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Autore: anfimissi    31/10/2007    42 recensioni
Draco, sposato con Hermione, nel tentativo di generare un erede maschio si è ritrovato con cinque figlie. Cosa succede se, durante una passeggiata a Diagon Alley, incontrano Ron e Harry, con le rispettive famiglie? Fanfiction scritta per il concorso FicExchange "Le mille e una fic"
Genere: Generale, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Fic scritta per il concorso Ficexchange “Le mille e una fic” (Leather and Libraries Forum)
Traccia: Draco, sposato con chi preferite, nel tentativo di generare un erede maschio alla famiglia Malfoy s'è ritrovato con 5 figlie. Che succede se, durante una passeggiata a Diagon Alley, incontra le famiglie di Harry e Ron (anche qui, libera scelta per le rispettive partner)?

Disclaimer: Questa storia non ha scopo di lucro. Alcuni dei personaggi presenti appartengono a J.K.Rowling. Riferimenti a fatti o persone non sono da ritenersi puramente casuali.





Dedicata a Cla, Judy, Sere, Den e Manu.





MALFOY’S WOMEN


Draco Lucius Malfoy non era mai stato tanto affascinante come in quel momento, in piedi davanti all’altare. Uno smoking rigorosamente nero fasciava il suo fisico alto e asciutto, la perfezione di una statua greca inguainata nel tessuto più raffinato.
Lì, in piedi. A guardare rapito la sua Mezzosangue che avanzava verso di lui avvolta in una nuvola d’organza bianca. Occhi d’oro che rilucevano attraverso il velo.
Attorno a loro, le note dell’organo e l’odore della cera che bruciava, liquefacendosi.
Un momento solenne, quel grande passo per cui si sentiva finalmente pronto.
La chiesa era gremita, gli invitati in piedi dietro ai banchi fremevano di anticipazione.
Persone che solo qualche anno prima avrebbero ritenuto la scena che si stava svolgendo davanti ai loro occhi semplicemente un’assurdità.
Il prete cominciò a recitare il rito, una litania di parole che sapeva a memoria da ormai più di trent’anni.
Nel bel mezzo di un momento altamente carico di tensione, un risolino soffocato deturpò l’aria, facendo voltare Draco di scatto.
Una piccola mano si mosse velocemente a coprire la bocca su cui aleggiava ancora un sorriso divertito. Esterrefatto, il biondo si ritrovò a fissare sua madre.
O per meglio dire, quello che rimaneva di Narcissa Black in Malfoy.
Il vestito era lo stesso che le aveva visto addosso poco prima, di uno sgargiante blu lapislazzuli.
Peccato che ora apparisse di dieci taglie più grande, drappeggiato attorno al corpo acerbo di una bambina che non poteva avere più di sei o sette anni.
Orripilato, spostò lo sguardo su suo padre.
E gli occhi argentei dell’ex principe di Serpeverde rischiarono di perdere ogni traccia di vita, mentre il suo cuore si ritrovava inaspettatamente a duellare con un colpo aplopettico.
Lucius Malfoy ghignava perfido…sotto una cascata di riccioli castani.
Un’immagine degna di un film dell’orrore. Agghiacciante quanto il ricordo del molliccio di Piton infiocchettato nei vestiti della nonna di Paciock.
“Draco Lucius Malfoy, vuoi tu…”
Nemmeno la sentì, la domanda del prete. Era troppo occupato a chiedersi cosa diavolo stava succedendo, gli occhi incollati ai volti di quelli che fino a un attimo prima erano i suoi genitori.
Un paio di secondi dopo, sentendosi strattonare per una manica, tornò a voltarsi verso il prete.
E rimase letteralmente pietrificato.
Una scultura di gesso, prossima allo sbriciolamento.
Capelli biondi, occhi grigi. E una tunica da sacerdote che appariva a dir poco ridicola addosso a quella ragazzina così maledettamente simile a lui da sembrare una sua fotocopia.
“Allora, Papà” – riprese quel…quella…qualunque cosa fosse. La vocetta sottile vibrò d’impazienza – “…Vuoi?”



Il grido angosciato che riecheggiò tra le mura di Malfoy Manor sembrò scuotere ogni singolo mattone, giù, fino alle fondamenta.
Draco si sollevò a sedere, la fronte madida di sudore e le ginocchia tremanti sotto l’intricato groviglio di lenzuola.
L’aveva sognato di nuovo.
Fuori dalla finestra, l’alba di quell’inizio settembre gettava le prime luci sui fili d’erba cosparsi di rugiada. Una vista rilassante, in netto contrasto con le immagini terrificanti che avevano affollato la sua mente fino a pochi istanti prima.
Niente di così strano, a dire il vero.
Aveva cinque buoni motivi per fare quegli incubi.
Era accerchiato da incubi e femmine. Che poi, in fondo, erano la stessa cosa.
L’avevano praticamente sommerso. Intossicato.
Lui, un Malfoy, che veniva comandato a bacchetta.
Si, a bacchetta. Era proprio il caso di dirlo.
Apparteneva ormai a un passato remoto il tempo in cui si pavoneggiava per il suo piccolo harem personale, costituito in pratica da tutta la popolazione femminile di Hogwarts, professoresse decrepite escluse.
Attualmente le cifre si erano nettamente ridimensionate, ma per certi versi sarebbe stato meglio se si fossero ridotte all’osso.
Perché c’erano ben sei donne nella vita di Draco Lucius Malfoy. Sei.
Una che l’aveva incastrato con uno sguardo d’oro fuso, e cinque piccole miniature che si prodigavano a farlo impazzire.
Claudia, Judith, Serena, Denise ed Emanuelle.
Malfoy.
Cinque figlie. Femmine, dalla prima all’ultima.
Le aveva praticamente subite, non avendo avuto voce in capitolo nemmeno nella scelta dei nomi.
Augustus Granger, il nonno della Mezzosangue – dannato babbano - aveva avanzato l’assurda pretesa di dare alle piccole i nomi delle sue ex-amanti. E, che Merlino la fulminasse, quelll’irresponsabile di sua moglie l’aveva prontamente accontentato!
Roba da delirio – pensò per l’ennesima volta, mentre si girava a guardare il volto della sua consorte, affondato nel guanciale. Seguì con occhi avidi il profilo che s’intuiva sotto le coperte, concentrando l’attenzione sul ventre visibilmente arrotondato.
Lo carezzò con delicatezza, appoggiandovi poi le labbra stirate in un sorriso – “Ciao, Nicholas” – sussurrò piano – “Muoviti a nascere, Papà ha bisogno di rinforzi…”
“Draco” – A parlare non era stata la piccola e ignara creatura annidata nel ventre di Hermione, bensì la strega stessa – “Lo stai facendo di nuovo”
“Io? Che cosa?” – tubò allontanandosi, l’espressione più angelica del suo repertorio stampata sulla faccia.
“Devi smetterla con queste chiacchierate notturne” – continuò lei, ignorandolo – “O verrà al mondo in preda a una crisi d’ansia. E chi glielo spiega, poi, che dovrà sentirti anche per tutti gli anni a venire?”
Draco sogghignò – “Oh, ma a lui piacciono un sacco le nostre chiacchierate…”
Lui?”
Le palpebre ancora abbassate, la Hermione inarcò un sopracciglio.
“Per forza” – la voce del biondo possedeva una sicurezza invidiabile – “Sarà un maschio”
“Amore, fossi in te non ci metterei le mani sul fuoco…potresti scottarti, e lo sai” – gli ricordò paziente, socchiudendo le palpebre – “Dicevi così anche prima che nascesse ognuna delle nostre cinque figlie…”
“Maschio” – decretò il biondo, imperterrito – “Nicholas non è un nome adatto a una bambina”
Osservò sua moglie stringersi nelle spalle e scuotere lievemente la testa, le labbra velate da un sorriso – “Vedremo…”
Un fracasso improvviso giunse alle orecchie di entrambi, facendoli sobbalzare.
“Ma che diavolo…” – sbraitò Draco, mentre Hermione tornava a rifugiarsi nel tepore delle coperte, tirandosi il lenzuolo fin sopra la testa.
“Devono essere le bambine” – mugugnò lei, la voce che fendeva il sottile strato di cotone – “Draco, vai tu. Sono figlie tue..”
“Mie?” – osservò l’ex Serpeverde – “Ma non erano nostre fino a un minuto fa?”
La strega si scoprì il viso quel tanto che bastava per guardarlo con due occhioni da cucciolo, inchiodandolo con le spalle al muro – “Oh, avanti, non mi vorrai dire che costringeresti una donna incinta ad alzarsi alle…” – lanciò un’occhiata all’orologio – “Cinque e dieci del mattino per una cosa di cui puoi benissimo occuparti da solo, voglio sperare…”
La bocca aperta e boccheggiante come quella del pesce rosso che tenevano in salotto, Draco rinunciò a replicare, conscio di essere appena finito tra le reti della sua diabolica consorte.
Sbuffando, s’infilò la vestaglia di damasco nero mentre i piedi andavano ad inforcare le pantofole in tinta.
Ebbene si, Draco Malfoy non poteva nemmeno più girare in boxer per casa sua.
Una specie di assioma che lo aveva accompagnato per la maggior parte della sua vita.
Una regola non scritta, andata in frantumi qualche tempo prima davanti all’alquanto seccato “Papy, ti prego…” di una delle sue figlie.
Allucinante. Semplicemente allucinante.
Bon ton. E che importava se erano le cinque del mattino, e sei lui avrebbe di gran lunga preferito continuare a dormire per un altro paio d’ore.
L’umore scuro quanto la stoffa che gli fasciava le spalle dai muscoli indolenziti, percorse a passo di carica il lungo corridoio che conduceva all’ala del maniero infestata dalle sue piccole pesti.
Più si avvicinava alla meta, e più quel frastuono andava delineandosi in note assordanti e parole incomprensibili. Quando aprì la porta della stanza da letto della sua primogenita, la musica lo investì come un fiume in piena, facendolo barcollare.
I timpani che minacciavano di cedere da un secondo all’altro, fissò allibito la dodicenne infilata per tre quarti in un baule dalle dimensioni spropositate. Della ragazzina immersa all’interno spuntavano praticamente solo le gambe.
“Denise!”
La giovane Malfoy ignorò bellamente il richiamo, continuando a rovistare tra vestiti, scarpe, pergamene scribacchiate e piume le cui barbe avevano visto giorni migliori.
"Trovato!" - esclamò un paio di minuti dopo, le punte dei piedi che cercavano l'appoggio del pavimento mentre riemergeva a fatica dal baule.
In mano, un piccolo pezzo di plastica bianca.
"Ciao Papà" - lo salutò, lisciandosi le pieghe della divisa verde-argento.
"Den!" - Le braccia conserte e uno sguardo che non prometteva nulla di buono - "Si può sapere che diavolo sta succedendo qui? Cos'è tutto questo baccano?"
Occhi color cioccolato, impreziositi da minuscole screziature dorate, lo fissarono stupiti da sotto la lunga frangia castana.
"Bono, Papà" - replicò con fare ovvio - "Bono"
Draco strabuzzò gli occhi, il pomo d'adamo simile a un ascensore impazzito e una tonalità di rosa quanto mai accentuata e sconveniente che andava a sostituire il consueto pallore del suo volto.
"Denise Malfoy! Non osare rivolgerti in questo modo a tuo padre!" - tuonò l'ex Principe di Serpeverde, tanto furioso quanto inorridito - "Ah, ma io so di chi è la colpa! Questi aggettivi così...così...Merlino, così stramaledettamente babbani...oh, ma me la pagherà, quella Mezzosangue di tua madre me la pagherà…bono! Un Malfoy!"
Vaneggiava, il biondo padrone di casa. Eccome, se vaneggiava.
Delirava a tutto spiano, camminando avanti e indietro per la stanza della figlia mentre farneticava di onte che andavano lavate col sangue, di istruzione babbanofila che avrebbe disonorato l’intera Casata e altre scemenze del genere.
Il tutto condito con una vasta gamma di epiteti poco carini all’indirizzo della sua consorte.
“Ma no, che hai capito!” – la primogenita represse a stento una risata – “Bono è il nome del mio cantante preferito. Dai, Papà, Bono…lo conoscono tutti!”
Lo sguardo scettico di suo padre era qualcosa di semplicemente sublime. Lo vide trarre un profondo respiro e roteare le pupille verso il soffitto, prima di riportare le iridi chiare su di lei.
Ancora un respiro. Il gesto istintivo e necessario di chi era sull’orlo di una crisi nervosa.
“Comunque sia, non intendo tollerare questo baccano un secondo di più” – la voce del biondo sovrastava a fatica le note martellanti, mentre il desiderio di tapparsi le orecchie con le mani si faceva sempre più impellente -“Spegni quel coso. Immediatamente” – concluse, occhieggiando verso lo stereo che occupava i tre quarti della scrivania.
Denise annuì, sventolandogli davanti al naso il pezzetto di plastica bianca che aveva appena recuperato dal fondo del baule – “Tranquillo, ora che ho trovato l’I-Pod non sentirai nemmeno l’eco di un si bemolle, promesso”
Draco ispezionò l’oggetto in questione con un’occhiata palesemente interrogativa. Fece per aprire la bocca, poi parve ripensarci. Scosse la testa, sconfitto, e si trascinò fuori dalla camera di sua figlia.
L’inizio della giornata non era stato certo dei migliori. Una sveglia antelucana e una discreta quantità di papille uditive praticamente da buttare.
Questi i profondi e tristi pensieri di un mago appena trentaduenne, mentre avanzava sconsolato lungo il corridoio, aggrappandosi alla disperata illusione di poter tornare presto ad infilarsi tra le coperte, accanto al morbido corpo di sua moglie.
“…appartiene alla famiglia delle Ranidi, ordine degli Anuri. I maschi, provvisti da ogni lato della testa di un sacco vocale esterno, riempiono le notti d’estate con il loro assordante gracidio. L’accoppiamento…”
Draco si bloccò seduta stante, smarrito, nel sentire quella voce sconosciuta, quasi artificiale.
Bagliori azzurri illuminavano come flash i muri del salone al piano di sotto, curiosi riflessi sul corrimano dell’imponente scalinata. La sensata idea che si trattasse di quella scatole infernale che la Mezzosangue aveva trascinato dentro casa e che corrispondeva al ridicolo nome di “televisione” si fece largo tra i suoi pensieri.
Riportò lo sguardo sul corridoio. In lontananza poteva già scorgere il profilo della porta della sua camera da letto. Poi riabbassò nuovamente le iridi argentee sulla zona incriminata, di cui scorgeva a malapena una parete e un capo del preziosissimo tappeto persiano che ricopriva buona parte del pavimento.
L’attimo d’indecisione sembrò durare all’infinito, la tentazione di fregarsene altamente era doppiamente insita in lui. Non era solo un uomo, era anche un Malfoy.
Fu perciò imprecando mentalmente in tutte le lingue che conosceva, che l’ex Serpeverde scese a uno a uno i gradini di marmo.
Affondata, quasi fagocitata, in un divano a nove posti, Emanuelle fissava affascinata la scatola dalle figure animate. Le gambe rannicchiate, faceva scorrere le piccole dita sul ginocchio, carezzando la sottile stoffa del suo pigiamino celeste.
“…alcuni ricercatori identificano però la specie Esculenta come un ibrido ibridogenetico. Secondo l'ibridogenesi dalla fusione dei gameti delle due specie parentali si formerebbe un genoma misto in grado di trasmettersi alle generazioni successive allorché l'ibrido si accoppia con la specie parentale o con altri ibridi ibridogenetici…”
Rapita.
Otto anni di streghetta in un’evidente stato di ipnosi.
Non sentì nemmeno i passi del padre che si avvicinava lentamente alle sue spalle, né tanto meno il disgustato “Ma che schifo..” che fuoriuscì dalle sue labbra.
Sullo schermo, una cosa tondeggiante nuotava in una pozza ricoperta di melma.
“Che roba è?” – domandò il biondo, appoggiando le mani allo schienale del divano.
La piccola Malfoy volse il capo all’indietro, due codini sbarazzini che ondeggiavano lievemente, mentre lo sguardo dorato andava ad incontrare i capelli, le sopracciglia e infine gli occhi di suo padre.
“E’ verde, ha quattro zampe…è una rana, mi sembra ovvio, no?” – E sorrise.
Aveva appena inventato un assioma che avrebbe rivoluzionato il mondo della biologia.
Altro che i vecchi criteri tassonomici!
“E i cartoni animati? Che fine ha fatto Pollon?” – investigò stupito Draco.
“Roba da bambini” – tagliò corto Emanuelle, trovando tremendamente fastidioso il silenzio che seguì alla sua affermazione. Sollevò nuovamente il capo verso Draco, scrutandolo sospettosa – “Mi stai per caso dando della bambina piccola?”
Una ciocca albina gli ricadde sulla fronte aristocratica, nella fretta di negare – “Tesoro, è un pensiero che non mi ha minimamente sfiorato” – tubò, ringraziando Salazar per l’innata capacità dei Malfoy di fingere alla perfezione.
La streghetta si strinse nelle spalle, riportando l’attenzione sul documentario che parlava ora di una rarissima specie di lumaca, la Zebrina detrita.
“Non è meglio che torni a letto, tesoro? Una bambina così pic..” – Draco si morse la lingua, conscio dell’occhiata truce che sua figlia gli avrebbe scoccato se non fosse stata così attenta alla spiegazione da non farvi caso – “…una streghetta non dovrebbe gironzolare tutta sola a quest’ora”
“Shhh” – fu la replica infastidita, la manina dalle eleganti dita affusolate che andava ad enfatizzare con un gesto secco l’ammonimento – “Papà, se parli non sento niente! E poi sono tutte sveglie…”
“Sveglie?”
Emanuelle annuì – “Judy è uscita a fare una passeggiata, Serena è in cucina” – lo informò, prima di troncare la conversazione con un lapidario “Ciao.”
Tutte sveglie? Tutte? Alle cinque e mezza del mattino?
Judith è uscita a fare una passeggiata? Di nuovo? Ma lo conosce il significato della parola “è vietato”? Figurarsi, tale madre…
Uno spiraglio di luce filtrava da sotto la porta della cucina. Si mosse in quella direzione, l’idea di un prossimo ritorno tra le braccia di Morfeo ormai ridotta a una mera utopia.
Varcò la porta e subito chiuse gli occhi, schegge d’argento ferite dalla luce troppo intensa di un lampadario di cristallo pesante mezza tonnellata.
Quando lentamente sollevò le palpebre, il suo sguardo si focalizzò sullo scricciolo biondo di appena cinque anni che, in punta di piedi, si tendeva all’inverosimile per posare una tazza colma di latte sul ripiano del tavolo.
“Serena, aspetta!” – un balzo quantico del cuore fin su alla gola, corse a togliere dalle mani della figlia la scodella che minacciava di finirgli in testa da un secondo all’altro, contenuto compreso.
“Grazie, Papy” – Due baffetti bianchi incorniciavano un sorriso a cui mancava un dentino.
Dolce.
Serena Malfoy si rispecchiava in quell’aggettivo in un modo quasi disarmante.
C’era chi faceva uso di frecce appuntite, di lame taglienti o bacchette sguainate con eccessiva facilità, per raggiungere i propri scopi.
C’era anche chi preferiva metodi più sottili. L’arte della persuasione, la rara capacità di scovare in ogni persona un punto debole su cui fare leva.
A lei, invece, bastava un sorriso.
E aveva Draco Lucius Malfoy praticamente ai suoi piedi.
“Stellina, volevi fare un bagno di latte? Alla pelle fa bene, ma rimandiamolo a più tardi, vuoi?”
Le diede un buffetto sulla guancia, il cuore di ghiaccio liquefatto mentre quelle piccole braccine gli si stringevano attorno al collo.
La sua ultimogenita era forse la più grande minaccia alla sua reputazione da freddo e perfettamente insensibile Principe delle Serpi.
Ed era la sua benedizione.
Quel tallone d’Achille che lo rendeva umano. Felice di esserlo.
Perché stirare le labbra in un sorriso naturale a volte era più difficile che piegarle in un ghigno sprezzante.
“Preparavo la colazione” – affermò la piccola – “Ma non trovo i biscotti. Tu sai dove la mamma tiene i biscotti, quelli a coda di cometa?”
Draco si guardò attorno, alla ricerca di un qualcosa che nulla aveva a che fare con i frollini a forma di stella.
“Dove diavolo sono gli elfi?”
La sua stellina con la S maiuscola aveva appena rischiato di decorare la sua amabile testolina con un bernoccolo grande quanto un’ippogrifo, e ciò lo rendeva ancor meno ben disposto nei confronti di quelli che definiva “inutili e sudici esseri lagnosi”.
Un Malfoy non si preparava la colazione.
Si sedeva a tavola quando questa era pronta.
La piccola si strinse nelle spalle – “Non lo so”
Una fuga di massa?
Era da escludersi. Quei codardi si sarebbero al massimo rintanati in cantina.
Poi, la folgorazione.
E cinque lettere che sembravano essere state infilate a forza nei voti nuziali.
C.R.E.P.A.
L’acronimo a sostegno dell’assurda lotta per i diritti degli elfi domestici.
Assurda quanto reale, dato che la Mezzosangue aveva concesso a quei miserabili un giorno libero alla settimana.
Un intero giorno libero!
“Vieni, cerchiamo i biscotti a forma di asterite” – disse distrattamente, una strana e improbabile fusione di meteoriti e asteroidi, mentre sollevava la figlia tra le braccia.
Sorrise.
Pesava quanto una piuma.
Così piccola, e già così dannatamente importante.
Inutile negarlo, le sue donne erano tutta la sua vita.
“A coda di cometa, Papy. Gli asteriti sono quelli della Cla” – precisò Serena, abbarbicata al collo di quel mago alto e forte, il cui profumo sapeva di buono.
Di Papà.
Dopo aver frugato in una quantità di armadietti stipati all’inverosimile, e dopo aver recuperato lo strambo bottino fatto di farina, burro e polvere di cacao, Draco pose la figlia sullo sgabello, infilandole un tovagliolo nel colletto a mo’ di bavaglia.
Malfoy Manor era un edificio alquanto vecchio.
O antico, come lui preferiva definirlo.
Per questo le porte cigolavano, e le assi scricchiolavano di tanto in tanto, sotto i piedi.
Cinquanta porte, per cinquanta cigolii diversi.
E Draco Malfoy li conosceva tutti, dal primo all’ultimo.
Gli ci vollero quindi al massimo due secondi per stabilire che l’improvviso e sinistro rumore giunto alle sue orecchie era da imputarsi ai cardini del portone d’ingresso.
Passi volutamente felpati attraversavano il salone, un vago “Sshh” in risposta a uno sconveniente “Ciao Judy” mormorato dal divano, la TV accesa a fare da sottofondo.
Peccato che lo sguardo plumbeo del padrone di casa arrivasse ben oltre la porta chiusa della cucina. Iridi che sembravano in grado di perforare il legno, e intravedere una sagoma familiare che puntava alle scale come a un’ancora di salvezza.
“Judith”
Un nome bello da pronunciare, e un po’ meno bello da sentire vibrare sulle corde vocali di un genitore alquanto alterato.
La certezza di un borbottio tanto indistinto quanto seccato che scemava saggiamente nell’aria della stanza attigua, poi ancora passi. Più chiari, stavolta, in avvicinamento.
Un diverso cigolio, e il sorriso di salvataggio di Judith Malfoy comparve sulla soglia della cucina.
“Siiii?”
Lame di ghiaccio che si conficcavano in uno sguardo d’ardesia.
Padre e figlia.
La quiete prima della tempesta. Leopardi avrebbe senz’altro approvato.
Serena si agitò fra le braccia del padre, scalpitando per essere rimessa a terra. Una volta accontentata, trotterellò verso la sorella.
Un bisbiglio all’orecchio, la manina a fare da scudo.
“Manu e Denise hanno scommesso che la facevi franca, io e Claudia che ti beccava in pieno. In palio per me c’era una favola nuova” – sussurrò birichina, prima di congedarsi ad alta voce con un provvidenziale – “Vado di là a cercare Eos”
La figlia di Grattastinchi era in effetti solita a nascondersi nei posti più impensabili.
Il predicozzo durò più di quanto Judith avrebbe voluto e meno di quanto Draco si era prefissato.
L’ex Principe di Serpeverde rimase a guardala mentre marciava marciare su per le scale, diretta verso quella stanza dove spesso spariva per ore.
Sulla porta, una targhetta.
Il covo di J.
J come Judith.
J come Jared Leto.
E i poster che tappezzavano l’interno della stanza la dicevano lunga.
Sette anni ancora da compiere, la terzogenita di casa Malfoy avrebbe saputo dire vita, morte e miracoli del suo cantante preferito.
Quello stesso cantante che le sue sorelle avevano scherzosamente soprannominato “l’eyeliner vivente”.
Ammucchiati su un tavolo solido ma dal colore indefinibile, una miriade di pennelli, piume colorate, acquarelli metallizzati e stampini mutaforma. A troneggiare in mezzo alla stanza, un’enorme tela stretta nella morsa di un cavalletto di noce.
Judith Malfoy non disegnava. Faceva miracoli.
Un dono, il suo.
Una telepatia che alcuni Medimaghi consideravano uno sviluppo precoce dei propri poteri.
Le sue dita restavano immobili, mentre sedeva sullo sgabello.
Erano i pensieri a fare tutto il resto.
A comando, pennelli, matite e quant’altro cominciavano a lievitare, percorrendo la fine trama della tela secondo un disegno ben preciso.
Una pennellata qui, una sfumatura sull’angolo in basso a sinistra.
E l’immagine fissa nella sua mente prendeva forma davanti ai suoi occhi.



Quando l’orologio a pendolo risuonò per l’ottava volta, Draco si disse che un rintocco funebre sarebbe apparso egualmente tetro.
Le otto.
La classica definizione del “il mattino ha l’oro in bocca”.
Di sicuro l’autore di questo detto non era mai stato svegliato all’alba dalle sue cinque figlie femmine.
Ne erano successe di tutti i colori.
Denise aveva trascinato il baule giù per le scale, e per poco non era finita spalmata sui gradini. Dotato di un incantesimo che lo rendeva senza fondo, l’ingombrante bagaglio conteneva probabilmente tre quarti di Malfoy Manor.
Donne… Non sapevano muovere un passo senza portarsi appresso l’intera casa.
Judith si era barricata nel suo covo, Emanuelle e Serena erano ai ferri corti da quando, poco prima, la maggiore aveva cercato di tagliare una vibrissa a Eos per analizzarne le caratteristiche.
Una busta gialla, indirizzata a sua moglie, campeggiava da due ore sul tavolino. Non aveva avuto nemmeno il tempo di dargli una sbirciatina, troppo occupato ad estrarre il gufo di Pansy, Leotordo, dal vaso di Maiorca in cui si era accidentalmente infilato.
Dannato pennuto. E maledetti tutti gli Weasley.
Che poi, il motivo per cui una Medimaga di successo come Pansy Parkinson si fosse accasata con Ronald – Lenticchia –Weasley sarebbe per sempre rimasto un mistero.
Passarono altri venti minuti prima che la Mezzosangue si degnasse di comparire sulla soglia del salotto. Fasciata da un morbido vestito color pesca, i capelli sciolti sulle spalle e quella strana luce negli occhi, il bagliore di una vita che comincia, era più bella che mai.
Affascinante e sensuale come la Venere di Botticelli.
Ed era sua moglie.
Dimentico dei grattacapi con cui aveva avuto a che fare fino a poco prima, avanzò verso di lei, un braccio che le scivolava sulla vita mentre le rubava un lungo bacio…a stampo.
Ridicolo e addirittura disonorevole, per un Malfoy.
Ma i commenti schifati delle loro piccole, che passavano dal un trito “Non davanti a noi!” allo spazientito “E basta…”, li avevano col tempo indotti a non oltrepassare determinati confini al di fuori della loro camera da letto.
Proprio lui, il dio del sesso di Hogwarts. Ridotto a fare la balia.
Quattro mesi.
Altri quattro mesi e quell’ingrato compito mattutino sarebbe tornato a pesare sulle spalle di sua moglie, mentre lui e Nicholas si sarebbero dedicati a fare “cose da uomini”.
Un’oasi nel deserto che al momento sembrava più che altro un miraggio.
“Uh, com’è tardi” – fece Hermione scostandosi leggermente – “E’ tutto a posto? Possiamo andare?”
Draco annuì, e lasciò scivolare una mano verso il braccio, intrecciando le dita di lei con le proprie per un istante.
La vide sorridere, quella risata dorata e muta che risplendeva nei suoi occhi, soltanto per lui.
Poi l’espressione mutò inspiegabilmente, mentre due iridi ambrate guardavano oltre le sue spalle.
“Draco, quanto avevi in Aritmanzia?”
E adesso che diavolo c’era?
Il biondo levò gli occhi al cielo, esasperato – “Più dello Sfregiato e di Lenticchia messi assieme, e meno di una certa So-tutto-io che oggi è particolarmente insopportabile…ma che cavolo c’entra ora?”
Hermione sorvolò sugli epiteti e ignorò la sua domanda - “Quante figlie abbiamo noi?”
“Cinque”
“Cinque” – ripetè Hermione – “E tu quante ne vedi?”
“Cinque” – sbuffò spazientito, prima di voltarsi e lasciare scorrere lo sguardo su Judith, seduta sulla poltrona. Su Denise, alle prese col nodo della cravatta verde-argento, prima di passare alla testolina castana di Emanuelle, il naso affondato in un libro dal titolo “Scienze & Natura”. Sulla piccola Serena, la sua stellina, il maglioncino irrimediabilmente cosparso di peli di gatto, e infine su…
No.
Non era possibile…
Ne aveva persa una per strada.
“Claudia!” – sbraitò, mentre saliva di corsa le scale sotto lo sguardo per nulla sorpreso di sua moglie e delle sue altre figlie.
Rischiò di inciampare due volte nel tappeto, per la fretta, il fiato corto e una ramanzina interminabile che prendeva rapidamente forma nella sua mente.
La porta era socchiusa. Uno spiraglio di luce troppo sottile per riuscire a individuare qualcosa.
Spinse leggermente l'uscio...e rimase di stucco.
In piedi davanti ad uno specchio alto e stretto, che partiva da terra e arrivava a sfiorare il soffitto, sua figlia rimirava estasiata gli orridi stivali di gomma a fiorellini che portava ai piedi.
Addosso, solo un corto pigiamino rosa.
Quei pantaloncini logori avevano più vite di un gatto.
Cento volte li aveva fatti finire nel bidone della spazzatura, e altrettante erano miracolosamente resuscitati, finendo dritti nel guardaroba di sua figlia.
Saltellava, la piccola peste. Saltellava e girava ridendo su sé stessa, gli occhi fissi su quei...cosi, opera di qualche maledetto babbano che nemmeno conosceva il significato della parola traspirazione.
La pelle dei Malfoy necessitava di aria pura, al massimo della saturazione di ossigeno, e quegli affari di gomma erano un ostacolo alquanto evidente.
Terminata l'ultima piroetta, la ragazzina incrociò lo sguardo del padre, riflesso nello specchio.
“Ciao”
“Ciao?” – le fece il verso Draco, incurvando pericolosamente un sopracciglio.
“L’alternativa era “buongiorno”, ma perché sprecare altre cinque lettere quando ne bastano quattro?”
E Draco decise che per quel giorno ne aveva abbastanza.
“Lo vedi quell’orologio? Vedi che ore sono?” – sbraitò, additando lo strambo orologio a cucù appeso sopra il letto.
“Le sette” – replicò serafica la piccola.
“Per forza, è fermo!”
“E io che c’entro? Mica potevo saperlo…”
“Oh, certo” – insorse il padre, prossimo a una crisi di nervi – “E il fatto che quel dannato pennuto non si sia più fatto vedere da chissà quanti giorni è un pensiero che evidentemente non ti ha nemmeno sfiorata”
Claudia sollevò a sua volta lo sguardo sull’orologio, fissando pensosa la porticina ovale che decorava un’insolita casetta a due piani..
Dell’usignolo spennacchiato custodito al suo interno, nessuna traccia.
“Credevo si fosse appisolato. Ammettilo, è un’ipotesi valida..”
Se c’era un limite alla sopportazione umana, Draco Lucius Malfoy lo aveva superato, e da un bel pezzo.
Inspirò a fondo un paio di volte, rifiutandosi categoricamente di farsi coinvolgere in una discussione su uno stupido uccellino di legno.
“Ti do dieci secondi per vestirti” – l’avvisò, in un tono che non ammetteva repliche – “Dopodiché scenderai con me in salone, dove tua madre e le tue sorelle ci aspettano”
Claudia sbuffò, e davanti a quel broncio l’ira di lui si placò all’istante, sostituita dalla tentazione di stuzzicarla un pochino – “A meno che tu non preferisca fare il tuo ingresso ad Hogwarts così. Sai, il Cappello Parlante potrebbe confondersi e decidere di assegnarti come assistente a Gazza…”
“Ma schiantati..” – borbottò la piccola, lanciandogli un’occhiata indignata.
Gli occhi di Draco si allargarono a dismisura, rischiando di fuoriuscirgli dalle orbite.
“Modera i termini, ragazzina”
La voce bassa, il tono lapidario. Uno sguardo glaciale che avrebbe fatto tremare il più feroce dei Mangiamorte.
Ma non la sua secondogenita.
“Altrimenti che fai, mi sfidi a duello?” – lo provocò lei, per nulla impressionata. Anzi, si comportava come se si trattasse di pura e semplice routine.
L’ennesima ribellione verbale ebbe su Draco un effetto del tutto sorprendente. Inaspettato.
Nessuno scoppio d’ira, nessuna occhiata tagliente.
Tutto dissolto, in un battito di ciglia.
Perché davanti ai suoi occhi c’era qualcosa che mai avrebbe smesso di affascinarlo.
Quel ghigno.
Stessa curva delle labbra, la stessa sfrontatezza di una smorfia che avrebbe saputo riconoscere tra mille altre.
Perché da quando era nato l’aveva vista giorno dopo giorno, riflessa nello specchio.
Osservò sua figlia… e per un attimo rivide sé stesso a undici anni.
Capelli biondi, occhi argentei. E quel ghigno.
Sua figlia era la sua fotocopia.
La più simile a lui.
La sola in grado di fargli desiderare un tuffo nel passato, pochi minuti durante i quali essere di nuovo il Principe di Serpeverde.
“Per fare un duello, occorre avere una bacchetta” – tubò soave, sfoderando a sua volta quel marchio di famiglia.
“Dettagli” – minimizzò la piccola, una mano sventolata a mezz’aria per sottolineare il concetto.
“Draco! E’ tardi, volete decidervi a scendere o cosa?”
L’eco di un richiamo proveniente dal piano sottostante. Bastò la voce di sua moglie, per spezzare l’incantesimo.
“Vestiti” – ripeté, indicando brevemente gli abiti stesi sul letto ancora sfatto.
“No, quelli non vanno bene”
“Scegline altri” – affermò Draco in tono pratico – “Hai un guardaroba che minaccia di esplodere”
Claudia scosse il capo – “Posso mettere la divisa di Serpeverde?”
Il padre la fissò stupefatto, prima di rispondere – “Felice di sapere che speri di essere smistata a Serpeverde – e per carità, non dirlo a tua madre – ma temo proprio che non sia possibile”
“Perché?”
“Perché si” – ribadì il biondo – “Il Cappello Parlante potrebbe anche decidere di spedirti in qualche altra Casa. Che so..Tassorosso, per esempio” – affermò, rabbrividendo lui stesso al solo pensiero.
Ma ne era valsa la pena.
L’espressione disgustata sul volto di sua figlia era semplicemente impagabile.
Durò solo un attimo, sostituita subito dal consueto cipiglio caparbio.
“Ma io so che finirò a Serpeverde” – protestò lei, imperterrita.
Draco represse un sorriso - “Davvero?”
“Per forza” – rincarò – “I colori delle altre Case non s’intonano con i miei stivali”
Bambini.
Cercare di capirli poteva portare alla pazzia.
E Draco ne sapeva qualcosa.
“Claudia, risparmiami” – la supplicò – “E’ tardi, tua madre aspetta solo che scenda per scuoiarmi vivo, e quest’orribile giornata non è che all’inizio. Possiamo soprassedere almeno su quei cosi?” – domandò, occhieggiando verso gli stivaletti incriminati.
La giovane Malfoy si strinse nelle spalle, mugugnando un “Ok” poco convinto.
“Ti aspetto di sotto, non farti venire di nuovo a chiamare” – Stavolta non c’era alcuna nota di rimprovero nella voce del biondo.
“Papà..”
Draco si fermò, la mano già avvolta attorno al pomello della porta.
“Che c’è, piccola peste?” – domandò curioso, quasi gentile, voltandosi quel tanto che bastava a incrociare il suo sguardo.
Era il momento perfetto per sentire un classico “ti voglio bene”.
Non che la piccola fosse particolarmente dedita a smancerie di questo tipo.
Era troppo, troppo simile a lui per esserlo.
Ma di tanto in tanto, qualche piccola confessione scappava comunque.
“Ad Hogwarts le scrivanie sono a muro?”
Draco fece appena in tempo a mordersi la lingua, prima che un inopportuno “anche io” vibrasse nell’aria, minando ancor di più la fredda e dura autorità della sua figura paterna.
Corrugò la fronte, un sopracciglio inarcato. La tentazione di chiedere il perché di quell’assurda domanda era forte, ma aveva ormai imparato che, in certi casi, era meglio non sapere.
“A Serpeverde si. E credo anche nelle altre Case” – si limitò a rispondere, non capendo dove volesse andare a parare.
Il silenzio che seguì fece crescere la sua curiosità a dismisura.
Fu la piccola a parlare per prima.
“Allora c’è un problema”
E lui…capitolò.
“Perché?” – Già lo sapeva che si sarebbe pentito.
Claudia sollevò gli occhi al soffitto, prima di tornare ad incatenare il suo sguardo a quello gemello del padre.
“E’ una scrivania a muro”- affermò, come se quello già di per sé costituisse una spiegazione – “Mi spieghi come faccio a girarci attorno?”
Quella era una domanda a cui Draco s’impose categoricamente di non rispondere.
Nemmeno volle sapere come mai sua figlia riteneva di vitale importanza il fatto di poter girare attorno a un tavolo di legno.
Era un circolo vizioso, non ne sarebbe mai più uscito.
Nuove risposte, nuove domande. Sempre più assurde e deliranti.
Girò il pomello, varcando la soglia senza il minimo senso di colpa – “Ti aspetto giù, muoviti” – affermò, spossato.
Venti minuti dopo, la famiglia Malfoy era radunata in soggiorno.
Al completo, questa stavolta.
Nuove e assurde problematiche annesse, ovviamente.
“Scodatevelo, io lì non ci entro!”
“Fifona..” – ridacchiò Emanuelle, lo sguardo divertito fisso su Claudia, che si era caparbiamente parata davanti al camino, ostacolandone l’utilizzo.
“Ma che vuoi…” – fu la pronta replica di quest’ultima – “Parli tu che hai paura degli ascensori…o sbaglio?” – un ghigno compiaciuto le piegò le labbra per una risposta mancata che sapeva di conferma – “Visto? Al massimo dovresti difendermi. Farmi da avvocato, insomma…”
“D’accordo, niente metropolvere” – la voce di Draco richiamò l’attenzione di tutti – “Hai pienamente ragione. Perché sporcarsi i vestiti di cenere, quando ci si può semplicemente smaterializzare? A te l’onore…noi ti seguiamo a ruota”
Dire che sua figlia aveva un diavolo per capello era un eufemismo. Almeno quanto dire che sprizzava rabbia da tutti i pori.
Gongolando come un ragazzino, Draco sfoderò il suo sorriso più affabile – “Coraggio tesoro, stiamo aspettando…”
Claudia era livida. E suo padre se la rideva.
“Oh, dimenticavo…ancora non te l’hanno insegnato” – tubò questo – “Che peccato…”
“Ma lo sai quante persone ogni anno finiscono fagocitate dalla metropolvere?” – esplose la streghetta, perorando caparbiamente la propria causa.
“Quante?”
“Un sacco!”
“Così tante? Allora sono proprio sfortunato…voi siete ancora tutte qui” – frecciò Draco, prima di sospingere senza tante cerimonie quelle piccole pesti nel vano del camino.
Cinque paia d’occhi gli si conficcarono indignati poco sopra il naso.
Sei, se si contava lo sguardo di aperto rimprovero di sua moglie.
Le osservò svanire a una a una, prima di seguirle a sua volta, mentre i bagliori di quelle fiamme verdognole giocavano a rincorrersi lungo le pareti di una stanza ormai vuota.





Non c’era posto, in tutto il Mondo Magico, che fosse più affollato di Diagon Alley il primo giorno di scuola. Così affollato che, tra gomitate e spintoni vari, due persone avrebbero fatto fatica a rimanere vicine pur tenendosi per mano.
Figurarsi quindi quando si camminava al fianco di una moglie incinta e cinque figlie con una naturale predisposizione alla dispersione più disomogenea.
“Siamo arrivati” – esclamò Hermione, veleggiando verso l’entrata di quel negozio che ogni mago degno di tale nome aveva visto almeno una volta in tutta la sua vita.
L’insegna sapeva di leggenda, affissa su quel muro da tempo immemore.
Ollivander, recitava la scritta sbiadita.
Dietro al bancone, un vecchio mago canuto li osservava attentamente, gli occhi scuri che tradivano un pizzico di curiosità.
Faceva quel lavoro da una vita.
Si poteva tranquillamente dire che quel negozio era la sua vita.
Ragion per cui aveva imparato a riconoscere all’istante un caso complicato, quando questo lo fissava dritto negli occhi.
Iridi plumbee, così dannatamente espressive sul volto di quella bambina dalle lunghe trecce albine.
Claudia Malfoy. Un enigma.
“Buongiorno Signor Malfoy…Signorina Granger..” – ai suoi occhi, era come se i suoi piccoli clienti non fossero mai cresciuti. Per lui erano ancora il rampollo di casa Malfoy e l’ambiziosa ragazzina cresciuta tra i babbani – “Vi aspettavo…”
Sorrise a Denise, alla quale aveva venduto una bacchetta l’anno prima, quindi roteò le pupille verso la sorella.
Un punto di domanda sarebbe di certo apparso meno interrogativo.
E fu subito silenzio.
Un silenzio di quelli fatti per essere spezzati a tempo debito.
Domande afone in cerca di mute risposte.
Draco si lasciò sfuggire un sospiro spazientito nell’esatto momento in cui Ollivander si decise a rompere il contatto visivo con la sua secondogenita, prima di inerpicarsi lentamente sulla vecchia scala a pioli.
Migliaia di scatole impolverate erano accatastate contro la parete. Ne estrasse una, sfiorandola con cura, mentre lo sguardo meditabondo si perdeva nella nuvoletta di pulviscolo appena formatasi.
Prese la bacchetta custodita all’interno, sollevandola per la punta e porgendo l’altra estremità alla graziosa undicenne.
Claudia afferrò decisa il pezzo di legno, agitandolo subito, senza troppe cerimonie.
E il lampadario cadde dal soffitto, mancando per un soffio sua madre prima di infrangersi sul pavimento in centinaia di schegge cristalline che rimbalzavano lungo le assi di legno.
Draco le scoccò un’occhiata fiammeggiante, prima di rivolgere il medesimo sguardo all’anziano mago che gli stava di fronte.
“No, non ci siamo” – si limitò a dire questo, preso da mille congetture – “Decisamente”
E tornò ad afferrare la sua inseparabile scala.
Un’ora.
Ci volle quasi un’ora e un numero imprecisato di catastrofi prima che la bacchetta giusta venisse impugnata dalla sua legittima proprietaria.
“Legno di quercia, la regina di tutti gli alberi” – spiegò il negoziante, estraendo l’ennesima bacchetta dalla confezione – “Dieci pollici e mezzo, anima di petali di crisantemo idratati con neve stellata della Lapponia”
Claudia mosse la mano per prenderla – “Sa il colore dei petali?” – domandò guardinga – “Il crisantemo mi piace, ma se sono gialli faranno a pugni con la mia divisa”
Davanti a quell’assurda constatazione la già scarsa pazienza di Draco giunse al capolinea, sventolando una bandierina bianca – “Ma che te ne frega del colore dei petali? Ti pare che si vedano?”
“Draco..” – Hermione fece per intervenire, zittendosi l’attimo dopo.
Un’aura incredibilmente luminosa avvolgeva la figura di sua figlia.
Stretta tra le dita, l’impugnatura di quella rara bacchetta.
Ollivander annuì soddisfatto, prima di strizzare l’occhio alla giovane Malfoy.
“Petali rosa” – rivelò divertito – “Che dici, Signorina Malfoy…s’intonano?”
Per tutta risposta Claudia sorrise.
Dopo Ollivander, fu la volta del Ghirigoro.
Una tappa veloce e indolore, di quelle che a Draco tanto piacevano.
E si ritrovarono per strada, Hermione intenta a scorrere l’interminabile lista dei materiali scolastici e Draco che la guidava tra la folla.
Serena camminava mano nella mano con Denise – “mi scriverai qualche favola nuova? Mi piacerebbe averne una sugli unicorni..”
La primogenita di casa Malfoy aveva due grandi passioni. Una era la musica, e l’altra…beh, i chili di pergamene intonse stipate nel suo baule potevano senz’altro considerarsi un chiaro indizio.
Scrivere.
Con l’inchiostro, con la magia, col pensiero.
Scrivere e basta.
“Vada per gli unicorni” – rispose sorridendo, conscia che la sorellina costringeva i genitori a leggerle le fiabe tutte le sere, prima di addormentarsi.
“Mamma, Papà” – la voce chiara e melodica di Judith provò a sovrastare il brusio che li circondava – “Fermatevi, l’abbiamo persa per strada..”
Inutile aggiungere un nome. Sarebbe stato solo uno spreco di tempo e parole.
Una ventina di metri più indietro, Claudia sembrava essersi incantata davanti a una vetrina. I palmi appoggiati agli infissi e il naso spiaccicato contro il vetro.
Judith fu la prima a raggiungerla
“Che stai guardando?” – domandò curiosa, prima di scrutare a sua volta all’interno – “Oh…ma che belli! Dimenticavo che a Hogwarts è permesso tenere un animale”
“Non è stupendo?” – mormorò la sorella, rapita.
“Quale?”
“Quello” – replicò, indicando un punto imprecisato con il dito.
“Il gufo? Bell’esemplare” – concordò Draco, sopraggiungendo alle loro spalle – “Temevo avresti scelto un animale strampalato, ma devo dire che stavolta hai proprio avuto buongust..”
“No, non quello” – lo interruppe Claudia – “Quello nella gabbietta sotto”
Draco abbassò lo sguardo, incrociando quello tremendamente assonnato di un ghiro.
Un ghiro!
“Non se ne parla nemmeno” – affermò lapidario – “Scegli qualcos’altro. Un serpente, un gufo…se proprio devi anche un gatto peloso e rognoso come quello che aveva tua madre, ma niente ghiri. Per Merlino, sei una Malfoy!”
“Il gatto ce l’ha già Serena, di gufi ne abbiamo la casa piena…l’idea del serpente non era male, ma Ronfo è perfetto!”
“Ronfo? Gli hai già dato un nome?” – Draco era allibito.
“Mi pare evidente” – replicò la piccola - “Vuoi che si senta il ghiro di nessuno?”
“Ma lui è il ghiro di nessuno” – protestò il biondo, esasperato.
“Papà!” – insorse Claudia, trafiggendolo con uno sguardo accusatorio - “Abbassa la voce, vuoi che ti senta?”
Serena si avvicinò silenziosamente al padre, agganciandosi alla tasca dei pantaloni per richiamare la sua attenzione – “Io posso portare Eos, quando sarà il momento?”
“Ma certo stellina” – la rassicurò l’ex Principe di Serpeverde, regalandole un sorriso.
“Io voglio una rana!” - affermò una voce che poteva essere ricondotta unicamente a Emanuelle.
“Bella idea” – approvò Hermione – “Solo, non chiamarla Oscar” – continuò, mentre il ricordo dell’inquietante e patetico rospo di Neville tornava a galla.
“Io non saprei” – ammise Judith in tono pensoso – “Mi piacerebbe un animale particolare, qualcosa che magari mi ricordi te o papà”
“Se vuoi che ti ricordi tuo padre, allora ti consiglio di prendere un furetto” – ironizzò divertita una voce nuova, facendoli girare tutti di scatto.
Davanti a loro, Harry James Potter in persona. Accanto a lui, Ronald Weasley tentò di mascherare l’ilarità con un poco credibile colpo di tosse.
“Che ridere, Sfregiato…” – frecciò Malfoy, indispettito.
Salazar lo stava punendo per un peccato che certamente non aveva commesso.
Come altro spiegare l’imprevisto e soprattutto indesiderato incontro con San Potter e Lenticchia?
Accanto ai due maghi, le rispettive mogli.
Daphne teneva la mano intrecciata a quella del Bambino Sopravvissuto, mentre con l’altra scompigliava amorevolmente i capelli del loro primogenito, James.
Pansy teneva in braccio Michael, un fazzoletto candido provvidenzialmente premuto sul naso raffreddato del piccolo. Cinque anni, una spruzzata di lentiggini e quella chioma arancione che caratterizzava tutti gli Weasley.
Erano cinque, in tutto.
Due a carico del Salvatore del Mondo Magico e tre piccoli Pel di carota.
James e Sirius Potter, rispettivamente di dodici e otto anni. Gabriel, Jared e Michael Weasley , di undici, sette e cinque anni.
Tutti maschi.
Tieni duro, Draco – s’impose il biondo, abbassando lo sguardo sul ventre tondo di sua moglie – tra poco arrivano i rinforzi!
Salutò con sincero affetto sia Pansy che Daphne, mentre Hermione correva ad abbracciare i due ex Grifondoro.
Poteva finire così.
Il solito “Come va? Tutto bene”, due sorrisi di circostanza e tanti saluti a tutti.
Poteva…ma sua moglie si chiamava Hermione Jane Granger.
Tempo cinque minuti e aveva trascinato tutti quanti alla Gelateria Fortebraccio, esaltata all’idea di poter trascorrere un paio di minuti in compagnia dei suoi migliori amici e di poter spettegolare con quelle che ormai riteneva al pari di due cognate.
I due minuti iniziali diventarono dieci, quindi mezz’ora.
Draco si era alzato dal tavolo con la scusa di sgranchirsi le gambe, e ora, la schiena appoggiata alla parete, osservava orripilato il suo peggiore incubo diventare realtà.
Accanto a lui, una Claudia stranamente silenziosa seguiva la direzione del suo sguardo.
Era la sua ultima speranza, si disse il biondo. Lei, quel diavoletto dal volto angelico.
Denise era stata la prima a tradirlo.
Quando James, quello stramaledetto Grifondoro che aveva ereditato gli indomabili capelli del padre si era messo a canticchiare “It's a beautiful day…Sky falls, you feel like…” alla sua primogenita erano partite le coronarie.
Ti piace, non ti piace, io l’adoro, ma anche “With or without you” è stupenda…
E tanti saluti a Denise.
Dopodiché, era toccato a Serena passare dalla parte del nemico.
Si, Serena. La sua stellina.
La carota in miniatura, meglio conosciuta come Michael Weasley, aveva tirato fuori da chissà dove un patetico unicorno animato. Un giocattolo da quattro falci che, solo Merlino sapeva perché, aveva affascinato sua figlia al punto da mettersi a giocare con quella micro-lenticchia.
Con Emanuelle ci aveva impiegato meno due secondi a capire che avrebbe disertato.
Colpa di una dannata mosca, o quello che era.
Quando Judith se ne era uscita sbottando un seccato “Che fastidio questa mosca!”, una seconda voce l’aveva subito ripresa.
“Non è una mosca. E’ una Drosophila!”
Incredibile ma vero, non si trattava di Emanuelle.
Ma di quell’altro. Sirius.
“Una Droso..che?” – aveva esclamato Judith, ignara dell’imminente sciagura che si stava per abbattere sulla loro casata.
“Drosophila, Judy. D-r-o-s-o-p-h-i-l-a” – sillabò Emanuelle, mentre gli occhi del piccolo Potter cambiavano forma, diventando due patetici cuoricini.
“Il moscerino della frutta” – precisò questo, ormai incantato, osservando la streghetta attraverso gli occhialini tondi come quelli di suo padre.
Emanuelle gli sorrise – “Si, si può chiamare anche così”
E Draco si era ritrovato ad aggiornare il punteggio, depennando un altro nome. Draco 2, Potter Lenticchia e la Mezzosangue traditrice 3.
Poteva andare peggio, si era detto.
Gli restavano Judith e Claudia.
O meglio, gli sarebbero restate Judith e Claudia.
Si, perché gli Weasley avevano avuto la brillante idea di chiamare il loro secondogenito Jared.
A Judy sarebbe bastato anche solo questo, per abbandonare suo padre al suo triste destino.
Un nome.
E invece c’era pure dell’altro. Perché oltre ad affibbiargli quel dannatissimo nome, gli Weasley l’avevano addirittura spronato a coltivare le sue passioni, i suoi hobby.
Tanto per fare un esempio….il disegno.
Pennelli, sfumini e tutte le altre cianfrusaglie che Judy tanto adorava.
Indi per cui, gli era rimasta solo Claudia.
“Perché…che ho fatto di male…” – si ritrovò a mugugnare Draco a bassa voce.
“In che senso?” – domandò curiosa la sua secondogenita.
“Le tue sorelle” – spiegò – “Guardale. Sono passate al nemico, dalla prima all’ultima..”
La streghetta annuì – “Tra i due chi sceglieresti? Potter o Weasley?” – domandò sollevando lo sguardo sul padre – “Come male minore, intendo…”
“E’ una bella lotta” – frecciò Draco – “Mah…forse ancora lo Sfregiato. Agli Weasley puoi tingere i capelli, ma rimangono degli straccioni…mentre il conto di San Potter, alla Gringott, perlomeno non piange”
In quel momento, Gabriel Weasley passò davanti a loro. Sorrise a Claudia e continuò a camminare verso gli altri, ancora seduti al tavolo.
In mano, un cono gigante alla stracciatella.
“Vero, coi capelli arancioni hai voglia a trovare dei vestiti che s’intonino” – considerò la piccola, gli occhi di mercurio liquido che seguivano attentamente quella squisitezza fatta di panna e cacao – “Ma con il giusto incentivo…”
La frase si perse nel ghigno che le storceva inspiegabilmente le labbra.
E sotto lo sguardo incredulo di suo padre, gli fece ciao ciao con la manina prima di puntare dritta verso quel ragazzino dalla chioma rossiccia.
Uno che sembrava andare in estasi per un gelato alla stracciatella non doveva essere poi così male.
Sconfitto e disperato, Draco chiuse gli occhi.
La testa reclinata all’indietro, mentre preghiera perche tutto quello non fosse altro che l’ennesimo incubo.
Un bacio leggero gli sfiorò una guancia.
“Tutto bene?”
Aprì gli occhi, e vide sua moglie di fianco a sé.
“Una meraviglia…” – bofonchiò.
“E’ un peccato che, tra una cosa e l’altra, riusciamo a vederci solo di rado, non trovi? Quei bambini sono adorabili” – rifletté Hermione, mentre le iridi ambrate percorrevano i volti dei figli dei suoi amici – “Sarebbe bello se facessero amicizia con le nostre figlie…e con gli anni chissà, anche qualcosa di più. Potremmo ritenerci tutti parte di una grande famiglia” – concluse, con gli occhioni che le luccicavano al solo pensiero.
Draco grugnì qualcosa di indistinto in risposta, il fegato in preda a un mezzo travaso di bile.
Si sporse in avanti, rubando un bacio a quella strega di nome e di fatto.
Scese con una mano carezzandole la vita, prima di spostarsi verso il ventre pronunciato, sfiorandolo dolcemente con dita leggere.
“Muoviti, Nicholas” – bisbigliò alla volta del prossimo nascituro – “Dobbiamo rimpinguare la componente maschile della nostra famiglia. Papà non ce la fa più, da solo con tutte queste vipere..”
E lanciò un’occhiata divertita ad Hermione.
Questa, stranamente, gli elargì un sorriso per tutta risposta.
Un sorriso di quelli furbi e maliziosi, che gli riservava quando tramava qualcosa.
“Caro, sai, volevo dirti….la busta gialla che è arrivata stamattina…” – mormorò la strega, mentre la bocca del marito era scesa a torturarle il collo.
“…si?”
“Erano i risultati di alcune analisi che avevo chiesto a Pansy di fare, durante l’ultima visita”
Il biondo sollevò il capo di scatto, allarmato al punto da ignorare il sorriso di lei, segno evidente che nulla la turbava – “E’ successo qualcosa? Non stai bene? O riguarda lui?”
“No, no, tutto a posto” – lo tranquillizzò Hermione, scegliendo con cura le parole successive – “Sto benissimo…e anche la piccola”
Draco la fisso stralunato.
“Piccola?”
Sua moglie annuì, aspettando pazientemente che il suo cervello carburasse.
“Ma di chi stai parlando?” – chiese, sinceramente confuso –“Serena? Judith? Emanuelle? Claudia? Denise?” – le provò tutte.
“Di lei” – rispose Hermione, spostando la mano fino a coprire quella che il marito le teneva ancora appoggiata al ventre.
“Nicholas?!?” – balbettò Draco, mentre tutto a lui cominciava a ruotare vorticosamente.
Maschio. Maschio. Maschio.
L’unico pensiero che riusciva a concepire. Perché l’alternativa…
No, non era possibile. Semplicemente.
Assolutamente maschio.
Hermione rise, birichina – “Draco, tesoro, mi stavo chiedendo…che ne pensi del nome Nicole?”
  
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