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Autore: DelilahAndTheUnderdogs    03/04/2013    0 recensioni
Ellen, figlia ribelle e certamente non consona ai canoni di Rachel Berry, si sposterà con la madre a Lima, Ohio per una rimpatriata fra vecchi compagni di scuola. Riuscirà la nostra eroina (Ellen) a trovare, finalmente, una persona che la ami per quello che è?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rachel Berry
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Pretty, pretty baby tin toy maybe'
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Desclaimer (se si scrive così): i personaggi non mi appartengono se non ai rispettivi autori di Glee tranne i personaggi che ho creato io. Non sono mie nemmeno le citazioni di film, libri o canzoni (a parte i Flats, i Meggie in the basement e The Ballad Of Us). Spero che vi piaccia ;)
 


Have you ever seen the rain?
 


I see the bright and hollow sky
Over the city's ripped backsides
And everything looks good tonight

(Iggy Pop, ‘The Passenger’)

 


La ragazza camminava spedita lungo quei corridoi. Aveva occhi di falco color nocciola, la bocca sottile contratta per il nervosismo e i lunghi capelli color del corvo raccolti in una piccola coda alta. Portava una felpa aperta color verde marines, con sotto una maglietta rossa con la scritta “What other kind of shenanigans can I get into?” anche se preferiva quella con “Hold on, I’m on my hamburger  phone”  ma aveva optato per una maglietta più larga visto che il suo pancione faceva capolino tra la felpa quasi come se la stesse sfondando, i jeans sbrindellati che ricadevano sulle scarpe in modo annoiato, le scarpe erano delle vecchissime Nike Tennis Classic bianche con il logo rosso che avevano il rispettivo nome Marty e McFly. Non capiva ancora il perché aveva seguito sua madre in Ohio: odiava Lima e l’odore di fritto che alleggiava nell’aria, odiava andare a trovare i suoi nonni e, soprattutto, odiava la maggior parte dei teenager che abitava da quelle parti perché avevano quell’aria So-tutto-io che lei mal sopportava. Tutto per una stupida lettera dall'ex-liceo di sua madre; che riuniva i vecchi membri delle Nuove Direzioni, il Glee Club locale. Mamma non voleva di certo sfoggiarla: non era mai stata orgogliosa di lei, men che meno come ora. Prima di tutto a scuola (frequentava la Carlton High School a Carlton, Minnesota) era nel Club di Teatro e si dava arie da grande attrice, sognava di diventare come Eleonora Duse il suo idolo più grande e calcare le scene di tutto il mondo, le piacevano i film kolossal, horror e splatter come“Via col vento”, “Rosemary’s Baby”  e  “The Wizard of Gore”, la sua stanza era tappezzata da poster di film come “Stacy-Attack of the Schoolgirl Zombies”, “La bestia uccide a sangue freddo” o “La casa”, rock band come i “Flats”,  “Meggie in the basement” e i vecchi “Ramones” e gli “Smiths”.  Secondo, quando parlava sembrava una critica cinematografica e ogni volta sua madre la zittiva infastidita, adorava Halloween in modo così insano vestendosi ogni anno da Mercoledì Addams mandando su tutte le furie sua madre (non capendo il perché in effetti), o citando libri che sua madre manco conosceva. Judy, sua sorella, era quella perfetta: ambiziosa, piena di talento canoro e la copia sputata di sua madre nel modo di porsi e di quel che le caratterizzava. Studiava alla NYADA e di certo mamma non l’avrebbe scomodata per tutto l’oro dei lepricauni. Si era seduta in un’aula vuota: aveva messo su le cuffiette, aveva messo il suo pezzo preferito “Loose Lips” di Kimya Dawson. Aveva appena aperto un fumetto dei Peanuts, quando una mano le si posò sulla spalla. Lei si voltò e vide un volto famigliare, incorniciato da capelli biondo acero con una delicata frangetta e il suo viso era spruzzato da lentiggini: era Phoebe Evans, sua madre aveva fatto parte del Glee Club insieme alla sua. Si erano incontrate quattro o cinque volte in tutto, quando sua madre tornava per il Chanukkah o per altre festività, i nonni materni di Phoebe abitavano lì vicino. La sua figura era longilinea, i suoi occhi azzurri e velati da una consapevole malinconia che Ellen non aveva visto in nessuna persona, la bocca piena sempre sorridente. Quel giorno portava un maglioncino giallo con sotto una camicetta azzurrina e una gonna a pieghe a fantasia scozzese. I suoi genitori lavoravano tutto l’anno a New York e lei non li vedeva quasi mai. Per questo aveva deciso di non abbandonare del tutto la sua infanzia, stando sempre fra le nuvole. “Com’è andato il viaggio?” chiese la ragazza inclinando leggermente la testa.                                                                                           
“Beh…”

Flashback
La giornata era limpida e tersa, una Toyota Previa correva liscia lungo la strada. Nell’abitacolo suonavano le note distorte dei ‘Flats’ con la loro hit The Ballad Of Us: I’m so bad for me/Don’t you see?/This nation is going to die/Now we’re falling, don’t you think?/I want to apologize you/for every mistake you take/I’m not frozen/Hang around/Play a C minor/ And take me now/Your eyes are plenty of melancholy/And cheeriness, too, so I forgot you.  Alla guida c’era Ellen, con gli occhi fissi sulla strada. Era un’ora che sua madre ripeteva cose del tipo “ricordati di non mettermi in imbarazzo davanti ai miei amici, non parlare col tuo solito linguaggio, non conversare a bocca piena durante il ricevimento”.  Se volevi lustrarti agli occhi altrui, cara la mia Rachelah, potevi portarti dietro mia sorella, pensò Ellen arrabbiata. Intanto, sua madre cercò di cambiare canzone ma Ellen replicò immediatamente con: “Macchina mia, regole mie” e Rachel si mise a guardare una rivista di animali e quando vedeva un gatto si inteneriva. Qui iniziò la seconda discussione. Ellen disse:
“Non ne avremo mai uno, scordatelo”                                                                                                                                                    
“No, non l’abbiamo, e sai perché? Perché sei allergica al loro pelo. Quando sloggerai fra due anni me ne comprerò a bizzeffe.”                                                                         
“Whoa, sogna in grande!”                                                                                                         
“Vatti a far benedire, ragazza”
Fine Flashback

“Angosciante come Uccelli di Hitchcock” concluse Ellen guardando Phoebe con attenzione, come se si potesse rompere da un momento all’altro. “E a te? Come è andata con i tuoi?”                                                                                                                
“Bene dai, sono stati molto gentili con me. Mi hanno riempito di premure queste due ultime settimane da quando sono tornati da New York. E poi tua mamma ti vuol bene, Ellen, solo che tu non te ne accorgi”                                                                                     
“Phoebe, non è colpa mia se tua madre è una figa mentre la mia è una pazza isterica a cui serve una sana scopata e un buon dottore.” Disse Ellen con aria di sufficienza. Phoebe si mise a ridere di gusto e la stanza si riempì della sua risata cristallina. Di colpo, come un impetuoso uragano, entrò Rachel urlando che le stavano aspettando. Ellen alzò lo sguardo e inarcò il sopracciglio destro in modo vistoso, con aria di sfida e fece finta di continuare a leggere. Phoebe guardava la scena attonita. Rachel si avventò sul libretto e glielo strappò di mano.                                                                         
“Ora venite signorine, non ve lo ripeto” disse con calma sventolando il fumetto. Ellen si alzò imbronciata e la seguì, mentre lei metteva in borsa il libricino. Entrarono in un aula rettangolare, e si sedette sulla prima sedia libera che trovò come se le mancasse la terra sotto i piedi. Scartò frettolosamente un involucro di alluminio, contenente un trancio di pizza hawaiana che cominciò a divorare voracemente. Sua madre alzò gli occhi al cielo, roteandoli velocemente commentando con: “Sei un caso disperato” intanto Phoebe prese posto accanto a lei. L’aula si riempì di colpo e sua madre salutò uno a uno chiunque entrasse. Ellen si sentì imbarazzata, che poteva mai dire a queste persone che avevano sfondato? Per la prima volta in vita sua aveva capito cosa volesse dire ‘essere un pesce fuor d’acqua’. Guardò attentamente i loro volti: vide molta nostalgia nei loro sguardi, dovevano averle passate tante assieme. A un certo punto prese la parola un professore, un tempo certamente affascinante, ma che ora cadeva solo a pezzi. “Buongiorno a tutti, e per chi non mi conosce sono William Schuester. Okay, si comincia …” e partì con un jazz potente, una cosa da lasciare senza fiato, qualcosa da brivido. La sua voce calda riempiva tutta la stanza. Ellen si sentiva inerme: quella sensazione l’aveva già sentita da qualche parte. Nei suoi ricordi in quel momento c’erano una stanza e un pianoforte nero a coda. E un uomo. Un uomo che aveva conosciuto tanto tempo fa e che ora non rimembrava più il nome. I suoi tratti erano confusi, opachi. Quando ebbe finito scrosciò un lungo applauso. Tutti si presentarono: c’erano una biondina che di nome faceva Hekima* Puckerman, una bambolina di porcellana con dolce indole che si chiamava Lucille Anderson, una ragazza dai lineamenti decisi e sofisticati si presentò come Clara Lopez, una specie di folletto di nome Seymour Flanagan, una ragazza con i capelli ricci, gli occhiali, la pelle color cioccolato e gli occhi azzurri cinguettò il nome Constance Abrams e infine si presentarono un ragazzo asiatico, un certo Mick Chang e Phoebe Evans. Il ragazzo dai tratti orientali stava guardando incantato Ellen. Osservava rapito le sue meche blu, gli ricordava una vecchia di sua madre al primo anno di liceo. La ragazza si alzò, fece un piccolo giro su sé stessa e si presentò ai presenti come ‘Ellen Weston, la figlia ribelle della donna fortunata senza gioia chiamata comunemente Rachel Berry’. Si sedette su una sedia, imbracciò la sua chitarra e si mise a cantare con voce leggermente ruvida una canzone dei Creedence Clearwater Revival, ‘Have you ever seen the rain?’:

Someone told me long ago                                                                                                        
There's a calm before the storm,
I know;                                                                                                                                          
It's been coming for some time.
When it's over, so they say,                                                                                                                        
It'll rain a sunny day,
I know;                                                                                                                                                       
Shining down like water.
I want to know, Have you ever seen the rain?
I want to know, Have you ever seen the rain?
Coming down on a sunny day?
Yesterday, and days before,                                                                                                     
Sun is cold and rain is hard,
I know;                                                                                                                                       
Been that way for all my time.
'Til forever, on it goes                                                                                                                              
Through the circle, fast and slow,
I know; It can't stop, I wonder.


“E non hai voluto entrare nel Glee Club a Carlton?” asserì a braccia conserte Rachel Berry.                                                                                                                                          
“Beh, Rachelah, faccio già parte del Club di Teatro non ti basta?” aggrottò le sopraciglia l’altra ragazza.                                                                                                        
“Ok, piccole Berry: stronchiamo questa discussione sul nascere” disse benevolo il professore, allentando l’atmosfera.                                                                                           
“Io non sono Rachel Berry, io sono una persona completamente differente” disse in un sussurro quasi percettibile. Corse nel bagno più vicino, e si nascose dentro piangendo sommessamente.                                                                                               
“Apri” disse una voce baritonale, bussando insistentemente la porta.                                   
“Va' via” urlò Ellen con tutto il fiato che aveva in gola.                                                       
“No, non me ne vado finché tu non mi apri questa fottuta porta” affermò con voce irremovibile.                                                                                                                                      
“Chi cazzo sei, eh? Ti ha mandato mia madre?”                                                                     
“Sono Mick – si sentì uno sbuffo da parte di Ellen – e comunque sono venuto di mia spontanea volontà”  lei si lasciò convincere, gli aprì la porta. Di colpo lei si accasciò di nuovo, singhiozzando ancora più forte di prima. Lui si sedette accanto a lei, accarezzandole dolcemente i capelli, ciocca per ciocca. Deglutì sonoramente, voleva dirle qualcosa per tirarle su il morale. Tutto ciò che riuscì a dire, fu un balbettio:                    
“Te l’hanno mai detto che sei dannatamente bella?” lei si volse verso il suo viso in fiamme, arrossendo violentemente anche lei.                                                               
“Veramente, credo che nessuno si sia mai dato la briga di guardarmi attentamente, caro il mio Glenn**” lui la guardò per un minuto buono.                                          
“Nemmeno colui che ha compiuto questo pasticcio?” concluse riferendosi al pancione, guardandola di sottecchi.                                                                                  
“Beh… lui ha detto che sono solo carina. Però credo che questo non valga.” Rise, mettendosi una mano sulla bocca.                                                                                          
“Che ne dici di tornare di là e fare buon viso a cattivo gioco?” disse Mick porgendole la mano.                                                                                                                            
“Credo che si possa fare, in fin dei conti. Dopotutto, mi sono sfogata.” Disse prendendo la mano di Mick. E detto questo si avviarono verso qualcosa di ignoto e speciale.  








































Note
*Hekima in swahili significa saggezza.

**Glenn è un personaggio di The Walking Dead.
 

   
 
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