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Autore: RainAgainst    07/04/2013    2 recensioni
Mi immaginai anche una ragazza, di quelle un po’ bruttine, che se ne stanno sempre in un angolo, timide, nell’attesa che qualcuno si accorga di loro, ammantate dalla triste consapevolezza che la probabilità di essere notate da qualcuno rasenta lo zero assoluto.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le ore di storia, a scuola, sono le mie preferite, perché mi perdo in pensieri che, nel resto della giornata, non ho tempo di inventare. Sì, perché sono sempre di fretta, perché ho troppi impegni, perché devo studiare per quelle interrogazioni il cui voto pare essere inversamente proporzionale allo sforzo applicato, perché sono troppo occupato a cercare di individuare la peculiarità che di preciso mi rende disadattato, perché devo capire il motivo per il quale non parlo quasi con nessuno in classe, perché sono troppo impegnato a chiedermi perché la mia migliore amica mi lascia sempre da solo quando ho bisogno.
E, quindi, le tre ore settimanali di storia sono le mie preferite, perché la mia fantasia si entusiasma e dà spazio ai più impensabili pensieri.
Quella mattina, come sempre del resto, avevo lasciato a casa il libro, ma avevo declinato l’invito della mia compagna di banco a seguire la spiegazione dal suo manuale, proprio perché di stare attento mi importava ben poco. Arresasi, dopo pochi minuti, anche lei, mi fece notare che sul suo banco vi era un’incisione che riportava ‘tu mi hai stravolto la vita’. Sorrise, sentenziò che la gente è strana, ma poi tornò a seguire la lezione.
Io, invece, pensai che quelle parole erano davvero enigmatiche, strane, e che potevano riferirsi a situazioni diverse, a persone diverse.
Mi immaginai un professore di matematica, uno di quelli che ci sanno fare, uno di quelli che spiegano così bene da rendere l’algebra un gioco da ragazzi anche ai più incapaci. Mi immaginai poi una studentessa, che aveva sempre odiato l’algebra, la geometria, l’aritmetica, dalle frazioni fino alle disequazioni di secondo grado, che di fronte a quel professore rimaneva estasiata, che per la prima volta in vita sperimentava l’immensa soddisfazione nell’apprezzare il fatto che il risultato della sua equazione fosse identico a quello riportato sul libro. Mi immaginai lei presa da un entusiasmo straordinario, felice, che incideva sul banco quelle parole, sperando che il professore potesse leggerle, e potesse magari rallegrarsi, perché era riuscito nel suo compito.
Pensai, poi, ad un altro professore, questa volta di letteratura, giovane, bello, enigmatico, colto, un po’ all’antica, con i capelli e gli occhi scuri, lo sguardo cupo ma attraente, che per tutta la durata della lezione rimaneva puntato fisso negli occhi della studentessa bionda, alta, con gli occhi azzurri dell’ultima fila. Mi immaginai i loro incontri segreti fuori da scuola, i voti di lei che andavano oltre le sue oggettive performance, i messaggi in codice, che solo loro potevano capire, la felicità che irradiava entrambi durante le ore di lezione, e l’entusiasmo giovanile della bionda che per rompere l’impasse straziante che si era creato l’ennesima volta che i loro guardi si erano incrociati nel giro di cinque minuti l’aveva indotta ad incidere quelle parole sul banco, certa che il professore le avrebbe lette, perché non le toglieva gli occhi di dosso.
Mi immaginai poi un ragazzo gay, che aveva avuto il coraggio di ammettere se stesso a se stesso, che aveva capito che la vita era una sola e come tale non andava sprecata. Mi immaginai l’allegria che lo aveva ricoperto quando aveva trovato un ragazzo che lo amava come desiderava, e che richiedeva un po’ quell’amore di cui era satollo e che non vedeva l’ora di condividere. Mi immaginai i pomeriggi che passavano insieme, attenti a non farsi scoprire, perché probabilmente non erano ancora pronti a rivelare a tutti la loro vera identità, e il loro animo non aveva ancora compiuto la metamorfosi che lo trasforma in uno scudo per respingere i commenti cattivi delle persone, mi immaginai i baci e gli abbracci che si scambiavano, e le promesse che erano qualcosa di più che semplici parole. Mi immaginai una felicità così straripante che doveva essere condivisa, e, non avendo nessuno di fidato, la decisione di incidere sul banco quelle parole, riferite al proprio amore.
Mi immaginai anche una ragazza, di quelle un po’ bruttine, che se ne stanno sempre in un angolo, timide, nell’attesa che qualcuno si accorga di loro, ammantate dalla triste consapevolezza che la probabilità di essere notate da qualcuno rasenta lo zero assoluto. Mi immaginai un ragazzo bellissimo, di quelli che sono desiderati da tutte quante, di quelli che hanno un sorriso bello da impazzire, di quelli che quando passano per attraversano il corridoio della scuola – e lo fanno dalle cento alle duecento volte al giorno – fanno sì che l’attenzione si incentri solo su di loro. Mi immaginai lui che un giorno andava da lei, le rivelava il suo amore, e lei, incredula, restava immobile, rubiconda, impacciata, lui la baciava e lei scopriva un mondo nuovo, del quale mai avrebbe potuto credere di far parte. Mi immaginai loro due vicini di banco, e lei che, timida com’era, non riusciva a dirgli di persona che lui le aveva stravolto la vita, e allora glielo incideva sul banco.
Mi immaginai poi una signora anziana, ma suonò la campanella, e mi riportò al mondo reale, e all’ansia per la verifica dell’ora successiva. La mia compagna di banco mi chiese a che cosa avessi pensato per tutto il tempo. Mi colse di sorpresa, perché in tutte le ore analoghe non aveva mai mostrato il minimo interesse nei miei confronti. Stetti sul vago, accennai all’incisione sul banco, e poi mi accinsi a separare il mio banco, per creare le consuete file da compito in classe.
Restò immobile a fissarmi, sorridendo, e in quel momento avrebbe solo voluto dirmi che l’incisione l’aveva fatta lei, ed era per me, solo per me. Voleva dirmi che i protagonisti della storia così surreale e felice dovevamo essere noi. Ma il mio tempo era già finito, e lei sapeva che avrebbe dovuto aspettare almeno fino alla prossima lezione di storia. 

  
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