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Autore: Martowl    11/04/2013    4 recensioni
E mentre Parigi dorme, due cuori solitari si incontrano.
L'assonnato e fuggitivo Iven e l'irraggiungibile e misteriosa Amelie.
E se tra sciarpe colorate e filoni di pane, nascesse l'amore?
***
Amelie amava le sciarpe. Ogni giorno sfoggiava un colore ed una fantasia differente ed Iven si divertiva ad immaginarsela la mattina. Oggi sarà quella tonalità di verde azzurro che si abbina perfettamente con i suoi occhi, si diceva Iven con un sorriso sulle labbra, mentre spalmava della marmellata sulla fetta biscottata.
***
«Non so il tuo nome».
La guardò ed Amelie ebbe paura dell’intensità di quello sguardo.
«Amelie» disse lentamente.
«Amelie» soppesò ogni lettera, facendole scorrere tra le sue labbra, assaporando ogni sfumatura, assaggiando quel profumo di muschio e pane.
La ragazza amò sentire il suo nome pronunciato da quelle labbra. Non aveva mai preso una tonalità così bella.
«Non so il tuo».
«Iven».
La ragazza sorrise, guardandolo andarsene.
E quando fu sicura di essere sola, quando la porta sbatté con l’accompagnamento del campanellino, poté liberarsi.
«Iven» sussurrò.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Muschio, pane e amore.


                Betato da Flamel



«Buongiorno».
«Buongiorno».
 
Le ore passavano ed i monosillabi si trasformavano.
 
«Buonasera».
«Buonasera».
 
Tra Amelie ed Iven non c’era altro tipo di conversazione. Si ritrovavano ad improbabili orari del giorno, quando ancora la maggior parte di Parigi dormiva.
Iven usciva di casa con un borsone marrone che aveva visto tempi migliori, indossando un lungo impermeabile, con sotto una tuta comprata a basso prezzo a metà stagione.
Amelie amava le sciarpe. Ogni giorno sfoggiava un colore ed una fantasia differente ed Iven si divertiva ad immaginarsela la mattina. Oggi sarà quella tonalità di verde azzurro che si abbina perfettamente con i suoi occhi, si diceva Iven con un sorriso sulle labbra, mentre spalmava della marmellata sulla fetta biscottata.
Dall’altra parte del muro, Amelie si vestiva lentamente, soppesando ogni piccolo movimento, pensando al sorriso del vicino.
Non sapeva nulla di lui, nemmeno il nome. 

L’unica cosa che separava quei due, era un sottile muro, che non nascondeva il rumore di quel vecchio stereo in casa di Iven, ma che teneva compagnia ad Amelie. 
E il ragazzo sentiva ogni volta la soffice voce della ragazza. Succedeva spesso che la accompagnasse nel ritornello, creando una nuova armonia tra le due voci. Ma il tutto con un lieve sussurro, quasi impaurito dal fatto che lei potesse smettere di cantare, di bloccare quella leggera melodia che faceva rinsavire Iven dopo una pesante giornata di lavoro.
Ma prima della canzone, della voce e del ritornello, c’era il profumo che aveva il potere di svegliare il ragazzo.
Perché Amelie, ogni mattina, si cospargeva una leggera crema, al muschio bianco, aveva poi scoperto Iven; ma ogni sera, quello veniva eliminato da un altro tipo di profumo: pane e dolci.
Era così che l’uomo aveva scoperto il lavoro di Amelie. Era stato anche aiutato da qualche ciocca castana ricoperta di farina.
Non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi e di eliminarle quella piccola traccia.
La paura che lei scappasse, che lo lasciasse solo, lo terrificava. Perché, anche se inconsapevolmente, Amelie faceva parte della vita di Iven.
 
Orfano di padre e madre, era stato costretto a crescere con una prozia di età avanzata e un piccolo cucciolo di cane di nome Beau, ma che, a stretto contatto con la signora, si era trasformato in un mostriciattolo.
E quando il ragazzo ebbe conferma del contratto a tempo indeterminato, non ci aveva pensato due volte e aveva raccattato i pochi scatoloni che possedeva e aveva cambiato casa.
Aveva trovato l’annuncio di quel monolocale su un giornale al bagno dell’ufficio.
Qualcuno lo aveva dimenticato sopra il davanzale e lui aveva iniziato a scorrere le pagine, fino a quando non aveva scorto dei riferimenti a un palazzo in affitto.
Il giorno stesso, concluso il lavoro, si era fiondato all’indirizzo che aveva strappato dal giornale.

Un vecchio edificio dimenticato, di un giallo sbiadito, con finestreincrinate ed una storia alle spalle da dimenticare.
Ma il bisogno che aveva Iven di scappare da quella casa era quasi assillante e non ci aveva pensato due volte, quanto aveva sentito il basso costo dell’affitto.
Nel giro di due giorni, l’appartamento 23/B era suo. Abitava all’ultimo piano e, anche se per la spesa non era certo la cosa più divertente, lo manteneva in forma e riscaldava i suoi muscoli di primo mattino.
A quel tempo, il monolocale di fronte al suo era spoglio, vuoto e sapeva di muffa. A dire il vero, l’intero edificio sapeva di muffa, ma i vecchi inquilini erano abituati a quell’odore e nessuno aveva avuto il coraggio di lamentarsi con il vecchio signore Joell. Costui era un uomo burbero con un unico interesse: i soldi.
Vedovo e senza figli, passava la giornata davanti alla televisione senza colori che era riuscito a comprarsi in un negozio all’angolo con pochi spiccioli. Guardava partite continuamente, spesso gli capitava di vedere la stessa giocata almeno sette volte ma l’Alzheimer lo aveva ridotto ad uno straccio e, di conseguenza, non ci faceva caso.
Aveva avuto una leggera ischemia la settimana dopo la morte della moglie. C’era chi disse che era proprio per via della perdita, che non aveva retto, ma in realtà Joell aveva sposato la povera Lunette solo per amore della ragazza. Lei lo aveva visto come un salvatore, uno scoglio dove arrendersi dopo una vita fatta di soprusi. La poca gentilezza che Joell possedeva, decise di donarla proprio a lei e la prese con sé, dandole tutto ciò che poteva. Ma mai, mai, si era parlato di vero amore.
Lunette, in cuor suo, lo sapeva, ma aveva sempre deciso di far finta di nulla. Aveva sempre deciso di amare lei, per entrambi.
 
Iven non aveva mai conosciuto Lunette, ma la storia la conosceva bene. Margaux, l’anziana che abitava all’appartamento 23/Y ogni giorno gli raccontava quella storia. Solitamente dopo aver litigato con il signor Joell. Forse era l’unica a non aver paura di lui.
Margaux sapeva tutto di tutti, non si perdeva nulla, nessuna novità. Tranne una.
Quattro mesi prima, Iven aveva iniziato a sentire degli strani rumori provenire dall’altra parte del muro. Aveva preso paura, pensava fosse un ladro, ma poi si era dato dello stupido. Era disabitata e non c’era nulla da rubare.
Allora aveva pensato che ci fosse un barbone che cercava un riparo da quel brutto temporale che si infrangeva quella notte. Anche la Tour Eiffel aveva una strana luce sotto quel tempo. Si era dato dello stupido nuovamente. Niente e nessuno poteva passare senza il permesso di Joell.
Lasciò perdere, per quella sera.
Il problema principale era che i rumori erano continuati imperterriti e Iven aveva iniziato a preoccuparsi. Fu così che, con ancora gli abiti del lavoro –ormai sgualciti- scese al piano terra e bussò alla porta di Margaux.
«Bonsoir Margaux, come sta?».
«Oh mon petite jeune, ça va bien! Hai sentito della nuova inquilina? Quella di fronte al tuo appartamento?».
Iven voleva proprio arrivare a quell’argomento, ma, per non attirare attenzione, l’aveva presa larga, chiedendole novità sulla sua vita e sul tempo. Ma Margaux, succube dai pettegolezzi, non aveva resistito.
«Ho sentito qualche strano rumore, ma non sapevo ci fosse qualche nuovo inquilino» disse con nonchalance il ragazzo.
«Elle est délicieuxC’est une fille de Paris. È nata ed è vissuta. Ha preso l’appartamento un mese fa, ma solo ora si è trasferita».
«E qual è il nome della ragazza?» chiese gentilmente Iven che, all’occhiata curiosa della signora, si sentì in dovere di aggiungere «Per darle il benvenuto. È un posto piuttosto brutto e magari una mano potrebbe esser d’aiuto».
Margaux conosceva l’indole gentile del ragazzo, quindi non indagò.
«Je ne sais pas. È molto riservata. Esce presto la mattina e torna la sera tardi».
 
Ormai affranto, Iven decise di ritirarsi. Se nemmeno Margaux conosceva il nome della ragazza, allora non ci sarebbe mai riuscito nemmeno lui.
Si buttò sul letto, cullato dalla leggera voce della ragazza, appena rientrata in casa.
 
Passarono quattro mesi, da quel dì, e le cose non cambiarono.
Al quinto, succube di un temporale improvviso, Iven fu costretto a rinunciare alla sua giornata di ferie. Era nella Parigi antica, quella dimenticata dalla maggior parte della popolazione. Si trovò a cercare rifugio nel primo negozio che gli capitò di fronte. Con gli occhi umidi e la vista sfocata, aprì la porta ed entrò, senza tante cerimonie.
«Bonjour». Una voce squillante accompagnò quel dolce profumo che si trova nelle cucine delle proprie nonne. Quel sapore di tranquillità e di casa.
«Oh, noi ci conosciamo!» continuò la voce con voce imbarazzata. Iven si prese qualche secondo per sé, cercando di capire cosa e chi lo circondava.
Quando le linee iniziarono a definirsi e quando ogni cosa prese un solo colore, vide.
Le leggere curve del corpo della ragazza, i capelli mori che scendevano dolcemente per le sue spalle, gli occhi cerulei, le labbra carnose e quel profumo di muschio misto all’odore del pane.
Perché Amelie si trovava davanti a lui. La sciarpa del giorno appesa all’ingresso e lei nascosta per metà dal bancone dei dolci. Iven, goloso dalla nascita, dimenticò tutto quel ben di Dio, guardando solo la ragazza che si trovava davanti.
«Noi ci conosciamo» ripeté, con un leggero sorriso che, senza saperlo, provocò un uragano nel petto di Amelie.
Passarono minuti, o forse ore, nessuno dei due lo sapeva. Perché per la prima volta, senza indugi, i due ragazzi si stavano guardando, si vedevano per davvero senza veli e senza la stanchezza serale.
«Lavori qui, quindi» cercò di fare conversazione, Iven.
«Lavoro qui» sussurrò Amelie, incapace di creare un filo logico al suo discorso.
 
Quando il temporale si quietò, Iven capì che forse era meglio andare. 
Prese un filone di pane, seppur cosciente di quanto poco apprezzasse quell’alimento.
Si avvicinò alla porta, per poi bloccarsi.
«Non so il tuo nome».
La guardò ed Amelie ebbe paura dell’intensità di quello sguardo.
«Amelie» disse lentamente.
«Amelie» soppesò ogni lettera, facendole scorrere tra le sue labbra, assaporando ogni sfumatura, assaggiando quel profumo di muschio e pane.
La ragazza amò sentire il suo nome pronunciato da quelle labbra. Non aveva mai preso una tonalità così bella.
«Non so il tuo».
«Iven».
La ragazza sorrise, guardandolo andarsene.
E quando fu sicura di essere sola, quando la porta sbatté con l’accompagnamento del campanellino, poté liberarsi.
«Iven» sussurrò.
 
 
Passarono trenta giorni e ogni giorno Iven andava a comprare del pane a quella boulangerie; pane che finiva spezzettato al parco, con grande piacere dei piccioni che passavano di lì quotidianamente. Iven andava lì, con sole, pioggia e tempesta. Alla solita ora. Ed Amelie lo attendeva.
Non preparava nulla, lo aspettava per aver più tempo con lui.
 
«Buongiorno Amelie».
«Buongiorno Iven».
I saluti cambiarono e a volte furono accompagnati da chiacchiere, risate cristalline e tocchi leggeri di braccia.
Uno scontrino che scivolava su tutta la mano della ragazza, fino alle dita vicine dell’uomo. Uno scontro di sorrisi, di piaceri silenziosi e speranze vibranti.
 
Passarono i mesi ed il muro non esisteva più nelle loro teste.
La radio fu sostituita dalla chitarra di Iven e un ritornello cantato assieme, con le porte aperte.
Passarono i mesi e Amelie attraversò la porta dell’appartamento 23/B per una cena. La prima a luci accese, la seconda a lume di candela.
Passarono i mesi e l’appartamento di 23/A venne svuotato e tutti gli scatoloni attraversarono il corridoio, mentre due mani, due braccia, due corpi, due anime e due labbra si scoprivano.

Amelie amava quel contatto.
Iven pensava che quello, quel bacio, sapeva di loro.
Sapeva di muschio, di pane e di amore.
 

 

   
 
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