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Autore: She dreams    13/04/2013    3 recensioni
Questa è la mia seconda storia. La prima era una FF, ma questa è una storia originale.
Originale nel senso che non ce ne sono altre come questo genere. Ebbene si, ho controllato per tutto il sito e non ce n'era nemmeno una. Dopo un giorno passato al computer con mia madre che mi urlava dietro di scendere per il pranzo, spero di aver fatto un buon lavoro per quanto riguarda almeno i primi capitoli.
Premetto che non so con precisione quando potrò aggiornare e quando no, quindi sperate e pregate per me che non ci metta più di tre giorni a scrivere un capitolo. *please*
Concludo dicendovi solo un'altra cosa piccolapiaccola, accetto tutte le critiche possibili a meno che non si arrivi a insulti pesanti, perchè la mia autostima è già abbstanza bassa, figuriamoci se la bisogna anche prendere a parolacce. Detto questo, buona lettura e preparatevi a stupirvi (?) baci a tutti xxx
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter one
 
Ero in giro per Roma, del resto come tutti i giorni in cui in classe si parlava di verifiche, interrogazioni o compiti da fare a casa... quindi del resto come quasi tutti i giorni dell'anno.
Dopo il miracolo divino che mi aveva permesso di superare le medie, non so come, vista la sfilza di 4 e 5 che mi ritrovavo costantemente ad ogni pagella o pagellino durante l'anno, avevo deciso che il liceo sarebbe stato diverso.
Il che significava niente lezioni quando si tratta di stare attenta in classe, che di conseguenza significava niente lezioni quando ci sono professori che parlano, che di conseguenza significava niente lezioni per tutto l'anno, a meno che i professori non fossero diventati muti.
Beh, non è una filosofia di vita vera e propria, ma almeno l'avevo pensata, ed era già un progresso per me.
Già, anche pensare a cose concrete per me era una sorta di traguardo, quasi quanto ricordarsi cosa mi chiedeva mio padre quando tornava a casa dalle sue commissioni.
Ho sempre avuto problemi - anche gravi, credo - del tipo deficit di attenzione e cose del genere, ecco perchè la mia media dei voti arrivava al 5 per compassione da parte dei professori.
Cosa strana, anche la compassione, visto come mi guardavano quando mi riprendevano perchè guardavo fuori dalla finestra in stati di tranche, o quando mi addormentavo in classe alla prima ora di lezione, giustificandomi, ingenua con un : -la notte non riesco a dormire.-
La cosa veramente strana era che però, da quando sono nata - almeno da quello che ricordo io - i sogni che facevo erano sempre stati... anormali.
Un esempio? Beh, io in una stanza su uno sgabello alto, stranamente tranquilla, con accanto a me una donna che porta dei vestiti in mano - come se fossero sporchi e da lavare o appena lavati e pronti per essere asciugati - a destra e a sinistra. 
Nella stanza - che sinceramente sembrava più una minuscola casa, ma senza bagno cucina o camere da letto -, lo spazio che doveva essere occupato dalle porte era occupato da... niente, e lo stesso valeva per le finestre, e in più la casa era malandata e fatta solo e unicamente di legno.
L'unica cosa positiva era che era costruita accanto - e se dico accanto è proprio ACCANTO - alla riva del mare, a destra, e ad una mini-cascata azzurro brillante e con fiori rigogliosi a sinistra, che sorgeva da una strada posizionata in alto sulla scogliera frastagliata.
Guardandomi intorno, vedo che i miei cinque sensi sono ancora più sviluppati di quando sono sveglia. E' come se vedessi in HD, avessi l'olfatto di un segugio, il gusto di un critico gastronomico, l'udito di un gatto e... beh il tatto era diciamo sempre alla stessa "misura".
Ovviamente, come tutte le notti capii subito che stavo vivendo nella mia mente, e non nella realtà.
Un' altro incubo... bene, molto bene.
Sentivo dall'aria che stava per accadere qualcosa di brutto; nei sogni lo sento sempre.
E ad un certo punto cosa appare dalla "porta" vuota davanti a me? Un lupo mannaro.
Questa volta non devo avere paura, loro si nutrono della mia paura.
Comincio a immaginare che diventi piccolo come un innoquo topolino, allora cerco di mandare via la sensazione di vomito che mi provoca il suo odiore e la sua vista, e mi concentro su di lui fissandolo al centro del petto.
"Voglio che diventi innoquo come un topolino... non mi può fare del male, sono in un sogno... tranquilla Annah non ti potrà succedere niente... basta solo che ti concentri come hai fatto con lo squalo, ti ricordi? Sei riuscita a trasformarlo in delfino."
Giusto. Giustissimo. 
Chiudo gli occhi, e cerco di non farmi prendere dalla paura che quel mostro mi divori viva. Non riesco a cacciarla via completamente, ma per il momento riesco a tenerlo fermo dove è apparso.
Un attimo. Quell'attimo in cui la paura è svanita, ed è diventato un piccolo topolino nero - anche se non sempre funzionava...-.
Va bene come esempio?
Naturalmente a raccontarlo a mio padre non ci pensavo nemmeno.  Sapevo bene come avrebbe reagito, e la parola psicologo non mi allettava più di tanto. Nessuno potrà mai e poi mai riempirmi di pillole di qualsiasi genere, o scombussolarmi la mente - che per quanto ne so, è già abbastanza scombussolata di suo - con qualsiasi genere di terapia.
Arrivai ad un bar vicino a Piazza di Sagna, e mi sedetti su una sedia di metallo gelido in "tinta" con il tavolino che mi arrivava poco sotto al petto. Ovviamente, non c'era quasi nessuno in giro.
Beh, chi andrebbe in giro per una via piena di negozi di marca un lunedì in pieno Gennaio? A parte me, ovvio. Credevo che sarebbe sto meglio trovarmi un lavoretto, visto che mi sarebbero serviti soldi per vivere e mio padre non era disposto nemmeno a comprarmi una nuova felpa fino a quando anche quella che indossavo non mi avesse fatto più circolare il sangue. A 16 anni appena compiuti avrei pur dovuto introdurmi nel "mondo del lavoro" in qualche modo, anche perchè non mia madre se n'era andata già da un bel pezzo.
-Infarto...- diceva mio padre. 
-Si è ammazzata grazie a te.- pensavo io.
Sono crudele? Si, si lo sono grazie ad un padre che non mi cucinava neanche mai una cena per andare a giocare a poker con i suoi amici - e sinceramente, non sapevo neanche se lui avesse saputo cosa significa la parola amicizia da quello che vedevo quando lo ascoltavo parlare con i suoi conoscenti -. Che mi ha lasciato da sola ad affrontare la vita, da quando avevo 5 anni. Che non ha mai passato un natale insieme a me. Che non mi ha fatto capire neanche cosa fosse un'abbraccio, un bacio. Una buonanotte, un come stai?, una buongiorno, un complimento anche solo per aver imparato ad andare in bici, avermi aiutato con i compiti, aver cercato di non farmi mancare quello che mi serviva per crescere, per stare bene.
Che non mi ha mai fatto provare la gioia e l'imbarazzo di un ti voglio bene. L'unico abbraccio che ricevevo era quello delle mie coperte la sera, l'unico bacio sulla guancia, era quando entravo in quella porta e mio padre mi presentava ai miei parenti, da quei parenti da cui passavo il Natale, anche se ogni anno erano diversi, a causa del mio comportamento inaccettabile, l'unico fottutissimo aiuto lo ricevevo solo da me stessa quando mi mettevo a disegnare, nel posto che doveva essere occupato dalle equazioni, i mostri dei miei sogni sul quaderno di matematica, liberando la mente da quelle orrende immagini che ogni notte mi occupavano la mente come un velo nero e soffocante, dal quale non riusciva a passare abbastanza aria da spazzare via tutte quelle angosce dal fondo della mia mente contorta.
L'unico ti voglio bene, lo ricevevo da quegli stupidi giochini a forma di unicorno che solo cantando mi facevano sentire al sicuro.
Non ho potuto crescere. E se l'ho fatto, non sono cresciuta come ogni essere vivente merita di crescere.
Sono stata uccisa, e in quel momento ero uno zombie che vagava in un limbo tra la vita e la morte. Non so neanche perchè mi ostinavo a cercare di vivere, quando in realtà sapevo che in qualsiasi momento avrei potuto farla finita con tutte le mie sofferenze e le mie angosce.
Non so davvero perchè.
Guardavo dentro al piccolo bar, e vidi una donna di circa 20 anni che sistemava dei bicchieri appena lavati. Quando guardò fuori e mi vide, mi guardò con lo sguardo di chi vede dei ragazzini imbrattare dei muri.
Ero tentata nell'andare da lei e spiegargli cosa ci faccevo lì, ma le risparmiai la noiosa storia della mia vita e mi girai di nuovo verso la strada di san pietrini.
Non avevo soldi con me, e quindi anche se avevo una fame che mi faceva torcere lo stomaco, non avrei potuto mangiare un bel niente. Beh, almeno era una bella giornata.
Che cosa può fare una ragazzina di 16 anni che ha saltato la scuola, in una giornata di sole e più noiosa di una zia chiacchierona di 80 anni, senza nessuno al seguito?
Poi mi passò davanti un cagnolino. Lo riconobbi subito: un bel Jack Russel. Mi scappò un sorriso.
Un attimo... cani randagi... lavoro... canile... idea!
Avrei potuto farmi assumere al canile no?! Che stupida... poi mi accorsi di aver pensato a qualcosa.
Wow, An la giornata sta andando di bene in meglio vedo. pensai.
Mi alzai immediatamente dalla sedia congelata del bar, e mi diressi nella direzione della metropolitana. Per una volta sapevo dove andare.
 
****
 
Dopo aver consultato più o meno attenatmente il "Tuttocittà" che per fortuna, dopo le mie stupende esperienze da ragazzina di 11 anni persa in metropolitana quasi ogni giorno per ben 2 anni, portavo sempre dentro lo zaino in caso - ed è ironico, perchè  è quasi sempre sicuro - avessi dovuto prendere la metro e non mi fossi ricordata a che fermata scendere, scesi alla fermata che mi sembrava più ovvia, e ho camminai fino alla via del canile. Appena davanti al cancello, mi arrivò un forte odore di cane bagnato, e subito dopo mi accorsi di quanti schiamazzi provenissero da lì dentro. Una giornata qui è sempre meglio di una giornata con mio padre, o sbaglio?
Poco dopo, mi venne in mente la domanda più comune di chi sta cercando un lavoro: perchè cavolo lo sto facendo?
La sapevo bene la risposta, oh si. Non mi risposi, temendo di trovare il lato negativo anche in questa risposta, autoconvincendomi a lasciar perdere tutto.
No, questa volta sarei andata fino in fondo. Mi picciono gli animali? Si. Mi piace fare beneficienza? Credi di si. Mi piace sollevare ogni giorno dal dolore di una gabbia con una carezza ogni tanto, un cagnolino? Oh si, certo che si. Bene, allora che aspetto?
Apro il portone, e mi incammino verso l'entrata.
Nel breve tragitto tra il portone e l'ingresso, penso a quante volte avevo sognato di essere indipendente, e quante volte da piccola mi sono domandata cosa avrei mai potuto fare se avessi avuto una mia vita, senza bisogno di nessuno che mi comandasse, che nessuno mi dicesse quando andare a letto la sera, che nessuno mi obbligasse tutto il giorno a sentire quella puzza di fumo in casa, che nessuno mi rovinasse le poche e rare amicizie che avevo. Beh, ora ne avevo l'opportunità e mi stavo per tirare indietro. No, non avrei lasciato che la paura prendesse il sopravvento anche questa volta.
Aprì la porta di vetro all'ingresso. Appena fui dentro mi stupii del baccano che quegli animali producevano anche solo per aver sentito il breve e debole cigolio di una porta aprirsi. Dovevano essere davvero disperati. Si, beh, insomma, rimanere in una gabbia a vita sapendo di non poter uscire fino a che un uomo fin troppo conpassionevole - e dovo dire che ce ne sono pochi - ti passi davanti sperando diperatamente che ti noti, non mi sembrava un bello stile di vita. Dovevo aver fatto una faccia sorpresa, perchè la signora dietro al bancone mi guardò con uno sguardo di chi ha appena visto un uomo con una canottiera per strada a Dicembre. 
- Buongiorno signorina - mi disse avvicinandosi. Solo allora notai che era vestita con dei jeans strappati - e per strappati intendo strappati a furia di zampate - e una felpa piena di peli di tutte le lunghezze e colori appiccicati sopra. Portava sandali che dovevano essere di un uomo, vista la grandezza rispetto al suo piedino, e inoltretutto erano pieni di sabbia. Mi sorpresi di vedere che non aveva i buchi alle orecchie. In vita mia, apparte me, non avevo visto nessun'altra ragazza, o anche donna senza anche solo un buco nel lobo dell'orecchio.
Non che questo mi dispiacesse, anzi mi sentivo pù a mio agio con una persona simile a me al mio fianco. In compenso aveva un minuscolo brillantino appiccicato alla narice destra.
Desussi che lavorando con dei cani che, da quello che vedevo, la assalivano ogni giorno, se avesse avuto gli orecchini non avrei neanche potuto dire di aver visto il suo lobo. Dal modo in cui mi squadrò mentre si avvicinava, dedussi che anche lei era rimasta colpita dal mio abbigliamento.
Come biasimarla, chi non resta colpita da una ragazza che entra in un canile con indosso un cappotto lungo fino a metà della coscia e che le copre le mani, una felpa che non le copre tutta la pancia, e dei pantaloni di un fucsia fosforescente flosci, con le ginocchia diventate più sottili di 3 strati rispetto a quelli che dovrebbero essere?
La sua reazione fu un sopracciglio alzato e un sospiro. Come al solito, avrei dovuto raccontargli la storia della mia vita per spiegargli perchè ero in quello stato, quindi decisi di ignore la mia frustrazione e la signora di 40 anni che mi guardava come se fossi una prostituta senza dire niente e aspettare quello che mi doveva dire.
- Posso aiutar... - La sua voce si bloccò quando incontrò i miei occhi. Per un attimo credetti che avesse visto un fantasma dietro di me e provai a voltarmi, ma poi realizzai, e mi tranquillizai dalla presunta presenza alle mie spalle.
- Wow. - La sua voce era spezzata. Posso dire con certezza di non essere una bellezza della natura per quanto ne so io, ma i miei occhi sembravano ipnotizzare tutti quelli che guardavo. A questo punto vi dovrei dire di che colore sono i miei occhi. Beh, si dovrei, ma è più difficile di quanto si pensi. Ok, immaginate una nuvola temporalesca, poi aggiungeteci una bomba atomica che esploda nel bel mezzo delle nuvole sparando raggi arancioni e gialli a destra e manca. Ne avete un'idea? Io ancora no.
- C-che bei occhi... - avrei giurato che avesse voluto immergercisi dentro a giudicare dal suo sguardo folle, ma dopo poco rinsavì e scosse la testa facendo muovere i capelli castani boccolosi e con qualche filo bianco a destra e a sinistra prima di strizzarsi gli occhi con la mano destra.
- Scusami, è che mi ricordano... - bloccò i movimenti del corpo per qualche secondo premendo ancora di più la mano dentro alle orbite. Poi levò la mano e fece un respiro profondo prima di riaprirle e espirare. Solo allora notai i suoi occhi verdi. Mi ricordavano mio padre in qualche modo. O forse non proprio mio padre. Forse una figura familiare, ma non riuscivo a ricordare chi. In quel momento mi accorsi di non aver detto una sola parola per tutto il tempo. Scossi la testa.
- N-non si preoccupi, ci... ci sono abituata.- avevo sempre paura di risultare arrogante con quella frase, perciò alla fine ci aggiungevo sempre un piccolo sorriso amichevole per non sembrare la cattiva della situazione.
- Non è l'unica che crede che siano strani.- dissi con un pò di malinconia nella voce.
- No no no, n-non sono strani, sono stupendi, non volevo dire quello, cioè non so perchè l'ho detto, no, scusami, mi dispiace...- si affrettò a rispondermi freneticamente camminando a destra e sinistra. Poi si fermò di fronte a me e si calmò. Signore e signori, ecco il mio futuro capo, un applauso per favore.
- Di niente, fanno questo effetto a tutti purtroppo, non si deve preoccupare - Dissi con il tono più amichevole che riuscì a imitare.
Poi si illuminò.
- Se sei qui per prendere qualcuno, so chi presentarti - Mi disse agitandomi un dito davanti al naso.
- Oh... - Non feci in tempo a rispondere che era già arrivata a più di 3 metri da me facendomi sengno di segurla. Non potei rifiutare. Non volevo smorzare quell'entusiasmo che a quanto pare le capitava una volta ogni mese. Decisi di seguira.
Mi accompagnò lungo un corridoio - accompagnare è una parola grossa, vosto che io ero rimasta dietro di lei di almeno otto metri e lei continuava ad avanzare decisa. - in cui potei torturare le mie orecchie con i migliaia di abbai che rimbombavano dentro la mia scatola cranica, ma a cui lei sembrava non farci caso.
Arrivati in fondo alle penultime gabbie, si bloccò e con una mezza piroetta si voltò verso di me. Io arrivai di fronte a lei.
- Ti presento Ice - Poi voltò la testa e con la mano aperta indicò la gabbia.
Appena voltai la testa vidi solo un cane dal pelo nero come la pece, liscio e impolverato steso dandoci le spalle. La signora sorrise e fischiò schioccando le dita.
- Ice, c'è qualcuno per te...- quella frase mi fece sentire ancora più in colpa. Ma mai come quando il cane drizzò le orecchie puntandole nella nostra direzione, come se fosse riscuscitato al suono di quelle parole. Si alzò e si girò di lato stiracchiandosi, come se sapesse che anche quel tenativo sarebbe andato male e che sarebbe tornato ben presto a dormire. Poi si voltò verso di me.
Non ero sicura di quello che avevo visto fino a quando non si avvicinò. Sarei rimasta a bocca aperta se non mi fossi controllata. Poi si sedette e mi guardò dritto negli occhi.
Mi abbassai lentamente con lui. Non avevo parole.
- P-posso ent... rare dentro?- balbettai. La signora si fece da parte e aprì la gabbia.
Entrai rimanendo sempre all'altezza del cane. Quando mi avvicinai smise di far penzolare la lingua di fuori e mi scrutò attentamente, come io stavo facendo con lui. Forse me lo sono immaginato, ma stava fissando i miei occhi. Eravamo l'uno perso nell'altra.
Ipnotizzata.
Forse era questo che provavano le persone ogni volta che mi guardavano. Ma i suoi occhi. Erano il cielo, erano il mare, erano l'universo. Potevo vedere l'infinito attraverso quel cane. Non si possono spiegare degli occhi del genere. Erano azzurri. No, non azzurri. Erano color ghiaccio. Bianchi. Man mano che ci si allontanava dalla pupilla diventava di un colore sempre più scuro.
Quasi al confine dell'iride diventava di un colore indefinito. Violetto penso. Non so se quello si potesse chiamare violetto. So solo che quegli occhi... mi facevano rinascere. Emanavano una luce che si trasmetteva con lo sguardo. Che ti illuminava da dentro. Quegli occhi brillavano come stelle nel buio più oscuro dell'universo, come la luna nella notte, come la luce di una casa bianca durante un temporale.
Non riuscivo a dire niente. Non volevo distogliere lo sguardo da qualcosa di così meraviglioso. Osservandoli a occhi sgranati notai che comparivano delle piccole scaglie color viola che brillavano nel violetto poco prima dei confini neri dell'iride. Poi notai un'altra cosa. quelle scagliette si muovevano. O almeno così mi era sembrato.
Quegli occhi erano il nulla ed erano il tutto. 
Non riuscii a staccarmi fino a quando mi avvcinai troppo e il cane mi leccò il naso.
Poi scossi la testa per riprendermi, e il cane piegò la testa da un lato: 'Ho fatto qualcosa di sbagliato?'. Evitai di riprendere il contatto visivo con l'animale e fissai sbalordita la donna, ancora fuori dalla gabbia. Dovevo avere la bocca aperta, perchè gli scappò una risatina dal fondo della gola e mi rivolse uno sguardo di un 'te l'avevo detto'.
- C-come... dove lo avete trovato? - riuscii a balbettare tutto d'un fiato.
- Non sono stata io a trovarlo...- fece una pausa, come per mettere insieme le parole giuste per un discorso.
- Lo... lo ha trovato mia figlia.- un'altra risatina.
- Un giorno è tornata a casa con questo batuffolo nero in mano. All'inizio pensavo fosse un nuovo gioco che gli avevano regalato, ma poi iniziò a muoversi, e capii che era un animale.- disse sorridendo.
- Diceva che era per strada e che le aveva chiesto di prenderlo con se.- altra risata, questa volta più forte.
- Aveva cinque anni... abbiamo deciso... abbiamo deciso di tenerlo. Dopo pochi giorni divennero inseparabili. Diceva che era magico perchè aveva gli occhi strani. Non si staccava un minuto da lui... diceva che doveva proteggerlo dagli uomini cattivi. Poi...- guardò il pavimento e il sorriso scomparì. 
Feci un respiro profondo. Non mi ero ancora ripresa dalla visione di quegli occhi anglici.
- Allora... perchè lo ha portato qui al canile?- temevo di sapere già la risposta. Per un paio di secondo rimase a fissare il pavimento, ma poi prese un respiro e continuò.
- Non potevo occuparmi di lui.- si portò una mano davanti agli occhi e ci appoggò la fronte.
- Mio... mio marito. è morto.- strizzò gli occhi, ma li riaprì poco dopo.
- Incidente stradale. Alice era dentro. con Ice. L'unico sopravvissuto è stato lui.- fissò il cane, che nel frattempo era rimasto a fissare me e la donna.
- Oh Dio... non...- mi presi un paio di secondo per mettere insieme le parole giuste.
- Anche io avevo cinque anni quando... quando mia madre è morta.- mi voltai verso il cane. Quanto odiavo quella parola. La morte non esiste. Si muore solo quando si è dimenticati da tutto e da tutti. E io non l'avvo dimenticata. O perlomeno non avevo dimenticato che era esistita. A quelle parole la donna mi fissò sbalordita.
- Oh povera, mi... mi dispiace tantissimo. So quanto è dura perdere un genitore o delle persone che ami.- si avvicinò a me.
- Non ne dubito...- mi sforzai di sorridere, sempre fissando il cane.
Lui si avvicinò ancora di più a me, poggiando la testa sopra la mia gamba e emettendo un mugolio di conforto. Sembrava leggere le emozioni.
- Perchè nessuno lo ha mai notato? Mi sembra impossibile che un cane così giovane e bello sia ignorato da tutti. Com'è possibile?- chiesi.
La donna alzò le spalle. 
- Tutti quelli a cui l'ho fatto vedere... non so come, si sono allontanati non appena lo hanno visto.- disse dubbiosa. 
Allontanati? Io ero stata attirata come una calamita da quegli occhi. Come potevano essersi spaventati? Ok, capisco che non esista un cane con gli occhi viola - che io sappia - ma non è un motivo per lasciare un cucciolone in una gabbia per il resto della vita. Poi ripensai a tutte le volte che la gente mi aveva guardato e si era allontanata. Non avevo amici. Tutti quelli che conoscevo mi stavano alla larga. Persino mio padre evitava di avvicinarsi a me. Un momento... perchè quella signora non si era spaventata vedendo il cane? Perchè non si era spaventata vedendo me? 
Le domande cominciarono a rimbombarmi nella mente. Io e quel cane avevamo qualcosa in comune doptutto. 
- Ma... perchè lei non si è spaventata vedendolo?- mi pentii di averlo chiesto.
- Mia figlia. Aveva... aveva degli occhi molto simili ai tuoi. Solo che erano color ghiaccio. Con dei raggi arancioni.- fece una pausa.
- Erano stupendi. Grandi e stupendi. Forse Ice non la spaventava per questo. E forse neanche me per lo stesso motivo.- sorrise.
- Non avevo mai visto occhi come i suoi... o i tuoi in tutto il mondo.- sospirò. 
- L'unica nota dolente era che tutti quelli che li guardavano, ne erano spaventati. Odiavo questa cosa. Sono occhi, non sono bombe.- disse alzando la voce. Il cane allora si sollevò dalla mia gamba e guardò la donna facendo penzolare la lingua.
- Quando le persone si allontanavano da lei, Alice diceva che non erano buone e che avevano colori brutti.- ancora una risatina.
- La ammiravo per questo, anche se non capivo il signoficato dei colori brutti.- spostò lo sguardo dal cane a me.
Sgranai gli occhi. Colori brutti. Non era possible.
- C-colori brutti?- chiesi con un filo di voce.
- Si... era una bambina molto fantasiosa. Beh, diceva anche che Ice le parlava nei sogni. Aveva davvero una fervida immaginazione... porprio come suo padre.- 
Non ci potevo credere. Pensavo di essere l'unica strana nel pianeta, e ora puf, spunta una bambina che vede i colori delle persone. Non ero sola nell'universo.
 

TATATATANNN.
Ecco il mio primo capitolo...
un pò misterioso lo so, scusate se l'ho bloccato quando non sapevate nemmeno cosa voleva dire i colori delle persone.
Ma dovevo assicurarmi che andaste avanti a leggerlo. u.u
Ok, vi dico subito che i "colori delle persone" non si chiamano "colori delle persone" - cioè si chiamano così ma non nella realtà...-
cioè è solo il nome che gli da la bambina, niente di più.
Eheh se volete scoprire che cos'è dovete leggere il secondo... 
- che scusate sto ancora scrivendo, anche perchè per ora sono un pochino stanca visto che è sera e io ho studiato tutto il giorno,
ma che giuro solennemente che pubblicherò al più pesto.-
Anyway, la protagonista si chiama Annah, solo che devo ancora far presentare lei e la misteriosa signora, quindi non ho potuto scriverlo.
Detto questo spero che vi piaccia, e ringrazio tutti quegli utenti compassionevoli che metteranno la storia fra le seguite T.T.
Grazie per aver letto kisskiss xxx

  
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