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Autore: Disvaloue    05/04/2013    41 recensioni
In quel momento una sola cosa nell'universo aveva un senso, e ce l'avevo di fianco, ce l'avevo avuta tutte le notti quando chiudevo gli occhi e tutte le mattine quando il sole filtrava sbarazzino tra i buchi delle tapparelle; ce l'avevo avuta quando pensavo che la mia vita non fosse altro che un fallimento, che fossi uno sbaglio vivente; ce l'avevo avuta accanto quando inizia a scoprire il mondo, i suoi drammi, ma anche i piaceri che poteva offrire. Louis Tomlinson era tutto ciò che avevo, ma anche tutto ciò che volevo e sempre avrei voluto.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rabbia. Non provavo altro, in quel momento. Avrei solo voluto alzarmi in piedi, rovesciare quella scrivania moderna verso l'uomo sovrappeso che ingombrava la poltrona là dietro, e poi prenderlo a pugni finchè non avessi visto il sangue scorrermi lungo i polpastrelli, vederlo soffrire e sentirlo urlare, obbligandolo a ritirare tutti gli insulti che gratuitamente ci aveva scagliato addosso, come se non fossimo neanche persone, come se fossimo solo povere bestie senza uno straccio di sentimenti. Già mi vedevo a sputargli addosso e andarmene sbattendo la porta di quel maledetto ufficio. L'avrei chiusa con così tanta forza che l'avrei sfondata, causando un bel soddisfacente danno da riparare. Al momento, però, l'unico danno che stavo provocando era alla mia bocca, sotto il labbro inferiore, martoriato dai miei incisivi nervosi e arrabbiati. Mi piaceva il sapore del mio sangue; mi ricordava che sì, esistevo ancora, ero ancora lì a combattere per ciò che di più bello avevo al mondo.
Uno stretta intorno al palmo della mia mano mi riportò alla realtà. Louis mi stava richiamando dal vagheggiamento dai miei pensieri, lanciandomi una fugace occhiata che mi parlava più di mille parole, che diceva più di studiati discorsi. I suoi occhi, di quel inebriante colore che sta nella linea dell'orizzonte tra il mare e il cielo, mi stavano supplicando, mi chiedevano solo di stare tranquillo, di non reagire, perché, saggi com'erano, sapevano che avrei solo peggiorato le cose. Partendo dalla mano aderente perfettamente alla sua, i miei nervi si calmarono, ricominciai a respirare regolarmente. Chi è l'ignorante che dice che L'Inferno si trova sotto il Paradiso? Il mio Eden personale era immerso negli inferi più neri, altroché; il mio Eden perfetto, Louis Tomlinson, un paradiso che era tutto, gioia, divertimento, libertà d'essere, purezza d'intenti e desideri realizzati, non si trovava in alto, intoccabile, inconoscibile. Lui era lì, vicino a me, ma insieme a me all'interno dell'Inferno, nelle sue viscere più profonde, più dolorose.
Abbassai lo sguardo, la sua mano nella mia era così perfetta che pensai che Aristotele aveva ragione, ogni elemento non è completo finché non ritorna nel suo ambiente naturale. Il fuoco tende al cielo, le pietre alla terra, la mia mano alla sua. Che cosa ci poteva essere di sbagliato, in questo? Eppure la voce di quel uomo, accompagnata di una risatina finta e roca per il fumo, mi arrivò dritta alle orecchie, strafottente e sprezzante, quasi schifata. "Ecco, proprio quello intendevo." Fissava disgustato le nostre mani intrecciate, ancorate l'una all'altra come se solo insieme avessero potuto trovare la forza di andare avanti. "Ovviamente questo non lo potete fare; come neanche potete toccarvi, o... Baciarvi, insomma, nessun contatto che non sia strettamente necessario. Uno di voi lascerà l'appartamento che condividete, ne abbiamo uno libero e già pronto. Che sia uno o l'altro non cambia nulla. Ufficialmente avete avuto difficoltà con la convivenza, ma la vostra 'bromance' non sarà intaccata da questa separazione, che implicherà comunque un mantenimento della vostra amicizia. Sono stato chiaro?" Staccò lo sguardo da noi, aprì un cassetto e tirò fuori dei fogli. Non si aspettava una risposta, ovviamente. Non si discuteva con lui. Lui ci comunicava quello che dovevamo fare, e noi firmavamo ogni volta un pacchetto di documenti, dichiarandoci favorevoli a tutte le decisione che prendevano per noi. Non ci si ribellava, a tutto questo. Chi l'avrebbe fatto? Tutti ci invidiavano i traguardi che avevamo raggiunto, senza conoscere la strada che avevamo percorso, i pericoli, le buche che avevamo evitato per un pelo. Insomma, quell'uomo, in fondo, lavorava per noi, per il nostro successo. Ciò che riteneva fosse giusto, ce lo faceva fare. Ma in quel momento una sola cosa nell'universo aveva un senso, e ce l'avevo di fianco, ce l'avevo avuta tutte le notti quando chiudevo gli occhi e tutte le mattine quando il sole filtrava sbarazzino tra i buchi delle tapparelle; ce l'avevo avuta quando pensavo che la mia vita non fosse altro che un fallimento, che fossi uno sbaglio vivente; ce l'avevo avuta accanto quando inizia a scoprire il mondo, i suoi drammi, ma anche i piaceri che poteva offrire. Louis Tomlinson era tutto ciò che avevo, ma anche tutto ciò che volevo e sempre avrei voluto. Il pensiero di tornare a vivere da solo, senza le sue dita ad accarezzarmi i ricci, senza la sua risata che mi riservava quando provavo a cucinarci una cenetta romantica, insomma, l'idea di un ritorno alla vita prima di lui, mi faceva così male al cuore che pensavo ne sarei morto. Io non ero più niente senza di lui. Potevano sottrarmi tutto; potevano anche convincermi a non lasciar trapelare troppo quel sentimento immenso e indefinibile nei suoi confronti. Ma obbligarmi ad allontanarmi da lui anche quando i riflettori si spegnevano... Questo non lo potevo sopportare. Non ero così forte, così volenteroso, da allontanarmi dalla cosa più bella che il destino mi aveva riservato. No. Quando le telecamere si giravano, io non sarei mai stato capace di non guardarlo, di non impossessarmi delle sue labbra sottili. Già sarebbe stata una sofferenza trattarlo con indifferenza, come se fosse un amico qualunque, un 'bestfriend'. In qualche modo l'avrei fatto. Ma a casa nostra, di sera, quando i ragazzi se ne andavano e la televisione sussurrava piano le notizie del telegiornale, quando lo stringevo forte affondando il viso nell'incavo sotto la sua spalla, tutto il mio corpo reclamava un' ammissione alla mia mente: così tornavo a pensare che lui  non era un 'bestfriend', ma il mio 'soulmate'.
"Io non me ne vado da casa mia." L'uomo alzò di scatto il viso, ancora alla ricerca dei fogli, e sollevò un sopracciglio, strafottente. "Scusa? Non penso di aver sentito bene." Ormai mi ero lanciato dal ponte. Non potevo più tirarmi indietro, quanto non potevo frenare la discesa e dispiegare le ali. Louis mi strinse più forte la mano, pregandomi tacitamente di non essere impulsivo più di quanto non fossi già stato. Ma non ci vedevo più. La rabbia che avevo tentato di esorcizzare immaginandomi scene che mai sarebbero accadute, iniziò a venir fuori tra le mie parole, avvelenandole. "Io da casa mia non me ne vado. Nessuno, neanche tu, può obbligarmi ad andarmene via da casa se non ne ho voglia io. Quindi no, non consegnerò a nessuno il mio mazzo di chiavi. Non sarò esplicito riguardo a lui davanti al pubblico, nelle interviste e nei concerti, ma a casa mia nessuno può dirmi cosa posso e non posso fare." L'uomo all'inizio era apparso sorpreso. Ma quando finii di parlare aveva già ritrovato la sua sicurezza abituale, anzi un sorriso beffardo gli segnò il viso imbottito di botulino. "Che intraprendenza oggi, Styles. Che hai fatto? Il tuo 'fidanzato' stamattina te l'ha messo in culo?" Scoppiò a ridere. La sua volgarità, oltre a tutto il resto, mi fece venire il disgusto. Lo odiavo, non c'era altro che provavo, che avrei potuto provare. Lui era responsabile della mia carriera, non della mia vita! E la mia vita era Louis. Questo era tutto. "Da casa mia non me ne vado." Ripetei, nel caso pensasse che mi fossi ammorbidito della mia posizione. Eravamo ad un punto di stallo. Io non avrei ceduto, ma neppure lui; quello che diceva, diventava legge, solitamente. Eppure riuscì a spiazzarmi. "Va bene Styles, allora. Rimani pure nel vostro nido d'amore. Ma a due condizioni: nessuno dovrà sapere della vostra convivenza, ufficialmente vivete separati; e Tomlinson dovrà fare esattamente quel che dirò lui di fare: è un bravo attore, a differenza tua, sarà in grado di convincere i fan della sua eterosessualità." "Lo farò. Vivere con lui è la cosa più importante, adesso." La voce acuta di Louis mi colpì dritta al cuore, come ogni volta. Era sempre lui che alla fine si sacrificava per noi, perché noi potessimo continuare ad essere. Forse con la scusa che era il più grande, magari perché era davvero bravo a fingere, anche se non lo voleva più fare. Era la vittima sacrificale di questa enorme messinscena, il martire condannato al rogo. Io in realtà non facevo altro che amarlo, anche se ero costretto a farlo senza parole, senza dichiarazioni. Lui no. E non era giusto. Ma sembrava che lo facesse non dico con piacere, ma almeno con ammirevole sopportazione: la sua prova d'amore più grande verso di me era proprio questa. "Bene, Tomlinson vedo che tu a differenza del tuo 'boyfriend' sai ancora ragionare. Sarai contento di sapere che da settimana prossima sarai fidanzato con una bellissima ragazza di nome Eleanor. Te l'ha presentata il tuo AMICO Styles, è di Manchester e fa la studentessa/modella. Vi conoscete da poco, ma sai che è quella giusta, ed è una storia seria. Penso di essere stato chiaro." Girò il malloppo di fogli verso di noi, con un sorriso compiaciuto sul volto. Lurido bastardo. Aveva vinto di nuovo: aveva già previsto tutto. Aveva ribaltato la situazione esattamente come aveva previsto. Illudendomi di aver acconsentito alla mia richiesta, aveva raggiunto il suo scopo: allontanarmi da Louis. Dovevo immaginarlo. Raggiungeva sempre i suoi scopi, in qualunque modo. Sapeva che il vero problema non era la convivenza, che non solo non intaccava la nostra 'bromance' ma la rafforzava: le fan ne andavano pazze. Il punto era che noi, nessuno dei due, usciva più con alcune ragazze. Mentre Liam si vedeva con Danielle, Niall flirtava con la sua migliore amica, Zayn si dichiarava innamorato di Rebecca, noi due ce ne stavamo tra noi, felici e visibilmente appagati. Ma che cazzo di male c'era? Un giorno tutto questo, che per alcuni era un mistero, avrebbe trovato la sua spiegazione. Tutti avrebbero capito, sentito dalle nostre stesse bocche l'amore che provavamo l’uno per l’altro. Per ora si dovevano accontentare di vedere in noi due grandi amici, tanto uniti da condividere un appartamento. "Lo farò. Ma non separateci, per favore..." Louis lo stava supplicando non solo con le parole, ma anche con gli occhi e tutto il corpo, in un modo a cui io non avrei mai resistito, ma avevo seri dubbi sul fatto che avrebbe sortito lo stesso effetto su quell'uomo freddo e calcolatore. Eppure egli annuì, acconsentendo alla sua richiesta. "Tenetevi la casa, se ci tenete tanto. Ma ricordatevi sempre di una cosa, stampatevela bene in quelle teste frocie che vi ritrovate: VOI NON POTETE STARE ASSIEME. Mai, davanti a occhi estranei. Ricordatevi che il prezzo da pagare è la vostra carriera, in cui non siete gli unici implicati: pensate a tutti quelli che lavorano con voi, pensate ai ragazzi. Non volete perdere tutto, portando con voi nella vostra rovina anche i vostri amici, o sbaglio?"   Scoppiò in una risata così falsa da far accapponare la pelle. Ma non potevo non riconoscergli l'arguzia, la sua intelligenza. In fondo, l'unico vero motivo con cui riusciva a persuaderci del fatto che non potevamo parlare con anima viva della nostra relazione, era la convinzione che quei tre ragazzi che lavoravano con noi non meritavano di perdere tutto. Io e Louis eravamo disposti a farlo, ne eravamo dentro fino al collo in fondo, ma loro non c'entravano niente, non sarebbe stato giusto far loro un torto così grande, dopo tutti i sacrifici che avevano fatto. Dopo Louis, erano le tre persone a cui tenevo di più al mondo. Non erano solo colleghi; erano i compagni inseparabili di un viaggio meraviglioso, erano gli amici pronti a farti tornare il sorriso, erano i fratelli dispensatori di un affetto unico e incondizionato. L'idea che potessero soffrire, e soffrire per colpa nostra, mi faceva venire il voltastomaco. Immaginare Niall senza la sua esuberante risata, Liam che perdeva quel sorriso così dolce, Zayn senza più cura per il suo bell'aspetto, mi faceva aumentare i battiti cardiaci per il dolore che avrei provato. E tutto questo non significava che mettevo in prima fila l'affetto nei loro confronti davanti all'amore per Louis. Solo che le due cose dovevano rimanere ben separate: la nostra battaglia doveva vedere solo me e lui come guerrieri; Zayn, Liam e Niall ne dovevano stare alla larga, lontani dal luogo del combattimento, lontani dal dolore e dalle ferite che lo avrebbero caratterizzato. Quindi l'uomo aveva ragione: non potevamo stare insieme. Avrei dovuto fingere di non amarlo fino allo sfinimento, avrei dovuto frequentare ragazze troppo svestite in locali rumorosi, avrei dovuto cantare le nostre canzoni senza guardarlo, senza far capire al pubblico che tutto ciò  che dicevo, tutto ciò che cantavo, era per lui. E lui avrebbe dovuto fingere di essere imperturbabilmente innamorato della sua fidanzata, avrebbe dovuto uscirci insieme, baciarla, magari farci l'amore. Io lo avrei dovuto aspettare sveglio tutta la notte, immaginandolo nudo in un altro letto, vicino ad una persona che non ero io, lo avrei aspettato seduto per terra, con la testa fra le ginocchia e le mani strette tra le gambe, perché il buio ancora mi spaventava se non c'era lui ad abbracciarmi e a dirmi che andava tutto bene, avrei aspettato con ansia il suono delle sue chiavi che giravano nella toppa, sospirando tutte le volte mi rendevo conto che quel rumore che mi sembrava di aver sentito non era lui, ma la vicina che accendeva la caldaia, o una macchina che calpestava i resti di un barbecue abbandonati per strada. Sapevo già allora che sarebbe stato difficile. Ma proprio perché pienamente consapevole, ero disposto a tutto questo dolore, se mi avesse permesso di tenermi Louis, almeno per una sera, almeno per un'ora. Immagino che lui pensò lo stesso perché, sospirando di nuovo e guardandomi con una strana espressione sul volto, prese la penna che l'uomo gli porgeva e firmò il primo foglio della pigna, per poi marchiare con gesti veloci e nervosi tutti quelli che si trovavano davanti a lui. Quando ebbe finito, fu il mio turno; e se lui l'aveva fatto, ero disposto a farlo anch'io, senza neanche stare a leggere tutte quelle clausole scritte in piccolo nell'angolino in basso. Mi dovevo solo fidare. Mi dovevo solo affidare alle parole dell'uomo, che avevano acconsentito al mio desiderio di continuare a vivere con Louis. Sembrava che i fogli non finissero più. Ormai la mia firma era solo uno scarabocchio, e sì che di autografi nell'ultimo periodo ne avevo firmati! Ma in quel caso il mio nome, lì indelebile su quei fogli, aveva tutt'altra valenza, e decideva del mio futuro. Posai la penna, sbattendola sulla scrivania. Quel sorriso addosso continuava a penetrarmi l'anima, a farmi venire la voglia di urlare. "Possiamo andare, ora?" Chiesi sgarbato. Stavo soffocando; quella stanza mi era diventata troppo stretta, quell'uomo stava succhiando tutta l'aria di cui avevo bisogno io per respirare. "Styles, tu puoi andare. Tomlinson," Si girò verso Louis "con te dovrei continuare un discorsetto. Manda via il tuo 'fidanzato', che mi sembra abbia già interferito abbastanza." Lui annuì, ma chiese se poteva andare due minuti in bagno, e a prendersi qualcosa da bere. Ci alzammo insieme, io fui costretto a dare la mano all'uomo, sottomesso dalla sua occhiata intimidatoria, poi uscimmo, chiudendoci finalmente la porta spessa dell’ufficio alle spalle. Feci per dirigermi all'ascensore in fondo al corridoio, ma le braccia di Louis che mi avvolsero da dietro in un abbraccio mi frenarono prima, chiudendomi in una morsa che mi tolse piacevolmente il respiro. Incrociò le mani sul mio ventre, annegò il naso tra le mie scapole e mi baciò la schiena. "Harreh!" Mi girai di scatto e ricambiai l'abbraccio, cullandomi il viso di Louis che aveva già preso possesso del mio petto. Lo baciai sui capelli e lo strinsi più forte. "Ehy, Cuppycake, lo so che sei forte, non c'è bisogno che mi stritoli per farmelo capire." Non lo lasciai, non l'avrei fatto per nulla al mondo. "Ho avuto paura, Lou, paura che tu dicessi che mi avresti lasciato per il bene della band!" La sua risata proruppe allegra, inondandomi di gioia. "Che sciocco sei Cuppy, pensi che basti così poco per liberarti di me?" Gli feci il sorriso più grande che potevo, sapevo che lui ne andava pazzo. "E non sorridere in questo modo, non vuoi che ti salti addosso adesso in questo corridoio squallido, vero?" Puntò l'indice dentro la mia fossetta destra. Adorava le fossette sulle mie guance: diceva che gli angeli erano tristi per non avermi più accanto, lassù in paradiso, e mi erano venuti a trovare di nascosto mentre dormivo, lasciandomi due baci come segno del loro passaggio. Io pensavo che se c'era qualcuno che mi baciava di notte, quello era lui, e quindi lui era l'angelo, non io, ma era comunque una bellissima storia, che mi facevo raccontare da lui quando ero in vena di sentirmi raccontare le favole, come facevo da bambino. Chiusi gli occhi, continuando a sorridere. "Vorrei che lo facessi, vorrei tanto che mi baciassi..." Allora fu lui a stringermi forte. "Dopo, a casa nostra, Cuppy." Non vedevo l'ora di averlo tutto per me, senza che nessuno mi dicesse che non potevo amarlo, senza che nessuno mi cercasse di convincere che il nostro era un amore sbagliato. "Ti amo tanto, Lou, da farmi male al cuore" Soffiai nel suo orecchio, proprio sotto il mio mento, cercai di fargli capire con poche parole un sentimento che non aveva nulla a che fare con le parole, perché un' emozione è uno stato dell'animo, le parole un prodotto della ragione. "Ti amo anch'io Harry. Sei la cosa più bella della mia vita. E loro potranno urlarci contro che siamo sbagliati, che siamo un errore dell'umanità, che non possiamo stare assieme. Ma nessuno potrà mai persuadermi del fatto che tu non sia perfetto. Tu sei perfetto, perfetto in tutto, perfetto per me. Tu sei mio. Non ho mai voluto niente, non ho mai chiesto nulla, ma ora ho te, e ti voglio, ti voglio perché tu sei per me come l'aria, come il latte a colazione e la tazza di the la sera, sei come le foglie d'autunno che colorano le strade, sei il sole che scalda e protegge. Già, ti amo, Cuppy, nessuno mi potrà mai convincere del contrario." Può sembrare assurdo: avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo, ma mai come allora mi ero sentito così pieno, così sazio, così vivo. Perché lui mi faceva proprio questo effetto. Era vita in morte, Paradiso in Inferno, gioia in dolore, orgoglio in frustrazione. Alla faccia di chi mi voleva lontano da lui, io sarei stato al suo fianco per sempre, finché lui mi avrebbe voluto e oltre. "Noi non possiamo stare assieme, dicono, vero Lou? Okkey... Ci vediamo a casa, amore." Sussurrai piano, direttamente nel suo orecchio, e gli feci l'occhiolino. Lui rise sommessamente sul mio petto, poi mi lasciò andare. "A dopo, Cuppy." Gli strinsi le spalle tra le mie mani, gli mandai un bacio. Anche se era dura, mi girai, allontanandomi da lui. Ma in realtà era come se lui mi stesse accompagnando: i suoi occhi erano ancora su di me, li sentivo pesanti e piacevoli sul mio corpo, e non mi abbandonarono finché non girai l'angolo; anche allora però, pensai, non erano veramente lontani da me, perché, in fondo, io quegli occhi li tenevo dentro.










Ciao :) *prende la rincorsa e va a nascondersi*
Questa one shot avrebbe dovuto avere tipo 10224 capitoli, ma ho scritto il secondo e faceva schifo, quindi ho preferito lasciar perdere, perchè bene o male il tutto stava in piedi anche così.
Lo so, è slash, è Larry, ha degli errori e non succede veramente niente... Ma l'ho scritta così di getto, che era QUASI esattamente come ce l'avevo in testa, e bho, mi piaceva, a chi l'ha letta piaceva, a voi non piacerà ma io ci provo lo stesso lol Quindi leggete, recensite, io voglio bene a tutti e non mettetevi freni nel dire quello che pensate, perchè, onestamente, io di solito problemi non me ne faccio :)
Con questo, pace amore e Larry a tutti :)
   
 
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