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Autore: Joan Douglas    10/04/2013    8 recensioni
Il piccolo sgranò gli occhi. «Ehm... okay, m-ma chi è quello...?», mormorò con voce tremante. C'era troppa poca luce per vedere il viso di Edward, se ne riusciva a scorgere solo la sagoma massiccia.
«È il ladro maldestro che è appena entrato in casa, va bene? È un mio carissimo amico. Ora via, aria». E l'ennesimo visitatore tornò nella sua camera, lasciandoli soli.
«E così, sarei un ladro maldestro, eh?», chiese curioso.

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Edward: ladro maldestro o semplice ragazzo innamorato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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A clumsy thief.

 

Era una nottata uggiosa, quella. L'aria era pesante e umida, e i lampioni riflettevano la propria luce sulla superficie delle pozzanghere. La nebbia di Londra era scesa sulle strade, facendosi sempre più fitta a ogni passo del ragazzo. Che cosa ci faceva a passeggiare in giro a notte inoltrata? Aveva una missione da compiere e non doveva fallire. Quell'idea non gli era balenata in mente nemmeno una volta; era impossibile, lui non doveva e non poteva fallire. Era in gioco la sua vita da ragazzo diciottenne.

La sue scarpe scricchiolavano sul marciapiede, andandosi a scontrare, talvolta, con una lattina di Pepsi abbandonata e ammaccata. Il suo nervosismo era palpabile: era la causa delle goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte, del battito frenetico del suo cuore; gli sembrava di sentire il rumore causato dal suo continuo sbattere.

Il giovane raggiunse la casa che gli interessava. Imponente, dalla facciata candida e dal tetto a spiovente, dal quale scivolavano via delle goccioline di pioggia, circondata da un praticello all'inglese ben curato. Il vialetto che conduceva sulla veranda era ben distinto dai fili d'erba che, a casa sua, si erano trasformati in erbacce pungenti. Affondò ancora di più le mani nelle tasche dei jeans, e sfiorò con l'indice destro la causa della sua uscita notturna, infondendosi coraggio.

Appollaiate in ogni dove, c'erano telecamere intente a spiare o a controllare la vita delle persone che abitavano in quella villa. Si era ben informato su quello che avrebbe dovuto fare, ma non era mai stato un ladro provetto, né tanto meno uno scassinatore (i suoi lavori erano di ben più alto spessore). Ma lui ci avrebbe provato e portato a termine quello che si era prefissato. Ne era certo.

Osservò attentamente una delle tante telecamere che girava su un perno per 360° in cinque secondi, fissata proprio sul tetto a spiovente della veranda. Lo stesso valeva per le altre. Per fortuna che aveva calcolato il percorso nella tranquillità di casa sua: tendeva a essere agitato nei momenti meno opportuni.

Con passo svelto e felino, attraversò metà del giardino verdeggiante e si nascose dietro quello scivolo di odiosa plastica rossa. La telecamera fece il giro sul perno, per poi registrare la parte sinistra della casa; in quel momento si mosse nuovamente e si intrufolò dentro il cespuglio che la signora Swan amava tanto curare. L'unica cosa che non aveva previsto? Che il cespuglio fosse di rose. Non se n'era mai accorto, stupidamente, e ora lo provava sulla propria pelle.

Una spina gli si conficcò esattamente nel pollice. «Porca paletta, che male!», sbraitò a bassa voce, per evitare di attirare l'attenzione.

Una volta che ci fu la coincidenza che tutte le telecamere non stessero riprendendo il cespuglio di rose, sgattaiolò verso la porta di casa. Aveva i secondi contati prima di essere inquadrato. Fece scivolare con mani tremanti, il ferretto nella serratura. Uno scatto lieve lo avvertì di aver aperto la serratura giusto in tempo.

Arrivò nell'atrio di casa con ancora il cuore in gola e si nascose dietro una giacca appesa all'appendiabiti. Se lo avessero beccato lo avrebbero sgozzato, probabilmente.

Proprio mentre formulava questo pensiero, si rese conto di passi pesanti e cadenzati che si avvicinavano sempre di più. Li riconobbe all'istante. Aveva sempre avuto paura di quei piedi. Rabbrividì e tentò di farsi piccolo dietro la giacca. I passi si fecero sempre più vicini, sempre di più, sempre più veloci e... la luce dell'atrio si accese. Ti prego, fa che non mi veda i piedi. Ti prego! scongiurò qualcuno di non ben definito, il giovane.

Fortunatamente, il rumore dei piedi del padrone di casa rimbombò sul parquet della cucina. Cavolo, se mi avesse beccato, mi avrebbe puntato il suo fidato fucile contro.

Dopo interminabili minuti di attesa, il padrone di casa ritornò ai piani superiori e il ragazzo ebbe la possibilità di continuare la sua missione da ladro maldestro. Respirò profondamente e cominciò a salire le scale, aggrappandosi al corrimano e convincendosi che tutto il rumore che sentiva, era solo una conseguenza al suo fiatone, che gli rimbombava nelle pareti della testa. Decisamente non avrebbe avuto un futuro.

Raggiunse con una certa difficoltà la cima delle scale, tra un auto-sgambetto e l'altro. Peccato che vicino alla finestra della ragazza non ci fosse un albero o qualcosa a cui aggrapparsi, se no a quell'ora sarebbe già arrivato a destinazione. Sbuffò, lievemente. Chi gliel'aveva fatto fare? Ah, giusto, quella semplice ragazza che dormiva placidamente nella sua camera da letto, ignara di quello che le stava per accadere.

Davanti a lui, un lungo corridoio. Per fortuna che le telecamere erano state installate solo all'esterno e al piano terra, se no si sarebbe fatto sicuramente beccare: era sfinito da tutto quel continuo nascondersi. Allungò una mano verso il muro, per riprendere fiato, e sollevò un piede per sfilarsi una scarpa ed evitare ogni possibile suono. Ma probabilmente la sua goffaggine era onnipresente, perché mancò alla grande la presa sul muro e si ritrovò a muovere come un forsennato le braccia per non perdere l'equilibro e cadere all'indietro. Non ci teneva a rompersi una gamba, no. Per chissà quale fortuna, riuscì ad aggrapparsi all'ultimo momento.

«Oddio, porca paletta», sussurrò nuovamente.

Evitò di togliersi le scarpe.

In punta di piedi raggiunse la porta che tanto gli interessava e lentamente la scostò. Un cigolio insopportabile provenne dai cardini, ma prima che il signor Swan potesse svegliarsi per quell'unico suono - aveva il sonno molto leggero, infatti - entrò frettolosamente nella stanza.

Quello che gli si presentò davanti agli occhi lo sconvolse piacevolmente. La ragazza era lì, distesa tra le coperte lilla, fino ai fianchi, che probabilmente avevano preso il suo stesso odore fresco di fresia, di sole. Era a pancia in giù, con le braccia sollevate ai lati della testa, strette a pugno, quasi come se nel suo attuale sogno volesse pestare qualcuno. Non si stupì di quel probabile sogno: era abbastanza manesca quando si impegnava. I capelli arruffati, castani, che risplendevano quasi a causa della luce fioca che proveniva dalla finestra, le davano l'aria da bambina, e le guance arrossate rendevano quell'idea ancora più reale, come anche gli occhi chiusi serenamente.

Il ragazzo si avvicinò lentamente verso il letto, senza sapere esattamente cosa fare. Guardò l'orologio: le 2.17. Sorrise, quasi volendo battersi il cinque da solo. Poi immerse la mano nella tasca e ne estrasse l'oggetto per cui era entrato furtivamente in villa Swan.

«Yaaaaah!». Un urlo minaccioso gli invase le orecchie e molto presto si ritrovò sdraiato per terra, sul parquet gelido, dopo un potente colpo nell'addome, e con la sua ragazza che lo sovrastava con un'espressione che non riusciva a decifrare, dato che erano completamente nell'ombra.

«Ahi!», si lamentò lui, portando le mani a massaggiarsi la parte lesa. La sua ragazza aveva fatto karate, dall'età di dieci anni, si vedeva? «Bella, sono io!».

Bella si riscosse al suono di quella voce, così si scostò dal suo corpo indolenzito, accigliata. «Edward? Ma cosa cazzo ci fai qui in piena nott...». Ma non fece in tempo a finire la frase che si sentirono dei passi rumorosi per il corridoio. Entrambi i ragazzi inorridirono capendo che cosa stesse succedendo. «Forza, nasconditi sotto il letto!».

Proprio quando Edward fu coperto totalmente dalla superficie del letto, la porta si spalancò con un tonfo, andando a sbattere contro il muro. «Isabella!», esclamò Charlie, preoccupato. «Che succede, piccola? Ho sentito...».

Bella non gli diede tempo di continuare la frase. «Ehm, niente, papà! Ho avuto un semplice incubo, è per questo che ho urlato, non ti devi preoccupare di nulla», lo tranquillizzò. Edward ringraziò il fatto che Bella fosse capace di dire le bugie senza che se ne accorgesse nessuno... al contrario suo.

Ci fu un attimo di silenzio, nel quel il ragazzo ebbe la terribile sensazione che Charlie non fosse del tutto sicuro di quello che aveva detto la figlia. E infatti: «Uhm, sicura, Bells?».

Bella non rispose, perché il padre si diresse con lunghe falcate verso l'armadio, spalancò le porte, ma notando che non c'era nessuno, andò verso la tenda della finestra. La scostò, ma niente. Stava per guardare sotto il letto quando una terza persona - contando anche Edward - entrò nella stanza: la signora Swan, Renèe. Edward non la adorò mai come in quel momento. «Ma che succede qui, Bella?», chiese, con la voce impastata dal sonno e lievemente scocciata per quell'interruzione.

«Ma nulla, mamma, è papà che ha le sue paranoie di sempre», rispose con fare ovvio.

«Ehi!», protestò l'altro. Poi scosse la testa e si sfregò gli occhi. «Okay, okay. Forse è solo la stanchezza a giocarmi brutti scherzi. Buonanotte, piccola». E chiuse la porta, con sua moglie, non prima di rivolgerle un sorriso dolce.

Bella si lasciò cadere sul letto. «Potrei ricevere un premio oscar per la magnifica interpretazione di stanotte. Che ne dici?».

«La mia bimba monella», ridacchiò l'altro, ancora sotto il letto. In tutta risposta, la ragazza si sistemò meglio sul letto, facendo peso sul materasso in modo che si scontrasse con il povero ragazzo. «Ahi! Bella, oggi mi sono già fatto abbastanza male».

«Allora vieni nel letto, cretino», rispose lei, soffocando una risata contro il cuscino.

Si sentì avvolgere da due braccia forti che avrebbe distinto tra mille: quelle del suo ragazzo, il suo Edward. «Come mai sei venuto a quest'ora di notte? Ci saremmo visti domani... anzi, oggi a scuola».

Il ragazzo sorrise sulla pelle del suo collo, per poi lasciare una scia di baci caldi dietro il suo orecchio, fino alla spalla, scoperta dalla canottiera del pigiama. La ragazza rabbrividì. Ormai si era abituata a quei loro contatti così intimi, che avevano sempre un non so che di incredibilmente sensuale, ma era sempre strano rendersi conto che le mani che le esploravano il corpo erano quelle del ragazzo che tanto amava. Non l'avrebbe mai sperato e invece era così.

«Non sai che giorno è oggi, amore?», chiese lui, con ancora le labbra impegnate sulla sua pelle ormai calda.

Lei mugolò di piacere. Era così bello sentire Edward così vicino, che la desiderava quanto lei desiderava lui. «No, ma se mi continui a baciare così, di certo non mi aiuti a ricordare...». Si morse le labbra, trattenendo un sospiro troppo rumoroso.

Lui ridacchiò, interrompendo la tortura delle sue labbra momentaneamente. «L'anno scorso non la pensavi così, Bella! Mi hai picchiato malamente perché non mi ero ricordato del nostro anniversario. E' l'8 aprile!», sbuffò lui, chiedendosi perché mai si fosse perdutamente innamorato di quel diavoletto. «Mh, penso che mi vendicherò il più presto possibile», affermò, mentre portava le mani sui suoi fianchi e si distendeva sul suo corpo.

Bella fraintese quello che voleva fare: infatti all'inizio fu ben lieta del cambio di posizione, ma poco dopo, quando cominciò a farle il solletico, si dovette ricredere.

«No, No! Ti prego, smettila, Edward! Giuro che me lo sarei ricordato se non ti saresti comportato in un certo modo!», protestò, tra una risata soffocata e l'altra.

«Mh, spero proprio che sia così, pulce», sussurrò, a un centimetro dalle sue labbra rosse, dischiuse in attesa. La luce le dava un'aura quasi angelica, che non le si adattava per nulla. Infatti, nonostante fosse la figlia maggiore del sindaco di Londra, era una vera e propria ribelle. Chissà come avevano fatto a trovarsi, dato che erano esattamente agli antipodi. Lui rispettoso, lei ribelle. Lei frizzante, lui tranquillo. Lei impulsiva, lui più pacato. Si completavano a vicenda, forse.

Dopo un lungo minuto in cui i due ragazzi si osservarono con tutta la dolcezza a loro concessa, le loro labbra presero a danzare, a combattere tra loro. Una battaglia dove nessuno era il vincitore, né il ferito. Ma entrambi estasiati, felici, entusiasti. Il calore tra loro si fece sempre più persistente, tant'è che entrambi ebbero il bisogno impellente di liberarsi dei vestiti e arrivare al dunque di quell'approccio, ma sapevano che non era il luogo giusto. Fare l'amore sotto lo stesso tetto di Charlie non era proprio il caso, dato che era capace di sfondare con un ariete improvvisato la porta della sua "bambina".

Così, quando si staccarono cercarono di calmare i bollenti spiriti.

«Mi dici perché sei venuto qui proprio in piena notte, però?», chiese Bella, ancora confusa.

Edward sospirò e si sistemò meglio sul letto, mentre lei appoggiava la testa sul suo torace, e ascoltava il suo cuore che batteva ancora irregolarmente. Da qualche parte, in lei, fu contenta di essere la causa del respiro affannato del suo ragazzo.

«Bella, io sono il tuo cavaliere senza macchia e senza paura, ricordi?».

Lei si accigliò. «Invece secondo me la macchia ce l'hai. In testa».

Si fissarono in cagnesco, come a sfidarsi, ma sapevano entrambi che nessuno avrebbe vinto, erano entrambi bravi in quel gioco da bambini.

«Okay, va bene, lasciamo perdere le macchie e non macchie», rimuginò lui. Con la punta delle dita cominciò a disegnare delicati cerchi concentrici, sulla sua pelle. «Ho pensato che per farmi perdonare dall'anno scorso - dato che mi ero dimenticato del perché aprile fosse un mese così speciale - potevo presentarmi... in anticipo».

Un leggero schiaffo gli colpì il collo. «Che idea geniale. Mio padre per poco non ti scopriva! Penso che ringrazierò a vita mia mamma», commentò Bella, mentre si coricava sulla pancia per poter vedere la sua espressione.

«Scherzi, vero? Sono un ladro provetto io, ho un futuro da scassinatore».

La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Resta comunque il fatto che ti saresti ritrovato senza i cosiddetti attributi, se ti avesse beccato nella mia stanza». Non c'era bisogno di specificare chi fosse il soggetto della frase. Edward rabbrividì a quell'idea. «Comunque, mi vuoi dire perché sei venuto qui? Ho visto qualcosa che ti scivolava dalle mani, prima, mentre ti ho atterrato», ridacchiò Bella.

Allora il ragazzo la abbandonò per un attimo nel letto per cercare a terra quello che gli era caduto poco prima. «Oddio».

«Che succede?».

«Non lo... trovo», sussurrò il ragazzo, disperato, perlustrando tutto il perimetro della camera.

«Non lo trovi? E cos'era di così tanto speciale?». Edward le rivolse un'occhiataccia terrificante e così, qualcosa le suggerì che lo doveva aiutare.

«Oh, cazzo! Ma dov'è?!», si chiese Edward, quasi sul punto delle lacrime. In quel momento a Bella venne in mente l'idea di cercarlo nel letto e... puff!, eccolo lì, quello scrigno di velluto scuro.

«Ehm, Ed?», lo chiamò, sperando che non si incazzasse. Ma la sua reazione fu ben diversa: le corse incontro e la avvolse in un abbraccio caldo e familiare, urlando quasi dalla felicità.

«Che cos'è?», gli chiese Bella, una volta stesi ancora tra le coperte del letto. Edward aveva avuto ragione: sapevano di lei.

«Ti basta aprirlo», sussurrò tra i suoi capelli.

Bella fece come le aveva consigliato, e, con un po' di difficoltà, alzò il coperchio che sembrava attaccato alla scatolina con dell'attack, quasi. L'interno era foderato da della stoffa bianca e candida, e al centro di essa, in una nuvoletta di tulle ruvido, vi era posato un ciondolo piccolo e grazioso, rettangolare e sottile, sembrava d'argento. Si chiese quanto avesse speso il suo ragazzo e si segnò mentalmente di rimproverarlo. Ma quando avvicinò agli occhi il ciondolo e si rese conto cosa ci fosse inciso in caratteri corsivi e aranciati, le si mozzò il fiato. Le lacrime di commozione fecero capolino, non appena apprese il loro significato.

«Più della mia stessa vita».

«È quanto ti amo», dichiarò Edward mentre le posava un bacio sul palmo della mano. «No... non dirmi che stai piangendo per la commozione!», la prese in giro, notando le grosse lacrime argentate che le scivolavano sulle guance.

In tutta risposta, lei gli mollò uno scappellotto più o meno forte sulla nuca. «No, stupido».

Lui ridacchiò sotto i baffi per poi prendere la catenina argentata, e la stoffa che l'avvolgeva. Bella non capì quello che stava facendo fino a quando non vide comparire dei cartoncini di carta gialla, sul fondo della scatola. Rimase a bocca aperta.

«Oh mamma! Ma questi sono...». Si rigirò nelle mani i biglietti rigidi, con quella striscia fosforescente su un lato.

«Sì, due biglietti per New York», disse lui, mentre gli si dipingeva sulle labbra un semplice e perfetto sorriso. "Sghembo" l'aveva definito lei molte volte.

Gli saltò letteralmente addosso, riempiendogli il viso di baci entusiasti. «Quanto ti posso amare? Lo sapevi che visitare NY è un mio sogno di sempre!».

Edward la fece rigirare nel letto, di schiena, poi le scostò i capelli e le fece scivolare dolcemente la catenina sulla pelle sottile del collo. «Ora sei perfetta», le scompigliò i capelli.

Si rigirò nervosamente su sé stessa. «Ma come faremo con la scuola?» Lui fece spallucce, mostrandole il suo sorriso. «Mh, lo stesso ragazzo ligio alle regole mi ha appena detto che non gliene frega nulla della scuola, e si è anche appena intrufolato in camera mia in piena notte... chi sei tu e dov'è il vero Edward?», scherzò lei, mentre si avvicinava al suo viso lentamente. Poté avvertire il suo respiro profumato infrangersi contro le sue guance, fondendosi col suo e creando una miscela tutta loro.

«Posso dimostrarti che sono io, quando vuoi», replicò maliziosamente.

Ma quando le loro labbra si stavano per impegnare in attività ben più interessanti, la porta si spalancò e un fascio di luce li colpì.

Bella alzò la testa, spaventata. Alzò gli occhi al cielo vedendo chi fosse l'inaspettato visitatore. «Jamie! Ritorna immediatamente in camera tua e lasciami in pace!». Jamie, il fratellino di Bella di appena otto anni.

Il piccolo sgranò gli occhi. «Ehm... okay, m-ma chi è quello...?», mormorò con voce tremante. C'era troppa poca luce per vedere il viso di Edward, se ne riusciva a scorgere solo la sagoma massiccia.

«È il ladro maldestro che è appena entrato in casa, va bene? È un mio carissimo amico. Ora via, aria». E l'ennesimo visitatore tornò nella sua camera, lasciandoli soli.

«E così, sarei un ladro maldestro, eh?», chiese curioso Edward.

Bella portò una mano sulla sua guancia ricoperta da un sottile strato di barba rossiccia. «Era impossibile non sentire i tuoi passi. Sei leggiadro quanto un elefante. Ringrazia che mio padre dorme nel secondo piano».

«Però almeno sono il tuo ladro maldestro?».

Ridacchiarono all'unisono, mentre lei gli accarezzava i capelli ribelli. «Ma certo che lo sei».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Saaaalve, people. :3

Ecco un'altra delle mie cavolate. Una di quelle storie che ti vengono in mente alle tre di notte e ti impediscono di dormire, neanche avessi ottant'anni.
Avete capito, è tutto chiaro? Certe volte credo di non essere abbastanza chiara.
Prima che me ne dimentichi: grazie ad Ale, che si è sottoposta alla prima lettura di questa roba. xD
Come mi è venuta quest'idea demente?
Devo ammettere che l'inizio assomiglia un po' a una OS che ho letto tempo fa (non mi ricordo il nome, ovviamente. La mia testa bacata), ma lo sviluppo è totalmente diverso perché in quella che ho letto, Edward era un vero e proprio ladro professionista, mente qui... è appunto un "ladro maldestro", come dice il titolo. lol In origine l'avevo pensata per S. Valentino, ma poi mi sono resa conto che non ce l'avrei fatta con i tempi e mi sono dovuta aggiustare.
Finito, credo.
Lasciatemi una piccola recensione, anche negativa, o anche un messaggio privato, se vi va, mi farebbe un enorme piacere! (:

 

Chocolate

 

PS: L'ultimo cap. di OcchiBelli e Ciuffo dovrebbe arrivare a giorni. (:

  
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