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Autore: Emily27    07/04/2013    6 recensioni
Emily dopo tanto tempo ritorna in un luogo che le farà rivivere giorni lontani attraverso i ricordi.
(Storia partecipante al concorso "[Telefilm e libri] Un tributo al loro amore" di Stareem)
(Storia partecipante al concorso "L'amore ai tempi di EFP" indetto da viktoria,)
(Storia partecipante al contest “Sincero (non mi odi più)” indetto da GiuniaPalma/LadyPalma sul forum di EFP”)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Emily Prentiss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ballycastle




 
Perché una vita sola non può bastare
per dimenticare quanto si può amare
Al tuo nome alla tua voce pensare
senza farmi male
E una vita sola non può bastare
per dimenticare ogni particolare
dei tuoi occhi che mi stanno a guardare
(Laura Pausini – Una storia che vale)




 
Emily scese dall'auto e respirò l'aria fresca e pulita della primavera appena incominciata. Si chiuse il giubbotto fin sotto il mento, in quanto, nonostante la giornata di sole, il clima era ancora un po' freddo da quelle parti. Intorno era tutto tranquillo, il paese si trovava lontano dal caos delle grandi città, poche macchine percorrevano la via e alcune persone entravano e uscivano dai negozietti o passeggiavano sul marciapiede salutando la bella stagione.
Si diresse verso una piazzetta lastricata di ciottoli, dove due bambini dai capelli rossi si rincorrevano ridendo fra le aiuole di ginestre. Volse lo sguardo verso una chiesetta con i muri bianchi e il portone di legno, si avvicinò a essa e restò a contemplarla per un momento, dopodiché si allontanò proseguendo il suo giro.
S'incamminò in una via stretta, tra abitazioni colorate in tinte pastello adiacenti le une alle altre, fino ad arrivare in una zona aperta con prati verdi e casette di pietra dal tetto spiovente. La sua attenzione fu attratta da una di esse. Mentre la raggiungeva attraverso una stradina sterrata, pensò che era rimasta come la prima volta in cui l'aveva vista, fatta eccezione per l'edera che un tempo ricopriva il muro laterale e che ora si era estesa su parte della facciata rendendo la casa ancora più caratteristica. I suoi proprietari ne avevano cura, era ancora ben tenuta come ricordava.
Si fermò davanti alla casa, tornando con la mente e con il cuore a giorni lontani e ritrovando le medesime sensazioni provate a quel tempo.
Quando il suo superiore all'Interpol le aveva comunicato che sarebbe dovuta recarsi in quel luogo per una consulenza alla polizia locale, era stata investita da un'ondata di ricordi.
Aveva creduto che non ci sarebbe mai tornata, invece il caso l'aveva riportata lì, a Ballycastle, dov'era stata il giorno dopo che Ian le aveva donato la collana con l'anello e le aveva rivelato di essere Valhalla.



 
* *


 
Irlanda del Nord, dieci anni prima

Emily osservava il cielo scuro punteggiato di stelle attraverso la finestra dell'elegante soggiorno, stringendo con una mano l'anello appeso alla collana che portava e che Ian le aveva donato quel mattino unitamente al suo cuore, non sapendo a chi stava promettendo una vita insieme. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, mentre riudiva le sue parole. Sono io Valhalla. Era lui l'uomo che l'Interpol cercava e la sua missione consisteva nel trovarlo, quindi quella rivelazione doveva essere una buona notizia, allora perché quando lo aveva saputo si era sentita sprofondare? C'era forse qualcosa che doveva ammettere con se stessa? Perché ormai era innegabile l'effetto che Ian Doyle aveva su di lei, il suo potere di catturarla con lo sguardo e di rapirla completamente mentre facevano l'amore. Era in grado di farle dimenticare chi erano. Quello che sentiva era pericoloso e sbagliato, non doveva succedere a un'agente sotto copertura, ma nonostante i suoi sforzi di volontà non riusciva a impedirsi di provare le emozioni che Ian le regalava.
Udì la porta aprirsi e si voltò.
Ian la studiò per qualche istante, poi, forse cogliendo nella sua espressione traccia di qualche pensiero che la tormentava, domandò: «Va tutto bene?».
Emily annuì e gli sorrise.
«A che cosa stavi pensando?», chiese ancora lui.
«A te».
Ian le andò vicino e cingendole la vita con le braccia l'attirò a sé. «Ne sono lusingato».
Emily gli appoggiò le mani sul petto per poi farle scivolare sulle spalle, accarezzandolo attraverso la stoffa della camicia bianca e sorridendogli con dolcezza.
«Lauren...», fece lui, chinandosi a baciarla delicatamente sulle labbra. Quando si staccò, disse: «Domani voglio portarti in un posto».
«Dove?», domandò lei curiosa.
«A Ballycastle, il paese in cui sono nato. Si trova a circa due ore da qui, sono sicuro che ti piacerà».
Ian desiderava farle conoscere il luogo che lo aveva visto bambino, dimostrando ancora una volta quanto tenesse a lei, e questa considerazione le causò un ingiustificato senso di colpa.
«Ci verrò volentieri», affermò accarezzandogli una guancia ruvida per un accenno di barba.
«Potremmo cercare un albergo e fermarci per qualche giorno, sarà una piccola vacanza. Ti va?».
«Certo che mi va». Era vero, ammise, le andava. Gli prese il volto fra le mani e lo baciò con intensità, lui le accarezzò la pelle nuda della schiena sotto la maglia provocandole un brivido. Quando le labbra di Ian scesero a sfiorarle il collo avvertì il desiderio farsi strada. Chiuse gli occhi e non le restò che lasciarsi trasportare dalla passione, dai gesti di quell'uomo che ogni volta sapeva stregarla. Tutto il resto scomparve.

Il mattino seguente si svegliarono di buon'ora, riempirono una borsa da viaggio e partirono con il suv di Ian alla volta di Ballycastle, situato nella contea di Antrim che si affacciava sul mare dell'estremo nord.
Percorsero il tragitto sotto a un cielo nuvoloso e una leggera pioggia, ma grazie al mutevole tempo irlandese quando arrivarono a destinazione il sole aveva fatto la sua comparsa, facendosi largo tra le nuvole spazzate via dal vento.
Lasciarono il suv in un parcheggio all'inizio del paese, addentrandosi poi a piedi in quest'ultimo. Emily osservò quanto la circondava: le vie strette e tranquille, i negozietti che sapevano di antico, le case colorate e i visi allegri delle persone che incrociavano. L'aria di marzo, ancora fredda ma piacevole, le donava vigore e le sembrava quasi di sentire il profumo del mare. Era bello quel posto.
Guardò Ian, il quale camminava al suo fianco, di poche parole e lontano con il pensiero. Per lui quei luoghi dovevano essere pieni di ricordi.
«È da tanto che non torni?», gli chiese.
«Da quando me ne sono andato, alla morte di mia madre. Mio padre non l'ho mai conosciuto», rispose Ian con la voce velata di tristezza e malinconia. «Avevo sedici anni e tante speranze per il futuro».
Emily non gli fece domande, semplicemente lo prese per mano e si sorprese di come quel gesto le fosse venuto spontaneo.
Ian la guardò e le sorrise. «Ti mostro una cosa», disse mentre arrivavano in una piccola piazza pavimentata di ciottoli. C'erano alcune panchine, due aiuole di ginestre e una chiesetta bianca.
«È una chiesa protestante. A giudicare dall'aspetto credo venga ancora utilizzata», considerò scrutando i muri tinteggiati di recente e il portone di legno mantenuto in buono stato.
«Sarebbe un peccato non farlo», affermò lei ammirandola.
Ian annuì e provò ad abbassare la maniglia del portone, che si aprì. Si voltò a guardare Emily e poi insieme entrarono.
Richiusa la porta dietro di loro si fermarono sulla soglia, immersi nel silenzio della piccola chiesa che profumava d'incenso. La luce del mattino filtrava colorandosi attraverso due finestre con i vetri a mosaico, illuminando pochi banchi di legno e un semplice altare, il cui unico ornamento era un vaso di fiori freschi. Camminando su un lato della chiesa Ian si diresse verso l'altare seguito da Emily, fino a un supporto con alcune candele accese posto di fianco a esso.
«Mia madre veniva a pregare qui. Quando ero piccolo mi portava con sé», disse Ian a bassa voce con un'espressione dolcemente nostalgica. «Mi alzavo in punta di piedi per mettere io stesso nel vaso i fiori raccolti insieme nel prato dietro casa, poi sollevavo la testa per vedere il suo sorriso».
Quando Emily incontrò i suoi occhi, pensò che forse erano dello stesso azzurro di quelli della donna che lo aveva messo al mondo e che Ian doveva aver amato molto.
«Hai un bel ricordo di lei».
«Era buona».
Ian prese una candela, l'accese e la sistemò con le altre, dopo rivolse lo sguardo al crocifisso in ferro battuto alle spalle dell'altare restando in silenzio. Stava pregando.
Emily ne restò colpita e si chiese da quanto tempo lei non lo facesse, sembravano secoli, non ricordava nemmeno quando avesse messo piede in una chiesa l'ultima volta. Spostò lo sguardo da Ian al crocifisso e inaspettatamente qualcosa dentro di lei si sciolse. Pregò, si sentì di farlo proprio in quel momento, in quella chiesetta semplice lontana dal mondo e con un uomo che le aveva aperto il suo cuore.

Usciti dalla chiesa percorsero ancora alcune vie nel centro del paese, sbucando poi in uno spazio con prati e antiche casette di pietra, dove una stradina sterrata li condusse tra queste ultime. Molte sembravano non ospitare abitanti al momento, ma essendo ben tenute Emily e Ian ipotizzarono che venissero usate come case per le vacanze.
«Non è cambiato molto qui, sembra non siano passati tutti questi anni», osservò lui guardandosi intorno.
«Sei cresciuto in un bel posto, a contatto con la natura», affermò Emily, pensando che probabilmente Ian doveva avere avuto un'infanzia migliore della sua, circondato da quei luoghi incontaminati e dall'amore di sua madre. Poi la sua vita aveva imboccato la direzione che lo aveva portato ad essere chi era, ma se avesse fatto altre scelte sarebbe diventato un'altra persona, forse si sarebbero incontrati ugualmente, e allora sarebbe stato tutto diverso.
«È questa», disse Ian distogliendola dalle sue riflessioni. «Sono nato e cresciuto qui». Si era fermato davanti a una casetta con un solo piano, dove un'edera nascondeva quasi per intero un muro laterale e uno steccato di legno delimitava lo spazio antistante, ricoperto dall'erba fresca e da alcuni cespugli di ginestre.
Emily si soffermò ad ammirare l'abitazione e poi guardò lui, perso in ricordi lontani. Fu certa che i suoi occhi vedessero un bambino giocare sul prato e arrampicarsi sugli alberi dietro casa, ridendo felice in un giorno d'estate.
«È una parte di te, quella che c'è in ognuno di noi e che non smetterà mai di accompagnarci».
«Credo di sì. Sono felice che qualcuno abbia continuato a prendersi cura di questa casa», disse lui sereno, poi le domandò: «Hai mai desiderato ritornare bambina?».
«Intendi quando vedi il mondo a colori, hai fiducia in tutto e in tutti e pensi che andrà sempre bene?», rispose Emily.
«Esattamente».
«Allora la risposta è sì».
Ian sorrise e la prese per mano. «Il giro turistico continua. Andiamo».
Lasciarono il gruppo di case e si trovarono circondati dai prati inondati di sole, dove pascolavano alcune greggi di pecore. Il cielo si era completamente rasserenato, fatta eccezione per qualche nuvoletta bianca, ed era di un azzurro intenso. Ora lei e Ian camminavano sull'erba respirando l'aria pulita, con i giubbotti che li riparavano dal vento.
Emily, ammiccante, toccò Ian con la spalla. «Avanti, me lo puoi dire...».
«Che cosa?».
«Quando eri piccolo avrai fatto qualche marachella...».
«Marachelle? Chi, io?», disse lui aggrottando la fronte.
«Dai, non vorrai farmi credere che non ne hai mai combinate!».
«Intendi quando ho scambiato il sale con lo zucchero a mia madre, o quando a scuola abbiamo rubato il parrucchino al maestro per metterlo al cane?».
«Al cane?!».
«Credimi, Lauren, stava molto meglio a quel labrador...».
Emily rise di gusto, poi disse: «Comunque sì, intendevo quello».
«Allora la risposta è sì», affermò Ian imitando ancora le sue parole di poco prima.
Risero insieme e continuarono a camminare tenendosi per mano, mentre in lontananza si udivano i rintocchi di una campana che dava il buongiorno.
Ian l'aveva portata in quel luogo tanto intimo e importante per lui, rendendola partecipe di una parte della sua vita, pensò Emily, e lei lo stava ingannando. Era il suo lavoro, il suo dovere, era giusto che le cose stessero così, eppure in quel momento l'idea di tradirlo le risultava insopportabile. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, che restassero lì, per sempre un uomo e una donna che stavano bene insieme, semplicemente. Invece lei era un'agente dell'Interpol sotto copertura e lui l'ex affiliato dell'Ira che si faceva chiamare Valhalla.
I pascoli, più avanti, diventarono un promontorio, dove Emily e Ian si fermarono a qualche metro dal ciglio della scogliera e guardarono il mare, che si fondeva con l'orizzonte e il cielo, per poi arrivare fin sotto di loro ad infrangersi sugli scogli con gli spruzzi bianchi e un bel rumore.
Emily restò affascinata da quella natura che aveva qualcosa di selvaggio e rasserenante al tempo stesso.
«È stupendo qui».
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto», disse Ian rivolgendole un sorriso e stringendole più forte la mano. «Quando ero piccolo venivo qui e affidavo al vento i miei sogni di bambino».
«Credo sia un modo bellissimo per esprimerli», affermò lei ricambiando la stretta, mentre il vento le scompigliava i capelli e muoveva l'erba ai loro piedi.
«Lo sai che cosa dicono di questo posto?», fece Ian avvolgendo con lo sguardo tutto quello che c'era intorno. «Che è talmente bello che sei destinato a tornarci, prima o poi». La circondò con le braccia. «Anche tu ci verrai di nuovo, insieme a me», le promise parlando con dolcezza.
Emily si sentì trafiggere il cuore, pensando che non sarebbe mai tornata con Ian a Ballycastle. Gli mise la braccia al collo e si strinse a lui nascondendo il viso sulla sua spalla, non voleva che le vedesse la tristezza negli occhi.
Stretta a Ian si rese conto di come potessero mischiarsi felicità e dolore, amore e inganno, un intreccio che poteva soltanto portare a farsi del male.
«Lauren...», mormorò lui, ed Emily sollevò la testa a guardarlo lasciandosi incantare dai suoi occhi, che avevano lo stesso colore di quel cielo e di quel mare e che sembravano parlarle, limpidi e trasparenti.
«Ti amo», le disse.
Due parole che la colpirono all'improvviso e che le scesero nel cuore, dov'era nascosto lo stesso sentimento che scalpitava per uscire, contro ogni regola, logica o ragione. Il suo cuore non mentiva, quello era tutto autentico.
«Ti amo anch'io, Ian».
In quel preciso istante decise che, per i giorni successivi, avrebbe dimenticato l'esistenza di Emily Prentiss e sarebbe stata soltanto Lauren.


 
* *


Il cielo era di un azzurro intenso, il mare s'infrangeva forte sugli scogli e il vento le scompigliava i capelli, proprio come allora. Niente era cambiato in quel meraviglioso angolo di mondo, così come profondi erano i ricordi di Emily, chiare immagini nella sua mente e vive emozioni nel suo cuore. Ricordava ogni momento vissuto in quei giorni, come se appartenesse al presente e non al passato. Era tutto racchiuso in una parte del suo cuore inaccessibile a chiunque, nessuno sapeva e avrebbe mai saputo che cos'aveva vissuto a Ballycastle, apparteneva a un'altra vita che un'altra lei aveva vissuto, la donna che attraverso i ricordi non avrebbe mai cessato di esistere.
Il destino l'aveva davvero riportata a Ballycastle, da sola, senza Ian. Mentre guardava il mare desiderò tornare indietro nel tempo, averlo accanto ed essere stretta dalle sue braccia forti. Non aveva più amato in quel modo e nessuno l'aveva più fatta sentire come quando stava con lui.
Il cielo e il mare diventarono immagini traballanti davanti ai suoi occhi umidi, finché le lacrime scesero a rigarle le guance. In quel luogo Emily aveva lasciato un pezzo del suo cuore.
«Ian...», sussurrò al vento, che avrebbe portato la sua voce là dove lui l'avrebbe udita e dove forse un giorno Lauren e Ian si sarebbero rincontrati.















 
  
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