LA PASQUA ROVINATA!?
台無しイースター!?
Spaparanzato sulle coltri sfatte,
con un quarto di rosso appoggiato sul comodino a pochi centimetri dalla mano
sinistra, nessun pensiero truculento per la testa e un buon film a fare da
sottofondo sonoro, Eric Flyer si godeva quelle ultime ore da single sregolato.
Era soddisfatto sotto quasi ogni
punto di vista.
In primis, la litigiosa e acida
colf che sua madre gli aveva imposto da oramai un mese si era presa tre giorni
di ferie, e l’hunter si riteneva libero di lasciare che l’appartamento
assomigliasse ad una spelonca riconducibile ad un grizzly maschio nella fase
più tempestosa dell’adolescenza, riutilizzare le camicie due o tre volte di
fila e farsi docce bollenti definibili catastrofi naturali senza che nessuno
aprisse bocca sullo spreco d’acqua calda.
Secondo, dopo mesi e mesi di
lotte e tentennamenti, la presidentessa gli aveva concesso qualche giorno
completamente libero dalle imposizioni dell’associazione, e così il giovane si
era messo alla ricerca di un degno luogo dove passare le tanto agognate ferie
pasquali in compagnia di Izumi, propendendo per alberghi rigorosamente di lusso
- una volta tanto valeva premiarsi per il lavoro svolto - incassati tra le
montagne e provvisti di tutti i comfort possibili ed immaginabili.
Dulcis infundo, la parte
fondamentale di quella vera e propria fuga d’amore, ossia Izumi, aveva detto di
sì al vago invito del giovane a passare qualche giorno assieme senza fare
troppe domande.
Appena sullo schermo del
televisore comparvero i titoli di coda abbatté distrattamente una mano sul
telecomando, mettendo alla prova la precaria riparazione di nastro isolante.
Spense l’apparecchio e si alzò
dal letto stiracchiando la schiena, vicino alla porta, le valigie erano già
pronte.
Riesumò dalla pila dei capi
lavati e non stirati una camicia che aveva una parvenza d’ordine, un paio di
pantaloni dalla linea poco aderente e un maglione, la scelta non era
decisamente vasta, dato che la giacca nera gessata che usava per le migliori
occasioni era stata utilizzata durante un colloquio con un facoltoso cliente
dell’associazione e quella grigio antracite regalatagli in occasione
dell’ultimo compleanno da un vecchio amico era sepolta nella cesta dei panni
sporchi con una vistosa macchia di maionese sul braccio.
Un insistente bussare alla porta
lo distolse dai suoi pensieri, e chiedendosi chi fosse aprì.
Una donna di bell’aspetto,
occhiali da sole enormi e sorriso da un orecchio a quell’altro entrò senza fare
troppi complimenti trascinando un basso ragazzino, che aveva su per giù una
quindicina d’anni.
“Figliolo mio adorato!” Salutò
allegramente Serena Lorenzi, scuotendo la chioma.
“Ciao mamma” fece atono Eric,
richiudendo la porta.
“Ho un problema” continuò la
donna, allargando il sorriso.
Perché sorride così? Si chiese
interiormente il ragazzo.
Guardando di sfuggita il tipetto
che sua madre si trascinava in giro e ascoltando distrattamente il
chiacchiericcio continuo e incessante della donna, lentamente capì.
Da fuori sembrava completamente
tranquillo, ma nella sua testa stava esplodendo la più lunga e colorita serie
di insulti che la sua mente avesse mai concepito in più di sessant’anni di
vita.
E questo la diceva lunga, molto
lunga.
*****
Emma non ci poteva credere.
Diede la colpa di quell’assurda
visione al mezzo litro di vodka che si era scolata poco prima di uscire a
caccia, ignorando completamente le regole dell’associazione che vietavano ai
cacciatori di bere prima di eseguire gli ordini di caccia.
Si pizzicò più volte il braccio,
ma l’immagine non svanì.
Eric Flyer era dietro alla
vetrina di un piccolo take away fuori mano, la testa abbandonata sul tavolino e
le braccia lasciate a penzoloni lungo i fianchi, a pochi centimetri dalle
spettinate ciocche nere troneggiava un enorme piatto colmo di onigiri mezzo
mangiati.
Entrò senza fare troppo rumore e
gli colpì violentemente le spalle con entrambe le mani, facendogli fare un
salto di qualche centimetro.
Ma la solita reazione piuttosto
arrabbiata non arrivò, e Emma aggrottò le sopracciglia vedendo l’espressione
vistosamente depressa del ragazzo.
“Ma che diamine succede?”
borbottò sedendosi accanto a lui.
“Mi hanno appioppato il mio
simpatico cuginetto quindicenne per tutte le feste pasquali” fece sbrigativo.
“E?” indagò ulteriormente la
bionda.
“E non posso partire con Izumi”
concluse portandosi una mano sulla fronte, visibilmente sconsolato.
“Ah, quindi la vacanza di cui mi
avevi parlato tempo fa salta per forza, vero?” l’espressione di Eric parlò da
sé
“Anche io ho le ferie, per quei
giorni - buttò lì la cacciatrice, massaggiandosi il mento con le dita - e se ne
hai bisogno potresti lasciare a me il piccolo rompiscatole” concluse stirando
la schiena.
“Davvero lo faresti?” un lieve
barlume di speranza attraversò le iridi del giovane, ravvivandone anche il
colorito.
“Però c’è un comunque un
problema” mormorò Emma.
“E quale?” Eric serrò le labbra,
preoccupato.
“Le strade sono bloccate da due
giorni per la neve, vicino al monte Hida” disse la cacciatrice, il viso di Eric
si rabbuiò nuovamente, rendendolo incredibilmente cupo.
“Ci mancava solo questa” fece il
ragazzo abbassando la testa.
“Se te la senti a sopportare il
cugino per il pranzo di Pasqua, potresti venire da me con Izumi, come al solito
sono sola” Emma si passò una mano tra i capelli, distendendo la schiena.
Il viso del ragazzo si illuminò
leggermente, e la bionda colse la palla al balzo.
“Credo anche di avere una
stanzetta matrimoniale libera” mormorò suadente.
Il viso del cacciatore assunse
una vistosa tonalità magenta.
******
Due giorni con quell’idiota di
Itsuki e aveva già la netta percezione di essere pronto per un periodo
riabilitativo in neuropsichiatria.
Non solo quel fenomeno da
baraccone si vestiva come un fighetto di quarta sottocategoria e con tonalità
ai limiti dell’inguardabile, sostava per ore davanti agli specchi pettinandosi
e sistemandosi continuamente i capelli completamente induriti da lacca e gel,
tanto che, in caso di blackout, Eric sapeva di poter contare su di lui
riutilizzandolo come torcia umana a basso consumo.
Il corvino in anni di carriera
come hunter si era visto passare sotto agli occhi scenari di tutti i tipi.
Tra sbudellamenti degni della
malata fantasia di un maestro di cinematografia horror, secchiate di sangue,
vampiri impazziti, risse e botte da fracassare un esercito di soldati, si
riteneva preparato più o meno a tutto.
Ma quella volta, sentì di aver
toccato il fondo dell’orrore provabile.
Notevolmente infastidito dalla
prolungata permanenza del congiunto nel bagno - tra l’altro rinchiuso a doppia
mandata - aveva avuto la magnifica idea di sbirciare dalla serratura,
incuriosito anche dai gemiti di fastidio che provenivano dalla stanza
incriminata.
Ebbene, il ragazzino era in
piedi, proteso verso lo specchio, a fare una cosa che mai avrebbe creduto di
veder fare da un uomo.
Trafficando con una pinzetta
dorata, si stava risistemando le sopracciglia.
La rabbia montò veloce, e un
violento pugno si abbatté contro alla porta.
“ITSUKI, COSA DIAVOLO STAI
FACENDO NEL MIO BAGNO?!” sbraitò in preda alla furia.
Il ragazzino non rispose, e
allora Eric si vide costretto a montare la carica e provare a sfondare la
porta, ma sul più bello la porta si aprì e il cacciatore finì lungo disteso a
terra.
Il cugino lo guardò stralunato,
sfilando un auricolare.
“C’è qualcosa che non va, Ric-chan?”
L’hunter non ci vide più, e
cacciò un urlo talmente potente da far volare via tutti i piccioni nel raggio
di cinque condomini.
*****
Alle dieci meno un quarto precise
del giorno di Pasqua, Izumi, Eri e Itsuki bussarono alla porta della
cacciatrice russa.
Emma aprì la porta piena di
baldanza, d’altra parte rendere la vita un inferno alle persone le era sempre
piaciuto.
Itsuki sbiancò nel vedere un
metro e ottanta di puro prodotto di gulag brandire una lama di trenta
centimetri e mezzo.
La bionda fece strada nel
corridoio avvolto nella penombra, indicando di tanto in tanto le varie macchine
di tortura medievale disseminate sui muri, alcune teatralmente cosparse di una
mistura di succo di pomodoro e mastice, in modo da farle sembrare sporche di
sangue rappreso.
Come al solito Itsuki si era
appropriato del braccio di Izumi lasciando a Eric l’ingrata parte del terzo
Incomodo, facendo così imbestialire il cacciatore corvino.
A metà corridoio Emma capì al
volo che la situazione era decisamente troppo surriscaldata, e fermandosi di
colpo fece uno sgambetto a Itsuko, che finì direttamente all’interno di una
vergine di Norimberga sfortunatamente sprovvista di chiodi.
Eric sorrise sotto ai baffi
cercando di riappropriarsi della propria damigella che contro ogni aspettativa
corse ad aiutare il piccolo despota, inciampato nuovamente sui suoi pantaloni
dal cavallo vergognosamente basso.
“Senti, Svetlana - iniziò Itsuki
accettando con un sorriso spavaldo la mano che Izumi gli porgeva - questi
giocattolini a quanto li vendi? Un rave con degli aggeggi del genere sarebbe
troppo avanti!”
Il cornuto e la maziata
bestemmiarono e imprecarono in silenzio, ingoiando un rospo di proporzioni
cosmiche.
Giunsero infine nell’immensa
cucina della Kreutzer, dove già qualcosa bolliva in pentola, in tutti i sensi.
Izumi tutta contenta si mise a
dipingere le uova, ovviamente aiutata - per indiscussa gioia e letizia di Eric
- da un presissimo Itsuki, che spennellava con rinnovato brio i gusci di
astruse tinte evidenziatore al ritmo della nuova hit del Rapper del momento.
Eric era sul punto di intervenire
e darsi al cubismo con i connotati del cugino, ma la presa pronta di Emma gli
impedì di spargere sangue prematuramente.
“Calmati, rompe i coglioni anche
a me, però stai tranquillo, tra poco gli passerà la voglia di fare il galletto
Valleslpuga” sorrise la bionda mostrandogli una barretta di cioccolata
lassativa.
“No che non mi calmo, Emma!
Quello si sta prendendo troppe libertà, prendi del fenolo, del cianuro, una
droga non facilmente rintracciabile da un’autopsia …”
“Sentimi psicopatico, non
possiamo ucciderlo, i patti sono di riconsegnarlo questa sera vivo, basta che
respiri, non ha importanza il resto”
I due cospiratori si
accontentarono di una blanda dose di lassativo alle dodici erbe nascosto nella
cioccolata, la offrirono alla loro vittima e attesero.
Come da copione imbarazzanti
borbottii non tardarono a farsi sentire e Itsuki si vide costretto ad una
tempestiva dipartita verso il bagno in una posa che ricordava vagamente gli
spostamenti di un soldato in Vietnam durante una sparatoria.
“Che dio sia con te!” gli urlò
Eric mentre chiudeva a quadrupla mandata la porta del bagno e scatenava
l’inferno tra quelle quattro mura.
“Flyer - ringhiò Emma - stasera
hai un romantico e piccante appuntamento con lo sturacessi, io lì dentro fino a
che no hai lustrato anche il fondo della tazza non ci entro!” ma il corvino era
troppo esaltato per starla a sentire.
Un’ora e mezza dopo Itsuki uscì,
verdognolo ma ancora intenzionato a creare problemi.
Stava per ricominciare a fare il
provolone, ma Emma ed Eric lo intercettarono sul nascere, trascinandolo nella
piccola aia interna della cacciatrice.
“Dobbiamo prendere le galline per
il pranzo” fece la bionda appoggiandosi una carabina sulla spalla.
“E tu ci aiuti” concluse Eric
lanciandolo nel reticolato dei volatili.
“Tu rincorrile - continuò Emma
prendendo la mira appena Itsuki si girò - al resto ci pensiamo noi”
Il risultato fu un tirassegno con
le caviglie del giovane, mancate di striscio per farlo continuare a correre.
“Fammi provare” gorgheggiò
deliziato Eric allungando una mano per farsi passare l’arma.
“No, tu lo ammazzi direttamente e
non mi diverto” ribatté la cacciatrice Russa ricaricando.
“Ma cosa cazzo stai facendo,
Svetlana!” gridò terrorizzato il cugino evitando l’ennesima pallottola per un
soffio.
“Scusami, ma tra tacchini e
galline da brodo faccio confusione!” si scusò Emma abbassando l’arma.
Il divertimento venne interrotto
da Izumi, allarmata dalla confusione prodotta dagli spari.
Il pranzo passò trincerato, da
una parte stava Itsuki, bianco come un cencio e praticamente immobile e
dall’altra stavano Emma ed Eric che se la ridevano alla grande tra un tortello
ripieno di zucca e stoccafisso in rosso, mentre il motivo di quella contesa,
ossia Izumi, rimaneva neutrale a fare da Separet tra i rissosi cugini.
“Itsuki, stasera andiamo in
centro a passeggiare, solo io e te, così ti riporto a casa” esclamò Emma tra
una forchettata e l’altra.
Itsuki svenne definitivamente, e
un improvviso attacco di sindrome abbandonica da parte di Eric impedì ad Izumi
di fare la crocerossina di turno.
La bionda prese in braccio il
ragazzino e lo adagiò sul tappeto, curandosi di lasciarlo nella posa più scomoda
possibile.
“Ma Emma-senpai, così prende
freddo!” esclamò Izumi.
“Se mi vomita sul divano poi me
lo smacchi tu?”
“Vedi Izumi, una superficie
comoda come quella di un divano in caso di danni alla schiena farebbe solo
danni peggiori di una banale caduta dalla sedia” la convinse definitivamente il
corvino.
Tra giochi di società,
pettegolezzi e cioccolato il pomeriggio trascorse in allegria, tanto che il
buio calò e non se ne accorsero nemmeno.
Emma allora afferrò il soprabito
e trascinò via Itsuki..
“Primo piano, seconda porta a
destra, se le fai del male considera la tua vita da maschio nel pieno delle sue
facoltà riproduttive finita” sussurrò ad Eric prima di uscire.
Il giovane risistemò la camicia
un po’ spiegazzata, scompigliò i capelli e prese per mano la fanciulla, che lo
seguì senza fiatare.
Salirono le scale di marmo con
una lentezza che ad Eric parve estenuante, aveva mai provato tutta quella brama
nella sua vita?
Finalmente giunsero davanti alla
porta di mogano scuro, e il cacciatore abbassò la maniglia, lasciando entrare
la ragazza e richiudendo la porta dietro alle spalle.
“Finalmente soli” le sorrise
dolcemente, e lei ricambiò.
Quanto era bella quando
sorrideva.
I lineamenti si schiudevano
morbidi, gli occhi si illuminavano, esattamente come il riverbero della bella
stagione, non era dopotutto quello che diceva il suo nome?
L’irrefrenabile desiderio di
stringerla si fece strada nella sua mente, propagandosi poi per il resto del
corpo.
Il calore e il profumo di Izumi
lo avvolsero come un manto caldo e protettivo, che quietò in un attimo tutta
l’angoscia del sentirsi diverso, del sentirsi un mostro.
Impaziente come un bambino alle
prese con una caramella decisamente prelibata, sfiorò la pelle morbida della
schiena, il torace minuto che si alzava ed abbassava velocemente.
La stretta timida della ragazza
gli cingeva il collo, avvicinandolo sempre di più.
Stava per posarle l’ennesimo
bacio sulle labbra oramai arrossate quanto le guance, quando la gamba sinistra
prese misteriosamente a vibrare.
Si fermò e alzò la testa,
perplesso.
Solo in quel momento si ricordò
di essersi dimenticato il cellulare acceso e nella tasca dei pantaloni.
Sbuffò e si mise seduto.
“Pronto?” chiese con voce
piuttosto incazzosa.
“Eric caro, sono io!” trillò sua
madre.
Eric ingoiò una decina di
imprecazioni di varia entità, cosa voleva adesso?
“La sorella di Hiroki è stata
molto contenta del lavoro che hai fatto con suo figlio, dalla mattina alla sera
è diventato calmo, riflessivo ed estremamente educato!” continuò, Eric non
riuscì a trattenere un sorrisetto.
“Ciao allora” borbottò lui,
ignaro dell’ennesimo che stava per abbattersi.
“Ah, visto che con Itsuki sei
stato così bravo, quest’estate dovresti tenere anche le sue due sorelline, ciao
tesoro” un leggero clic segnò la fine della telefonata.
Era stato fregato un’altra volta.
Completamente distrutto
mentalmente, si mise sotto alle coperte e voltò alle spalle ad Izumi, che si
aspettava una continuazione di tutta quella foga esternata poco prima.
“Ma …” tentò incrociando le
braccia.
“Lascia perdere, ti spiego
domani” ringhiò Eric cacciando la faccia nel cuscino.
La corvina si strinse nelle
spalle e fece altrettanto, spegnendo poi il grande lampadario di vetro grigio.
花見
HANAMI
«O-Hanami?» domandò Emma alzando gli occhi dal suo libro di storia giapponese
«Non lontano da qui c’è un bellissimo parco.» disse Izumi «Stavo pensando di organizzarlo per questa domenica».
Emma ne aveva già sentito parlare, di quella strana e per certi versi curiosa usanza giapponese, di recarsi a fare un picnic in qualche parco o giardino per ammirare i ciliegi in fiore.
Ormai la primavera era arrivata, e anche il cortile della Cross, ad osservarlo sia dall’alto che dal basso, era una piacevole e sterminata distesa di bianco rosato, con alberi carichi di fiori da scoppiare e le strade sottostanti ricoperte di petali come per dare il benvenuto ad un re.
«E dunque?» domandò allora Emma, che in realtà aveva già capito
«Beh, ecco, mi domandavo se volevi venire».
Kretzner si alzò, squadrando la sua amica come un animale da laboratorio con espressione stranamente complice.
«Chi altri viene?»
«Allora… il direttore, Lynette-senpai, Kiryu-senpai, il signor Eisen, Ashley, Nagi-chan…»
«E il sempai Flyer?» domandò Emma maliziosa da far paura.
Izumi arrossì tremendamente ed abbassò gli occhi: la risposta era del tutto superflua.
«Diceva di avere un impegno… ma poi, all’ultimo, proprio poco fa…»
«Stai diventando audace.» disse la russa sorridendo divertita «Per natale ho dovuto spronarti io a chiederglielo.»
«Ma no, cosa dici…».
Emma rise divertita.
Forse Izumi non era più timida e paurosa come una volta, ma di certo non era ancora in grado di sostenere lo sguardo del suo eroe tenebroso per più di venti secondi, figuriamoci poi confidargli i suoi veri sentimenti.
Aveva troppa paura.
Paura di dire la verità.
«Non mi stancherò mai di dirtelo. Sei davvero una pudica fanciulla».
Di colpo, uno strano e preoccupante sorriso si accese sul suo volto.
«Mi dispiace, ma domenica non posso proprio. Ho degli impegni improrogabili.»
«Da… davvero?» disse Izumi comprensibilmente dispiaciuta
«Facciamo che sarà per la prossima volta. Ma voi divertitevi, mi raccomando».
Quella sera stessa, Emma si recò a Tokyo, attendendo il calare delle tenebre più nere per infilarsi in un sudicio vicolo di Ikebukuro stretto tra due imponenti palazzi.
Qui, a metà strada tra un’uscita e l’altra, c’era un locale, con un’insegna in stile arabeggiante che recitava Da Punjaj, Misture e Medicamenti Orientali.
Il proprietario, Punjaj appunto, era un vecchio amico turco di Emma, e di mestiere faceva principalmente il tirapacchi; aveva accumulato denunce per truffe e raggiri in ogni paese civilizzato e non, ma di quando in quando si dilettava anche con il traffico di cianfrusaglie orientali e strani preparati paramedici.
Quando entrò, rigorosamente buttando giù la porta con un calcio, lo trovò come al solito attaccato al suo narghilè, mezzo strafatto e praticamente inebetito.
«Emma, che sorpresa…» disse con fare ebete
«Scendi dalle nuvole, fattone di un turco!» disse tirandolo su a forza «Ho bisogno di te».
Emma dovette aspettare che Punjaj si riavesse del tutto dall’estasi, quindi gli spiegò le sue intenzioni.
«Una pozione che accresca la spontaneità?» mugugnò tra sé il mercante turco, salvo poi ridere provocatoriamente «Cos’è, devi dichiararti al tuo ragazzo per caso?».
La risposta a quell’allusione fu un calcio piazzato direttamente tra le gambe, che tolse al poveraccio quel poco di virilità che gli anni gli avevano lasciato.
«Credo… credo di avere quello che fa per te.» mugolò tenendosi i gioielli.
Andato nel retrobottega, ne uscì con un cofanetto in legno dall’aria antica, che aperto rivelò contenere tre ampolle vitree contenenti uno strano liquido rosato particolarmente denso, simile a yogurt.
«Sarebbe questo?» domandò Emma non senza scetticismo
«È un preparato speciale proveniente dall’Arabia. Sei fortunata, mi è arrivato giusto il mese scorso. Ha il potere di spingere chiunque lo beva o ne respiri gli aromi a rimuovere i propri freni di coscienza rivelando la sua vera natura.»
«Ed è efficace sui vampiri?»
«No, purtroppo. E non credo neppure che esista. Ma credo funzioni sui succubi».
Emma sospirò. Meglio di niente. In fin dei conti bastava che solo uno dei due dicesse la verità, e l’altro a quel punto sarebbe stato costretto a farlo per forza di cose.
«E siamo sicuri che funziona? Non è che mi stai tirando l’ennesimo bidone? Come quella volta con l’aglio speciale che poi si è rivelato una patacca?»
«Fidati, è da mille anni che funziona. Pensa che i sultani erano soliti bruciarlo di nascosto negli aspersori degli harem».
Un dubbio la colse.
«Ehi, un momento. Non è che appena la mia amica me lo avrà bevuto si butterà sopra il suo fidanzato chiedendogli di farlo nella posizione del missionario?»
«Tranquilla, ci sono tre diverse gradazioni. Diluita, pura e concentrata. Puoi scegliere quella che vuoi.»
«Meglio non correre rischi. Dammi la diluita.»
«D’accordo. Ma sta attenta, anche così è molto forte, soprattutto sui soggetti più introversi e restii. Ti consiglio di diluirla in qualche liquido.»
«Non ci saranno problemi».
Emma pagò la parcella e se ne andò con la bottiglietta, ma proprio mentre stava per mettere via il cofanetto Punjaj si accorse di un terribile malinteso. Le etichette erano orientate alla maniera giapponese, da destra verso sinistra, ma i flaconi invece erano disposti in senso inverso, all’occidentale. L’ennesimo errore della sua mente strafatta.
«Santo
Maometto!» esclamò correndo fuori.
Troppo
tardi. Emma se n’era già andata.
«Beh.»
disse tra sè cercando di minimizzare «Un po’ di spontaneità in più non guasterà
di certo. Speriamo solo che non esageri con il dosaggio».
La domenica
successiva era una giornata stupenda, splendeva un tiepido sole e il vento era
fresco e leggero, l’ideale per un piacevole picnic fuori porta.
Lynette,
Izumi ed Ashley si erano svegliate presto ed erano scese in cucina per
preparare i cestini da portare via, mettendoci ognuna un po’ del proprio sapere
culinario. C’erano tayaki, tamago e onigiri vari, ma anche sandwitch, roast
beef e altri piatti della tradizione inglese. Completavano il tutto bibite
varie, soprattutto analcoliche, più qualche birra per il direttore e il
professor Eisen.
Tutte e tre sembravano
stranamente agitate, e tremavano loro le mani mentre con attenzione riponevano
il cibo all’interno dei cestini. I pensieri erano ovviamente rivolti ai ragazzi
che le avrebbero accompagnate, e poco importava che il direttore avesse
insistito per fare il terzo incomodo; era comunque un’occasione speciale. Ed
era proprio questo a spaventarle.
«Avanti, forza e coraggio.»
disse Ashley cercando di riportare la speranza «Sono sicura che andrà tutto
benissimo.»
«Speriamo.» disse
mestamente Lynette, ma in realtà non ci credeva nemmeno lei.
Si assentarono un momento,
per vestirsi e prepararsi, e in quel preciso istante Emma sgattaiolò in cucina
passando da una finestra, con il mano la bottiglietta di liquido rosa.
Visto che non c’erano
lattine o altro era impossibile fare in modo che fosse solo Izumi a bere la
pozione, ma date le circostanze non era il caso di essere schizzinosi; e poi in
questo modo ci sarebbe stato assai di più da divertirsi.
«Sarà davvero una festa
esplosiva.» disse divertita aprendo l’erogatore pieno di tè.
Punjaj si era raccomandato
moderazione nell’uso della bevenda, ma Emma pensò che tra il fatto che fose già
diluita di suo e il doverla mescolare non c’era bisogno di preoccuparsi
eccessivamente, tanto più che in questo modo il divertimento sarebbe stato
assicurato e l’obiettivo sicuramente raggiunto.
Riuscì a defilarsi appena
in tempo per evitare il ritorno delle ragazze, che inconsce di ogni cosa
recuperarono cibo e bevande per poi raggiungere i loro compagni al cancello
della scuola.
Alle undici, i ragazzi e il
direttore erano nel parco municipale della vicina città di Fuyuki, uno dei più
bei posti in tutto il Giappone dove poter godere appieno la maestosità dei
ciliegi in fiori.
Era uno spettacolo
stupendo, e molte famiglie o gruppi di amici occupavano già la vasta superficie
erbosa a ridosso dei viali, cantando, conversando e assaporando il tepore dei
raggi di sole.
«È bellissimo.» disse
Ashley
«Hai ragione.» disse Izumi.
Persino Zero ed Eric non
riuscirono a restare indifferenti a quello spettacolo, tanto che per un istante
Zero riuscì anche a far sparire dalla faccia quella espressione da cane
bastonato, specchio inequivocabile di qualcuno che era stato tirato lì gioco
forza.
Per fortuna il direttore
era stato abbastanza accordo da ritagliarsi la parte migliore del parco, in
cima ad una collinetta isolata proprio accanto al laghetto, ai piedi di uno
degli alberi più longevi della città, talmente grande e maestoso da dare
l’impressione di voler raggiungere le nuvole.
«Bene ragazze, divertiamoci
alla grande!» esclamò Peter a pieni polmoni
«Parla piano, qualcuno
potrebbe sentirci.» lo rimproverò Ashley
«Ma chi vuoi che ci senta
quaggiù? Complimenti Cross, davvero un’ottima scelta.»
«Erano anni che tentavo di
prenotare questo posto. Sono venuto a piantare il cartello il giugno scorso.»
«Me lo sento.» disse Lynette
«Questa sarà una bella giornata».
İl gruppo era ignaro
del fatto che, nascosta nel buio di una siepe, con la tua mimetica addosso e un
mantello d’erba finta a coprirla, un’ombra nera osservasse tutte le loro mosse.
«Ah, e non sai quanto.»
commentò Emma alludendo alla battuta di Lynette «Soprattutto per me».
Fu steso il telo, tutti si
sedettero e vennero aperti i cestini.
C’era veramente di tutto, e
ognuna delle ragazze aveva preparato con le sue mani qualcosa di speciale,
destinato alla persona più importante.
«Peter, questo è per te.»
disse Ashley passandogli imbarazzata un portavivande
«Che bello, i kanederli!»
disse il tedesco prendendo subito a divorarli, con evidente soddisfazione della
ragazza
«Direttore, mi sono
permessa di...» disse Lynette aprendo un secondo contenitore
«Carpaccio di verdure con
tonno e maionese! Sei fantastica, Lynne-chan.»
«G... grazie...».
Nagisa e Izumi aprirono i
rispettivi cofanetti davanti ad Eric quasi contemporaneamente. Da una parte,
onigiri, e dall’altra una specie di sandwitch molto pieni e con una grossa
gobba al centro.
«E questi?» domandò Peter,
che non li aveva mai visti «Panini?»
«Tramezzini.» disse
timidamente Asakura «So che ad Eric piacciono, e così...».
Dire che gli piacevano era
un eufemismo, e così il ragazzo, distrutta per un attimo quella sua aura da
duro inamovibile, prese a mangiarseli uno dietro l’altro con evidente piacere.
Ma non disdegnava neanche
gli onigiri, e Nagisa si sentì al settimo cielo quando il suo padrone si
complimentò per quanto fossero buoni.
«Falli assaggiare anche a
me!» esclamò Peter, e fu solo per un vero miracolo se riuscì a toglier in tempo
la mano dal vassoio per non vedersela trafiggere da una raffica di frecce di
sangue.
«Questi sono solo per il
mio signore.» disse minacciosissima
«D’accordo, d’accordo».
Ora sembrava Zero il terzo
incomodo, ignorato da tutti, ma qualcuno aveva pensato anche a lui.
«Ecco qui, per il mio
figlioccio preferito! Stufato con manzo, verdure e panna!»
«Ancora!? Ma non sai
cucinare altro!?»
«Sei sempre così permaloso,
Zero. Almeno apprezza il gesto.»
«D’accordo, d’accordo. E
comunque».
Un secondo dopo Kaien
strinse i denti, cercando di non urlare mentre Zero gli premeva con forza un
dito nel dorso della mano.
«Quante volte le ho detto
che non voglio essere chiamato figlioccio.»
«Và bene... và bene... ma
ora lasciami la mano...».
Poi, fu il momento di
brindare con il tè.
«Ecco, ci siamo!» disse
Emma sempre più impaziente
«Allora... kampai!» disse
il direttore alzando il bicchiere
«Kampai!» dissero gli altri
in coro.
Tutti bevvero, e fatti
salvi Eric e Zero gli altri iniziarono subito a sentirsi un po’ strani.
La prima a cedere fu Izumi,
proprio come sperava Emma; le sue guance si arrossarono e rise flebilmente per
un secondo.
«Eric...» disse
flebilmente.
Lui la guardò, e un attimo
dopo la vide accendersi come un bracere, gli occhi infervorati e l’espressione
indiavolata.
«Per quanto ancora dovrò
aspettare prima che tu riesca a deciderti?» sbraitò con le guance rosse e gli
occhi fuori dalle orbite
«C... cosa!?»
«Che è questa violenza
improvvisa?» si domandò incredula Emma «Non sarà mica una yandere?»
«O io o Nagi-chan? È così
complicato da decidere? Non pensi di averci riflettuto su anche troppo a
lungo?»
«Ma di cosa stai
parlando!?» domandò lui sempre più confuso.
A quella domanda Izumi, da
imbestialita che era, si mise invece a piangere.
«Non è chiaro? Parlo di
quello che provo per te.» disse singhiozzando, e subito dopo gli si buttò
addosso stringendolo forte «Io voglio stare con te! Con te!»
«Izumi, aspetta...» disse
lui incredulo tentando di liberarsi.
Per fortuna intervenne
Nagisa, che lo tirò via di peso rimettendolo in piedi davanti a sé.
«Grazie, Nagisa. Mi hai
salvato».
Ma anche Nagisa aveva
qualcosa di strano, e sfortunatamente Eric se ne accorse troppo tardi.
«Mio signore...» disse
anche lei con le guance arrossate e gli occhi scintillanti, e prima che potesse
rendersene conto Eric si ritrovò di nuovo buttato a terra «Io non posso più
nascondermi. La verità è che... che io...»
«Ehi, non è valido. Voglio
partecipare anch’io!» esclamò Izumi, che toltasi senza indugio la maglietta si
buttò sulla coppia lottando per prevalere sull’amica-nemica
«Ma si può sapere che vi
prende a tutt’e due?» strillò infervorato Eric riuscendo finalmente a liberarsi.
«Ma siamo sicuri che fosse
davvero tè?» si domandò Zero osservando il suo bicchiere ormai vuoto
«Direttore?».
Quello che Zero vide
girandosi alla propria sinistra lo fece persino inorridire: il direttore Cross
e Lynette stretti l’uno all’altra che sembravano sul punto di buttarsi
sull’erba ad amoreggiare.
«Cross-sama... voi siete
così affascinante.»
«Lo so, lo so, amore mio.»
«Voglio darmi completamente
a voi».
Gli occhi con cui Zero si
vide guardare dal direttore facevano gelare il sangue.
«Vieni, Zero. Ti faccio conoscere la tua nuova okāsan. Vedrai, ti piacerà».
Quella mano protesa verso di lui letteralmente lo terrorizzò, e stavolta invece di un semplice pestone il ragazzo assestò un maglio da guerra sulla testa di Kaien mettendolo a nanna.
«Oh, direttore.» disse Lynette strofinandosi sul suo corpo tramortito «Voi siete così virile. Mi sento così strana. Io… vi voglio!».
Con Lynette ora erano tre le ragazze ad essersi denudate del tutto o quasi, e Zero si sentì venire i brividi quando sentì degli strani mugolii provenire dalle sue spalle.
Quello che vide voltandosi, però, era se possibile ancora più inquietante e spaventoso di ciò che si era immaginato: Peter che abbracciava, carezzava e pomiciava con il suo dragunov.
«Mia adorata Meredith. Quanto ti adoro. Sei la sola donna della mia vita. Sì d’accordo, mi piacciono anche tutte le altre, ma vivo solo per te. Non importa quanto io ti tradisca, tu mi sei sempre fedele.»
«Questo è davvero troppo.» disse attonito Zero
«Peter!» sentì urlare il ragazzo alle proprie spalle.
Per fortuna Zero si abbassò in tempo, ma in compenso Ashley piombò come una cannonata addosso ad Eric, dopo che questi era riuscito faticosamente a liberarsi dal terzo assalto di Izumi e Nagisa. Ciò non di meno, Ashley era talmente fuori di sé che pensò di essere finita tra le braccia del suo adorato professore.
«Ashley, ma che…»
«Perché, Peter? Perché ci provi con tutte e non con me? Non capisci i miei sentimenti? Avanti, dai, facciamolo qui, davanti a tutti. Così tutti sapranno.»
«Co… cosa!? Facciamolo!?»
«Esibizionista.» disse Emma con una faccia da antologia.
Le provocanti proposte di Ashley suscitarono però l’ira di Nagisa.
«Nessuno può toccare il mio signore a parte me.» disse mordicchiandosi un dito «E tantomeno farci l’amore.» e detto questo una pioggia di frecce, per fortuna non affilate, si abbatté sui due rispiarmiandoli per miracolo.
Ma non era ancora finita.
«Ehi, come ti sei permesso?» disse Peter faccia truce e fucile alla mano avvicinandosi ad Eric «Io non permetto a nessuno di toccare le mie donne. Sono solo mie, e nessuno può toccarmele».
Senza esitazioni sparò a proiettili di gomma contro Eric, che per fortuna evitò il colpo.
«Fatti sotto.» disse poi Peter prendendo a mimare Ken Shiro «Ti farò esplodere la testa con la leggendaria tecnica del Pugno Kartoffel della Scuola Merkel.»
«Ma sei impazzito, razza di tedesco maniaco?» urlò Flyer assestandogli un montante al millimetro che lo fece volare direttamente nello stagno.
Ormai la situazione era chiaramente sfuggita di mano, ed Emma si sentì molto a disagio nel vedere Lynette strofinarsi sul direttore svenuto, Izumi ridere come un’isterica seduta mezza nuda sull’erba, Nagisa dritta come una statua e con l’indice destro alzato che si faceva piovere sangue addosso come una fontana, Ashley che amoreggiava con un albero, Peter che sparava in aria a ripetizione con un fucile e una mitraglietta con addosso i soli boxer ed Eric e Zero che non riuscivano a capacitarsi di quanto stava succedendo.
«La faccenda ha un che di strambo.» disse ormai senza più parole «Non sarà che quell’eroinomane di un turco mi ha bidonata un’altra volta».
Ma il peggio doveva ancora venire.
«È giunta l’ora dell’arma suprema!» disse Peter premendo il bottone rosso con teschio di un telecomando comparso dal nulla nella sua mano.
Il terreno tremò come durante il terremoto sotto la spinta di quelli che sembravano i passi di un gigante, e dopo qualche attimo da dietro la collina comparve una specie di versione tedesca di Kotetsu Jeeg che camminava a passo di marcia sulle note di Gegen Engeland.
«Ecco l’ultimo ritrovato delle Industrie Shouble per la lotta ai vampiri!» esclamò trionfante Peter con il termos in testa a mo di elmo e il telo da picnic annodato sulle spalle «Supermegahyper Eurofighter Junge! Il mio tessssoro!!! E io sono il suo padrone!».
Peter era talmente fuori di sé da non accorgersi di essere proprio sulla linea del robot, che lo calpestò come una cicca sotto i suoi piedi ciclopici fracassando anche il telecomando. Privato del suo controllo il robot andò fuori di testa, e aperta una feritoia nel suo petto azionò una specie di congegno aspirapolvere che succhiò dentro di sé tutte le ragazze, Peter e il direttore, lasciando salvi solo Eric e Zero.
«Ha preso le ragazze!» esclamò Zero tentando di resistere all’aspirazione
«L’ho visto! Dobbiamo fermarlo!».
Zero non aveva portato con Sé Bloody Rose, ma riuscì a rimediare afferrano una delle tante armi sbucate dai boxer di Peter come dal gonnellino di Eta Beta e lasciate in giro per tutto il parco, mentre Eric si vide lanciare contro una katana da qualcuno che non si sarebbe aspettato di trovare lì.
«Prendi!» esclamò Emma lanciandogli Kyoku.
Eric la recuperò al volo, e nello stesso momento in cui Zero tirava con precisione alla fronte del robot, mandandolo momentaneamente in tilt, il ragazzo spiccò un salto, sfoderò la spada e menò un fendente orizzontale preciso al millimetro che prima decapitò di netto il nemico e subito dopo lo fece esplodere, liberando tutti i prigionieri al suo interno.
Izumi e gli altri erano crollati nel sonno, effetto collaterale terminale della pozione che avevano inconsapevolmente bevuto, e questo fu un bene, perché se avessero potuto vedersi seminudi com’erano difficile dire come avrebbero potuto prenderla.
«Sembra che sia finita, finalmente.» disse Zero
«In qualche modo.»
«I miei complimenti.» disse Emma sbucando fuori dal suo nascondiglio ed avvicinandosi ai due ragazzi, che le davano le spalle «Avete risolto anche questa situazione.»
«Emma.» ringhiò Eric facendola immobilizzare «Posso sapere per quale motivo sei qui?»
«Beh, ecco… veramente…» disse lei colta in fallo.
I due ragazzi si girarono. Le loro facce mettevano paura.
«Sai, ho come una strana sensazione.» disse Eric «Tu no, Zero?»
«Se intendi la sensazione di avere davanti una burlona fuori stagione allora sì, ce l’ho anch’io.»
«Che cosa puoi dire per discolparti?».
Emma prese a sudare freddo, dicendo la prima cosa che le venne in mente.
«P… pesce d’aprile?» mormorò con un sorriso ebete.
Subito dopo furono tre colpi in successione.
Sul fare della sera, mentre il tramonto prendeva a colorare di rosso i profili delle case e le montagne circostanti, i tre ragazzi erano tornati in vista del collegio.
«Non è giusto.» continuava a piangere Emma con due grossi bernoccoli in testa e spingendo da sola nel contempo il carretto su cui erano accatastati i loro amici «Venti chilometri in queste condizioni. Questi pesano.»
«Considerato quello che hai fatto, ti è andata anche troppo bene.» disse Eric
«E francamente» disse Zero «Non vorrei essere al tuo posto quando il direttore, Peter e Nagi-chan si sveglieranno. Spero per il tuo bene che non ricordino nulla».
Ormai si era fatta sera, e una volta fatto ritorno alla Cross Nagisa e gli altri furono riportati direttamente nelle loro camere e messi a letto.
Eric si fece carico di Izumi, e presala delicatamente tra le braccia la portò fino nella sua stanza, adagiandola con cura sul letto e stando a lungo ad osservarne rapito il volto addormentato.
Era bella. Bellissima.
«Eric…» la sentì mormorare nel sonno un attimo prima di lasciarla «Ti… amo…».
Il ragazzo restò un momento basito, poi, sorridendo tra sé e sé, se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.