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Autore: Edmond    03/11/2007    1 recensioni
Ciao a tutti, ragazze e ragazzi, mi chiamo Lavinia, ho 20 anni e sono di Perugia. Vorrei cominciare le mie pubblicazioni su questo sito con un breve racconto che tratta un tema estremamente delicato ed attuale. Invito tutte le persone che osteggiano la violenza contro le donne a leggere questo mio scritto, che non sarà pregevole come altri già pubblicati ma che di certo vuole creare un intento solidale e civile. La protagonista è una ragazza universitaria che riflette, in una sorta di monologo interiore, sul ruolo e sul destino suo e delle donne in questo mondo così violento di oggi. Dedico inoltre il mio lavoro alle numerose vittime di sesso femminile della cronaca recente. Grazie a tutti e buona lettura!
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOI

 

Camminare da sola per le strade è ormai un’abitudine oltre che una necessità per me.

Tendo a camminare sul lato più estremo della strada, segno inconfondibile della mia natura schiva: evito il contatto con la folla del corso principale, per non urtare nessuno. E intanto osservo.

Potrei sfuggire al freddo camminando più velocemente, ma questo è il mio personale spettacolo dal vivo, gratuito e segreto. È forse così che riesco a compensare il mio silenzio. All’università mi sono seduta senza intrattenermi con nessuno, al solito. Mi sono seduta senza parlare, con l’unico intento di osservare. Invisibile, il mio sguardo sguscia via e si fissa su dei soggetti ben precisi: sulle donne come me. Di qualsiasi età o aspetto, le mie simili mi affascinano. Ci sono stati pochi uomini di rilievo nella mia vita: donne, invece, ce ne sono state tante, l’ hanno cambiata. Hanno cambiato me. Per strada osservo gli abiti, i volti, le mosse, i comportamenti. Il mio passatempo è immaginarmi il loro passato: che infanzia avrà avuto quella signora che mastica la gomma e cammina con aria svagata? Come avrà reagito l’altra di mezza età che si introduce di corsa oltre un portone, con una cartella piena di documenti, quando il suo corpo ha cominciato a cambiare? Quando si sarà innamorata per la prima volta quella ragazza con lo zaino in spalla e ciondolante? Ha la faccia preoccupata, forse per un’interrogazione. Sembra un doppio di me stessa come ero un anno fa, prima di scomparire fra la moltitudine e i numeri di matricola di otto corsi di laurea stipati in un edificio. Fra donne, con i loro quaderni e i loro pensieri. A poco a poco, mentre le guardo ad una ad una, sento come se una cappa fosse calata su di loro, su di noi: è ciò che potrebbe chiamarsi fattore determinante. Ci accomuna niente eppure tutto. Ci accomunano stimmate diverse ed una croce universale. Ho conosciuto molte donne e so di cosa sono capaci: ho conosciuto la ferrea lealtà della migliore amica e la sordida meschinità di chi ti colpisce nel buio, la grande e onnipotente solidarietà e la cieca idiozia del conflitto, fra loro, fra noi. Insegnano molto cinque anni in una classe femminile. Poi ci sono le donne che non hai mai visto né conosciuto tranne quando un volto al telegiornale ne annuncia la stupro o la morte o ambo le cose.

Ragazza di sedici anni, di ventidue anni, donna di quarant’anni violentata in un parcheggio, ai giardini pubblici, in casa propria, percossa, accoltellata, lapidata.

E penso allora: “Domani forse toccherà a me”. E magari un’altra, con in mano la forchetta o il telecomando, si fermerà ad ascoltare. E avrà pietà di me, nel profondo, più di quanta ne proverà mai quella che per mesi è stata seduta di banco accanto a me.

Così va, fra donne, quando una di noi cade sotto la croce, per la milionesima volta. Se va bene. Quando affrontiamo il mondo siamo come barboni che frugano nei cassonetti, fra rifiuti e sporcizia: rovistiamo e rovistiamo finché non troviamo del pane che qualcuno non ha voluto, che qualcuno per incuria ha gettato via.

Quel pane è una donna, con i suoi drammi piccoli e grandi e la sua storia, che digrigna i denti e che a modo suo accetta la croce, ogni giorno. Non per risorgere.

Per guadagnarsi un posto nell’ordine delle cose. Per rinnovare, ogni giorno, l’inganno e il miracolo di noi stesse. 

 

  
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