Nota
dell’autrice: questa shot corrisponde alla 3x18: mi piaceva
l’idea di restare
cronologicamente coerente alla quarta stagione. Buona lettura!
Rachel
Con
la coda dell’occhio sinistro,
Rachel poteva vedere la bocca del professor Schue muoversi,
accompagnando le
sue parole con gesti enfatici. Da giorni le onde sonore prodotte dalla
maggior
parte delle persone si infrangevano contro la bolla di pensieri che la
circondava.
Manca poco al giorno che cambierà
la tua
vita, Rachel Berry: non sei una misera roccia nello spazio, non sei
polvere costretta
a vagare per sempre tra le nubi, sei una stella destinata a brillare
tanto da
essere nota nell’intero universo.
Ormai conosceva a memoria quel mantra, e le ore si
susseguivano sempre più
veloci mentre si ostinava a ripeterlo e ad osservare alcune regole
fondamentali, come evitare i baci e il toccare le maniglie per paura di
contrarre allergie che l’avrebbero costretta a letto, o a non
focalizzarsi
troppo sugli ostacoli che la vita avrebbe potuto frapporre tra lei e
Carmen
Tibideaux, come un furioso stalker omicida, il ciclo improvviso,
trovarsi nel
mezzo di una sparat-
Un
rumore forte la colpisce,
distogliendola dal suo flusso di coscienza, si gira subito verso Finn,
anche a
lui a bocca aperta e con un espressione preoccupata in volto, lo
sguardo fisso
sul professore.
Di
nuovo un boato, come quello di
una pistola che spara: è come se scoppiasse una bomba carica
di panico proprio
lì, nella storica sala prove che li ha visti cantare a
squarciagola per mesi e
mesi, ed è proprio nella gola che si attanaglia quel fumo
invisibile, pronto a
strozzare a tutti il fiato e a scendere più giù
per contorcere loro le budella.
La voce di Will è appena un sussurro, un dolce sciroppo che
Rachel ingoia con
piacere, ma non serve a dissolvere la nube di paura che arieggia nella
stanza:
“Sparpagliatevi. Presto, trovate dove nascondervi e
sparpagliatevi!”. Fanno
quel che dice. Puckerman si
avvicina al
piano e tenta di spostarlo per barricare l’entrata, il
metronomo che vi era
poggiato sopra cade a terra, resta al centro della stanza a scandire la
velocità che il battito dei loro cuori dovrebbe seguire,
come a rimproverare
quella invece disumana che pulsa nei loro petti. Il braccio sudato di
Finn le
circonda le spalle, poi lui la tira a se', le bisbiglia qualcosa che non
riesce
a sentire. E stavolta non c’entra nulla la Tibideaux.
Kurt
“Ma
siamo sicuri sia stato davvero
uno sparo?” chiede Finn, accovacciato dietro la batteria e
stretto alla sua
ragazza. Viene zittito subito, non serve una risposta, non ha
importanza: e men
che mai importa a Kurt. È
appoggiato a
Blaine, seduto a gambe aperte dietro di lui, le sue braccia gli cingono
il
torace con delicatezza, lo sente singhiozzare ogni tanto.
Nella mente di Kurt si affollano i momenti passati con due persone: una
è alle
sue spalle, e gli accarezza con una mano la guancia, l’altra
è ad aggiustare
qualche macchina malridotta nella sua officina, ignara di quello che
sta
succedendo. Papà.
“Vi
voglio bene, ragazzi. Spargete la voce,
dite a tutti quello che sta succedendo.”
“Britt è in bagno...” mormora qualcuno
addossato alla parete, ma lui non alza
lo sguardo, troppo intento a digitare sul cellulare il numero di Burt. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
Risponde la segreteria telefonica di Burt Hummel: se sei Sue Sylvester
smettila
di chiamarmi; se sei qualcun’altro lascia un messaggio dopo
il bip!
Il castano
stringe i denti, due
grosse lacrime gli rigano immediatamente il volto, poi è un
fiume in piena.
Blaine è al telefono con sua madre, cerca di spiegare, parla
piano ma stringe
forte la mano del suo ragazzo, la sua ancora in quel mare tempestoso,
continua
a inframmezzare nel discorso qualche Kurt
qua e là, è un discorso sconclusionato,
è un pianto al telefono, è cercare
il supporto che solo una
mamma può dare.
Mamma. Kurt vuole sentire il suo
profumo ora, inspirarlo forte, mandarlo dritto nei polmoni, per
togliere quella
tenaglia che gli stringe il cuore, ma no, il suo profumo non
è lì, lei non è
lì, lui è circondato da una serie di ragazzi
disperati e Dio, Buddha, qualunque
entità soprannaturale nei paraggi, fa che mio
padre risponda, ti prego. Prega in silenzio senza sapere a
chi si sta
rivolgendo, ma quel qualcuno deve volergli bene ed esaudisce le sue
preghiere:
“Kurt, ho sentito, va tutto bene, tranquillo.” gli risponde finalmente suo
padre.
“Brittany è in bagno!” urla Santana
correndo verso la porta, ha la voce rotta, il
professore la blocca, Finn si alza e cerca di trattenerla, Mike ha lo
sguardo
fisso nel vuoto e sembra ripeta il nome della sua ragazza
all’infinito, come se
quell’azione lo tenesse in vita.
Kurt non la sente, ha la vista offuscata per via delle lacrime, suo
padre cerca
di calmarlo, si ripetono quanto si vogliono bene.
“È lì, idioti, da sola! Ha bisogno di
me!” urla la mora dimenandosi nella stretta
del più alto, scaricando pugni sul petto di Will, che le
tappa la bocca con una
mano e con un’occhiata cerca l’aiuto di Sam, che si
alza e contribuisce a
tenerla ferma.
“Santana, se urli, chi ha sparato potrebbe accorgersi di noi,
cazzo!” le dice
Finn in un orecchio, per nulla calmo.
“Kurt.”
la voce di Blaine è appena
udibile, ma basta perché il ragazzo si giri e lo fissi,
cercando in quegli
occhi nocciola e oro la calma di cui ha bisogno. “M-mi
spiace...” farfuglia il
più basso, la bocca impastata. Lo sguardo che gli aveva
rivolto ore prima, nel
chiedergli chi fosse Chandler, non è nulla in confronto a
quello che ha ora. Le
loro bocche si incontrano per un attimo, fugaci, la paura di morire
batte la fame
che entrambi hanno dell’altro: “Blaine, ti
amo.” L’altro tenta un sorriso, ma
tutto quello che gli riesce è una smorfia malinconica, quasi
cerca di ingoiarle
quelle parole, di farne tesoro per sempre, poi si avvicina il
più possibile al
suo fidanzato e sulla bocca gli mormora: “Oh mio Dio Kurt, ti
amo così
tanto...” Le sue lacrime bagnano il volto di Kurt, i loro
cuori si uniscono in
un solo battito, le loro lingue si trovano, è un bacio che
ha il sapore del
sale e dello zucchero allo stesso tempo, è l’amore
che si trova nella
sofferenza più buia.
Puck
Puck
aveva sollevato Quinn dalla sua
sedia a rotelle, poi se l’era messa in braccio dopo essersi
seduto per terra,
dietro alcuni scatoloni. Su due cose non aveva avuto bisogno di pensare
neanche
per un attimo: uno, quello era il rumore inconfondibile dello sparo di
una
pistola; due, doveva proteggere la sua ragazza.
Non importava che non fossero fidanzati, che forse non lo sarebbero mai
stati,
che lei non lo amasse, che lui facesse sempre lo spaccone con tutti e
che si
facesse qualunque ragazza carina gli ammiccasse. Importava che insieme
avessero
creato la vita, che ogni mattina ed ogni notte lei fosse al centro dei
suoi
pensieri, che ogni volta fingesse che la ragazza di turno fosse Quinn,
che fosse
l’unica persona per cui aveva mai pianto per amore. Quei due
spari avevano
delineato questo schema nella mente del ragazzo, dando ordine e
precisione ad
un’accozzaglia di sentimenti e idee inespresse. Ora ne era
sicuro: Noah
Puckerman amava Quinn Fabray. Aveva bisogno del suo sorriso, che si era
fatto più
rado da quando l’incidente l’aveva ridotta ad una
paralitica. Segue la
direzione degli occhi della biondina: aveva imparato che quando era
spaventata
la piccola parte marrone che circondava la sua pupilla si allargava,
mentre
quando era particolarmente allegra la sua iride sembrava del tutto
verde, e a
seconda della luce i due colori sembravano
mischiarsi dando vita ad un meraviglioso spettacolo che
non si stancava
mai di osservare. In ogni caso, i suoi occhi impauriti guardano la
cartella
elegante che ha lasciato sulle sedie della stanza: evidentemente vuole
il suo
cellulare. Lui osserva la scena che si sta consumando vicino la porta
dell’aula:
Santana è tenuta ferma da tre persone, eppure questo non
sembra calmarla
minimamente. Non avrebbero dato peso a lui che strisciava verso
l’altro lato
della stanza.
Il metronomo continua a scandire il tempo che passa, adesso
più lento, ma non
per questo meno ansiogeno.
Puckerman torna indietro vittorioso, come aveva previsto. Le porge il
telefono
e guadagna il sorriso di cui aveva bisogno. Presto però lei
si mostra più
devastata di prima: entrambi i suoi genitori risultano non
raggiungibili.
“Quinn...” sussurra, cercando la forza di dire
quello che deve. Al diavolo, potrei morire e
non ho le palle
di parlarle?! pensa arrabbiato. Lei gli rivolge uno sguardo
triste, con un
sopracciglio alzato e la bocca semichiusa, come ad invogliarlo a
riempiere quel
silenzio assordante che è calato e sembra lacerarla.
“Non sarò un cavaliere romantico, non
sarò il principe azzurro, ma se c’è una
cosa di cui sono sicuro è che non ho mai amato nessuno se
non te.” Lei lo fissa
incerta per un attimo. Gli passa piano una mano lungo la cresta, poi
con un
dito accarezza la sua guancia, soffermandosi infine sulle sue labbra.
Guarda le
sue ciglia, così lunghe, poi di nuovo la sua bocca, provando
l’irrefrenabile
impulso di baciarlo. Si ferma ad un millimetro da lui, dove entrambi
possono
sentire il fiato dell’altro sul proprio volto, poi bisbiglia:
“Puck, sei un
coglione. È per questo che mi piaci.”
Santana
Brittany,
non morire. Brittany non morire. Brittany, non morire.
Probabilmente
un pazzo omicida si aggira per il McKinley e l’unica persona
che lei abbia mai
amato è da sola in bagno, a rischiare la vita. Sarebbe corsa
subito da lei, ma
quei coglioni la tengono ferma e non sembrano intenzionati a lasciarla
andare.
No, continuare a dimenarsi non servirà a niente,
così rilassa tutti i muscoli,
nonostante lo sforzo che deve fare per riuscirci, poi cerca di dire che
si è
calmata. Dentro di lei turbina un unico maestoso vortice, un continuo
di BrittBrittBrittBrittBritt e non
è facile
far uscire parole diverse dalla propria bocca, ma ci prova. Schuester
allontana
la mano dalla bocca carnosa della mora, ancora teso: “Che hai
detto?” “Mi sono
calmata.” ripete lei, fissandolo dritto negli occhi. Finn le
da' retta e torna
carponi da Rachel, come se lei fosse la sua unica fonte
d’ossigeno e lui si
sentisse asfissiato.
“Senta, immagini che Emma sia lì, da sola, e lei
qui, impotente. Oh, non
impotente in quel senso, credo lei lo sia sempre...” Will la
rimprovera con lo
sguardo, sa che quello è il suo modo di placare il nervoso,
lei riprende:
“Comunque, credo si spargerebbe addosso quel grasso di balena
che ha nei capelli
e striscerebbe silenziosamente verso la toilette anziché
stare qui a soffrire
come un cane.”
Santana nota che il più vecchio si morde l’interno
della guancia, forse per non
urlare, per non risponderle che sì, è esattamente
ciò che farebbe. Incastona i
suoi pozzi neri negli occhi più chiari di lui: cerca di
comunicargli con quello
sguardo che sta morendo, che non trova la forza di essere la solita
stronzetta
dalla battuta pronta, che deve salvare la sua ragazza.
“Vado da solo.” le dice perentorio. Lei gli blocca
il polso con la mano,
stringe forte, forse gli fa male: “Ascolti. Sono sicuramente
più atletica di
lei, se vedo qualcuno con una pistola posso sempre fare una capriola in
aria e
fuggire, lei no. Lei serve a questi ragazzi, professore, non
io.” Devo salvarla. Che importanza
ha la mia
vita? Brittany Pierce, nel suo mondo sopra le nuvole,
l’immagine
dell’innocenza, non avrebbe mai fatto del male a nessuno.
Santana probabilmente
aveva fatto più male che bene: anche se perlopiù
erano invidiosi, tre quarti
della scuola la odiavano, e quand’anche fosse morta non
sarebbe dispiaciuto poi
così tanto a nessuno. Chissà, forse sua nonna
sarebbe stata perfino felice.
Cerca di ingoiare il nodo che ha in gola, ma non ci riesce. BrittBrittBrittBritt.
Lui stringe la mandibola, mette su un espressione
indecifrabile, che va
dalla pietà alla rabbia, poi sussurra: “Sei una
ragazza forte, Santana, ma non
ti lascerò andare da sola. E smettila di blaterare, la tua
vita importa a tutti
noi.” Una, due, tre, quattro grosse lacrime le rigano il
volto, per un attimo
tutta la sua forza sempre diventare piccola piccola, un muro di cemento
che si
infrange in mille pezzi, una quercia ridotta a fuscello, la si potrebbe
prendere tra le mani e spezzarla tra indice e pollice. Si asciuga i
lucciconi
col dorso della mano, si riprende, è di nuovo Santana Lopez:
“Se non mi lascia
andare da sola, vorrà dire che andremo insieme.”
Lui tace, fa un segno a tutti
gli altri, come a dire state fermi, poi
esce. Lei gli va dietro: seguitano i muri, vanno piano, troppo piano, ma
almeno sono
soli col battito dei loro cuori , senza quel metronomo a dettare il
tempo
giusto da seguire.
Brittany
Le
sue fate non sono lì.
Lei è più sola che mai, in piedi sul gabinetto
per evitare che la si possa
vedere da fuori. Deve trattenersi dal singhiozzare, dal respirare
pesantemente,
altrimenti potrebbero sentirla. Per un attimo pensa che almeno
è nel bagno,
potrebbe farsela sotto dalla paura. Da quanto tempo è
lì? Non riesce a capirlo,
ma sa che da quanto ha sentito gli spari, due botti ravvicinati, ha
pensato a
Santana. Chissà se anche lei è triturata dalla
stessa ansia, chissà se sente un
lancia che le scava in petto, chissà se inspira e espira il
meno possibile, più
piano che può. Le lacrime le solcano il viso, le gambe le
tremano, non ce la fa
più. Continua a
pensare a cosa deve
fare, lo ripete all’infinito, ma ogni volta
l’immagine della sua ragazza la
distrae. Le tornano in mente i loro baci, morbidi, appassionati,
romantici,
spesso bramati a lungo, per un attimo si dimentica che deve stare zitta
e le
scappa un singhiozzo. In quello stesso istante si apre la porta e sente
che sta
per morire. Sgrana gli occhi, si da' della stupida, pensa che hanno
ragione a
chiamarla tutti così, è quello che è.
Ora è come sott’acqua: le manca il fiato,
è immobile eppure nel mezzo di una tempesta, le onde la
scagliano a destra, a
sinistra, poi ancora a destra. È qualcuno che cammina
carponi, oppure due
persone, non lo sa, non riesce a capirlo. Ha le orecchie ovattate, le
fanno
male, se non la ucciderà un proiettile sarà la
pressione a farlo. Si appoggia
al muro, si asciuga il moccolo con la mano, non riesce a distendere i
muscoli.
“Britt?”
È il ritorno dell’ossigeno, è chi la
ripesca dagli abissi, è staccare la lancia
immaginaria che le hanno conficcato in petto, è il bisogno
di riempire quel
vuoto che le rimane nel cuore subito dopo. Sopratutto, è
Santana. “San!”
esclama, è il singulto di chi riprende fiato dopo essere
stato troppo in apnea,
esce fuori, la vede, con lei c’è Mr. Schue, la
abbraccia, li abbraccia. Anche
un’altra ragazza ed un ragazzo escono dalle toilette, sono
distrutti anche
loro, si aggregano, tutti sospirano. “Ti amo!”
sussurra la bionda tra le
lacrime, stringendo la mora forte a sé. Il professore
accenna un no con la mano,
facendo loro capire che non è il momento di rilassarsi, non
ancora. Lentamente,
passo dopo passo, in fila indiana, tornano in sala coro.
Artie
Ha
aperto lo zaino quasi subito dopo
che il professore l’ha lasciato lì, addossato al
muro. Ha risposto agli sguardi
dubbiosi degli altri con un’unica frase: “Se non
usciremo di qui, la gente deve
vederlo. Qualcuno ha qualcosa da dire?”
Inquadra Kurt e Blaine, che piangono l’uno stretti
all’altro: per il momento
non sembra vogliano parlare nulla, si scambiano degli sguardi carichi
di
significato, improvvisamente complici di una verità nota
solo a loro due.
Puck consola Quinn accarezzandole la schiena con una mano e finge di
essere
calmo, ma la sua espressione lo tradisce. Il ragazzo con la cresta gli
fa segno
di riprenderlo, e Artie passa la telecamera a Joe, intento a pregare,
che si
interrompe per registrare quello che l’altro ha da dire.
“Ho appena capito che
non voglio essere un perdente.” esordisce Noah, poi non
riesce più a
trattenersi e scoppia a piangere: “Mi diplomerò,
avrò un lavoro, metterò su
famiglia e non vi dimenticherò mai. Mamma, se non ce la
faccio, non farti
riconquistare da quel fallito di papà, trova
qualcun’altro, non lasciare da
sola Sarah, mai.” si interrompe un secondo, caccia indietro
il muco, si passa
le mani sugli occhi, poi si rivolge alla sorellina: “Sarah,
ti voglio bene,
e... e se non ce la faccio veglierò sempre su di
te.” Quinn gli da un piccolo
bacio a stampo, poi con gli asciuga via le lacrime e fa cenno di farsi
passare
la telecamera. “Papà...” mormora,
cercando di farsi capire nonostante i singulti
ininterrotto: “Papà, se non...” guarda
in basso, ingoia, rifissa l’obiettivo: “Se non ce
la faccio, non torturarti con
i tuoi sensi di colpa, pensa alla mamma.”
Vicino ad Artie, Sam ha gli occhi rossi a furia di piangere, è
al telefono con la
sua famiglia, parla col fratellino e la sorellina. Mercedes gli stringe
la
mano, accarezzandola col pollice, senza smettere di singhiozzare. Poi i
due si
scambiano un lungo bacio: sembrano gli unici a trovare la forza di
farlo. Mike
strappa con violenza la telecamera dalla mano di Quinn, si assicura
stia
riprendendo, poi dice: “Tina, continuo a pensare solo a te.
Non ho la forza di
chiamare i miei genitori, non farei che ripetere il tuo nome e non
capirebbero,
ma ascoltami: se non ce la facessi...” inspira profondamente:
“Voglio solo
dirti per l’ultima volta che ti amo.”
L’asiatico passa la telecamera a Rory, che si sbraccia per
richiamare la sua
attenzione: “Mamma, papà.”
l’irlandese stretto e i gemiti che intervalla ad
ogni parola rendono quasi incomprensibile quello che dice:
“L’America è
stupenda, grazie per avermi mandato qui: ho conosciuto un sacco di
belle
persone.” inquadra Finn e Rachel, stretti in un abbraccio e
intenti a
sussurrarsi qualcosa.
Schuester e Santana non sono ancora tornati, Quinn e Rachel sembrano le
più
preoccupate. Poi parla Finn: “R-ragazzi...”
balbetta “Non ho la forza di fare
il discorso che vorrei, ma... cazzo, vi voglio un mondo di
bene!”
Artie riottiene la telecamera e si riprende: “Voglio dire
solo che in questa
stanza ho vissuto l'esperienza migliore della mia vita e che voglio
davvero
bene a queste persone.” poi spegne. Rientrano il professore,
Brittany e
Santana, due ragazzi che non conoscono. Will fa segno di andargli
vicino. Sam e
Mercedes aiutano Artie a risalire sulla sedia, Puck prende Quinn,
Rachel si
piega per poterla abbracciare meglio, nonostante l’impaccio
della carrozzella,
e le ripete quanto le vuole bene.
Si stringono tutti in un abbraccio, è il più
forte che si siano mai dati.
Un’agente degli S.W.A.T. calcia la porta, urlando che la via
è libera. Ancora
qualche minuto: restano cristallizzati in quell’abbraccio,
senza dire niente,
senza risparmiare una sola lacrima, più stretti che mai.
Si dice che chi ha un vero amico può dire di avere due
anime: le Nuove
Direzioni, dal liceo McKinley, Lima, Ohio, erano un’unica
anima, ora più che
mai.
Hi ladies and gays!
sono Rella delle potters_continuous e vedendo la puntata ho subito pensato a cosa sarebbe successo se fosse accaduto esattamente un anno prima. In realtà ci sarebbe stato molto più Finchel e molto meno Klaine/Brittana, ma spero di aver un po’ aggiustato le cose :3
Fatemi *vipregovipregoviprego* sapere cosa ne pensate! Ringrazio anche Melissa Garbin e coloro che hanno commentato per avermi motivata a scrivere, vi voglio platonicamente bene anche se non ci conosciamo! :)
E se avete tempo fate un salto su http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1521215 , la long-klaine che scrivo con altre due persone. Kisses!