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Autore: DontMindMe    05/04/2013    2 recensioni
Sono invitati a cena dall'ammiraglio ma Stephen è impresentabile come al solito...
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“L’ammiraglio Harte spera di avere ospite a cena anche il dottor Maturin, stasera.” Annunciò il capitano Jack Aubrey rientrando nella cabina grande della fregata di Sua Maestà Surprise dove il chirurgo di bordo, nonché filosofo naturalista e suo migliore - per così dire - amico, Stephen Maturin, lo attendeva sorseggiando un caffé.
“Mh.” Mugugnò il dottore. “Suppongo di non poter declinare l’invito.”
“Vorrei poterlo fare anche io, fratello. Sai bene quanto mi sia sgradevole quell’individuo. Ma purtroppo nessuno di noi due può permetterselo. Harte è pur sempre un nostro superiore.”
“Dunque, pazienza, non posso oppormi. Quando vorrai, mi infilerò la giubba e ti seguirò sulla nave ammiraglia, mi siederò a quel tavolo, mangerò il dovuto e farò rispettosamente silenzio fino all’ultimo bicchiere di Porto.”
Jack lo squadrò brevemente con uno sguardo di critica. “Non vorrai venirci conciato così.” Domandò in tono quasi sconcertato.
“E tu non vorrai tornare a tediarmi con i soliti discorsi sul decoro della Royal Navy, sugli ufficiali come specchio della disciplina del capitano e tutta quella serie di amenità che vogliono privarci della nostra sacrosanta libertà di non avere voglia di raderci tutti i giorni!” Sbuffò Stephen riponendo la tazza ormai svuotata per la seconda volta.
“No, non tornerò a farteli perché ormai li conosci a memoria e sarebbe bene che imparassi a rispettare quelle pochissime regole che la vita in marina ti impone! Piuttosto ti chiederò di farmelo come piacere personale… perché almeno quando la semiparesi da sorriso ipocrita mi farà pensare all’ammutinamento, avrò qualcosa di bello da guardare.” Gli sorrise Jack.
“Qualcosa di bello da guardare.” Gli fece eco il dottore in tono sarcastico, con una smorfia simile ad un sorrisetto indignato. Quando non scorse che sincerità sul volto dell’amico, arrossì appena abbassando lo sguardo. Sapeva di essere in procinto di creare un precedente che poteva ritorcerglisi contro decine, se non centinaia di volte in futuro, ma lo stesso non riuscì a negarglielo.
“Non sono tua moglie, comunque.” Mormorò sottovoce in un tono che voleva, con scarso successo, essere acido.
“Se vuoi posso essere io la moglie, allora!” ridacchiò l’altro affilando il suo rasoio.
“Quanto vuoi che possa crederci se lo dici con una lama in mano?” sospirò Maturin. “E d’accordo. Parrucca ben incipriata, uniforme e camicia con le gale.”
“E calze di seta.”
“E calze di seta.” 
Stephen arrossì visibilmente e Jack gli posizionò un asciugamano al collo. Gli reclinò indietro la testa posandosela in grembo, gli accarezzò i capelli e con delicatezza iniziò a radergli la corta barba, risciacquando il rasoio di tanto in tanto in una bacinella d’acqua. Il dottore, da dove era seduto, osservava l’espressione assorta dell’amico, ascoltando il battito del suo cuore e valutando con quanta cura lo maneggiasse. Si sentì invadere da un senso di pace che raramente gli capitava di provare e si rilassò, lasciandosi andare a quella serenità così sorprendente.
“Ecco qui, sei di nuovo liscio come il culo di un lattante.” Gli sussurrò all’orecchio Jack finendo di asciugargli il viso e gli baciò affettuosamente una guancia, saggiandone la liscezza. Stephen chiuse gli occhi e si girò appena per catturare quelle labbra fra le sue in un piccolo, veloce bacio. 
Quel gesto, da insolito o sbagliato, era diventato per loro familiare e quotidiano, pur senza perdere la sua dolcezza, e Stephen si sentiva finalmente appartenere a qualcosa. La loro amicizia così particolare era durata anni, vissuti gomito a gomito, e nonostante i due fossero così diversi, si completavano talmente bene che ogni conflitto finiva appianato e che la loro unione ne risorgeva più solida di prima. 
Era un vero e proprio matrimonio, il loro, e dei più fortunati, anche.
Un annoiato bussare alla porta li interruppe e Killick, lo scorbutico famiglio del capitano, entrò nella cabina con fra le mani le uniformi di entrambi, ben spazzolate. 
“Grazie Killick.” Fece in tempo a urlargli Jack mentre l’uomo lasciava la cabina blaterando qualcosa a proposito della loro scarsa cura per le divise migliori e del fatto che poi toccava a lui smacchiare… spazzolare… rammendare… “Noioso leccapalle.” Aggiunse quando la porta fu già richiusa, e poi verso Stephen “Abbiamo trenta minuti per farci belli e raggiungere la nave ammiraglia, mio amato!”
“Sono più che sufficienti.” Disse Maturin iniziando a spogliarsi, seguito a ruota da Aubrey.
Ad infilare le brache, la camicia ed il panciotto riuscirono degnamente anche da soli; poi, come sempre, si annodarono a vicenda le cravatte scure e si aiutarono ad indossare le giubbe blu, pesanti di ricami e decori d’oro. Stephen spazzolò i capelli biondi di Jack e li raccolse in una bella coda stretta mentre l’altro ravviava i boccoli della parrucca da medico. Al dottore vennero in mente le scimmie macache a coda lunga dell’Indonesia, il loro spulciarsi in segno d’affetto familiare o come rituale d’accoppiamento e il paragone lo fece sorridere teneramente. Jack gli sistemò in testa la parrucca e vi soffiò sopra qualcosa di simile a della cipria che li fece starnutire entrambi, poi fece un passo indietro e lo guardò con un sorriso compiaciuto.
“Sei bellissimo.” Affermò Aubrey, dimostrando di crederci profondamente, e Maturin, di fronte a quel sorriso dolce e orgoglioso, non riuscì che ad arrossire e a ringraziare con una specie di inchino; le smentite sarcastiche se le sarebbe risparmiate, perché del resto a “sua moglie” Jack piaceva molto e quella sera, quindi, si piaceva molto anche lui.
  
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