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Autore: pai1982    06/04/2013    0 recensioni
Forse tutto questo appare irrazionale, privo di logica ma se uno sente di essere in un modo, lo crede dal profondo come lo si deve giudicare?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arturo era un meraviglioso gatto col pelo arancione, due baffi lunghi all’insù e gli occhi verde smeraldo. Come tutti i gatti amava arrampicarsi sugli alberi, giocare con i gomitoli di lana, rincorrere le lucertole. Ma la cosa che amava di più in assoluto era arrampicarsi sui tetti e passare la notte a guardare la luna, lontano dai rumori della città. Arturo era molto soddisfatto del suo aspetto e, tutto sommato, tutto sarebbe andato bene se non fosse che… Arturo non era un gatto: non per gli altri almeno. Lui era nato e cresciuto tra gli umani e quindi ovviamente tale era visto dalle persone che aveva intorno. Perché Arturo era circondato da persone. Forse Arturo era pazzo? Lui era convinto di no. Si vedeva assolutamente felino d’aspetto e di carattere, aveva avuto poco a che fare coi gatti, certo, ma egli era convinto di esser tale. Ma a parer degli altri non era certo così. Era arancione ma di capelli, gli occhi erano verdi e aveva i baffi all’insù ma come li può avere un qualsiasi essere umano. Arturo era molto infelice perché sapeva di comparire umano agli occhi degli umani, ma umana non era la sua natura, non per lui. Forse tutto questo appare irrazionale, privo di logica ma se uno sente di essere in un modo, lo crede dal profondo come lo si deve giudicare? In effetti i giudizi su Arturo erano quantomeno controversi. Appariva un tipo strambo, con atteggiamenti stravaganti. Ma cosa ci si può aspettare da un gatto? Aveva paura ad esporsi, temeva il giudizio di parenti e amici, temeva di esser considerato pazzo. Egli era costretto a chiedere a tutti quelli che incontrava, a tutti quelli che conosceva: «Ma tu come mi vedi?». Le risposte erano tutte molto simili e lo descrivevano tutte nello stesso modo: caratteristiche fisiche che lui non riconosceva come sue. Ma come era possibile? Lui era un gatto, lo vedeva. Non c’era altra soluzione che rassegnarsi alla pazzia. Con questi pensieri, con l’animo turbato dall’ennesima descrizione fuorviante, con l’idea della pazzia piantata nel cervello, si sedette su una panchina del parco, pensando a cosa fare della propria vita e della propria pazzia. Quando ecco che si posizionò accanto a lui un gatto. Un bel gattone tigrato che si mise ad osservarlo piuttosto curiosamente. Arturo, ridestato dai suoi pensieri, alla vista del gatto, come ultimo tentativo disperato chiese: «Ma tu come mi vedi?» Il gatto, guardingo, gli rispose: «tutto sommato, non sei malaccio ma non pensare di rubarmi la zona di conquista. Qua è roba mia, che ti credi che arrivi e mi rubi la scena?». Arturo tutto emozionato, non riuscendo a credere alle proprie orecchie: «Ma quindi mi vedi un gatto?». Il gatto, tutto stizzito: «Scusa e com'è che ti dovrei vedere? Un topo forse?». Arturo fece un salto per la gioia, cominciò a ringraziare il gatto, gli blaterò frasi senza senso e cominciò a correre. Corse come non aveva mai corso in vita sua. Realizzò in un momento quanto fino ad allora era stato stupido: per tutta la vita aveva sbagliato interlocutori! Tutto sommato la vita aveva ancora un senso e Arturo la sua identità, che gli umani lo ritenessero un loro pari non era più un problema, c’erano i gatti a vederlo ed accettarlo per quello che lui era: un gatto! Ed eccolo lì Arturo, quella notte, come ogni notte, sul tetto ma con un animo diverso, intento a godere della vista della luna.
  
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