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Autore: _DNA    07/04/2013    2 recensioni
[Questa fic partecipa al contest "Parallel Times" indetto da Flame_Fairy e _Nyarlathotep_]
Ringrazio infinitamente Fay e Zael per avermi permesso di partecipare. Grazie di cuore.
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“E per cosa combattiamo, Shindou?” domandò poi.


“Combattiamo per i nostri ideali, per la nostra patria, combattiamo per noi stessi. Noi serviamo il nostro paese, dimostrandoci fedeli e coraggiosi, non possiamo tirarci indietro se ci dichiarano guerra. Va contro il nostro codice, un codice che noi samurai siamo disposti a rispettare anche a costo della vita. Tuttavia rimaniamo comunque dei mortali, anche noi proviamo paura, anche noi abbiamo voglia di vivere.” disse, con una punta di amarezza nel suo tono. 


Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Autore: _DNA
Titolo: Era questo che volevo
Prompt:
Epoca: Ribellione di Satsuma
Parole: Secondo Word sono 1457
Pairing: RanTaku, lievemente accennata
Note: Scriverò qui tutto quello che ho da dire, senza angoletto a fine fic.
Fay, Zael, grazie mille per avermi dato la possibilità di partecipare a questo contest, che mi è piaciuto fin da subito.
Scusate il ritardo -oserei dire- abominevole, ma questo è ciò che capita quando l'ispirazione arriva tardi e quando la tua connessione internet ti detesta (?).
In più vi propongo questo scempio. Siete liberi di ammazzarmi.
Beh, spero comunque che a voi lettori piaccia, scrivere questa one-shot è stato un parto.
Ok, ho finito. Buona lettura a tutti ~







Era questo che volevo






Era giunta l’ora.

Le prime luci dell’alba avevano colto i guerrieri giapponesi ritti in piedi sul campo di battaglia, in riga, solenni e composti. Attendevano impazienti un ordine, un solo ordine da parte del loro comandante, ma nulla, lui non si presentava. 

Le paure che si annidavano nelle loro menti, avvelenandole, si erano dissolte durante la notte. 
Non potevano permettersi di provare simili sensazioni, il minimo errore in battaglia sarebbe costato loro la vita, ma erano pronti. Pronti a sacrificarsi e a combattere con tutte le loro forze per vincere quella guerra, che proseguiva ormai da parecchi mesi, seminando ovunque morti e dolori.

Troppi valorosi soldati avevano perso la vita durante le imprese precedenti. 
Anche se erano rimasti in pochi, i superstiti non si erano fatti demoralizzare da un numero, un insignificante numero.

Avrebbero portato a termine il loro dovere, perché era quello che il destino teneva in serbo per loro.
 Ma quella mattina era diversa da tutte le altre. Tutti gli uomini sentivano che sarebbe accaduto qualcosa.

Arrivò il generale, un uomo basso e dal carattere forte, esperto nell’impartire ordini. Era stato seguito fino a lì da una ragazza, che camminava a testa bassa.
Strano, lui amava la solitudine. E poi perché non era stato accompagnato da un uomo? Persino le donne desiderose di combattere si sarebbero ‘mascherate’ per eludere la propria identità, per apparire dei veri soldati. 
Invece in quel viso erano ben distinguibili lineamenti femminili, ma soprattutto, quei capelli rosa erano un particolare non trascurabile.


“Presentati.” intimò secco il generale alla ragazza.

Quella sussultò, per poi inchinarsi davanti alla schiera di guerrieri di fronte a lei.

“Kirino Ranmaru, da oggi prenderò parte alla rivoluzione. Sarò onorato di combattere al vostro fianco.” disse, meccanicamente. 
Dunque in realtà si trattava di un lui. 
Non sarebbe durato molto, in battaglia, con quella costituzione debole e quell’aria fragile che dava a vedere. 
Il generale annuì, soddisfatto e finalmente si schiarì la voce.


“Venti minuti.” mormorò piano, ma tutti i guerrieri riuscirono a percepire le sue parole. Ancora venti minuti e poi avrebbero potuto dare sfogo all’ira sopita dentro i loro cuori sin dall’inizio di quella sanguinosa guerra.

I guerrieri si dispersero, sollevati dall’avviso del loro generale.

Alcuni si recarono dalle proprie famiglie, per salutarle un’ultima volta; tutti gli altri si riunirono, per parlare e scaricare un po’ la tensione.

Un ragazzo dai capelli castani, sicuramente il più giovane fra i suoi compagni, si estraniò dal gruppo, andandosi a sedere all’ombra di un albero.

Kirino lo raggiunse timidamente, in fondo anche lui si ritrovava da solo.


“Piacere di conoscerti, sono Kirino Ranmaru, quello nuovo.” affermò, porgendo la mano al castano.


“Shindou Takuto.”, il ragazzo gliela strinse, senza neanche rivolgergli lo sguardo.
Poi piombò il silenzio fra di loro. Di cosa avrebbero dovuto parlare? Di nulla, in fondo erano nel bel mezzo della guerra. Non c’era niente di cui si potesse discutere spensieratamente. I cuori di tutti, in quegli anni bui, si erano induriti.

“Com’è?” trovò poi il coraggio di chiedere Kirino. 
Il castano capì subito a cosa si stesse riferendo il ragazzo. 



“Certe esperienze non dovrebbe viverle nessuno.” sussurrò flebilmente “Paura. La paura si impossessa di noi, facendoci commettere errori irrecuperabili. Non si può evitare. Assistere alla guerra come ‘spettatori’ non è neanche minimamente comparabile a combatterla giorno per giorno, con la tremenda ansia di morire che convive con te, rodendoti l’anima. Questo non è vivere, no.”
 Ranmaru rimase muto davanti a quella risposta, dannatamente vera. 



“E per cosa combattiamo, Shindou?” domandò poi.



“Combattiamo per i nostri ideali, per la nostra patria, combattiamo per noi stessi. Noi serviamo il nostro paese, dimostrandoci fedeli e coraggiosi, non possiamo tirarci indietro se ci dichiarano guerra. Va contro il nostro codice, un codice che noi samurai siamo disposti a rispettare anche a costo della vita. Tuttavia rimaniamo comunque dei mortali, anche noi proviamo paura, anche noi abbiamo voglia di vivere.” disse, con una punta di amarezza nel suo tono. 


Il rosa annuì serio, poggiando la schiena contro il fusto dell’albero. 

Prima che potesse fare qualche altra domanda all’altro, il generale ordinò a tutti i guerrieri di tornare in riga. Essi obbedirono prontamente, posizionandosi di fronte all’uomo. Questo prese a camminare rasente la fila, con aria critica, fermandosi di fronte a Kirino e squadrandolo.

“L’armatura?” chiese sprezzante.


“Io non ho un’armatura, signore.” rispose semplicemente. A quelle parole, tutti i compagni si voltarono stupiti verso di lui.


“Come ti difenderai?” il generale era ormai al limite della pazienza.


“Con lo scudo, signore.” 


“Non ne uscirai vivo, ragazzo.” borbottò, battendo una mano sulla spalla dell’interlocutore, per poi proseguire la sua rassegna.
Ranmaru non si era minimamente scomposto dopo l’affermazione del generale, Shindou rimase colpito dal suo comportamento. Il castano continuava a fissarlo, con la bocca semiaperta. Era appena arrivato e si dimostrava già più maturo di lui. 


“Bene, uomini. È il momento, le truppe di Yamagata stanno avanzando verso di noi. Tenetevi pronti al mio segnale.” sentenziò l’uomo, conclusa la sua ispezione. 
All’orizzonte, una linea scura percorreva lentamente la pianura: l’esercito imperiale si avvicinava. 
Il generale osservava la scena impassibile, con un braccio dietro alla schiena e l’altro teso a sinistra. 
I soldati attendevano il suo ordine, pareva che non respirassero nemmeno, si poteva percepire tutta la tensione presente.
 Ranmaru era insolitamente tranquillo, sebbene quella, per lui, fosse la prima battaglia. 
Toccò lievemente la spalla di Shindou, per attirare la sua attenzione.


“Arrivo subito.” sussurrò, facendo qualche passo indietro, ma il castano lo afferrò per un polso. 


“Dove vai?” gli chiese agitato. Kirino gli sorrise, senza rispondere, e si liberò dalla sua presa, correndo via. Takuto lo guardava allontanarsi, confuso. 


“Ora! Andate!” gridò il generale alzando in alto il braccio che prima teneva teso. Shindou sussultò, tornando alla realtà.

I samurai si precipitarono verso i nemici, urlando e brandendo le proprie spade. 
Solamente lui rimase immobile, fissando il vuoto.

“Vai anche tu, forza!” sbottò il comandante. 

Il castano scosse la testa: doveva combattere, concentrarsi solamente sulla battaglia.
Impugnò la spada e raggiunse di corsa gli altri, con un’espressione determinata in volto.
La rabbia repressa nel fondo del suo cuore si risvegliò. Con movimenti quasi aggraziati Takuto faceva danzare la sua spada, trafiggendo i nemici senza alcuna pietà e schivando agilmente gli attacchi. Si sentiva ardere e nulla l’avrebbe fermato. Vedeva i suoi compagni cadere uno dopo l’altro, colpiti atrocemente dai soldati di Yamagata. Erano troppi per tentare di sovrastarli, ma Shindou voleva portare a termine il suo compito.
Quattro, tre, due…rimase l’unico. La battaglia si interruppe, come se il tempo si fosse fermato. Improvvisamente si sentì impotente, inutile. Davanti a lui si estendeva, impietoso, l’esercito nemico e lui era solo uno.
Indietreggiò leggermente, tendendo tremante la spada davanti a lui.

“No…” sentì sussurrare alle sue spalle. Si voltò. Kirino osservava con le lacrime agli occhi la distesa di cadaveri a terra, con macchie di sangue ovunque. Alcuni erano indistinguibili: masse informi di corpi orribilmente sfregiati, sovrapposti ed ammucchiati, che non erano riusciti a sfuggire alla morte.

“Ranmaru…” mormorò appena il castano, abbassando l’arma.
Poi sentì il grido selvaggio di uno dei guerrieri nemici, che si avventava su di lui. O almeno così pensava. Il soldato scansò bruscamente Shindou, facendolo cadere e corse verso Kirino, armato solo di spada e scudo. Il rosa, spaventato, sollevò quest’ultimo, cercando di ripararsi dietro di esso.

“No, Ranmaru!” urlò Takuto rialzandosi di scatto. Senza pensarci, si posizionò davanti al compagno, per difenderlo, ma la sorte gli giocò un brutto scherzo.
Il guerriero gli trafisse il petto, facendogli provare un dolore immenso e quando ritrasse lentamente l’arma, sporca, il castano si accasciò al suolo con un tonfo sordo.

“Shindou!” gridò Kirino, piangendo, dopo aver assistito alla scena. Si avvicinò al corpo steso sul terreno, ma fu bloccato dalla lama del soldato nemico, tesa tremendamente vicino alla sua gola.

“Tu, l’unico sopravvissuto, andrai a riferire al tuo generale che la guerra è terminata con la vittoria dell’esercito imperiale.” ridacchiò l’uomo infilando la spada nella fodera e tornando dai suoi compagni.
Ranmaru era inginocchiato, le lacrime gli solcavano il viso, era paralizzato.

“E ringrazia il tuo amico.” aggiunse il guerriero, con un ghigno soddisfatto.
Tutta la truppa si allontanò, lasciando il rosa da solo, in mezzo a innumerevoli cadaveri. Si riscosse dai suoi pensieri e prese fra le sue braccia il corpo del giovane samurai.

“T-Takuto…” balbettò, con la voce rotta dai singhiozzi. Il ragazzo aprì lievemente gli occhi, sorridendo.

“Non piangere.” disse, in sussurro “Ho finalmente completato il mio destino.”

“Ma…”

“Sono contento di averti conosciuto. Sei una splendida persona, Kirino.”

“Grazie, Shindou. Grazie di tutto.” mormorò asciugandosi le lacrime ed abbozzando un sorriso.

“Non importa se abbiamo perso la guerra. Io mi sono sacrificato per te, era questo che volevo. Addio…Ranmaru.” disse accarezzando una guancia al compagno con le sue ultime forze. Poi richiuse gli occhi e l’anima abbandonò silenziosamente il suo corpo. Le lacrime di Kirino ripresero a cadere, infrangendosi sul viso di Shindou e bagnandolo.

“Addio, Takuto.”
  
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