Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Jooles    06/04/2013    7 recensioni
Gli abitanti lo chiamavano ancora quartiere Uchiha, anche se ormai l’agglomerato di case era disabitato e ridotto ad un cumulo di macerie ed era proibito avvicinarvisi per qualsiasi motivo; non perché fosse sancito da legge, semplicemente perché portava sfortuna. Allo stesso modo in cui portava malasorte solo citare il nome di quel clan, specialmente di colui che lo aveva condotto alla distruzione.
Itachi Uchiha è il mostro di Konoha. I mostri non amano, uccidono.
Ma Itachi Uchiha è stato costretto a uccidere per poter finalmente amare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
- Questa storia fa parte della serie 'Two brothers- di luci, ma anche di ombre'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






 


Condanna di un innocente traditore








Gli abitanti del Villaggio della Foglia avrebbero potuto affermare senza esitazione che lì si viveva in tranquillità. Certo, la squadra speciale degli ANBU era sempre in movimento per garantire la sicurezza degli abitanti e dell’Hokage in particolar modo, facendo sembrare che si fosse sempre in allerta; e sì, i team di jonin, chuunin e genin venivano spediti per le missioni più disparate.
Eppure quel particolarmente grande agglomerato di case, di gente, di vita, compiva immerso nella pace più assoluta tutte le sue azioni quotidiane.
Magari in qualche rada occasione scoppiavano piccoli litigi e non si sarebbe trattato di un villaggio che si rispetti se i suoi abitanti non fossero caduti in qualche piccola scaramuccia, che si estingueva appena cinque minuti dopo essere iniziata. Magari due ubriachi che litigavano per una donna, o una moglie che rincorreva un marito fannullone armata di padella o qualsiasi altro utensile che potesse essere utilizzato da arma contundente.
Fin pochi anni prima, domandando qua e là, si affermava l’esistenza di un demone con nove code che portava scompiglio tra i villeggianti. I grandi lo ricordavano fin troppo bene, quel demonio dall’aspetto di un fanciullino che si aggirava per le strade e i negozi con l’unico intento di portare disordine, facendo scherzi a chiunque capitasse sotto tiro. Il terzo Hokage avrebbe ricordato quante preoccupazioni gli aveva dato il giovane se, poveretto, fosse stato ancora in vita.
Pace alla sua nobile anima.
Ma ora quel piccolo demonio era diventato un ninja rispettato dai più, dunque anche quel problema che avrebbe potuto compromettere la stabilità della Foglia era stato accantonato.
 
Un’altra caratteristica del villaggio, più uso comune dei tempi di prosperità e pace che regnavano ancora per poco indisturbati, era che i jonin, soprattutto quando ritornavano da una difficile missione,  si recassero a far sprofondare nell’alcol il ricordo di una missione fallita, o ad utilizzare il suddetto liquore per far aumentate maggiormente la gioia per una missione andata a buon fine.
“Ehi, Genma, perché non ti fai un altro goccetto? Mi sembri il più sobrio di tutti!”, lo schernì Raido, allungando al compagno poco lucidamente l’ennesimo bicchierino, facendo oscillare il liquido al suo interno a causa della sua andatura barcollante.
Genma afferrò il bicchiere dalle mani del compagno, scolandone il contenuto tutto d’un fiato.
“Un brindisi a noi, bastardi!”, ululò Tenzo, innalzando scattante come un felino il suo braccio, reggendo faticosamente un bicchiere che gli pareva fin troppo pesante.
“E guardalo, il timidone del gruppo”, lo punzecchiò Genma, battendogli sul petto un pugno che voleva sembrare amichevole, ma che finì solamente per far barcollare e quasi cadere a terra il suddetto timoroso.
“Un brindisi all’eterna giovinezza e ai maledetti irredentisti del Villaggio delle Calde Primavere!”, gracchiò Gai.
Ormai la sfida dei brindisi assurdi aveva preso piede e non si sarebbe conclusa presto.
“Brindiamo alla morte di quei maledetti e di tutti i nukenin!”, sbottò Raido.
“Alla distruzione dell’Akatsuki!”.
“A quel verme di Orochimaru!”.
“Alla morte di Itachi Uchiha!”.
Contrariamente alle aspettative del barista che ormai conosceva fin troppo bene quel gioco di cui talvolta era stato anche partecipe, la gara finì in anticipo.
Il povero Raido, più imbevuto di alcool nemmeno fosse un disinfettante ambulante, nemmeno si era reso conto di ciò che aveva detto. Almeno così lo scusarono i compagni di fronte agli altri frequentatori del locale i quali, all’udire quel nome tabù, avevano cessato immediatamente qualsiasi attività e spento le loro voci quasi fossero alimentati da una spina che era stata improvvisamente staccata dalla presa di corrente, per scorgere tra la gente chi fosse stato l’idiota ad aver pronunciato quel nome.
“Scusatelo, non sa più quello che dice”, Kakashi si rivolse agli occhi stralunati e superstiziosi di coloro che erano in sala, alcuni irritati, altri preoccupati che la citazione di quel nome potesse far crollare d’un tratto il soffitto.
Nemmeno si fossero visti attraversare la strada da un gatto nero.
“Ti prego Raido, fa più attenzione a quello che dici”, lo pregò Kakashi, che i compagni avrebbero definito scuro in volto all’udir citata quella persona se avessero potuto vedere la sua espressione nascosta dalla solita maschera.
 
Nonostante i fatti che avevano coinvolto Itachi Uchiha non fossero accaduti poi molti anni prima, le sue truci gesta avevano preso ormai forma di leggenda.
Gli abitanti lo chiamavano ancora quartiere Uchiha, anche se ormai l’agglomerato di case era disabitato e ridotto ad un cumulo di macerie ed era proibito avvicinarvisi per qualsiasi motivo; non perché fosse sancito da legge, semplicemente perché portava sfortuna. Allo stesso modo in cui portava malasorte solo citare il nome di quel clan, specialmente di colui che lo aveva condotto alla distruzione.
I grandi evitavano di parlarne, se possibile, insegnando col tempo ai loro figli a fare altrettanto.
“L’altro giorno ho dato uno schiaffo a Eichiro, sai cosa ha fatto quel monello? Stava per entrare nel quartiere Uchiha perché diceva di aver perso una scommessa! Dice che è stata un’idea di quel Umeboshi, glielo avevo detto io di non frequentare quel bambino!”, si lamentava un giorno una mamma.
“Ah, hai fatto bene, cara, hai fatto più che bene,” convenne la seconda madre.
I passanti osservavano con ansia e sgomento le macerie, tra le quali di notte alcuni giuravano di aver sentito il sussurro dei fantasmi dei morti che erano rimasti ancorati lì.
La macabra leggenda del giovanissimo Itachi Uchiha, nukenin di Konoha, non era solamente un racconto popolare, ma bensì l’espressione di una fama che aveva raggiunto tutti gli angoli delle cinque terre ninja.
 
 

[Vivere è morire...]

Ma ciò che non sapevano gli abitanti del villaggio della Foglia, di Konoha, dell’intero mondo ninja, era che il giovane assassino e massacratore era già morto da tempo, esattamente nella stessa notte in cui egli stesso aveva sterminato il suo clan.
 
Iachi ricordava esattamente il luogo e il momento in cui si era visto porre fine alla sua vita. Stava in piedi nel bel mezzo di un lungo viale, la katana insanguinata ancora stretta ferramente in mano.
Una ferita gli venne inflitta all’altezza del petto, sul lato sinistro; il colpo fu talmente fulmineo che non ebbe il tempo di reagire, si insinuò in profondità e lo dilaniò dall’interno. Una ferita che ancora oggi sanguinava ampiamente e che ogni tanto lo faceva traballare.
E credere che era stato un piccolo marmocchio a ridurlo in quello stato pietoso, armato delle sue copiose lacrime che apparivano letali agli occhi e al cuore già semi distrutto di Itachi. Dovette voltarsi un attimo, facendo finta di non averlo notato, per asciugare in fretta le sue, di lacrime; temeva fortemente che se avesse permesso a queste di cadere avrebbero impattato al suolo con tanta forza da innalzare schegge di asfalto, talmente erano sature di disperazione.
“Hai fatto solo finta di volermi bene!”,ricordava con esattezza, a distanza di molti anni, quelle parole e ogni loro intonazione.
E quanto gli costò non poter urlare “Non è vero, ti amo con tutto me stesso, fratellino!”.
Quella sera aveva preferito morire e portare avanti il suo compito attenendosi all’infame codice ninja che tanto predicava ma che lo aveva condotto alla rovina interiore.
 
Il mondo lo riteneva ancora vivo al servizio dell’Akatsuki, l’organizzazione di cui i loschi piani al tempo erano ancora oscuri. Eppure Itachi non si sentiva al servizio di alcun padrone, di nessuna banda criminale, poiché lui era morto tempo fa, anni addietro. Ricordava una luna piena che, maledetta, aveva permesso con i suoi dannati raggi di illuminare vivamente i crimini da lui commessi. Molte volte Itachi pensò che se non ci fosse stata la luna quella sera, certamente non ci sarebbe stata alcuna illuminazione e agendo nel buio più totale si sarebbe risparmiato di dover asciugare le lacrime di fronte ai suoi parenti. Voleva, doveva far in modo che l’ultima cosa che vedessero fosse il volto di un assassino, non di un bambino piagnucoloso.
Da quella sera, Itachi Uchiha viveva da morto.
 
 

[Nel dolore v’è un certo decoro]

Era una fresca serata post invernale, il gelo aveva da pochi giorni lasciato spazio alle fini pioggerelline di metà marzo che si alternavano ai suoi tiepidi soli.
Ma quella non era una serata tiepida, né da pioggia fine; un violento scroscio aveva fatto sì che Itachi e il suo compagno di squadra si dovessero riparare in una grotta e interrompere temporaneamente il viaggio verso Konoha, per la ricerca del Novecode. Erano entrambi zuppi, ma non se ne curarono più di tanto, anzi; Itachi ne fu sollevato e Kisame poco dopo ne intuì il motivo.
Dapprima l’Hoshigaki non disse niente, reputando di aver avuto un abbaglio poiché era impossibile che il freddo cuore non più funzionante del suo giovane compagno potesse essersi sciolto.
L’Uchiha che aveva di fronte non poteva essere lo stesso che aveva sterminato la sua gente con la medesima enfasi con cui lui faceva colazione la mattina.
Itachi Uchiha non poteva piangere, lui nonsapeva piangere, Kisame lo aveva sempre creduto.
Kisame lo fissò per tutto il tempo che il ragazzo impiegò per perlustrare con lo Sharingan la grotta in cerca di potenziali inquilini o nemici e notò che, nonostante non fossero più sottoposti all’umido della pioggia torrenziale, il volto di Itachi non intendeva asciugarsi. Era rimasto bagnato al di sotto delle sue profonde occhiaia, poi giù per le guance e il mento.
“Sei dolorante?” domandò Kisame. Forse si era ferito e non voleva dire niente per non portargli fastidi. Già, doveva essere quello il motivo della sofferenza del suo compagno.
“Non è da te preoccuparti per gli altri, Kisame,” rispose indifferente Itachi con il suo solito tono distaccato. “Se non ti conoscessi, penserei che tu ti stia affezionando a me,” lo schernì ancora il giovane.
“Se io mi sto affezionando a te, allora tu in questo momento stai piangendo,” e proruppe in una sonora risata. Ma sì, come aveva potuto credere che Itachi Uchiha stesse piangendo?
Itachi allora pensò che Kisame stesse iniziando ad abituarsi a lui.
 
 

[Mi distruggerò, ma non mi piegherò]

Si dice spesso che l’epilogo si riallacci sempre al prologo, come se le due parti si completassero; non si necessita talvolta della parte centrale del racconto poiché l’inizio preclude in sé sempre una fine, sono due momenti che coesistono.
A questo pensava Itachi mentre osservava la figura slanciata di fronte a sé: infatti quella scena gli ricordava fin troppo dettagliatamente la sera in cui lui era morto. La persona, d’altronde, era la medesima, nonostante fosse cresciuta, poiché le braccia esili che un tempo avevano tentato di fermarlo ora erano muscolose e pronte a uccidere; il taglio degli occhi era rimasto uguale, ma ciò che la cornice di ciglia racchiudeva era un pozzo pieno di odio e risentimento, il colore dello sguardo reso più intenso da quel sentimento così acuto.
Sasuke stava in piedi di fronte a lui ma questa volta non piangeva, questa volta non lo implorava e non gli domandava in preda alla disperazione perché avesse ucciso la loro mamma e il loro papà.
I piagnistei del piccolo Sasuke ora cedevano il posto alla determinazione: avrebbe eliminato il suo nii-san, e quest’ultimo ne era pienamente consapevole, lo avrebbe anzi lasciato fare senza opporre poi troppa resistenza.
 
“Oggi è il giorno del giudizio, Itachi.”
Itachi ingoiò ogni singola parola, sapendo il motivo per cui il fratellino lo odiava così tanto.
In fondo, lui non conosceva la verità che si sarebbe portato nella tomba.
“Apriamo le danze, allora,” lo esortò Itachi. Forza Sasuke, attaccami con tutta la tua potenza.
Sasuke scattò in avanti, quasi come se avesse ceduto alla provocazione lanciata; respirò a fondo prima di lanciarsi all’attacco, cercando di tenere concentrata la rabbia in un unico punto per farla esplodere solo nel momento in cui sarebbe stato abbastanza vicino al fratello, per calare un fendente mortale ricco di quell’odio in tanti anni accumulato.
Bue, coniglio, scimmia.[1]
Il Mille Falchi proruppe dalla mano di Sasuke, creando una spada di chakra del fulmine a lungo raggio che presto raggiunse la spalla dell’avversario, trafiggendola. Il corpo di Itachi si scompose in mille corvi, come se questi fossero i pezzi di un puzzle. Sasuke sbuffò irritato; quella non era la prima volta che utilizzava una sostituzione per sfuggire ai suoi colpi.
“Preparati Itachi, perché oggi il tuo cuore smetterà di battere!”, sentenziò Sasuke, sicuro delle sue parole.
Ha già cessato tempo fa, fratellino.
Il giovane Uchiha gonfiò il petto, inspirando quanta più aria poté per poi rilasciarla sotto forma di un’esplosione di fuoco. Il violento fiume incandescente colpì il soffitto e Itachi schivò abilmente il colpo. La fumata si innalzò fin su nel cielo, provocando una corrente d’aria ascensionale a causa del forte calore.
Una coltre di fitte nubi iniziò a ricoprire il cielo per chilometri; un violento temporale cominciò a farsi largo nel cielo, fulmini e saette proruppero da quel grigiore, permettendo a Sasuke di approfittarne per non sprecare il suo chakra, utilizzando invece la potenza dei fulmini naturali per poter usare la sua tecnica.
“Ammira la potenza distruttiva di questa tecnica, Kirin[2]!”. Sasuke mosse il braccio in direzione di Itachi, comandando un drago di fulmine che si abbatté rumoroso al suolo.
Il corpo di Itachi sbalzò per diversi metri, crollando infine immobile al suolo.
Sasuke attese qualche minuto per non rovinarsi la sorpresa e cantare vittoria troppo presto; non voleva illudersi inutilmente di essere riuscito a sconfiggere in poco tempo il suo peggior rivale.
Eppure nulla gli vietò di incollerirsi ulteriormente quando vide quel corpo, che fino a pochi attimi fa sembrava esanime, rialzarsi debolmente facendosi forza con le braccia.
“Non gioire troppo presto, fratellino, ho un’ultima carta da giocare,” disse Itachi, mentre una potenza scaturita dal chakra iniziava ad avvolgerlo: prese la forma di una gabbia toracica che proteggeva il suo esile corpo ormai provato dalla fatica a cui lo scontro lo aveva sottoposto.
“Vedi mio caro Sasuke,” arrancò Itachi, sforzandosi di sillabare bene ogni parola, “questo è il mio Susanoo.”
Sasuke sgranò gli occhi incredulo, eppure non poté provare paura per più di qualche istante, poiché Itachi cadde in ginocchio, tossendo grumi di sangue dalla bocca.
Sasuke proruppe in una risata malvagia.
“Il grande Itachi non ha più chakra, eh? Sei finito!”.
Itachi iniziò ad avvicinarsi lentamente verso il fratello, strascicando ogni passo.
“Adesso basta!”, urlò Sasuke, volendo porre fine a quel combattimento il prima possibile. Itachi si avvicinava sempre più, inutili gli attacchi e le carte-bomba che Sakuke imperterrito si ostinava a lanciare, che cozzavano contro quello scudo che avvolgeva a protezione totale il corpo del maggiore degli Uchiha. Sasuke venne presto messo al muro, ma non si diede per vinto.
“Tu morirai oggi, Itachi. Poi mi occuperò anche del nostro caro e vecchio villaggio!”.
Itachi sgranò gli occhi, le ultime forze rimaste le impiegò per indignarsi di fronte a quelle parole.
“Come, scusa?”.
Sasuke non comprese il perché del cambiamento di umore del fratello; fino a pochi attimi prima sembrava in fin di vita, ora il suo sguardo era rinato.
“Voglio terminare ogni collegamento a te, e quello è il Villaggio della Foglia. Una volta che ti avrò ucciso, distruggerò Konoha!”.
 
E Itachi si rese conto di quanto tutti i suoi sforzi fossero stati inutili fino a quel momento. Lui solo conosceva la sua verità: aveva taciuto ogni lacrima di sangue che aveva minacciato di fuoriuscire per ciascuna persona del suo clan che aveva ucciso; inoltre, vedere il suo piccolo fratellino in preda agli spasmi del dolore che gli aveva provocato, era stato peggio che venire trafitto al cuore per mille volte.
Quella sera aveva salvato il villaggio a insaputa di tutti, creando colui che pochi anni dopo lo avrebbe voluto distruggere.
Prenditela solo con me Sasuke, il villaggio non c’entra niente.
Ma questo ovviamente non poteva dirglielo; avrebbe alimentato il suo odio, per di più oltre che assassino lo avrebbe ritenuto un bugiardo e non gli avrebbe impedito di uccidere migliaia di innocenti.
La coltre di nubi che fino a quel momento aveva coperto il cielo svanì lentamente, lasciando che un timido raggio di sole sciogliesse l’oscurità, accecando Itachi.
Non poteva permettere che Sasuke distruggesse il villaggio, avrebbe vanificato tutto ciò che in quegli anni si era costruito, la reputazione da assassino e mostro che aveva dovuto sopportare per l’amore della Foglia si sarebbe rivelata inutile e non avrebbe potuto permetterlo.
Doveva fermare Sasuke, anche a costo di distruggersi definitivamente.
Itachi in quel momento impugnò il suo kunai, dirigendolo dritto contro il cuore di Sasuke.
“Io…ti amerò per sempre… Sasuke.”
Per la prima volta Itachi non nascose le sue lacrime, nessuna futile scusa.
Sasuke sgranò gli occhi, non volendo credere a quelle parole appena udite e alla sincera emozione che in quel momento il fratello gli stava mostrando.
Itachi stava morendo lentamente, ma non avrebbe fallito la missione affidatagli anni addietro.
Doveva salvare Konoha.
Il kunai si mosse velocemente contro il petto di Sasuke, penetrandolo a fondo.
Sasuke si accasciò al suolo e Itachi terminò definitivamente di morire, anche fisicamente.
Si stese di fianco al fratello, tenendo aperti gli occhi colpiti da un flebile raggio di sole. Mentre le palpebre del nukenin, il mostro che aveva ucciso i suoi familiari, si stavano chiudendo, le nuvole iniziavano a ricoprire il cielo, restringendo il raggio di sole ad un filo sempre più sottile, così come la vista di Itachi si chiudeva sempre più al mondo che lo circondava.
Tranquillo fratellino… non ti lascerò mai solo.
 

 
 

Sono molte le sorti che il Destino ci prepara
e spesso gli Dèi compiono eventi inattesi:
ciò che si riteneva possibile non accade
e ciò che nessuno s'aspetta il Dio lo dona.
Così questa incredibile storia è terminata.[3]

 
 
La grande notizia si espanse in tutto il mondo ninja: il massacratore Itachi Uchiha era morto e con lui il traditore Sasuke. 
Uno dei più pericolosi e temuti membri dell’organizzazione Alba era venuto a mancare e le grandi potenze si sentivano, seppur in un’infinitesima parte, più al sicuro ora. 
Era morto da eroe, eppure agli occhi di tutti era morto un mostro, un assassino. Si erano liberati di un pericoloso criminale e quel giorno si poteva dire che la giustizia divina avesse trionfato.
 
 
“Hai sentito?”, domandò retoricamente una vecchia al venditore di fiducia mentre acquistava un ceppo di insalata al mercato settimanale. 
“È sulla bocca di tutti, mia cara signora!”, urlò l’ambulante. “Quella famiglia era nata disgraziata,” e scosse il capo tristemente. 
“Pare che si siano uccisi a vicenda! Chissà cosa starà dicendo il giovane Fugaku, lassù... Sai che veniva sempre al mio negozio di fiori? Li portava alla dolce Mikoto, quel diavolo di un uomo. Faceva tutto il duro con gli altri ma poi si scioglieva quando c’era lei,” la vecchia strizzò un occhio in direzione del mercante con l’aria di chi la sapeva lunga. 
L’uomo annuì. “Non che gli Uchiha meritassero la mia compassione, sono sempre stati un po’ troppo altezzosi… però non meritavano di finire in quel modo e sono contento che quei due traditori si siano fatti fuori tra di loro, soprattutto quel mostro di Itachi, è solo colpa sua se il piccoletto ha preso la via del male” disse mentre pesava e imbustava l’insalata.                                                                                           
“Mah, comunque… quanto ti devo, Shiki?” chiese la vecchietta. 
“Nah, mi sento sereno oggi dato che c’è una minaccia di meno in giro… offre la casa,” sorrise cordialmente all’anziana signora.
 
Naruto sedeva all’ombra di un albero, lo sguardo perso rivolto inconsciamente verso un filo d’erba che tormentava insistentemente con le dita.
Non udiva più nulla intorno a lui, né i passanti che schiamazzavano, né le parole di conforto di Choji, nemmeno i singhiozzi incessanti di Sakura, che proprio in quel momento si era alzata, annunciando che sarebbe andata a casa. O qualcosa del genere, poiché in fondo Naruto non ci fece troppo caso.
Si era accorto che Choji tentava di consolarlo e si era accorto anche che Shikamaru fosse venuto a prenderlo per dirgli di lasciare Naruto da solo, ma le loro parole erano solamente una nota uniforme priva di alcun significato apparente.
 
Itachi si era preso il suo migliore amico, ma questa volta definitivamente. Fino ad ora lo aveva trattenuto temporaneamente facendolo allontanare dal villaggio; una volta che il loro nemico comune fosse stato fatto fuori, Sasuke sarebbe tornato. Naruto sapeva bene che la vendetta di Sasuke era legata a Itachi dalla sera del massacro, eppure non credeva che questo legame potesse perdurare oltre la vita.
Naruto odiava Itachi con tutto il cuore per il dolore che aveva procurato al suo migliore amico; lo odiava ancora di più perché lo aveva allontanato da lui.
Batté furiosamente un pugno e maledì che il terreno fosse così soffice; avrebbe voluto rompersi la mano, sbucciarsi le nocche, per far sì che il dolore fisico superasse per un attimo quello interiore.
Non sapeva più quale fossa ora il suo posto nel mondo; fino ad allora sentiva che riportare indietro Sasuke era la sua missione vitale e non si era mai posto il quesito circa cosa avrebbe fatto, cosa sarebbe successo qualora avesse fallito o qualora Sasuke stesso avesse mancato il suo obiettivo. Aveva desiderato riportare indietro Sasuke per così tanto tempo che nemmeno si era immaginato un possibile successo di quella sua missione personale; nelle sue immagini mentali Naruto inseguiva sempre il suo amico senza mai raggiungerlo.
Se fino a pochi giorni prima il suo desiderio sarebbe stato quello di riportare Sasuke al villaggio, ora lo voleva vivo, non importava se lì con lui o agli angoli più remoti del mondo.
Itachi aveva segnato da molto tempo il destino del suo amico; Naruto si rese conto solo allora che aveva già perso Sasuke ancora prima di conoscerlo.
 
 

[… e morire è vivere]

Itachi si guardò in giro, ma si accorse ben presto che non aveva benché nulla da poter mirare. Tutto ciò che lo circondava era di un candore quasi accecante; il cielo o soffitto, non poteva dirlo, era bianco; le pareti o l’infinito spazio intorno a lui erano bianchi; così come ciò su cui posavano i suoi piedi, che in realtà non poggiavano: nessun rumore provocavano i suoi passi e non poteva percepire alcuna soglia dura al di sotto dei sandali.
Poi d’un tratto ricordò ciò che gli era accaduto e si guardò intorno alla sua ricerca.
Sasuke era disteso proprio ai suoi piedi, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato l’ultima volta. Lentamente vide che iniziò ad aprire gli occhi, come se si stesse svegliando da un lungo sonno ristoratore.
In effetti il suo aspetto non era malconcio come l’ultima volta che lo aveva visto. Non erano visibili ferite sul suo fisico e i vestiti non erano lacerati in alcun punto, come ricordava invece che fossero.
Appena Sasuke si rese conto della presenza a lui vicino scattò ritto sulle gambe, lasciando che i denti si mordessero tra loro dalla rabbia. Poi ricordò all’improvviso le ultime parole udite uscire dalla bocca insanguinata di Itachi.
Doveva averle immaginate.
Itachi sorrise al fratellino e avrebbe voluto lasciarsi andare ad un pianto liberatore; capì subito che si trovava in un posto designato solamente per loro due, il che voleva dire che avrebbe potuto volere bene al suo Sasuke, farglielo capire in qualunque modo desiderava senza doversi preoccupare di trattenersi.
La sua gioia fu però repressa dal pensiero di avere uno scoglio ancora da superare.
Sasuke lo credeva un mostro.
Lo stesso Sasuke in quel momento lo guardava con un rancore ancora più acceso, che ironicamente nemmeno in vita aveva avuto.
“Per una vita intera ho coltivato il mio odio affinché lo usassi come arma per potermi liberare di te, mentre ora sarò costretto a sopportarti per l’eternità!” urlò Sasuke in preda alla disperazione.
Itachi si limitò a sorridere.
“È normale che tu pensi questo di me,” abbassò lo sguardo fingendo di trovare i suoi piedi materia interessante.
Sasuke rimase sbigottito di fronte a quell’espressione e a quel modo di fare che non sembravano proprie dell’Itachi che aveva commesso tutti quei crimini; per un millesimo di secondo aveva avuto davanti il nii-san premuroso e gentile delle origini che a fatica riusciva a ricordare.
“Prima di riprendere ad urlare, Sasuke, ti prego di ascoltarmi,” Itachi tentò di infondere quanta più disperazione poteva nelle sue parole.
Ti prego, fratellino, ascoltami.
“Non voglio sentire una parola fuoriuscire dalla tua sporca bocca,” sibilò Sasuke.
“Non puoi fare nient’altro,” gli ricordò Itachi, alzando le braccia ad indicare il luogo in cui si trovavano.
L’ira di Sasuke ribollì ancora di più per l’impotenza a cui era controvoglia sottoposto; strinse i pugni, sopportando quella situazione solamente perché aveva intuito una nota di disperazione nelle parole del fratello che non considerava più tale.
Rilassò i muscoli che fin’ora aveva teso, preparandosi anche fisicamente ad accogliere quello che Itachi sembrava fremere dal dirgli. Si sarebbe aspettato di tutto: dalla spiegazione al motivo che lo aveva spinto ad entrare nell’Akatsuki, oppure la ragione per cui prima di piantargli del metallo nel suo punto vitale gli avesse rivolto delle parole tanto amorevoli, perché Sasuke, nonostante non lo volesse ammettere, sapeva più che bene che Itachi gli avesse rivolto un ‘Ti amerò per sempre’. Il per sempre a cui si riferiva poi, indicava l’eternità della loro morte?
Molto ironico, nii-san.
Tutto questo e molto più si sarebbe aspettato il giovane Sasuke, ma mai quello che realmente seguì.
“Questa è la verità, Sasuke. Ti avevo già detto di come le persone maturino una concezione distorta della realtà, cadendo negli inganni, modificando gli eventi a loro piacimento, crogiolandosi in una realtà illusoria. È quello che ho cercato di fare io in tutti questi anni, mutando la verità a mio piacimento per far credere agli altri ciò che io volevo che loro credessero.”
Prese un respiro e la sua espressione si fece più seria.
“La vera realtà, Sasuke, quella che ho nascosto, è molto più intricata di quello che tu possa credere ed è per questo che posso rivelartela solo ora. Perché siamo soli, ormai.”
Sasuke non era altro che confuso; se quelli erano inutili giochi di parole per farlo diventare pazzo, gli avrebbe fatto vedere la morte infinite volte ancora; ora ne aveva tutto il tempo.
“Parlerò francamente,” riprese Itachi.
“Ho ucciso mamma e papà perché…”, Sasuke sgranò gli occhi; sapeva già il motivo per cui aveva ucciso i genitori, quello sporco traditore, servendosi della calma più fredda di fronte ai loro corpi dilaniati: perché voleva appurare la sua vera forza.
“… perché sono stato costretto.”
E Itachi sentì come se tutti i cadaveri che gravavano su di lui in quel momento gli fossero stati scrollati di dosso; avrebbe riconquistato l’amore del fratello, aveva un’eternità davanti per cambiare la sua reputazione di assassino.
Cercò di captare quale effetto avessero avuto le sue parole su Sasuke.
“Tsk… non sai che altro inventarti, eh?”.
A quelle parole il volto di Itachi si rabbuiò, ma non demorse, tentando di continuare nella sua spiegazione.
“Fammi finire. Poi ti permetterò di fare ciò che vuoi.”
Sasuke voltò di scatto la testa, ma lo lasciò continuare.
“Il nostro clan progettava un colpo di stato; il Terzo Hokage tentò un accordo, tuttavia invano. Scelsero me in quanto sarei stato l’unico a non destare sospetti. Per salvare il villaggio, avrei dovuto estirpare i suoi mali interni. Eravamo noi quei mali, Sasuke, il nostro clan. Davano così importanza al fatto che eravamo un clan d’elite che non gli sarebbe importato rovesciare le sorti di Konoha, accecati dal potere volevano prendere il sopravvento, uccidendo, distruggendo se necessario.”
“Era la mia missione segreta, Sasuke. La mia ultima missione.”
Credimi, fratellino, perché non potrei sopportare di vivere nella morte sapendoti risentito nei miei confronti. Ora che siamo solo io e te.
“Hai fallito, Itachi. Io sono rimasto in vita,” disse Sasuke amaramente, ancora non credendo ad una singola parola.
“Chiesi al Terzo Hokage di proteggerti, di risparmiare almeno te. Non mi sarebbe importato ciò che il mondo avrebbe pensato, ai loro occhi sarei potuto apparire come un mostro, per me non avrebbe avuto alcun significato. Ciò che mi premeva era tenerti al sicuro e salvare al contempo il villaggio.”
Sasuke allora ricordò di come quella terribile notte fu sicuro di aver visto Itachi piangere mentre gli parlava, mentre gli ordinava di aggrapparsi come un parassita alla vita.
E crollò: se fosse stato ancora vivo, avrebbe detto che fosse appena crollato il mondo; in realtà ora non era più sicuro di cosa sentisse, cosa fosse stato appena distrutto. Forse tutte le sue certezze. Non voleva credergli, sarebbe andato contro tutti i principi a cui fino ad ora si era arrampicato per salvarsi, eppure gli credeva.
“Perché allora hai lasciato che vivessi da miserabile, se tanto mi amavi?”, domandò con cattiveria Sasuke, combattendo interiormente contro le lacrime che lo minacciavano da qualche minuto.
“Perché solo attraverso l’odio saresti potuto diventare così forte e uccidermi. Il mio finale non contemplava la tua morte, ma dovevo portare a termine la mia missione: salvare anche Konoha.”
Itachi poté ben capire come tutto ciò che aveva detto potesse sembrare crudele, a tratti insensato. Si era liberato di tutti i suoi scheletri, si era completamente messo a nudo per la prima volta.
E Sasuke sembrò capire. Gli si avvicinò con passo seppur incerto, arrestandosi quando vi erano solo pochi centimetri a dividerli. Poi gli sferrò un poderoso pugno allo stomaco, facendo piegare Itachi in due dal dolore.
“Perché ti sei fatto questo? Perché Itachi, perché…”, Sasuke era in preda ai singhiozzi.
Lo aveva fatto piangere, per l’ennesima volta. Eppure quella volta Itachi ne fu sollevato in quanto quel pianto indicava perdono.
Non gli sarebbe importato far conoscere la verità al mondo intero: che lo additassero come assassino, mostro, un violento e insensibile criminale anche dopo la sua morte, che gli disconoscessero una tomba di patria in cui giacere, un luogo di pace in cui poter far riposare simbolicamente il suo corpo; che la leggenda di Itachi Uchiha, nukenin di Konoha, terminasse con la sua morte miserabile anziché gloriosa. Nessuno meritava di conoscere la verità, nessuno meritava più la sua attenzione e comprensione. Itachi era stato sempre dipinto come un orrore vivente, eppure chi era stato in realtà il mostro che lo aveva tenuto lontano dai suoi affetti?
Chi è il mostro, Itachi? Te lo sei mai chiesto prima?
In fin dei conti non era mai stato lui l’orribile creatura, ma tutti coloro che lo avevano tenuto lontano da lui. Itachi rise, scoprendo tutti i denti senza pudore: sapeva che ora Sasuke avrebbe permesso di volergli bene. Dopo che avesse smesso di piangere e prenderlo a pugni, certo, ma poteva aspettare ancora qualche minuto, aveva un’eternità a sua disposizione.
“Sei sempre il solito piagnucolone, vedo,” scherzò Itachi.
“Stai zitto, idiota,” riuscì a dire Sasuke, asciugando con l’avambraccio le calde goccioline che fuoriuscivano copiose dagli occhi.
E Itachi pensò che non si sentiva così vivo da tempo.







 
 
 
 
 
 
 
Note

[1] Parte del sigillo per far scaturire il Mille Falchi.
[2] Nome della tecnica per controllare i fulmini che si manifesta sotto forma di un enorme drago fatto, per l’appunto, di un concentrato di fulmini.
[3] Versi conclusivi della tragedia greca intitolata “Alcesti”, di Euripide.
 
I passaggi dello scontro sono ripresi fedelmente dall’anime (naturalmente ho saltato qualche passo, per non far diventare quell’episodio più importante di tutto il resto e per non allungare troppo il brodo).


Note (quelle stupide!)

Ebbbbene. Questa storia ha partecipato al contest "Chi è il Mostro?" di MisticSword, aggiudicandosi il quarto posto, di cui sono ben lieta, dato che mi rendo conto di quanto non sia delle migliori (ultimamente riesco a rovinare ogni idea decente che mi passa per la testa).
Poi mi sto rendendo conto che in tutte le storie che sto scrivendo per i vari contest faccio sempre schiattare qualcuno O.O.
Con questo delirio delle quasi 2.00 di mattina vi saluto, sperando che ci sia qualche sonnambulo come me che vorrà farmi sapere la sua opinione su questa storiella *-* (ripeto che potete anche insultarmi, purché lo facciate educatamente xD).
Baci baciuzzi ragazzi, 
la vostra Giù.

 

 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Jooles