pronunciò più velenosamente di quanto avesse immaginato.
«Fiducia?» rise Alec, «ti ho raccontato tutto della mia vita. Ma ho commesso solo un errore, un singolo passo falso che tra l’altro non avrei mai osato fare. Ma tu... Tu e il tuo misterioso passato. Non so nemmeno quanti anni tu abbia in realtà!».
«Alexander...» disse Magnus muovendosi verso di lui, ma si fermò quando incrociò di occhi furenti di Alec.
«Non chiamarmi così!» esclamò il Nephilim, «sai qual è l'unica cosa che mi fa andare avanti?» chiese con un sorriso su quel volto triste.
«Cosa?» sussurrò Magnus senza più forza.
«Il tuo senso di colpa» rispose Alec ritrovando la calma.
«Senso di colpa?» domandò confuso lo stregone.
«Sì. Il senso di colpa che proverai quando mi farò uccidere, perché mi farò uccidere. Io ti odio Magnus, e l'unica consolazione che mi rimane è sapere che soffrirai, come sto soffrendo io, ogni volta che mi penserai. Il senso di colpa che proverai sapendo di avermi ucciso ti seguirà per l'eternità, questa è la mia unica consolazione» rispose Alec con calma sostenendo lo sguardo felino di Magnus.
Il silenzio calò tra loro, Magnus rimase immobile mentre quelle parole sussurrate lo colpirono più di quanto avrebbero potuto fare urla di rabbia.
Con un ultimo sguardo Alec lasciò la stanza e Magnus da solo con l'eco di quelle frasi ancora nell'aria.
 
 
 
Alec uscì quasi di corsa da quella casa, ma non riuscì ad andare molto più avanti: si accasciò contro il muretto del marciapiede dalla parte opposta del palazzo.
L'aria fredda di Dicembre sembrò svegliarlo dal torpore delle droghe; con i brividi che percorrevano tutto il suo corpo si girò di lato e vomitò. Il suo corpo stava rigettando tutte le polveri fatate, ma il senso di nausea era dato anche dalla conversazione appena avvenuta.
Non avrebbe mai voluto dire quelle cose, non le pensava davvero ma l'effetto dell'alcool aveva portato alla luce pensieri che lo avevano tormentato la notte quando pensava che Magnus non l'avesse mai amato oppure quando la rabbia prendeva il sopravvento.
Ma ora lì, steso a terra, tremante più per il dolore che per il freddo, non poteva evitare il senso di colpa; voleva tornare dentro, cercare Magnus e digli che non pensava davvero quelle cose, ma la disperazione non lo faceva muovere, lo teneva con le spalle al muro impedendogli perfino di respirare. Si prese la testa tra le mani, sperando che il dolore lo abbandonasse o che fosse talmente forte da fargli perdere i sensi.
Si sorprese quando una mano gli toccò i capelli facendogli alzare lo sguardo per incontrare un paio di occhi ambrati.
«Torniamo a casa» disse Jace con la dolcezza di un fratello e aiutò Alec ad alzarsi, sorreggendolo per tutto il tragitto.
 
 
 
L'appartamento era buio e silenzioso.
Aveva cacciato tutti e ora rimaneva soltanto il fantasma della festa di poco prima. La luce della luna che filtrava dalle finestre illuminava il soggiorno facendo scintillare le decorazioni appese al soffitto e alle pareti. Magnus era in piedi accanto al bancone su cui erano appoggiate bottiglie semivuote dai colori più vivaci.
Le parole di Alec continuavano a tormentarlo, il viso del ragazzo, la sua espressione, continuava ad affiorargli nella mente ogni volta che chiudeva gli occhi.
"Il senso di colpa che proverai sapendo di avermi ucciso ti seguirà per l'eternità".
Il respiro dello stregone accelerò e la rabbia lo colpì all'improvviso.
Con un solo gesto rovesciò il tavolo facendo cadere tutto ciò che vi era appoggiato e mandando in mille pezzi le bottiglie di vetro.
Schegge di vetro, alcool e sangue si mischiarono sul pavimento mentre oltre al dolore che Magnus provava nel petto si aggiunse quello delle ferite sui piedi nudi provocate dal vetro.
Lo stregone si allontanò dal disastro lasciando impronte rosse fino al muro su cui si accasciò prendendosi la testa tra le mani.
Non avrebbe mai dovuto lasciare andate via Alec.
Il Nephilim pensava davvero che non stesse soffrendo?
In quelle due settimane aveva cercato ogni modo per dimenticare il viso di Alec, ma nonostante fosse arrabbiato con lui nulla era riuscito a risollevarlo.
Ma lui non poteva permettersi di rintanarsi in casa per sempre; aveva i suoi clienti, i suoi doveri e non poteva permettersi di sembrare a pezzi, di essere debole; doveva calarsi nella parte, mettersi la maschera dell'indifferenza. Ormai grazie a secoli di esperienza aveva imparato a fingere, aveva reso la sua maschera di ferro inattaccabile, in modo tale che nessuno mai avrebbe potuto vedere quanto in realtà fosse distrutto.
Ma adesso che anche Alec lo odiava, sarebbe mai riuscito a ricucire i pezzi del suo cuore lacerato?
Era solo, più solo di quanto fosse mai stato in vita sua e in questo momento l'idea della morte gli parve una dolce alternativa all'eternità di dolore che lo aspettava.
  
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