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Autore: mamie    05/04/2013    4 recensioni
Un missing moment tratto da "Il tempo della guerra".
Geralt viene assoldato dai coloni di Burdoff per uccidere un lupo mannaro. Un lavoro facile, tutto sommato... ma le cose non andranno esattamente come previsto.
[Prima classificata al contest "Chi è il mostro?" di Mistic Sword]
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota: prima classificata al contest Chi è il mostro? di MisticSword.



TRA MOSTRI CI SI CAPISCE

 Quelli senza una forma ben definita sono i più facili. Non facili da uccidere, ovviamente, anzi, forse sono i più pericolosi da questo punto di vista. Però è più facile ucciderli senza farsi domande. Che sentimenti dovrebbero avere una kikomora o un kraken?
Una manticora invece già ti guarda con i suoi occhietti maligni, non umani, no, ma neppure del tutto estranei. Dietro quegli occhi intuisci un pensiero. Qualcosa di malvagio e alieno, qualcosa di contorto, ma pur sempre un pensiero.
Un vampiro poi… un lupo mannaro?
E uno strigo?
 
***
 
- Cinquanta corone. Di più non possiamo darti.
Il vecchio lo guarda con palese disgusto e fa di tutto per non toccarlo, ma Geralt non ci fa caso. Ormai si è abituato.
All’inizio quell’atteggiamento lo offendeva, ma ora non gliene importa più.
Mostro.
Quante volte se l’è sentito dire? Tante, da aver perso il conto da un pezzo.
Mostro, sì. Un mostro che per mestiere uccide altri mostri. Utile a volte, ma sempre meglio guardarlo da dietro una porta chiusa.
E le porte del villaggio sono chiuse. Tutte.
- Va bene - risponde.
Cinquanta corone per un lupo mannaro non sono poche, ma neanche moltissime. I soldi gli servono.
- Stanotte è luna piena. Chiudetevi in casa e non uscite.
Raccomandazione superflua. Non saranno certo gli abitanti di quel villaggio fangoso a dargli una mano.
- Adesso lasciami solo.
Ben felice di ubbidire all’ordine, anche il vecchio si dilegua dietro una porta chiusa.
 
Con la notte arrivano le strida delle civette, il frusciare dei pipistrelli. Tutti i suoni, i fruscii, gli scricchiolii che salutano i cacciatori notturni usciti in cerca di preda. Arriva anche l’ululato, lontano. Sembra più il lamento di un animale agonizzante che l’urlo di sfida di un cacciatore feroce o del predatore che, due lune prima, aveva sgozzato una bambina nel fienile dietro casa sua, senza che nessuno se ne fosse accorto. Il mostro che sfuggiva a ogni loro caccia, agile e inafferrabile.
Per questo avevano cercato lui, lo strigo, il macellaio, il massacratore di mostri.
 
***
 
Sentì, molto prima di vederla, lo scricchiolare dei piccoli passi sui rametti del sottobosco. La bambina arrivò correndo verso di lui, gli occhi spalancati e la bocca incapace di gridare. Sembrava che non l’avesse visto, tanto che ci andò quasi a sbattere. Quando lui la prese per le braccia, cominciò a divincolarsi.
- Non voglio farti del male!
Ci mise un bel po’ per convincerla.
- Cos’è successo?
La bambina non parlava. Ora stava tremando violentemente, senza cercare più di scappare. Aveva dei lividi sulle braccia e del sangue sulle cosce nude. I capelli arruffati e sporchi di fili di paglia.
- Hai visto il lupo?
Non riuscì a cavare nulla da lei.
- Vieni, ti riporto a casa.
All’inizio sembrava che facesse resistenza, poi si lasciò condurre per mano. Geralt aveva cercato di prenderla in braccio, per fare prima, ma sembrava che il contatto con lui la terrorizzasse.
Mostro.
Si vedevano già i tetti di paglia quando Geralt sentì il medaglione vibrare violentemente.
Si fermò, cercando di capire da dove veniva il pericolo, tenendo stretta la bambina perché non scappasse nella direzione sbagliata.
Un ululato. Vicino questa volta, vicinissimo.
Con la mano libera Geralt tirò fuori la spada e si voltò tenendo la bambina dietro di sé.
- Scappa, vai a casa – le disse senza guardarla, lasciandole la mano.
La bambina non si mosse.
- Scappa! – urlò lo strigo senza osare girarsi. Poi non ci fu più tempo. La massa nera che gli piombò addosso era incredibilmente forte e veloce. Aveva zanne e artigli che fendevano l’aria con un misto di rabbia incontrollata e istinto predatore. Geralt arretrò, schivò, colpì, fece una piroetta. In quell’attimo si accorse con terrore che la bambina era ancora lì, rannicchiata contro le radici di un albero, con le braccia sugli occhi come se, non vedendo, potesse essere non vista. L’istante di esitazione per poco non gli costò la testa. Gli artigli sferzarono l’aria, trovarono la carne e affondarono. Geralt si girò, urlò con tutto il fiato che aveva, colpì di nuovo cercando disperatamente di allontanare il mostro dal fragile fagotto ai suoi piedi.  Fu di nuovo atterrato da un colpo delle zampe potenti. Si mise in ginocchio a fatica, cercando di coprire la bambina col suo corpo. Il lupo mannaro incombeva su di loro. Avrebbe potuto finirli con un’altra zampata, con un morso delle grosse mascelle dai denti acuminati.
Non successe niente.
Il mostro mandò un guaito da cane bastonato e si allontanò di qualche passo.
Perché si è fermato?
Senza aspettare che riprendesse fiato Geralt saltò in piedi e cominciò a incalzarlo con i lampi veloci della sua spada d’argento. Ora era lui ad attaccare ferocemente, mentre il lupo mannaro si difendeva con sempre minore convinzione. Continuò ad attaccarlo da vicino e a farlo indietreggiare finché il mostro gli voltò le spalle e s’infilò nella spaccatura di una roccia che doveva celare una grotta. Geralt ci vedeva al buio come di giorno e non esitò un attimo a seguirlo.
La grotta era poco profonda, puzzolente, umida e senza uscita. Quella doveva essere la sua tana.
Solamente in quel momento, così, a pochi passi l’uno dall’altro, al buio, il lupo mannaro fissò le sue pupille scure in quelle da felino dello strigo. Poi, molto lentamente, abbassò gli occhi, si inginocchiò e chinò il capo.
Mi fai pena.
La grotta era piena dei loro respiri rauchi che stridevano sotto la bassa volta rocciosa.
Quella non era più una caccia. Era diventata un’esecuzione.
Geralt esitò, le dita che stringevano con forza la spada affilata. Sentiva la bocca amara e un sapore aspro riversarsi in gola. Il lupo mannaro non si era mosso.
La spada salì in alto e calò con forza in un unico, preciso colpo.
 
***
 
La bambina non era più dove l’aveva lasciata. Geralt sperò che fosse finalmente tornata a casa sua.
Era stanco. Troppo stanco per un lavoro così facile. Sentiva addosso il puzzo del sangue e del sudore e non vedeva l’ora di bere qualcosa per togliersi dalla bocca quel sapore amaro. Fu soltanto il suo udito fine a fargli cogliere un pianto sommesso, simile al verso spaventato di un animale in trappola, e poi un’altra voce che raspava e raschiava come quella di un furetto arrabbiato.
 
- Su piccola, non fare così. Perché sei scappata, eh? Per poco il lupo cattivo non ti mangiava…
Una risata, bassa, compiaciuta.
- Non avevamo mica finito noi due… adesso possiamo fare con calma.
Di nuovo quella risata e quel sottofondo di piccoli versi animaleschi. Poi un grido più forte.
- Zitta! Sta’ zitta, stupida! Vuoi fare la fine della tua amichetta? Devi stare zitta! Hai capito? Piccola puttana! Te le insegno io le buone maniere…
Il rumore graffiante di un coltello tirato fuori da un fodero di legno. Un altro grido più forte.
- Ti ho detto di stare…
 
Non riuscì a finire la frase.
La bambina gridò ancora mentre strisciava via da sotto il corpo che si contorceva inondandola di sangue.
Geralt torse la lama con forza e poi la tirò fuori con uno strappo. L’uomo continuò a contorcersi e a vomitare sangue per un tempo che sembrò lunghissimo prima di rimanere immobile, gli occhi sbarrati e la bocca aperta in una smorfia di stupore.
Le grida avevano attirato gente che ora si accalcava inorridita.
- Cosa ha fatto? Come? Cos’è successo? Mostro… Mostro…
Chi è il mostro?
 
***
 
 - Non era il lupo mannaro. È stato quell’uomo a sgozzare la bambina. L’avrebbe fatto anche all’altra se…
Geralt aveva cercato di spiegare al capo del villaggio l’intera storia, ma il vecchio si era limitato a buttargli letteralmente fra i piedi il sacchetto con le cinquanta corone sottolineando il gesto con uno sputo.
Geralt le aveva raccolte lentamente, senza tentare di protestare né di discutere. Aveva imparato da tempo che sarebbe stato inutile.
Si era girato ed era andato via fra due ali di gente che si ritraeva da lui come se fosse un appestato.
Aveva cercato gli occhi della bambina fra quella gente accalcata e alla fine li aveva trovati. Le aveva sorriso, ma lei si era ritratta ancora più indietro con una smorfia di paura sul viso.
A Geralt vennero in mente gli occhi del lupo mannaro. Occhi pieni di stanchezza, di orrore, di disperazione.
Uccidimi.
Quello era il messaggio inequivocabile che gli avevano mandato. E lui aveva fatto quello che gli veniva chiesto, perché era l’unica cosa che potesse fare, perché a volte la morte è più pietosa della vita, più leggera, ti guarda coi suoi occhi azzurri e ti prende per mano per guidarti attraverso un prato umido di nebbia.
E poi? Che cosa c’è poi, oltre la nebbia?
Niente. Oltre non c’è più niente.
 
Geralt si allontanò senza più guardarsi indietro. Aveva fatto quello che doveva fare. Nient’altro aveva più importanza. Alla fine, tra mostri, ci si capisce.
 
 
 
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Note: Le ultime frasi in corsivo sono tratte da “La spada del destino”.
La storia invece trae spunto da una frase del libro “Il tempo della guerra”:
E cinquanta per il licantropo dei coloni di Burdoff.
Cinquanta per un licantropo. Molto, perché il lavoro era stato facile. Il mostro non si era difeso. Sospinto in una grotta senza uscita, si era inginocchiato e aveva aspettato il colpo di grazia. Allo strigo aveva fatto pena. Ma i soldi gli servivano.
 




  
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