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Autore: DazedAndConfused    05/04/2013    4 recensioni
Gli occhi di Layne ormai erano due pozzi opachi a cui però ogni tanto capitava di avere un bagliore improvviso, un guizzo della vitalità che un tempo egli aveva posseduto.
Song Challenge – Musicians ~ #1
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Layne Staley, Mike Starr
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Don’t Follow Alice In Chains

{Hey, I can’t meet you here tomorrow,

say goodbye, don’t follow}

 

Mike si stiracchiò languidamente sul divano, i muscoli intorpiditi per il troppo tempo passato a vegetarvi sopra o –ipotesi assai più probabile- per via delle pasticchette che s’era ingollato prima, senza tante cerimonie.

Era il peso degli anni –a proposito, quanti erano? Trentacinque? Trentasei?- a costringerlo a rimanere bloccato in quella posizione, si disse tra sé e sé, cercando di non ricordarsi quale fosse la vera croce che, imperterrito, continuava a trascinarsi appresso da innumerevoli lune.

Chiuse gli occhi e rivide se stesso bussare a quella porta qualche ora prima, una bottiglia di vino in una mano e un dolce nell’altra, e l’altro abbozzare l’ombra di un sorriso, lasciandolo poi sgusciare all’interno dell’abitazione.

Aveva anche ciarlato qualcosa a proposito del compleanno di McCready ma s’era interrotto quasi subito, come se quella fosse stata una riflessione a voce alta che però lui non aveva il diritto di ascoltare.

Riaprì gli occhi e rivolse uno sguardo distratto al tavolo un po’ lontano: la torta era ancora lì, intatta.

Di punto in bianco si ricordò del padrone di casa e, sporgendosi dal divano per cercare di capire dove fosse andato a cacciarsi, lo chiamò più volte.

La risposta non arrivò subito, ma ormai era prassi consolidata: sembrava che l’altro avesse dimenticato come si facesse a comunicare con il mondo esterno, troppo preso dai videogiochi e da altre puttanate per poter mettere fuori il naso, anche per un solo, misero secondo, dall’universo parallelo che la sua mente aveva forgiato per lui da un po’ di tempo a quella parte.

Fu solo un borbottio sommesso a condurre Mike nella giusta direzione, costringendolo ad alzare (a fatica) il culo dal divano e ad avventurarsi in quella casa che non aveva mai imparato a conoscere.

Ci mise un po’ per riuscirci, ma lo ritrovò rannicchiato in posizione fetale proprio sotto il tavolo.

Il bassista scostò la tovaglia e lo fissò: aggrovigliato com’era, poteva benissimo stare in una scatola.

-Layne…- lo chiamò nuovamente, la voce più bassa, quasi avesse paura di spaventarlo.

L’altro alzò finalmente lo sguardo e glielo piantò dritto in faccia, facendolo tremare: gli occhi di Layne ormai erano due pozzi opachi, a cui però ogni tanto capitava di avere un bagliore improvviso, un guizzo della vitalità che un tempo egli aveva posseduto. 

Poi, come se nulla fosse, lo distolse e tornò a pensare ai cazzi propri, stringendosi nelle spalle e dondolandosi al ritmo di una canzone che poteva sentire solo lui, le labbra che ne cantavano i versi senza lasciar trapelare alcun suono.

La consapevolezza che quelle braccia avrebbero potuto tranquillamente avvolgerlo più e più volte fece rabbrividire Mike: di fronte a sé non aveva altro che un mucchietto d’ossa con ancora un po’ di carne attaccata, pronta a lacerarsi alla minima abrasione.

Dieci anni prima non avrebbe scommesso nemmeno un nichelino sull’eventualità di ritrovarsi di fronte ad uno spettacolo agghiacciante come quello: a quei tempi era convinto del fatto che Layne sarebbe riuscito a domare la dipendenza –o almeno a conviverci più o meno pacificamente- e invece la puttana se l’era divorato lentamente, consumando il pasto con una ferocia nauseabonda e lasciando sempre meno briciole disponibili.

Mike temeva seriamente che Layne potesse fare la fine di Cobain; difatti, come l’uno otto anni prima aveva premuto sul grilletto, l’altro avrebbe potuto benissimo pigiare lo stantuffo e spingere l’ago fino in fondo, un po’ troppo a fondo.

Chiuse gli occhi, concedendosi qualche istante per far sì che quell’immagine non riuscisse a ferirlo almeno per una manciata di secondi, per poi riaprirli: Layne era ancora lì, magro da far paura, il colorito di un cadavere e il volto scavato come una maschera senz’anima ancora ben presenti, oscuri presagi di una fine che poteva sempre essere in agguato dietro l’angolo.

Lui stesso era il primo ad esserne consapevole: non aveva mai fatto mistero delle proprie condizioni, sapeva di essere sul ciglio di un burrone, di un buco in cui avrebbe strisciato per l’eternità, eppure non aveva smesso di farsi sottomettere da tutta quella merda.

Ma Mike sapeva bene quanto fosse difficile farla finita con la droga, quanto fosse dura uscire dall’ennesima clinica di riabilitazione e guardarsi in giro con lo sguardo smarrito, chiedendosi per la milionesima volta “Bene, e adesso che faccio?”, quanto poco ci volesse per infilare con foga un gettone nella prima cabina telefonica avvistata, pregando che lo spacciatore non avesse cambiato numero o –nella peggiore delle ipotesi- non fosse finito al fresco… quanto dannatamente bene si stesse tra le braccia di una siringa spremuta fino all’ultima goccia, e quanto miserabile fosse il momento in cui l’effetto degli stupefacenti cessava e non restava altro da fare se non specchiarsi e volersi sputare in un occhio, tanto era lo schifo che ci si trovava a provare nei confronti del proprio corpo e della propria volontà così deboli e volubili.

E poteva soltanto immaginare quanto meschini e patetici potessero essere i tentativi di escludere quella merda dal proprio quotidiano, quando tuo padre irrompe improvvisamente nella tua vita solamente per venirti a chiedere un po’ di roba da farsi –in tua compagnia oppure anche da solo, poco importa- e tu non sai più dove cazzo sbattere la testa…

Per questo non lo giudicava: chi era lui per poterlo fare?

Ciononostante non riusciva a risparmiargli gli sguardi preoccupati e a tratti compassionevoli che era solito rivolgergli di tanto in tanto e che sapeva lo facevano incazzare come una bestia.

Perché Layne non aveva bisogno della comprensione di nessuno, né tantomeno della pietà; Layne era venuto al mondo solo e nel medesimo stato sarebbe crepato, volente o nolente, e non ci sarebbero stati santi o Mike ad impedirgli di fare quella fine, quello era poco ma sicuro.

Improvvisamente il bassista notò che la sua cera, solitamente già pessima, era ancor più orribile di quel che era stato abituato a vedere negli ultimi anni; inoltre il cantante non riusciva a sostenere la propria attenzione su un oggetto per più di dieci secondi, costringendolo a vagare con lo sguardo per tutta la stanza e a farsi bruciare gli occhi per il troppo fastidio.

Mike non aprì subito bocca: si rialzò e, dopo essersi scrollato di dosso un po’ di polvere dai jeans, si allontanò dal tavolo.

Layne capì subito che c’era qualcosa che non andava, lo aveva intuito dai movimenti incerti ma allo stesso tempo convulsi dell’ex compagno di band, così si affrettò a chiedergli che cosa gli fosse preso.

“Chiamo il 911, Layne” tagliò corto quello, guardandosi intorno per cercare di trovare il telefono in tutto quell’ammasso di mobilia e sporcizia.

“Non… non dirai sul serio!” iniziò ad agitarsi l’altro, stropicciandosi la maglia con le mani. Le dita sembravano essere un’entità a parte, rigiravano il tessuto senza sosta, lo allisciavano e poi lo torturavano di nuovo, e questo senza che il loro padrone potesse rendersene conto.

Mike bloccò per qualche istante la propria ricerca, guardandolo sconsolato: anche da lì poteva notare quanto le falangi fossero sottili come le linee che una matita avrebbe potuto tracciare su un foglio, e quanta disperazione stesse bruciando nelle viscere di Layne.

“Certo che faccio sul serio! Non ti rendi conto dello stato in cui sei?” si riscosse, continuando la ricerca da dove l’aveva interrotta “Se non faccio qualcosa farai una brutta fine, e questo non lo posso permettere.”

“Ma si può sapere che cazzo vuoi da me?” urlò l’altro, la voce ormai ridotta ad un rantolo strozzato “Anche se fosse? Che cazzo te ne frega? Lo sappiamo benissimo entrambi che farò questa fine di merda! Cosa cambia anticiparla di qualche mese, cosa?”

“A me importa, Layne: sei mio amico, non posso lasciarti marcire in tutto questo schifo… Io… Io devo fare qualcosa, sì”

“Noi non siamo amici, Mike. Non lo siamo affatto, quindi puoi anche piantarla di preoccuparti per me.” concluse quello lapidario, incrociando le braccia sul petto.

Forse si era accorto del tic nervoso e stava facendo di tutto per reprimerlo, si disse tra se e se il bassista, ma finché le dita si ostinavano a vibrare in quella maniera non sarebbe riuscito a dare l’impressione di essere lucido e calmo.

“Che cazzo vuol dire ‘noi non siamo amici’? Me lo vuoi spiegare?”

“Senti, chiariamo le cose una volta per tutte: se chiami il 911 puoi anche considerare chiusa la nostra amicizia, ok?” lo interruppe l’altro, fissandolo con quelle capocchie di spillo che ormai si ritrovava al posto delle pupille.

Mike sostenne per un po’ lo sguardo, finché fu costretto a rivolgerlo altrove: fosse stato qualcun altro, sapeva che quello poteva essere un semplice capriccio e che poteva azzardare una telefonata, ma lì si stava parlando di Layne, e con Layne le mezze misure non erano contemplate. Se dava un ultimatum quello era: niente vie d’uscita, niente scorciatoie, solo un prendere e lasciare, un “assecondami oppure affoga nella merda che ti sei cercato”.

Semplice. Coinciso. Inequivocabile.

“… fanculo” borbottò finalmente il bassista, sedendosi sul divano e ignorando il sorrisetto irrisorio che era nato sulle labbra dell’altro… o almeno, ignorandolo per qualche manciata di secondi “e chiudi quella cazzo di bocca, che altrimenti passano gli spifferi!”

“Fanculo a te, stronzo!” sbottò Layne, non riuscendo però a smorzare le risate che gli stavano uscendo di bocca.

Anche Mike rise di gusto, godendosi quella sensazione di complicità serena che da troppo tempo non provava in compagnia dell’amico.

“Senti…” riprese poi, quando le risate cessarono e il silenzio calò inesorabile su di loro “Io so che questo mio modo di fare possa farti incazzare di brutto ma hey, amico, ti giuro che non è affatto la pena a spingermi a farlo… è l’affetto, è il fatto che tu mi abbia salvato quella dannata volta… mi sento in debito, ecco tutto.”

“Di che volta stai parlando?” lo guardò interrogativo l’altro, grattandosi distrattamente una tempia.

“Nel ’92… quando sono andato in overdose e mi hai praticamente preso per i capelli” borbottò Mike, senza trovare il coraggio di guardarlo in faccia: non gli faceva piacere ricordare quei momenti drammatici, la faccia pallida di Jerry, Sean che girava tipo trottola impazzita, Layne che li rassicurava, nonostante la pozza di vomito che lo circondava, e compagnia bella.

“Oh, quella volta!” ridacchiò lieve Layne, tanto che il bassista si voltò subito per scoccargli un’occhiata perplessa, ma quello s’era già fatto serio “Hai detto bene, era il ’92.”

“Che cazzo significa? Era il ’92, ora siamo nel 2002, sono passati esattamente dieci anni… Cambia forse qualcosa?”

“Ti sembro forse in overdose?” lo bloccò subito l’altro, lesto nel rigirargli contro le sue affermazioni.

“… no.”

“E allora sì, direi che la situazione cambia, Mike, e pure di parecchio!”

“… no, Layne, non sei in overdose: sei messo peggio, sei morto dentro.” lo ignorò Mike, sputando finalmente fuori il rospo.

Layne parve decisamente colpito da quell’affermazione, ma cercò di ricomporsi quasi subito: fece spallucce e tentò di ripartire all’attacco.

“Quel che intendo dire è che all’epoca avevi ventisei anni e praticamente una vita davanti…”

“Perché, tu non ce l’hai questa vita davanti? Non hai ancora trentacinque anni, ti sembra un discorso da fare?”

“Sì, se sei un guscio vuoto come me.”

Mike sgranò gli occhi e lo fissò stupefatto: “Io non ci voglio credere… tu non puoi lasciarti andare così, Layne! È una cosa che mi fa incazzare oltre ogni misura, vaffanculo!”

A quelle parole il cantante s’inalberò: “Vaffanculo a te, Starr! Per caso t’ho chiamato io? Avanti, rispondimi! Certo che non rispondi, perché ti rendi conto di essere stato tu a venire di tua spontanea volontà a rompermi i coglioni nella mia fottutissima proprietà! Quindi sai che ti dico? Cuciti quella cazzo di bocca e vedi di sparire dalla mia vista, non potrei sopportare la tua presenza per un fottutissimo secondo in più!”

L’altro gli scoccò uno sguardo triste ma decise di rispondergli altrettanto malamente: “Ok, Staley, come desideri: sparisco immediatamente dalla tua vista ma non mi rivedrai mai più, quindi puoi iniziare già adesso a cucirti le palpebre, almeno ti porti un po’ avanti con i lavori… Addio.” E, detto quello, raccolse la propria giacca e si precipitò fuori dall’abitazione come una furia.

Quando ormai aveva percorso tutto il vialetto sentì però una voce in lontananza, quasi fosse quella di uno spirito antico, urlargli “Non così, non andartene così…”

L’uomo si voltò all’istante, trovando l’altro –non molto lontano- di fronte a sé, i piedi nudi sul ciottolato e gli occhi lucidi, insolitamente vivi.

“Che vuoi che faccia?” sbottò infine, stringendo i pugni e puntando lo sguardo altrove, incapace di prolungare ulteriormente la sofferenza che la visione della sua sagoma gli suscitava.

“Niente. Solo… non volevo vederti andare via in quello stato, tutto qua.” il cantante si strinse nelle spalle, evitando a sua volta il contatto visivo con l’ex compagno di band.

Stettero in silenzio per qualche minuto, finché il bassista non si decise a parlare di nuovo.

“Io… dovrei andare, sì, dovrei proprio andare”

“Oh, già, va bene.” annuì Layne, per poi continuare “Ah, domani non posso incontrarti qui…”

“Non ho mai detto di voler venire a farti visita…”

“Questo è vero, ma l’hai pensato.” arricciò le labbra quello, mentre il silenzio pervase nuovamente la scena per qualche istante.

“Beh, allora ciao, ci si vede…” si decise infine a fargli un cenno veloce con la mano, per poi incamminarsi verso la propria dimora.

Mike vide i contorni della sua figura farsi sempre più incerti e, nell’improvviso timore di non doverlo rivedere mai più, lo richiamò.

“Che c’è?” chiese l’altro fintamente scocciato, ma il lieve sorriso sulle labbra lo tradì.

“Niente, solo… Lotta, Layne.”

“E tu non seguirmi, Mike.” gli rispose quello, salutandolo nuovamente e riprendendo il proprio cammino.

 

Nell’esatto istante in cui Mike Starr si chiuse il cancelletto alle spalle, Layne Staley stava varcando la porta di casa propria per l’ultima volta.

Niente rimpianti, niente ripensamenti o smancerie varie…

Solo una torta ancora da tagliare che lo aspettava sul tavolo, e la consapevolezza che Mike non lo avrebbe seguito.

Sorrise: in un modo o nell’altro, lo aveva riportato a casa.

 

 

Note autrice

Il 5 aprile viene ricordato da moltissime persone come la data del decesso di Kurt Cobain, leggendario front-man dei Nirvana.

Questa data rappresenta però anche la fine della vita di un altro fantastico esponente del grunge di Seattle, ovvero Layne Staley.

Layne Staley era coetaneo di Kurt Cobain: entrambi erano infatti nati nel 1967, ma il front-man degli Alice In Chains ha vissuto otto anni in più di quello dei Nirvana, e tuttavia mi chiedo quale tra i due abbia dovuto subire la fine più triste.

Cobain c’ha lasciato a soli ventisette anni, con una figlia piccola e la vita incastrata tra le canne di un fucile; Staley quand’è morto di anni ne aveva trentacinque, e la sua esistenza l’ha lasciata sul fondo di una siringa.

Entrambi soffrivano di depressione, questo non è un mistero, ma Layne nel 1996 ha dovuto sopportare la perdita di Demri Lara, ovvero l’amore della sua vita, e quello fu indubbiamente un grandissimo colpo per lui e per il suo equilibrio.

Se devo essere sincera, tra Nirvana e Alice In Chains io preferisco la seconda band: adoro le loro sonorità, il modo in cui le voci di Jerry e Layne riuscivano a fondersi perfettamente, i testi che a volte sembrano essere usciti direttamente da Les Fleurs du Mal di Baudelaire… ciononostante riconosco l’influenza che la band di Cobain, Novoselic e Grohl ha avuto su di me: se non fosse stato per loro non mi sarei affatto addentrata nella meravigliosa giungla più comunemente denominata “grunge”, e di questo devo essere loro riconoscente a vita.

Anyway! Passo al mio consueto papirone di spiegazioni, utile per cercare di comprendere ogni minima sfumatura di questo scritto.

La storia si svolge il 4 aprile 2002, e ha come protagonisti il già citato Layne Staley e Mike Starr, l’ex bassista degli Alice In Chains.

Nel 2009 Starr partecipò al reality Celebrity Rehab with Dr. Drew, in cui rivelò di aver fatto visita a Staley proprio il giorno prima della sua morte, in occasione del proprio compleanno (Mike nacque infatti il 4 aprile 1966).

Il bassista dichiarò di aver passato il pomeriggio sul divano, sotto l’effetto di alcune pills (che non sapevo se tradurre come “pillole” o “pasticche”, unf) e di aver improvvisamente notato che Layne fosse più malconcio del solito (solitamente “Staley's physical appearance had become even worse than before: he had lost several teeth, his skin was sickly pale, and he was severely emaciated.”), per poi suggerirgli di chiamare il 911, ma questi lo minacciò di troncare immediatamente la loro amicizia se Starr si fosse azzardato a fare una cosa del genere.

In seguito i due litigarono e Mike uscì di casa come una furia, ma “Staley called after him as he left: "Not like this, don't leave like this".

Al reality partecipò anche la madre di Staley, che rassicurò Starr di non essere il responsabile della moglie del figlio; ciononostante, finché visse (Starr è infatti morto nel 2011), Mike portò sempre con sé l’enorme senso di colpa per non aver chiamato il 911 quel giorno.

Additionally, during this interview Mike claimed that Layne saved his life when Alice in Chains was on tour in 1992, after he overdosed.” e questo è l’episodio che ho raccontato in breve nel mio scritto.

Mike McCready è invece il chitarrista dei Pearl Jam, amico di Layne con cui Staley nel 1995 fondò il supergruppo Mad Season, che compie gli anni il 5 aprile.

From 1999 to 2002, Staley became more reclusive, rarely leaving his Seattle condo; little is known about the details of his life during this period. It was rumored that Staley would spend most of his days creating art, playing video games, or nodding off on drugs. […] In his last interview, Staley stated, "Don't try to contact any Alice in Chains members. They are not my friends."”

 

Sean Kinney, former Alice In Chains' drummer, has commented on Staley's final years and isolation period: "I kept trying to make contact… Three times a week, like clockwork, I'd call him, but he'd never answer. Every time I was in the area, I was up in front of his place yelling for him... Even if you could get in his building, he wasn't going to open the door. You'd phone and he wouldn't answer. You couldn't just kick the door in and grab him, though there were so many times I thought about doing that.

But if someone won't help themselves, what, really, can anyone else do?"”

Da queste due citazioni emerge chiaramente la solitudine in cui Staley viveva, solitudine che ha cercato e difeso ostinatamente fino all’ultimo.

 

In his last interview, given on December 20, 2001 roughly four months before his death, Staley admitted, "I know I'm near death, I did crack and heroin for years. I never wanted to end my life this way."

Credo che questa dichiarazione di Staley sia parecchio agghiacciante: alla fin fine parliamo di un uomo che sa benissimo cosa stia passando, e si rassegna totalmente al proprio destino… è angosciante rendersi conto di come si sia lasciato andare.

 

"My father started using drugs again. We did drugs together and I found myself in a miserable situation. He started visiting me all day to get high and do drugs with me. He came up to me just to get some shit, and that's all. I was trying to kick this habit out of my life and here comes this man asking for money to buy some smack."

Questa è una frase tratta da un’intervista di Staley contenuta nel libro Layne Staley: Angry Chair — A Look Inside the Heart and Soul of an Incredible Musician: nella storia ho voluto accennare anche al padre di Layne, anch’egli vittima di una seria dipendenza.

Ecco, queste citazioni di Wikipedia credo chiariscano un po’ le condizioni generali di Layne, che ho cercato di far trapelare attraverso questa fanfiction.

 

Altri riferimenti che ho inserito sono quelli ad alcuni brani degli Alice In Chains, e più precisamente:

-          “Poteva benissimo stare in una scatola”: Man in the Box, Facelift, 1990.

-          “Sapeva di essere sul ciglio di un burrone, di un buco in cui avrebbe strisciato per l’eternità”: Down in a Hole, Dirt, 1992.

-          “Un guscio vuoto come me”: Nutshell, Jar Of Flies, 1994.

-          “Puoi iniziare già adesso a cucirti le palpebre”: Man in the Box, Facelift, 1990.

-          “E tu non seguirmi, Mike.”: Don’t Follow, Jar Of Flies, 1994.

-          “Lo aveva riportato a casa.”: Don’t Follow, Jar Of Flies, 1994.

 

Concludo questa Divina Commedia di note con i brani che mi hanno accompagnata durante la scrittura frenetica.

-          Sicuramente il primo da citare è Don’t Follow, perché uno dei suoi versi ha fatto da titolo a questa fanfiction, e perché credo che un po’ tutto il testo faccia perfettamente da cornice ai fatti raccontati, a come me li sono immaginati io.

-          Il secondo è la versione unplugged di Down In A Hole, che è meravigliosa e straziante.

-          L’ultimo brano invece è dei Pearl Jam: s’intitola 4/20/02 ed è un brano che Vedder ha scritto nel giorno in cui ha appreso la notizia della morte di Layne. È molto bello, vi consiglio vivamente l’ascolto :3

 

Ecco, con questo ho concluso tutti i miei scleri: mi sento un po’ intimorita perché è la prima volta che scrivo sugli Alice In Chains, però non mi andava di passare quest’anniversario con le mani in mano… volevo dedicare qualcosa a Layne, e così ho fatto.

Spero che non sia totalmente oltraggioso, e ringrazio anticipatamente chi si prenderà la briga di leggere e, perché no?, magari di lasciare un commento :’)

Ah, dimenticavo! Dedico questa storia ad Alessia, che so essere una loro grandissima fan e che spero possa apprezzare questa fanfiction :3 Questa storia è, inconsapevolmente, un po’ anche tua.

Bacioni,

 

Dazed;

   
 
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