Endecasillabi faleci.
«Baciami
mille volte e ancora cento
poi nuovamente mille e ancora cento,
e dopo ancora mille e ancora cento,
e poi sommeremo le migliaia
tutte insieme per non sapere mai a quanto ammontino
perché nessun malvagio possa fare il malocchio
sapendo quanti sono i nostri baci.»
Il
mugolio strozzato dell’ascensore era fastidioso e necessitava di certo di
essere sedato; guardando davanti a sé Magnus aspettava quasi ansiosamente di arrivare
alla loro destinazione, ansia che era brillantemente nascosta da strati di
glitter e eyeliner e una calma imposta, misurata.
Era
uscito con Isabelle… sì, compagnia gradevole soprattutto
se si trattava di girare negozi per guardare (e comprare) i capi assolutamente
fantastici delle nuove collezioni. Lei, a differenza del fratello, sotto quel
punto di vista era quasi migliore. Si
girò un attimo verso la ragazza che frugava insistentemente in una borsa di
cartone spesso alla ricerca di una collana che aveva comprato e che intendeva
regalare alla madre visto il compleanno suo prossimo.
La
gabbia metallica si fermò lamentandosi un’ultima volta, quando si aprì Church
non c’era.
«Strano.»
Borbottò Isabelle con calma e senza troppa preoccupazione, fece un passo in
avanti e si girò vero lo stregone, «Vado a preparare il caffè, la macchinetta
che hai regalato tu è semplicemente fantastica!»
«Le
cose migliori per i migliori, tesoro.» Rispose con quel suo lievissimo accento
tra l’olandese e l’indonesiano che tendeva a sparire, sciogliersi sulla punta
della lingua – lui stesso non ci faceva caso. Guardò a destra e poi a sinistra
mentre i passi di Isabelle e il fruscio delle borse sparivano in lontananza,
mosse appena le spalle rilassate e fasciate da un montgomery blu scuro aperto e
si diresse verso la biblioteca.
Era
stato più volte all’Istituto anche anni addietro. I Lightwood
erano soliti a chiamarlo per un’amichevole
tazza di tè e si finiva sempre a parlare di cose sgradevoli, il tutto con
velati insulti, anche se Magnus non era solito a prenderli sul serio – almeno
non da una famiglia che non vedeva di buon occhio qualsiasi creatura al di
fuori dei Nephilim praticamente per tradizione. Quel
pensiero lo fece sorridere, un sorriso che sembrava più una smorfia, e la sua
mente fu invasa dal dolce, caldo pensiero di Alec.
Quando
pensava a lui, il suo viso con quel sorriso accennato e una lievissima fossetta
sulla guancia gli appariva limpido nella mente come il riflesso di Narciso sul
lago o come l’esplosione di una stella – semplicemente brillante, gli occhi luccicavano
sempre di un blu innaturale e i capelli neri erano leggeri e davano l’impressione
di essere talmente morbidi al tocco da essere fatti di seta. Allo stesso tempo
l’idea che il ricordo di quel viso potesse essere logorato nel tempo lo
terrorizzava: quanto ci avrebbe messo a ricordarlo tra cinquanta, cent’anni? Le
linee che ora gli sembravano così perfettamente memorizzate sarebbero state
così precise in futuro? Era più intenzionato che mai a trovare una soluzione.
Ma
non era il momento né il luogo adatto per pensarci, Magnus, fermo sulla soglia
della porta della biblioteca, lo vedeva.
Seduto
scompostamente su una poltrona scura e spaziosa, la spalla sinistra appoggiata
per metà sullo schienale, il gomito destro che puntellava il bracciolo e la
mano chiusa a pugno sulla guancia a sorreggere il capo, le gambe piegate vicino
al busto con i piedi sull’appoggio opposto, un libro rilegato in cuoio scuro abbandonato
mollemente sulle cosce. Il suo corpo fasciato dai soliti vestiti scuri (Magnus
poté notare un buco sui jeans neri e il collo sfatto della maglia scolorita)
illuminato dal sole che entrava dall’ampia vetrata, sul tavolino di fianco ad
Alec riposava Church; entrambi sembravano godersi il tepore casalingo di quella
stanza.
Fece
qualche passo in avanti, silenzioso e felino, le pupille si assottigliavano
mano a mano che Magnus si avvicinava alla luce; Alec alzò lo sguardo notando un’ombra
– un’ombra particolarmente colorata – farsi sempre più avanti; dal canto suo
Alec era rientrato circa dopo pranzo dal Taki’s Diner con Jace e Clary (i due l’avevano poi abbandonato bellamente per
amoreggiare sotto l’ombra di qualche parco, ma non erano fatti suoi – e lui
aveva rifiutato l’invito di Magnus ad uscire con lui e Isabelle) e, non sapendo
cosa fare, si era scelto la postazione e creato l’angolo di paradiso,
immergendosi poi nella lettura, «Magnus!», sembrava sinceramente sorpreso nonché
felice. Si alzò e mise il libro girato verso il basso sulla poltrona in modo da
non perdere la pagina, un brivido gli attraversò la schiena quanto i piedi nudi
si posarono sul pavimento.
«In
persona, fiorellino.» La voce calda avvolse Alec come un lenzuolo e il Nephilim non mancò di passargli le braccia attorno al collo
e stringersi a lui, accennando un sorriso mentre un braccio dello stregone gli
fasciava la vita. Alec si allungò in avanti per superare quei pochi centimetri
che li separavano e premette le labbra sulle sue, come se non lo vedesse da una
vita.
Sembravano
una coppia sposata.
Si
staccò piano, come a voler prolungare il contatto e memorizzare ogni sapore e
sensazione relativi alla bocca dello stregone, mise i piedi saldamente a terra
e con lo sguardo cercò gli occhi di Magnus, brillanti sotto il sole, che
tuttavia vagavano distrattamente dietro le spalle del giovane.
«Che
ci fai qui? Pensavo che dopo una giornata di shopping tu volessi tornare a casa. E poi dovevo passare io stas―»
«Izzy, la tua amabile sorellina dal buon gusto mi ha offerto
un caffè per ringraziarmi della... – finse di cercare la parola adatta - … passeggiata.»
Una
risatina strozzata salì dalla gola di Alec, come se trovasse tutto una
barzelletta «E’ molto soddisfatta di saper usare la macchinetta dal caffè.»
«Immagino
che usandola riesca a fare qualcosa di buono in cucina – d’accordo non saper
fare i pancakes, ma il caffè!» La vena ironica di Magnus non cessava mai di
esistere; prima che Alec potesse rispondere, si chinò verso la poltrona e
afferrò con l’uso della pinza superiore il libro, posandoselo sul braccio come
se questo fosse un leggio e sfiorando con l’altra mano anellata
le pagine scritte in latino, dopo qualche secondo prese a parlare, guardando
con curiosità i fogli – curiosità simile a quella che viene quando si guardano
vecchie foto, «Latino? Mi stupisci tesoro, sapevo che leggevi latino per gli studi… ma per svago!»
lasciò la frase sospesa.
Alec,
quasi geloso, gli prese il libro dalle mani e lo chiuse perdendo il segno e
poggiandolo nell’angolo di tavolo libero in modo da non infastidire il gatto, «Catullo»
disse in un primo momento, quasi titubante «Catullo è ok…
cioè, mi piace.»
Magnus
allora si sedette sulla poltrona, un braccio si allungò ad artigliare la maglia
di Alec e a trascinarselo sulle gambe, questo perse l’equilibrio e cadde su di
lui esattamente nella posizione che voleva Magnus, perpendicolare a lui,
appoggiato contro il bracciolo. Lo sguardo dello stregone sembrava miele, le
pupille verticali una linea brillante e scura. Non c’era niente di più bello
dello sguardo innamorato del Sommo Stregone di Brooklyn.
Con
una mano il Nascosto andò a spostare un ciuffo di capelli dal volto di Alec e,
dal niente, iniziò a recitare quei versi «Da
mi basia mille, deinde centum, | dein
mille altera, dein seconda centum, | deinde
usque altera mille, deinde centum. | Dein,
cum milia multa fecerimus, | conturbabimus illa, ne sciamus, | aut ne quis malus invidere possit, | cum tantum sciat esse basiorum.» la voce era calda e sensuale, c’era
qualcosa di molto più romantico delle rose in quei versi vecchi più di Magnus,
in quella musicalità perfettamente studiata, precisa. La mano posata sulla
guancia del Nephilim e il pollice che disegnava
piccoli cerchi sulla pelle candida seguiva il ritmo scandito dei versi, Alec si
rilassò tra quelle braccia e ascoltò quelle parole, pregando nel suo profondo
che continuasse a parlare in quella lingua sconosciuta ma perfetta se uscita
dalle labbra di Magnus che, tra parentesi, Alec capiva.
L’atmosfera
era quasi magica, surreale. Come un universo parallelo senza tempo dove lo
spazio iniziava e finiva in quella biblioteca. Pochi secondi, giusto quelli
utili per recitare un pezzo di poesia e ritrovare tutta la serenità di mille
anni.
«Non
sapevo sapessi anche Catullo a memoria.» Il tono di Alec era basso, come se
stesse dicendo un segreto. Si tirò su dritto con la schiena, il viso
vicinissimo a quello di Magnus e gli occhi catturati da quelli verdognoli.
«So
molte più cose di quante tu possa immaginare, fiorellino.»
«Dimmene
una.» Una, solo una. Gli bastava sentire Magnus parlare, averlo vicino e
lasciare che il suo cuore s’inondasse di quella marea che era la voce dello
stregone che amava tanto.
«La
quinta carmina
del liber catulliano è
scritta in endecasillabi faleci. E anche io sono capace a dare tutti quei baci,
bisogna solo trovare qualcuno abbastanza paziente.» Ridacchiò, la prima verità
la sapeva anche Alec e ne era sicuro; la seconda… era
un mistero anche per lui, in realtà.
Alec
sorrise, un sorriso brillante come il sole e allegro come quello di un bambino.
Scattò in avanti lasciando un veloce bacio sulle labbra a Magnus, come per
provocarlo, si allontanò poi e si morse il labbro inferiore, arpionandolo
delicatamente con i denti, gli angoli della bocca ancora tirati verso l’alto «Io
ho tanta pazienza.»
Non
ci fu risposta, Magnus si strinse Alec vicino e le labbra dello stregone
catturarono quelle dell’altro. Tremilatrecento baci. Una mano andò furtivamente
ad accarezzare un lembo di pelle del Cacciatore e questo si lasciò scappare un
sussulto strozzato che gli morì in gola, sciogliendosi poi sotto il tocco
leggero.
Isabelle
con il caffè in una grande tazza blu era appoggiata allo stipite della porta
della sala e sorrise serena, tremendamente felice nel vedere i due così avvinghiati
e soddisfatti nel loro piccolo mondo, troppo impegnati a baciarsi per dar retta
al mondo di fuori. Ed era giusto così.
Silenziosamente,
andò in camera a provarsi i vestiti.
Anche
lei, forse, avrebbe trovato un Catullo che le potesse dare tutti quei baci.
~endecasillabi
faleci
Fine.
A
volte ritornano ▪ Note inutili d’Autrice.
Ebbene,
miei prodi cavalieri. Eccomi qui.
Assolutamente
senza pretese (sì è notato, grazie), prodotto di noia pomeridiana e un’ora
di letteratura latina che va a riprendere gli amori perduti (♡). E poi Catullo
piace a tutti(…). Ok, lasciamo stare.
Tutta
questa cosa è ovviamente da intendere in un futuro felice dove regnano la gioia
e la serenità(?), JONATHAN CRISTOPHER (scusate, mi diverto troppo) è morto per
sempre - kaput, e ovviamente la Malec è qualcosa di
felice e sereno, e non più quel covo di angst
maledetto che spinge al suicidio.
Voi
vi ricordate quando la Malec era felice? Io no.
*coff*
Come detto prima questa shot non ha nessuna pretesa
particolare, tranne quella di strappare qualche vago sorrisino qua e là in
onore dei tempi perduti(?) e delle speranze che verranno – in attesa del giorno
del giudizio a settembre 2014.
Ci
sono un paio di cose da argomentare per chiarire alcuni passi della fiction,
giusto perché sono informazioni trovate in giro o comunque dentro il bagaglio
della Malec. In particolare il riferimento all’amichevole tazza di tè con i Lightwood, è dato dal fatto che, (non mi ricordo chi o
dove, probabilmente l’ha detto la Cassie – e ho letto anche qualche fan fiction
a riguardo, non picchiatemi çwç) Magnus incontrava
spesso Maryse e Robert per alcuni fatti che riguardavano
i Nascosti e New York & co, e che Magnus aveva
già visto Alec da bambino che giocava; e poi i Lightwood
non hanno mai visto di buon occhio i Nascosti (shadowhunters’
wiki, yeah), e né Maryse né Robert sembravano voler prendere sul serio la
storia tra Magnus e Alec. L’unica versa sostenitrice della Malec
è Isabelle, non possiamo farci niente.
La
seconda cosa è riferita all’accento di Magnus – è nato a Batavia
(oggi Giacarta), in Indonesia che un tempo (1640, ovvero l’anno di nascita di
Magnus) erano le Indie orientali olandesi; la madre era per metà indonesiana e
per metà olandese. E quindi niente. (Questo sono sicura l’ha detto la Cassie, eheh)
E
quindi! ♡
Spero
che vi sia piaciuta, almeno un pochettino-ino-ino.
Fatto ‘sta che sono bellissimi, loro, il latino e l’aramaico antico. ç.ç
Alla
prossima(?)!
● scots.