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Autore: dedidicit    12/04/2013    3 recensioni
[AU!1984]
"John... So che non ti puoi fidare di me, che non ci riesci perché oggi chi si può davvero fidare di qualcuno? Per quello che vale, io ti giuro che non sono un agente in incognito. Ti ho passato quel messaggio perché mi incuriosisci, perché sei diverso, perché voglio sentire dalle tue labbra gli orrori che hai visto in guerra e che si nascondono nei tuoi occhi blu. Voglio avere la certezza che esiste qualcun'altro che sa".
John è metà tra lo shock e la felicità. Esiste. Esiste davvero qualcuno nel mondo che non si è dimenticato, che è come lui. Quest'uomo sa dell'Afghanistan, non appoggia le guerre del Partito... Se i sogni si potessero materializzare, John è certo che questa volta sia davvero successo; non c'è nient'altro che desidera ora che non sia stare per sempre lì, al 221B di Baker Street con Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, poi a Steven Moffat e Mark Gatiss. Le citazioni sparse e l'idea generale è di George Orwell, e i pezzi di canzone di Resistance dei Muse.

 

George Orwell, perdonami. Davvero.

 

 

 

Oh, I don't wanna know your secrets,

oh, they lie heavy on my head.

(Richard Ashcroft, Break the night with colour)

 

 

Forbidden thoughts

 

 

Londra, Airstrip One, Oceania.

La sveglia è appena suonata in tutta la capitale, ed anche John Watson si trova a doversi alzare contro la sua volontà, ancora aggrappata all'ultimo sogno. C'entrava qualcosa Shakespeare, ne è sicuro, anche se non ricorda come.

Psicoreato. Shakespeare non è mai esistito. Psicoreato.

La voce del teleschermo lo riporta alla realtà. "Esercizi ginnici" annuncia la voce metallica, e John sente dentro di sè, come tutte le mattine, l'odio per tutto; per la voce, per il teleschermo, per l'appartamento in cui vive, i vicini di casa, la sua gamba.

La sua maledettissima gamba, che gli rende difficile camminare, tanto da aver bisogno del sostegno di un bastone, e soprattutto impossibile è per John riuscire a tenere il ritmo degli Esercizi Ginnici.

"Uno, due - uno, due" ha iniziato a contare la voce metallica, e John si affanna per cercare di toccarsi i piedi con le mani e rialzarsi seguendo il ritmo; ogni piegamento è una stilettata di dolore, ma John Watson è un soldato, e non si è mai lamentato, fino ad ora, del dolore davanti a quel teleschermo. Sa che è controllato, che non può permettersi nemmeno una smorfia, un accenno, una pausa. Deve evitare lo psicoreato: una manifestazione di dolore potrebbe essere intesa dal Partito come una manifestazione di dissenso. La psicopolizia è sempre in agguato.

"Watson! 1895 camerata John Hamish Watson! Più basso, potete fare meglio di così! Ecco, questa è la posizione!"

Per l'appunto.

 

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Lo psicoreato non comporta la morte: lo psicoreato È la morte.

 

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John Watson si versa un bicchiere di Gin della Vittoria - non sa con quale coraggio la gente si ostini a chiamarlo gin, dato che è una brodaglia di cui vagamente si possono intuire degli ingredienti, qualcosa come il riso cinese, e dall'odore malsano che dovrebbe scoraggiare i bevitori dal farne uso.

Si posiziona in maniera strategica di spalle al teleschermo, ma non troppo "di spalle" da poter far pensare che stia commettendo qualcosa di illecito. Trascina stancamente la gamba ferita sotto al tavolo, cercando di compiere quel gesto con la solita naturalezza con cui è solito farlo -per quanto possa essere naturale avere una gamba ferita- per nascondere ciò che realmente ha intenzione di fare, cioè riuscire a portare un taccuino sul piano di legno senza che il teleschermo lo veda.

Psicoreato.

John sa quali rischi sta correndo, tutti lo sanno a cosa vanno incontro se vengono trovati in possesso di materiale scrittorio. Non è una cosa contro la legge -le leggi non esistono più, sono qualcosa di barbaro e legato agli uomini prima del Partito, agli uomini pre-Socing, che non sapevano regolarsi senza un carabiniere che gli imponesse il diritto e il dovere- ma non è un segreto che chi abbia scritto qualcosa sarà come minimo condannato a 25 anni di lavori forzati, se sarà fortunato.

John si prende un attimo di tempo per accarezzare la carta vagamente giallastra -è vecchia, al giorno d'oggi a parte qualche appunto nessuno scrive più nulla sulla carta e oggetti come quelli non vengono più fabbricati da tempo, il che rende ancora più rischioso per John tenerne uno con sè.

Non era partito da casa con l'idea di comprarlo, in realtà. John Watson quel giorno voleva solo fare una passeggiata tra le botteghe ordinarie alla ricerca di qualche lametta da barba reperibile solo sul mercato nero a causa della guerra -John è stato un soldato, è abituato ad avere sotto perfetto ordine i capelli e la barba, e la misera qualità dei rasoi mandata dal Partito ai suoi dipendenti non potrebbe in nessun modo riuscire a soddisfarlo. Già il fatto di trovarsi in certe zone di Londra sarebbe stato di per sè sufficiente per incriminarlo, ma John non si è fermato solo a questo.

Non ha potuto fare a meno di notare un negozietto di antiquariato; non che la vetrina fosse particolarmente di suo interesse in realtà, i grammofoni e gli abiti vecchi non sono mai stati il suo hobby preferito, ma il suo sguardo si è bloccato alla vista di quel piccolo quadernetto scolorito. Non sapeva bene come o perché, ma subito era stato preso dall'irrefrenabile desiderio di comprarlo, di possederlo, di sentirlo suo. Non si era preoccupato delle possibili conseguenze nemmeno per un istante, anzi, era entrato nel negozio con la chiara idea di portarselo a casa.

"Desidera, signore?" aveva detto il commesso, un uomo brizzolato dall'accento cockney piuttosto forte che gli aveva rivolto la parola. John aveva solo indicato l'oggetto in vetrina, condizionato troppo dall'abitudine allo psicoreato per esprimersi liberamente. L'uomo aveva sorriso -forse era abituato ai clienti intimiditi come John- e aveva preso il taccuino. L'aveva persino imbustato in un sacchetto con la scritta 'Gregory Lestrade. Tutto dall'era primitiva'

 

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"Chi controlla il passato" diceva lo slogan del Partito "controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato."

 

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Il passato è bandito dal presente. Bispensiero.

Il passato non è bandito, il passato è deciso. Non esistono fatti storici, John Watson non riesce bene a capire come sia possibile questo. Ma è la verità, non c'è modo di confutarla, eppure è così.

Da che ha modo di ricordarsi, John sa che l'Oceania è sempre stata in guerra con qualcuno, con l'Eurasia o l'Estasia, non ha importanza. Ma John sa che c'è stato un periodo in cui Airstrip One non era così: innanzitutto aveva un altro nome, Inghilterra o Gran Bretagna, e, nonostante non ci sia più nessuno che se lo ricordi John ne è sicuro.

In fondo, non potrebbe mai dimenticarsene. È per servire la sua patria che ora si trova quella gamba malfunzionante, è perché aveva deciso di arruolarsi nell'esercito come medico militare per l'Afghanistan. Non è più sicuro che l'Inghilterra fosse davvero in guerra con quel paese orientale o se fosse soltanto una nazione di supporto ad un'altra, ma in fondo non è quello l'importante; il fatto rilevante è che lui ha servito un nome diverso, un nome che gli ha lasciato un'eredità tale per cui lui non possa più dimenticare il passato. C'è sempre la gamba a ricordarglielo, con una stilettata e la necessità di un bastone nella mano.

 

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LA GUERRA È PACE

LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ

L'IGNORANZA È FORZA

 

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John non sa quando tutto questo è cambiato. Forse l'Iran ha davvero usato la bomba atomica, ad un certo punto, o forse la Guerra Fredda non era mai finita per davvero, o forse ancora è scoppiata la Terza Guerra Mondiale e non se ne sono accorti.

Il risultato, con ognuna di queste cause o con altre, non cambia.

Ad un certo punto, ecco il Partito.

È inutile pensare alla prima volta in cui John ha sentito parlare del Grande Fratello o alla campagna elettorale del Partito. Più che inutile, sembra impossibile, è come se non si potesse ricordarlo. Forse non è mai esistito, non si sa. Era come se ci fosse una specie di nebbia su tutto quanto esistesse prima del Socing, ma in realtà anch'esso aveva il suo corrispettivo nell'Archeolingua con il sintagma "Socialismo Inglese". Semplicemente è cominciato ad esistere un mondo nuovo, a partire dalle organizzazioni statali per finire con la Neolingua, la rivoluzione finale che stava per cambiare completamente l'Oceania -forse stava accadendo la stessa cosa nel resto del mondo, ma non era possibile avere informazioni dagli altri continenti senza che la Psicopolizia lo venisse a sapere e arrestasse il colpevole.

Non esiste niente al mondo se esso non è deciso dal Partito, se non è controllato da esso... se non è inventato dal Grande Fratello.

La storia. La storia esiste solo in quanto approvata dal Partito. Anzi, esiste solo ciò che esso ha specificato essere successo, e non è detto che le sue affermazioni siano sempre coerenti. John è sicuro che in un periodo non troppo lontano di tempo l'Oceania sia stata in guerra con l'Estasia e alleata con l'Eurasia, eppure stamattina ha letto sul giornale che l'Eurasia è da sempre il nemico giurato dell'Oceania, che è aiutata solo dall'Estasia. Il Partito può impossessarsi del passato ridefinendolo a suo piacimento; un modo astuto e geniale di avere il controllo sul presente, che risulta formato dalla storia manipolata. La base per poter avere fare le proprie mani anche il futuro.

Una storia infinita.

 

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Il suo lavoro è noioso, infinitamente noioso. John è un uomo abituato all'azione, al rischio sulla pelle, alla possibilità di saltare per aria da un momento all'altro; è questo che ha vissuto in guerra, e per lui non dovrebbe esistere altro stile di vita.

Ma dal rientro dall'Afghanistan con una spalla ferita e una gamba zoppicante tutto quello che ha ottenuto dal Partito è stato un posto come Attizzatore del fuoco per i Buchi della Memoria -ovvero quelle spazzature per tutto ciò che si trova in forma scritta, dal giornale ai brevi appunti di lavoro come le veline di regime, che devono tutti essere tassativamente bruciati entro la sera- nel Ministero della Verità.

Ora le sue giornate sono scandite solo dall'allarme interno, che lo avvisa quando il fuoco si sta per spegnere.

 

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L'unico luogo nel Ministero in cui entra in contatto con qualcuno è la mensa; qui finalmente John può parlare con altri uomini e donne di Oceania.

In verità, la prospettiva non lo attrae quanto dovrebbe. Ha cercato di conoscere qualcuno lì dentro, ma non sa mai di cosa parlare, dato che sembra essere l'unico a non essere completamente omologato al Partito, ad avere ancora idee proprie. Qui si siede ad un tavolo è può già immaginare cosa stanno per dire i suoi interlocutori.

 

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C'è sempre un uomo, in mensa, che John cerca di osservare tutti i giorni.

Come per il taccuino, non c'è un motivo per cui lo fa, è solo che non può farne a meno. Anzi, probabilmente qui una motivazione c'è, ed è l'odio. Dentro di sè John non riesce a non provare una certa invidia per gli altri membri del Partito, quelli sani, che non si devono appoggiare ad un bastone e non sanno cosa voglia dire avere una gamba sempre dolorante, quelli che fanno un lavoro di certo più appagante del suo -non che John creda si difficile avere qualcosa di meglio-, quelli che non sono costretti a rivedere il passato, quello vero, non appena chiudono gli occhi.

Questi uomini sono la maggioranza, ma John Watson in particolare ne odia uno.

Egli è di sicuro un dipendente del Ministero della Verità, però all'apparenza non è come gli altri. Mangia sempre da solo, anzi, appositamente cerca sempre di trovarsi un tavolo libero per non essere obbligato a parlare con qualcuno. E nonostante tutti, anche i più ferventi sostenitori delle guerre di Oceania, in realtà lamentino la razionizzazione del cibo, che è sempre troppo poco e di qualità troppo scadente per poter davvero vivere, lui non solo non fa una piega di fronte al suo pranzo ma addirittura sono più le volte in cui non lo consuma nemmeno tutto. Se ne sta lì, seduto al suo tavolo, osservando di sfuggita la gente intorno.

Come se tutto questo non bastasse ad accendere la curiosità di John, c'è anche dell'altro; se l'uomo fosse solo uno dei tanti lavoratori senza particolari velleità non ci sarebbe nulla di strano, ma questo strano uomo sembra essere un sostenitore accesissimo del Partito. Indossa la fascia della Lega Anti-Sesso tutti i giorni, quasi con fierezza, è presente a tutte le manifestazioni possibili e non è raro trovarlo in prima fila ad ascoltare i discorsi degli esponenti maggiori del Socing. Era presente al falò dei libri di Emmanuel Goldstein, anzi, è stato uno dei più attivi nel bruciare quella carta contrabbandata e requisita ai sostenitori rivoluzionari arrestati. John può quasi vederlo mentre, nei Due Minuti Di Odio, si scaglia violentemente contro gli avversari del Partito, contro i rivoluzionari e i ribelli, contro i finti sostenitori, riesce ad immaginare i suoi bei lineamenti distorti nella foga di liberare tutto quanto provi per la gente come John Watson.

Ecco, questo è un altro problema.

Quest'uomo è bello. Di una bellezza non comune, misteriosa, a tratti tenebrosa e inquietante, con quegli zigomi alti in un volto molto pallido, quasi diafano, in cui spiccano degli occhi azzurri come il ghiaccio, freddi e sempre distanti. Oltretutto, la massa di riccioli neri contribuisce a rendere ancora più evidente la sua pelle chiarissima, e non aiuta certo il fatto che egli sia davvero molto alto e vagamente scheletrico -non che ci siano ancora persone grasse, non con quello che possono mangiare, ma lui è lo è di più degli altri, potrebbe anche risultare piuttosto macabro.

Il fatto che John abbia notato soprattutto il suo aspetto fisico lo innervosisce e lo obbliga a prestare infinita attenzione. L'amore nel Partito è vietato, il sesso è possibile solo per scopi riproduttivi, e provare attrazione per qualcuno in generale non è esattamente il comportamento che terrebbe un buon sostenitore del Grande Fratello.

 

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John ha appena finito di parlare con Irene Adler, in mensa. Lei è la Donna responsabile del cambiamento linguistico, è a capo della squadra che si sta occupando di redigere il vocabolario finale della Neolingua. John la trova sinceramente geniale, anche troppo, per essere sostenitrice così attiva del Partito, ma lei è davvero convinta del suo lavoro, lei vuole essere importante per il Grande Fratello. John non può non pensare che un giorno anche lei svanirà, così come sono svaniti prima di lei i personaggi troppo intelligenti.

Psicoreato.

 

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Ci incontreremo là dove non c'è tenebra.

 

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Si alza dal tavolo con in mano il vassoio, diretto ai cestini della spazzatura per buttare quelle orribili posate di plastica, che non infilzano nulla e non tagliano niente.

Un attimo dopo è a terra, con un gran dolore alla schiena, dove ha battuto sul pavimento.

"Mi scusi!" dice una voce profonda.

John apre gli occhi e lo vede. È lui, l'uomo misterioso, che gli sta tendendo una mano per rialzarsi.

"Ero sovrappensiero e non l'ho vista. Spero non si sia fatto male" continua con quel timbro vocalico grave, muovendo le labbra in modo quasi ipnotico per John, che afferra la sua mano per rialzarsi.

Si blocca.

Nella mano di lui c'è un foglietto, un bigliettino. Di certo ci è finito appositamente, quest'uomo ha deliberatamente scelto di passargli qualcosa; il cuore di John batte più velocemente non appena lo realizza.

L'uomo gli porge anche il suo bastone.

"Non si preoccupi, non è niente. Grazie, camerata", mormora, accennando con un movimento del capo al suo bastone, che prende dalle mani di lui per allontanarsi.

Sta sudando freddo.

 

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Il fuoco dell'enorme inceneritore è davanti a lui, il teleschermo alle sue spalle. Con ogni probabilità ce ne saranno altri nascosti che lo stanno controllando, ma John è troppo curioso di leggere quel messaggio per poterlo bruciare senza aprirlo. Con enorme cautela prende in mano della legna per ravvivare il fuoco e ci inserisce il foglietto, srotolandolo piano fingendo di sistemarsi i rami che ha fra le braccia.

 

Il nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è 221B, Baker Street.

 

Sherlock Holmes. In effetti, un nome qualsiasi come Jack o Andy o qualsiasi altro non sarebbe potuto essere adatto per un uomo come quello, che ispirava tanta diversità già al solo sguardo. Ma John non ha molto tempo per riflettere sul nome, perché il cervello viene travolto dalle implicazioni di quel messaggio.

Tutto gli sta urlando Psicopolizia: lui non conosce quello Sherlock, che oltretutto sembra un personaggio così strambo che di sicuro gli porterà dei problemi. E gli ha dato un appuntamento con un messaggio scritto a mano, una cosa incredibile. E poi, chi glielo dice che in realtà quella non sia tutta una trappola, o che il teleschermo l'abbia visto estrarre il taccuino e sia tutta una mossa per portarlo dove la Psicopolizia possa arrestarlo? Ma soprattutto, perché un uomo come quello Sherlock Holmes, che sembra avere una vita perfetta, dovrebbe volersi incontrare con lui, John Watson, uomo qualunque se non anche meno di qualunque, così ordinario e spezzato?

La ragione gli sta dicendo, anzi, gli sta urlando di dimenticare subito quello che ha letto e di mettere la parola fine a quella strana storia. Forse non ha nemmeno letto giusto il biglietto, forse si sta solo immaginando tutto quanto; non c'è modo di saperlo, perché il foglietto è già finito nel fuoco, non ne è rimasta che cenere ormai.

Però il suo corpo gli sta sussurrando tutt'altro. Il suo corpo vuole sapere di più di quegli occhi glaciali, vuole vedere da vicino quella pelle pallidissima, vuole sentire di nuovo la carezza della sua voce profonda, vorrebbe affondare le mani in quei riccioli neri e percorrere il profilo dei suo zigomi con le dita.

Psicoreato.

John si accende con le dita tremanti una Sigaretta della Vittoria e attende solo la fine del suo turno.

 

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"E tu, adesso che mi hai visto come sono veramente, riesci ancora a guardarmi?"

 

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221B, Baker Street.

Non assomiglia per niente al casermone dove abita lui, fatto di case tutte uguali, una incastonata accanto all'altra e con una sensazione enorme di tristezza e di vuoto solo allo sguardo. Questo posto invece è diverso; sul portone scuro brillano appena le lettere dorate con l'indirizzo, e l'appartamento di fianco non sembra prefabbricato con lo stesso stampino degli altri.

John non sa già cosa fare. Suonare? Bussare? Si sente come un adolescente alla prima cotta che non sa scegliere quale camicia indossare per conoscere i genitori di lei. Per fortuna, Sherlock Holmes lo stava aspettando, perché mentre sta pensando la porta si apre davanti a lui, e la voce di Sherlock lo invita ad entrare.

"È spento!", è la prima cosa che dice John, indicando il teleschermo; è impossibile e vietato farlo -più che vietato, spegnerlo significa che si ha qualcosa da nascondere al Partito, cioè si è dei cospiratori, e si viene subito arrestati. Invece nella casa di Sherlock Holmes è spento.

Psicopolizia. Psicoreato. Psicopolizia.

John si mette subito in guardia, ma Sherlock sorride appena.

"Non ti preoccupare di quello, John. Io non sono un agente in incognito della Psicopolizia, ma occupo un posto nel Ministero della Verità tale da potermi permettere di spegnerlo quando voglio", gli spiega brevemente. Non sembra una persona di molte parole.

"Cioè? Cosa fai?", gli chiede subito John; non vorrebbe usare un tono così sospettoso, ma non riesce ancora a fidarsi di quest'uomo, ha sentito troppo racconti sugli agenti perché accetti la sua spiegazione così velocemente.

Sherlock piega appena la testa da un lato mentre lo osserva.

"Sei un medico militare, e sei stato rimandato a casa dall'Afghanistan per la ferita riportata in uno scontro. Sei convinto che il tuo dolore sia reale ma la verità è che è, almeno in parte, psicosomatico; sei in piedi da quando sei arrivato ma non hai cercato una sedia perché la tua mente è distratta da me e hai eliminato la gamba dai tuoi pensieri. Quindi la tua zoppia è dovuta ad un trauma, per questo dico che sei stato ferito in guerra. E ho parlato di Afghanistan, perché sebbene sia passato del tempo ormai, la tua pelle conserva ancora delle tracce di abbronzatura, come se fosse stata scottata così tanto da prendere per sempre un po' di colore, ma solo il tuo volto e le tue mani sono così, perché i tuoi polsi hanno la classica scarsità di abbronzatura di chi vive in un paese in cui piove tutti i giorni. Il tuo bastone è troppo consumato perché tu sia reduce di una guerra più recente"

John dimentica in un attimo tutte le sue paure.

"È...fantastico!"

"Dici? Non dovresti. Ti ho appena rivelato che anche io mi ricordo dell'Afghanistan, la tua naturale reazione sarebbe quella di scappare di qui a gambe levate", afferma Sherlock, guardandolo intensamente negli occhi. Lo sta studiando ancora, e John non si è mai sentito così aperto alla lettura come in questo momento.

"Come hai fatto?", chiede soltanto.

"È il mio lavoro, John. Osservo le persone e deduco".

"Ma allora..."

"Non sono un agente, John. Uso questa mia capacità solo per trovare le spie dell'Eurasia e sventare gli attacchi terroristici, se questo ti può tranquillizzare".

John non è del tutto convinto dalle sue parole, o almeno, la sua parte razionale non lo è, ma ha deciso di non ascoltarla venendo qui, ora deve continuare a fidarsi dell'istinto.

"Noi non dovremmo essere qui, insieme".

Lui sbuffa. "È per questo che ho spento il teleschermo. Ai membri di grado elevato del Partito è possibile farlo, anche se non per troppo tempo. I sospetti ci sono sempre".

È il turno di John, ora, di studiare Sherlock. Lui resta impassibile, con le mani giunte sotto al mento e gli occhi fissi in quelli di John, in attesa. Sa già cosa gli vuole chiedere.

"Perché?", domanda infatti John. "Perché mi hai voluto qui? È illegale, stiamo andando contro le regole del Partito, stiamo rischiando davvero grosso, voglio sapere per cosa", afferma con un tono deciso, un tono che non ha più usato da quando è tornato a casa dalla guerra.

"Cosa vedi quando siamo in mensa? Che persone vedi?"

John resta in silenzio.

"Lo so a cosa stai pensando. Ho notato come non ti metti mai a parlare con la maggior parte degli altri dipendenti, come se non ti importasse niente di quello che ti potrebbero dire. Questo può significare solo che sentir parlare del Partito e del Grande Fratello tutto il giorno non ti interessa particolarmente. Anzi, tu li eviti, quindi il problema è che ti dà fastidio quello che loro dicono. Ergo, non sei d'accordo con la politica di Oceania, cioè con quella del Partito, cioè con quella del Grande Fratello", gli spiega Sherlock tutto d'un fiato. "O mi sto sbagliando?", chiede, con un sorrisetto accennato che lascia intendere che già sa che è tutto giusto.

John non sa cosa rispondere. Quest'uomo sa tutto, e dice di averlo dedotto, ma potrebbe benissimo essere solo un uomo della psicopolizia, e assentire alla sua ultima analisi potrebbe portarlo dritto alla tortura.

"Tu sei diverso", continua Sherlock. "Tu ricordi, lo so, la tua gamba di impedisce di dimenticare. E quello che riesco a capire di te è che ne sei disperato, perché pensi che sarebbe così facile essere come tutti gli altri e non avere sempre paura che la Psicopolizia ti arresti e scopra tutto quello che io ho appena detto di te".

John annuisce appena, stordito.

"John... So che non ti puoi fidare di me, che non ci riesci perché oggi chi si può davvero fidare di qualcuno? Per quello che vale, io ti giuro che non sono un agente in incognito. Ti ho passato quel messaggio perché mi incuriosisci, perché sei diverso, perché voglio sentire dalle tue labbra gli orrori che hai visto in guerra e che si nascondono nei tuoi occhi blu. Voglio avere la certezza che esiste qualcun'altro che sa".

John è metà tra lo shock e la felicità. Esiste. Esiste davvero qualcuno nel mondo che non si è dimenticato, che è come lui. Quest'uomo sa dell'Afghanistan, non appoggia le guerre del Partito... Se i sogni si potessero materializzare, John è certo che questa volta sia davvero successo; non c'è nient'altro che desidera ora che non sia stare per sempre lì, al 221B di Baker Street con Sherlock Holmes.

Lui però lo risveglia dai suoi pensieri troppo velocemente.

"Devi andartene. Te l'ho detto, il teleschermo non può restare spento più di tanto nemmeno per noi".

"Quando... Quando possiamo rivederci?", chiede subito John. All'improvviso la sua diffidenza sembra non esistere più.

"Dobbiamo trovare un posto in cui non ci sia un teleschermo, dove possiamo stare insieme liberamente, senza preoccuparci del Partito o del tempo che ci resta per parlare" risponde Sherlock, pensieroso. John resta un attimo incantato ad osservare la ruga d'espressione che si è formata fra le sue sopracciglia; fa venire voglia di sfiorarla con le dita.

Poi John ha un'idea.

"Ci sarebbe un posto..."

 

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It could be wrong, could be wrong, this is out of control.
It could be wrong, could be wrong, it can never last.
It could be wrong, could be wrong, must erase it fast.
It could be wrong, could be wrong, but it should have been right...

 

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6 gennaio 1984 ho conosciuto un uomo Sherlock è speciale lui mi capisce lui sa che non sono come gli altri è bello essere speciali per qualcuno non mi ricordavo più come fosse lui pensa come me il Grande Fratello ci vuole tutti uguali ma Sherlock non è come tutti gli altri mi fucileranno per questo taccuino ma non me ne importa voglio dire che io odio il grande fratello io odio il grande fratello io odio il grande fratello

 

ABBASSO IL GRANDE FRATELLO

ABBASSO IL GRANDE FRATELLO

ABBASSO IL GRANDE FRATELLO

 

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Irene Adler è scomparsa.

 

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"Buongiorno, signor Lestrade", saluta John, entrando nel negozietto di antiquariato dove ha comprato il taccuino. Gli sembra che sia passata un'infinità di tempo da allora, quando forse è da una settimana soltanto che lo possiede.

L'uomo lo guarda e sorride. "Sapevo che l'avrei rivista presto, signore. Chi compra qualcosa come quello che ha acquistato lei ritorna sempre per accettare la mia offerta".

Due giorni dopo l'incontro con Sherlock a John è venuto in mente che lui sapeva dove si sarebbero potuti trovare. Si è ricordato del proprietario del negozio, che gli aveva offerto una camera tranquilla dove poter leggere senza la paura del teleschermo; aveva detto che non era il primo, in fondo, ad aver comprato di nascosto un quadernino o un libro scampato alla distruzione operata dal Partito.

"Non sono solo", gli dice John mentre l'uomo lo sta guidando al piano superiore. "Deve arrivare un'altra persona".

"Non c'è alcun problema, la manderò direttamente in questa stanza".

La gamba non fa più male a John, non da quando nella sua mente c'è soltanto il pensiero dell'imminente incontro con Sherlock.

 

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John accarezza distrattamente i riccioli scuri di Sherlock.

Non sa come sia potuto accadere, di certo non l'aveva progettato quando avevano deciso di incontrarsi. Eppure ora sono lì, sdraiati insieme sul letto, la testa di Sherlock appoggiata alla spalla di John con la fronte.

Si è addormentato, quella specie di detective di Oceania, mentre le mani di John passavano lentamente fra i suoi capelli, ancora entrambi leggermente ansimanti ed increduli.

Sherlock è arrivato con del cioccolato, del vero cioccolato. John non si ricordava nemmeno quand'era stata l'ultima volta che ne aveva mangiato; quello delle razioni del Partito non conservava nemmeno più vagamente il sapore del cacao, credeva quasi di esserselo dimenticato. Non gli ha chiesto come ha potuto procurarsene un po', John non ha voluto saperlo, anche se può benissimo immaginarlo da solo dopo aver visto i privilegi di cui gode nel suo appartamento.

Dopo, Sherlock gli ha chiesto di parlargli dell'Afghanistan.

"Perché?", gli ha risposto John. "Immagino che tu possa capire tutto della mia vita in Medio Oriente senza bisogno che te ne parli io".

"Voglio sentirlo dalla tua voce", ha detto Sherlock con una semplicità disarmante.

E allora John l'ha accontentato. Ha iniziato a parlare della guerra che ha vissuto, dei suoi compagni, degli amici che si è fatto lì e che poi non ha più rivisto, probabilmente qualcuno sarà 'scomparso'. E mentre ricordava delle notti in mezzo al deserto, con la paura di un attacco ma con sopra un magnifico cielo stellato la sua voce ha iniziato a tremare appena; l'emozione di poterne finalmente parlare con qualcuno ha avuto la meglio, e John si è dovuto asciugare velocemente gli occhi, perché Sherlock si era congelato sul posto a quella vista, come se ne fosse terrorizzato o non sapesse cosa fare, dato che non ricordava di aver mai visto un uomo piangere di fronte a lui.

Allora John gli si è avvicinato e ha appoggiato piano la mano su quella di lui, come a dirgli che non doveva preoccuparsi, che non c'era niente di sbagliato o di strano, pensando che fosse una situazione al rovescio, dove lui, che avrebbe dovuto essere consolato da Sherlock, si ritrovava a tranquillizzare l'uomo.

E poi era stato tutto un crescendo di azioni, dalle loro dita che si intrecciavano come per gioco alle loro labbra che si cercavano.

'Non dovrei esserne così stupito', si ritrova a pensare John. 'In fondo, siamo uomini costretti da tempo a non poterci relazionare con nessuno. Qualsiasi minimo contatto avrebbe potuto essere la scintilla'.

 

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If we live a life in fear
I'll wait a thousand years
just to see you smile again...

 

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"Raccontami qualcosa di te che ancora non ho dedotto", chiede Sherlock. Quando si è svegliato si è guardato intorno piuttosto sorpreso, fino a che non ha incontrato il volto di John che gli sorrideva; allora anche lui ha ricordato tutto -e ancora si chiede come se ne sia potuto, seppure solo per breve tempo, dimenticarsene- e si è seduto al centro del letto, osservando John. Sembra non stancarsi mai di farlo, e anche adesso non riesce a distogliere gli occhi da lui.

"Ho una moglie", dice John. "Beh, in realtà l'ho sposata per non contravvenire al Partito, ma non la vedo da almeno una decina di anni. Non sopportavo Mary e la sua cieca obbedienza a qualsiasi regola del partito, soprattutto in riguardo al matrimonio. Mi ricordo che i miei genitori erano uniti da qualcosa di più della semplice necessità riproduttiva, come mi è stato insegnato a chiamare il fine dello sposarsi ora".

Sherlock lo sta scrutando attentamente. "Avrei dovuto capirlo", dichiara infine, imbronciandosi appena, come un bambino. John ride.

"Non ha importanza, ormai. Non so nemmeno che fine abbia fatto, se la sua faccia sia ancora quella che conosco, se ha avuto dei figli... Forse è morta. A volte credo che in fondo siamo tutti morti", afferma.

"Voi siete i morti", risuona subito una voce metallica.

Sherlock e John si congelano sul posto.

"Voi siete i morti", ripete la voce.

Sherlock chiude gli occhi. "Dietro la stampa...", sussurra appena.

"Dietro la stampa", conferma la voce. "Restate dove siete. Non muovetevi".

All'improvviso la stampa appesa al muro cadde, rivelando nascosto dietro di essa un teleschermo.

"La casa è circondata. Non fate alcun movimento", continua a parlare la voce metallica, ma Sherlock e John quasi non la sentono.

"Siamo circondati per davvero... Sherlock! Temo sia il momento di dirci addio!", dice John, sconvolto e preoccupato. Al suo fianco Sherlock Holmes sembra una corazza impenetrabile, come era sempre stato in mensa quando John lo osservava di nascosto.

"Hai paura, John?", gli chiede soltanto, guardandolo dritto negli occhi.

"È la fine", risponde amaramente John.

La porta si spalanca; dietro c'è il signor Gregory Lestrade, l'uomo del bancone, l'uomo gentile che gli ha venduto il taccuino, l'uomo che gli ha proposto di fermarsi da lui con Sherlock. Non parla più con l'accento cockney, adesso, mentre ordina agli agenti alle sue spalle di arrestare John e Sherlock.

È la prima volta che John sta guardando consapevolmente negli occhi un ispettore della Psicopolizia.

 

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Non sa dove si trovi in questo momento, John; probabilmente è il Ministero della Verità, tutti i colpevoli di psicoreati vengono portati lì, e lui di certo non fa eccezione. Quello che è certo è che è seduto per terra, in una cella grigia e vuota assieme ad altre persone, ed ha un teleschermo puntato su di lui. Ce n'è uno a persona.

Non sa nemmeno da quanto tempo si trovi lì; potrebbero essere ore o giorni, di sicuro non ha mangiato nulla da quando è arrivato, nessuno si è presentato ad aprire la loro porta oltre alle guardie che hanno condotto lì dentro altre tre persone dopo l'arrivo di John.

Quello che è peggio è che John ignora completamente dove abbiano portato Sherlock. Li hanno divisi subito, e non ha più nemmeno potuto guardarlo dopo che Lestrade l'ha ammanettato; ma non dimenticherà mai l'espressione degli occhi di Sherlock in quel momento, la disperazione che stavano urlando.

Psicoreato. Sherlock. Psicoreato.

 

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È passato dell'altro tempo inquantificabile. La gamba è tornata a pulsare dolorosamente.

Una ragazza seduta vicino a John ad un certo punto inizia a tremare, quando la voce nel teleschermo ha annunciato: "Hooper 1501, stanza 101". Subito dopo entrano due guardie e la portano via, senza che lei opponga alcuna resistenza.

"Cosa è la stanza 101?", chiede allora John ai suoi compagni di cella.

All'inizio nessuno risponde, solo dopo qualche minuto un uomo seduto lontano da John ha il coraggio di pronunciarlo ad alta voce.

"La tortura".

John si copre la faccia con le mani a quelle parole, ma subito la voce metallica urla: "1895 John Hamish Watson, è vietato nascondere il volto con le mani!".

 

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Poi arriva il momento.

"1895 John Hamish Watson, stanza 101".

 

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You'll wake the thought police
we can't hide the truth inside.

 

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Quando si risveglia è seduto su una specie di sedia con dei braccioli, a cui sono legati i suoi polsi. È ancora piuttosto stordito -non sa come abbiano fatto a farlo addormentare, ma deve esserci stata qualche droga- e tutto il tempo a digiuno che ha passato nella cella inizia a farsi sentire. Nella stanza con lui c'è soltanto un uomo; John lo riconosce vagamente, l'ha visto qualche volta aggirarsi nel Ministero della Verità, ma non l'ha mai visto in mensa: uno di quelli importanti, che non si mischia con i bassi operai del Partito.

"Sai già perché sei qui, vero?", gli chiede. John lo guarda e non risponde, non sa quale sia la risposta giusta; ma evidentemente questo è il comportamente sbagliato, perché ad un cenno delle mani dell'uomo una scarica di dolore si irradia in tutto il suo corpo, come se fosse improvvisamente stato a contatto con una scossa elettrica.

"Già così tanto dolore? Eppure eravamo a livelli ancora bassi...", gli dice con tono deluso e un sorriso sarcastico sulle labbra. Gli ricorda qualcosa, quell'espressione, ma John al momento non saprebbe proprio ricordare qualcosa al di fuori delle proprie sofferenze fisiche. "Voglio delle risposte, John, non voglio vedere la tua faccia da cane bastonato che mi guarda, quella l'ho già osservata a lungo dal teleschermo".

 

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"Che cosa fate qui?", chiede John. L'uomo gli ha concesso la possibilità di fare delle domande nell'attesa che il suo corpo si riprenda dalla prima scarica.

"Tu lo sai già", risponde lui, sornione.

"Volete punirmi?"

Inaspettatamente il suo carnefice scoppia a ridere. "Punire? No, John, assolutamente no! Noi non vogliamo punire nessuno! Noi vogliamo guarirti!"

"Guarirmi?", ripete lui, scettico. L'unica cosa che ha di malato è la gamba, e non è sicuro che l'elettricità la possa sistemare.

"Sì. tu soffri di memoria difettosa, e il nostro dovere è fare in modo che essa diventi sana. Tu persuadi te stesso di avvenimenti che non sono mai davvero esistiti e sei convinto di ricordartene; con un piccolo sforzo della volontà si può correggere questo brutto difetto. Tu sei convinto che questa falsa memoria sia la tua virtù, quando non è nient'altro che menzogna. Non ti vedo convinto delle mie parole; vediamo un po' come posso fare. Dimmi, John: con chi è in guerra l'Oceania?"

"Quando sono stato arrestato i giornali della mattina scrivevano che il nostro nemico era l'Estasia", risponde con sicurezza John.

"Molto bene. E l'Oceania è sempre stata in guerra con l'Estasia, vero?".

Il cuore di John perde un battito; no, è ovvio che non è vero, le alleanze militari cambiano continuamente e c'è stato un passato in cui lui ha servito come soldato britannico contro l'Afghanistan.

"Voglio la tua verità, John, e nient'altro", lo incita l'uomo.

"No. Lo scorso mese eravamo in guerra contro l'Eurasia, e..."

"Basta così. Un altro esempio. Ti ricordi di questa, vero?", chiede allungandogli una foto. John sobbalza nel rivederla; è stata scattata in Afghanistan con i suoi compagni di guerra.

"Sono io, in Afghanistan", dice soltanto.

L'uomo riprende la foto e la getta nel fuoco alle sue spalle, mandandola in cenere.

"Ora quel passato non esiste più, John. Non ci sono prove", afferma spietato.

"Ma certo che esiste! Esiste nella mia memoria, e nella tua anche!", esclama John, infervorandosi di colpo.

"Io non ricordo nessuna foto".

John ammutolisce. Eccolo, il bispensiero, ecco spiegato lo slogan del Partito sul controllare il passato per avere il potere sul presente e sul futuro.

"Perfetto, John, perfetto. Ora hai capito come e perché noi controlliamo il passato", si complimenta l'uomo. "Noi controlliamo la memoria degli uomini, e tutto ne viene di conseguenza. Semplice, non trovi?".

"Non è vero. Non avete il controllo sulla mia memoria, io ricordo l'Afghanistan e..."

"Ti sbagli, John, ti sbagli! Se sei qui, è perchè hai perso tu il controllo sulla tua memoria! Hai dimenticato la disciplina e non sei stato umile. Il nostro compito è riportarti sulla strada corretta, sei come una macchia troppo persistente sul tessuto del Partito, è ora di sistemarti", dice l'uomo chiudendo il discorso.

 

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"Quante dita, Winston?"

"Quattro! Quattro! Che altro posso dire? Quattro!"

 

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John non è più sicuro di niente, ora. Le scariche elettriche l'hanno pervaso troppe volte, e inizia davvero a vedere cinque dita quando ce ne sono soltanto quattro alzate, inizia ad essere sicuro che l'Oceania non ha mai combattuto altra guerra se non quella con l'Estasia.

"Direi che ora è molto meglio, John", gli dice l'uomo mentre libera i suoi polsi dai braccioli. "Puoi fare alcune domande, se vuoi", gli propone.

"Sherlock. Cosa ne avete fatto? Dove è? Come sta?". Il ricordo del detective che dorme appoggiato alla sua spalla invade improvvisamente la mente di John, che si sente quasi rinfrancare nel corpo da quell'immagine.

"Ah, John. Hai toccato il tasto dolente. Avrei voluto darti un po' di tempo per riposarti e invece hai scelto tu di continuare".

Due guardie lo prendono in braccio e lo portano via.

 

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"Dove siamo?".

"Questa, John, è la stanza 101".

John è confuso. "Ma prima allora dove eravamo?".

"Quello era solo il preludio, John. Ma per rispondere alla tua domanda iniziale, Sherlock Holmes ti ha tradito. Anzi, a dir la verità ha parlato subito, era pronto a raccontarci tutto".

'Non è vero', pensa John. Psicoreato. "L'avete torturato".

Lo sguardo dell'uomo si indurisce. "John, il tuo comportamento ha risvegliato l'interesse anche del Ministero dell'Amore; abbiamo seguito ogni tua mossa nell'incontrarti con Sherlock Holmes. Ora voglio che tu ci dica come è potuto succedere".

John non parlerebbe mai, mai e poi mai di Sherlock e di quello che prova per lui lì dentro, ed è sicuro che non gli abbiano detto la verità, perché quello Sherlock fiero e altero che lui ha conosciuto mai lo avrebbe tradito così.

"John, così non ci siamo di nuovo. Vedi, tu mi hai chiesto la differenza tra questo posto e quello in cui sei stato fino ad ora. La risposta è che quello che hai subito fino ad ora non è nulla, nulla rispetto a quello che ti accadrà qui se non mi dici subito come è nato il tuo rapporto con Sherlock Holmes".

"Preferisco morire, piuttosto che parlarne con te!", esclama fieramente John.

"L'hai voluto tu, allora. Mi dispiace", afferma l'uomo.

Poi di colpo tutto diventa buio, e John non capisce. Non ha mai avuto paura del buio, nemmeno quando era un bambino, anzi, questa è sempre stata l'unica paura di sua sorella Harriet.

Le luci si riaccendono; è in Afghanistan. John riconosce i suoi commilitoni, la tenda che per tante notti l'ha ospitato... Ma non c'è tempo per questo, perché subito si ritrova catapultato in mezzo alla battaglia. Ci sono suoni di spari da tutte le parti, John non sa quale sia il fuoco amico e in ogi caso questo non gli sarebbe utile, dato che i proiettili lo colpirebbero comunque. È in mezzo al caos. John inizia a tremare, vede per terra i corpi morti dei suoi amici crivellati di colpi, alcuni sono ancora vivi ma da una semplice occhiata John capisce che sono spacciati. È al centro dell'inferno, e ha paura, ha una tremenda paura di tutto quanto; non avrebbe mai voluto rivivere tutto questo, e ora tutto intorno a lui c'è la guerra, e vorrebbe solo scappare ma non può perché la sua gamba gli impedisce di camminare, correre è del tutto impensabile. Scoppia a piangere nella battaglia, il panico lo ha assalito completamente e non c'è modo di riprendersi. Farebbe qualsiasi cosa, ora, per potersene andare da lì.

Qualsiasi cosa.

"Fatelo smettere, vi prego! Fatelo a Sherlock, fategli tutto quello che volete, uccidetelo, se dovete, ma fatemi tornare a Londra!".

Di colpo, tutto smette.

John, tra le lacrime, confessa tutto quanto.

 

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"Magnifico, John, magnifico. Era così difficile, dire tutto subito ed evitare la guerra?".

John non risponde più; è esausto e provato, e si vergogna di sé stesso per aver venduto i suoi momenti con Sherlock così in fretta. Avrebbe dovuto aspettare la morte e portarsi il segreto nella tomba.

"C'è solo una cosa che non sai, John, e che è mio dovere riferirti", prosegue l'uomo.

John lo guarda, convinto che ormai nulla più lo possa ferire.

"Sapevo già tutto".

John lo fissa senza capire.

"Quello che intendo dire, è che non c'era alcun bisogno che tu mi raccontassi di come Sherlock ti ha passato un biglietto per incontrarvi, perché l'idea di scriverti quel messaggio glielo ho dato io. Anzi, più che un'idea è stato un ordine", si corregge.

"Cosa...cosa stai dicendo?".

"John, è così tanto che ci stiamo parlando e non mi sono nemmeno presentato. Il mio nome è Mycroft. Mycroft Holmes".

John si congela all'istante. "Holmes?"

"Esattamente, Holmes. L'uomo che tu hai conosciuto come Sherlock Holmes è il mio fratello minore".

Quel sorriso... Da nessun altro John se lo sarebbe potuto ricordare sotto tortura se non fosse stato di Sherlock.

"Sherlock Holmes è la migliore delle spie al mio servizio; non sai quanti altri uomini e donne prima di te ha fatto arrestare per crimini contro il Partito. Sherlock ti aveva notato, in mensa, aveva detto di aver visto un uomo che non sembrava troppo fedele al Grande Fratello. Così, abbiamo messo a punto la strategia, a cui tu hai abboccato con incredibile facilità".

Mycroft Holmes si alza e se ne va, lasciando solo un John troppo scioccato dalle ultime notizie per avere la forza anche solo di piangere.

 

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"Cosa gli avete fatto?".

"Ancora nulla, Sherlock, è in cella, sano e salvo".

"Cosa ha intenzione di fargli, Mycroft?".

"Quello che abbiamo sempre fatto a tutti gli altri. Non dirmi che ti sei affezionato a lui".

"Non mi sono affezionato".

"Non provare a mentirmi, Sherlock. Lo deduco da tutto quello che fai. Da quando abbiamo arrestato John Watson tu non sei più lo stesso, sei sempre distratto, pensi sempre ad altro. Stai forse pensando a lui?"

"Non ho alcuna intenzione di risponderti".

"Fratellino, così confermi solo le mie ipotesi".

"Quest'uomo è diverso. Gli altri che mi hai fatto trovare erano solo degli sciocchi, gente che credeva davvero potesse esistere una Fratellanza, disposti a tutto per conoscere le fantomatiche teorie di Goldstein".

"E lui?"

"Lui si ricorda per davvero. Mi ha parlato dell'Afghanistan, sa delle guerre con l'Eurasia e l'Estasia. Le conosce davvero".

"Sherlock. Quello che stai dicendo è psicoreato, lo sai".

"Lui non è un criminale! È soltanto un uomo con dei ricordi!".

"Devo pregarti di smettere di continuare, ora".

"Non posso lasciarti torturare John".

"Non mi lasci altra scelta, allora, Sherlock. Mi dispiace".

"Cosa stai dic-"

...

 

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John Hamish Watson è seduto ad un tavolino all'aperto, fuori dal Ministero della Verità. Sta leggendo un articolo di giornale intitolato "Oceania contro Estasia, il nuovo attacco", e John si trova ad odiare l'Estasia che da sempre combatte la sua patria. Appoggiato sul piano del tavolino c'è un Dizionario Aggiornato della Neolingua, ultima edizione; non ci sono gli autori, ovviamente, e John non si ricorda nemmeno vagamente chi possa essere stata Irene Adler.

Beve un sorso di Gin della Vittoria. Fa sempre schifo, ma John continua a berlo perché gli fa uno strano effetto; dopo averne bevuto in generose quantità, le sue orecchie si riempiono di una voce calda e profonda che gli parla. Non sa cosa possa essere, però gli piace da impazzire quel suono, lo ascolterebbe all'infinito.

John si alza, stringendosi al bastone, mentre la gamba ferita trema appena sotto al suo peso. Un passo, due passi. Uno sparo

John Hamish Watson è a terra, ora, sanguinante. Eppure ha vinto su se stesso. Lui ama il Grande Fratello.

  
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