Fanfic su artisti musicali > SHINee
Segui la storia  |      
Autore: Pla_nyunyaa    11/04/2013    4 recensioni
"La notte mi piace, è l'unico momento della giornata nel quale se sogni non vieni guardato strano. La gente non è abituata ad avere a che fare con sognatori, ma una volta calata la luna sulla città, tutti si proiettano altrove e vivono avventure in dimensioni immaginarie, volenti o nolenti."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Taemin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Camminavo senza prestare attenzione a dove mettevo i piedi, immerso nei miei pensieri. Ciò che mi circondava non aveva alcuna importanza, la mia mente era proiettata in un altro mondo, il mio. Improvvisamente, però, tutto si dissolse, cogliendomi totalmente di sorpresa, e tornai alla realtà. Ero involontariamente andato a sbattere contro qualcosa, o qualcuno. All'urto rimbalzai all'indietro perdendo leggermente l'equilibrio, senza cadere. Il mio sguardo, sino ad allora rivolto verso il basso, si alzò, per inquadrare bene l'ostacolo che aveva interrotto il mio cammino. Era un ragazzo, alto, magro. Con i capelli neri. Aveva uno sguardo spropositamente allarmato, quasi spaesato. Portava un grosso borsone a tracolla, che pareva pesare parecchio. Lo fissai senza dire una parola, non potevo. Restammo entrambi in silenzio fissandoci per interminabili secondi. Solo dopo un po' mi venne in mente di abbozzare un sorriso, come per dire “okay, è tutto apposto, sto bene”, ma lui tutto d'un tratto fece un inchino, si scusò e si allontanò. Lo seguii con lo sguardo fino a che non svoltò un angolo e scomparve dalla mia visuale. Eppure, mi sembrava di averlo già visto, quel ragazzo.

 

 

Come ogni lunedì mi stavo preparando per andare all'allenamento settimanale di calcio, subito dopo pranzo. Mi lavai i denti, dopo aver mangiato qualcosa di non troppo pesante, e mi infilai la tuta. Nel mentre che mi stavo cambiando, improvvisamente, mi arrivò una telefonata. Risposi.
“Ehi, Minho,” era un mio compagno di allenamento. “Ti prego, vieni. È successa una questione al campo.”
“Una questione al campo?” ripetei allarmato.
“Ah, scusa,” rispose lui. “Non volevo allarmarti, non è niente di grave, solo è sorto un problema tra due ragazzi. Non hanno intenzione di chiudere la questione in tua assenza.”
Sospirai. In qualità di presidente dell'associazione potevo tirarmi indietro, così risposi:
“Okay, arrivo subito.”
Chiusi la chiamata, finii di vestirmi velocemente e uscii di casa. Procedetti a piedi, con un ritmo sostenuto. Quasi arrivato sentii il telefono squillare nuovamente nella borsa e senza fermarmi cominciai a frugare per rispondere, ma all'improvviso andai a sbattere contro un ragazzo. Era basso, aveva i capelli castani. Mi guardò in faccia per diversi secondi, senza dire nulla. Io ricambiavo lo sguardo fissandolo intensamente. La sua faccia non mi era nuova, era come se risvegliasse nella mia mente strani ricordi. Il cellulare squillò una terza volta e mi ricordai dell'emergenza. Mi scusai con un inchino e proseguii verso il campo.

 

 

Tornato a casa mi sedetti sul divano. Chiusi gli occhi, mi rilassai. Tutto ciò che mi circondava scomparve, e venne sostituito da un paesaggio infinito. C'erano nuvole, tante nuvole. Un tenue colore rosa si diffuse nell'aria assieme al delicato suono di un carillon. Questo è il tuo mondo, disse. Sì, finalmente, questo è il mio mondo. Allungai un braccio e una farfalla di luce si posò sulla mia mano. La guardai, era bella.
Non mi sono mai trovato a mio agio nel mondo reale, così da bambino ne costruii un altro, più bello. Mi ci sono sempre rifugiato, fin da quando ero piccolo. Una sorta di fuga dalla realtà. Fuggivo, fuggo, dal mondo e dalle persone che lo abitano, finendo per abitare un regno che non mi contiene, ma che è contenuto in me. Una dimensione che posso raggiungere semplicemente concentrandomi e chiudendo gli occhi. Ho sempre cambiato il mondo reale con il mio personale, uno scambio conveniente. Il fisico per il metafisico. Non mi importa poter toccare le cose, l'importante è che siano qua dentro. Dentro di me, nella mia testa e nel mio cuore. Non mi interessa avere a che fare con le persone, io non parlo mai, ma amo cantare. Non riesco ad emettere alcun suono di fronte alla gente, l'unico modo in cui posso esprimere me stesso e ciò che sento è liberando il mio spirito sotto forma di melodia.
Improvvisamente mi tornò in mente quel ragazzo alto nel quale mi ero imbattuto tornando a casa. Mantenendo la connessione con la mia dimensione metafisica pensai a lui. Sdraiato su un'ipotetica distesa d'erba verdissima, accarezzato da raggi luminosi, allungai una mano come per raggiungere quel sole irreale. Non aprivo gli occhi, cercavo di catturare il calore con gli centimetro della mia pelle. Era strano. Nessun sole mi aveva mai dato quell'immensa sensazione di calore che invece mi donava quello che in realtà non esisteva. Forse perché era un sole che splendeva solo per me, non dovevo condividerlo con nessuno. Il mio era un universo egocentrico. Tutto esisteva per me, grazie a me, in funzione di me. Non è presunzione, è la verità. Qualcosa, nella mia mente, mi fece aprire gli occhi, qualcosa mi sfiorò il fianco. Era un pallone, che rotolando arrivò sino a me. Mi guardai attorno, ma la connessione era già svanita e tornai al salotto di casa mia, ormai invaso dall'assenza di luce.

 

 

Una volta finito l'allenamento mi feci velocemente una doccia e mi trattenni al campo, avendo varie faccende da sbrigare. Restai nello studio diverse ore, e quando andai via non c'era ormai più nessuno. Il sole era tramontato. Ero sul punto di chiudere la porta quando sentii un rumore provenire dall'interno, così rientrai, e accesi la luce dello studio. Un vaso, con tutta la terra che conteneva al suo interno, era caduto per terra. Sulla scrivania invece, vidi un gatto, dal pelo marroncino chiaro.

 

 

Ormai interrotta la connessione, sentii addosso tutta la stanchezza del giorno trascorso, e per questo decisi di alzarmi, di prepararmi e di andare a dormire, così avrei potuto proseguire a sognare. La notte mi piace, è l'unico momento della giornata nel quale se sogni non vieni guardato strano. La gente non è abituata ad avere a che fare con sognatori, ma una volta calata la luna sulla città, tutti si proiettano altrove e vivono avventure in dimensioni immaginarie, volenti o nolenti.
Leggermente stordito mi alzai dal divano ed errai in quella che immaginavo fosse la direzione che mi avrebbe portato alla lampada. Le tapparelle erano serrate, non entrava un filo di luce, benché avessi il lampione a pochi centimetri dalla finestra. Prima di uscire, ero solito chiudere perfettamente le serrande, senza alcun motivo, era semplicemente un'abitudine, ma ogni volta che tornavo a casa facevo fatica a trovare l'interruttore della luce. Camminando attraverso la stanza, facendo la massima attenzione a non inciampare, procedetti lentamente con te mani in avanti, in modo da potermi proteggere in caso di caduta. Nonostante la mia morbosa attenzione, inciampai. Prevedibile, forse, ma non me lo sarei mai aspettato. Non incontrai un ostacolo casuale, era qualcosa che subdolamente si era volontariamente sistemata nel mezzo del mio cammino per farmi inciampare. Nel buio, non riuscii ad immaginarmi cosa. A terra, percepii degli spostamenti nell'aria, avvertii la presenza di un essere vivente. Un essere vivente che non sarebbe dovuto essere lì. Abituato alla vita solitaria non era normale trovarsi un qualcosa di animato a pochi centimetri da sé, senza neanche poterlo vedere. Freneticamente, in preda al panico, cercai disperatamente quel dannatissimo interruttore, trovandolo e faticando ad accenderlo per via della sovreccitazione. Mi guardai attorno, con il cuore a mille.
Un gatto.
A provocare la mia caduta, fu un gatto. Nero. Confuso, allungai la mano e lo accarezzai.
Non dovresti entrare in casa degli altri senza permesso, pensai guardandolo e continuando ad accarezzarlo. Però mi piacciono i gatti, sei fortunato.
Come se avesse capito ciò che tentavo di comunicargli, il gatto miagolò dolcemente e si strusciò contro la mia mano. Prendendolo in braccio mi alzai e lo poggiai nel divano, sopra una vecchia coperta rossa, leggermente. Mi sedetti a terra, rivolto verso il divano e guardai il gatto sistemarsi. Ci pensavo intensamente, mi sforzavo, ma proprio non capivo come e da dove fosse riuscito ad entrare.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: Pla_nyunyaa