Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: Beauty    13/04/2013    10 recensioni
Rivisitazione della fiaba "Tremotino" dei fratelli Grimm.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non ero nulla di speciale, in fondo.
Non ero bella. Non ero ricca. Non ero particolarmente brillante negli scherzi come i miei fratelli, né così brava nel civettare come lo erano le mie sorelle. Non ero molto incline alle manifestazioni d’affetto o all’affabilità con gli ospiti o gli sconosciuti, se non ero in vena di moine. Sapevo leggere e scrivere, ma non ero molto colta o istruita, e forse non ero neanche troppo intelligente.
E le ambizioni di mio padre per me erano troppo alte per poter essere raggiunte da tutta questa mia pochezza e insignificanza.
La menzogna pareva l’unica via.
 
Fila la paglia. Fila la paglia.
La ruota gira, il fuso risplende all’ombra della luna.
Fila la paglia, fila la paglia. Fila la paglia. Fila la paglia.
La notte non basta.
 
Ero la figlia di un mugnaio. Una dei tanti figli di mio padre. Anonima, insignificante. Eravamo sette fratelli: tre maschi e quattro femmine, e altri tre ci avevano preceduti. Due erano morti in tenera età, per la fame e gli stenti, e uno ad appena pochi mesi dal parto, vittima di una malattia che i miei genitori non seppero – e nemmeno si curarono di sapere, le bocche da sfamare erano fin troppe, una in meno non avrebbe fatto altro che giovare a tutti – riconoscere e nominare, e già a dodici anni avevo smesso di contare quante volte mia madre avesse abortito.
Se io fossi morta come i miei fratelli, forse nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.
Ma dal momento che a diciotto anni ero ancora in vita, e per di più a pesare sulle spalle di mio padre, occorreva trovarmi una collocazione nel mondo – o se non altro, qualcuno che fosse disposto a prendersi sulle spalle il peso di un impiastro di moglie quale sarei stata.
Eppure, questo pareva non essere così semplice, almeno per mio padre.
Aveva sistemato egregiamente tutti i suoi figli: Henry aveva iniziato a lavorare con nostro padre dall’età di quattordici anni, e in poco tempo divenne abile ed esperto. Fra le sue mani, la farina e il pane erano come il fuoco dei prestigiatori o i coriandoli che da piccoli vedevamo in uno dei circhi gitani, quando un mago faceva scomparire tanti fazzoletti di seta colorati o una zingara ti prediceva che un giorno saresti divenuta regina.
Forse fu proprio la profezia di una di quelle donne a ispirare mio padre. Nella sua ignoranza, credeva davvero che un giorno tutto ciò che la zingara vedeva nella sua sfera di cristallo si sarebbe avverato.
Ancora oggi non saprei dire se fu la cocciutaggine mista a stupidità di mio padre a far sì che quella profezia pronunciata per intrattenere una bambina sognante si avverasse, oppure se quel destino che mi voleva un giorno regina fosse davvero una magia.
La prima magia a cui assistetti.
 
Fila la paglia. Fila la paglia.
Gira il fuso, la ruota s’arresta.
Fila la paglia, fila la paglia.
L’alba è sempre più vicina.
 
Mio padre stabilì che, alla sua morte, sarebbe stato mio fratello Henry a ereditare tutto e a prendere in mano l’attività di famiglia. Gli altri miei due fratelli, Louis e Marshall, presero strade differenti. L’uno partì in cerca di fortuna appena un mese dopo il suo ventunesimo compleanno.
Io avevo tredici anni, e lo salutai finché non scomparve nel folto della foresta. Né io né nessun altro della mia famiglia lo rivedemmo più da quel giorno. Forse riuscì a trovare la sua fortuna, o forse vi rinunciò, stabilendosi in un villaggio come fabbro o falegname, sposandosi e avendo dei figli. Oppure, semplicemente morì. Di fame, di freddo. Per malattia come il mio fratellino neonato. O ucciso dai briganti che volevano sottrargli quelle poche monete d’oro con cui era partito.
Qualunque sia stato il suo destino, Louis fu il più fortunato fra tutti noi.
Mentre Henry si spaccava la schiena lavorando con mio padre, Marshall divenne boscaiolo. Le sue belle mani infantili divennero grosse e ruvide, e presto la solitudine e il vino divennero parte della sua vita.
Restavamo solo noi quattro. Io e le mie sorelle.
Nessuna di noi era particolarmente bella; delle popolane non sono mai belle. Eravamo graziose, ma nulla in noi era degno di nota. Eravamo magre, ma di una magrezza malsana. I nostri capelli erano lunghi, castani e arruffati i miei e quelli di Viviana, neri e sporchi quelli di Mary, biondi e mal tagliati quelli di Isabeau. Qualcuno ogni tanto mi diceva che avevo dei begl’occhi, ma a stento ci credevo, abituata com’ero alle beffe e alle canzonature.
Nessuna di noi era bella; la cultura e l’intelligenza non erano considerate in una donna, e né io né le mie sorelle avevamo il fisico adatto per partorire bambini.
E il matrimonio e i figli erano la nostra unica alternativa alla miseria.
Viviana sposò un fabbro che non fece altro che picchiarla fino alla fine dei suoi giorni a causa della sua sterilità; Mary fu vittima di un marito che le fece concepire, partorire e allevare dodici figli, fiaccando il suo corpo e la sua anima; Isabeau sposò un cacciatore, morendo di parto un anno dopo il matrimonio insieme al suo bambino.
Restavo solo io. Un peso inutile. Una figlia non è mai utile. Una donna non conta niente. Una figlia è solo un fardello di cui liberarsi.
Vostra figlia sarà regina. Un giorno voi e la vostra famiglia v’inchinerete a lei insieme a tutto il popolo.
Ma mio padre non aveva dimenticato la profezia che la zingara mi fece da bambina.
 
Fila la paglia, fila la paglia.
La ruota scricchiola, la luna si oscura.
Fila la paglia. Fila la paglia. Fila la paglia.
La notte non basta.
Fila la paglia, o muori.
 
Mio padre volle a tutti i costi che io sposassi il re. All’inizio non gli badai troppo, né io e mia madre prendemmo seriamente i suoi deliri da ubriaco.
Ma mio padre non scherzava, non delirava.
E un giorno chiese di essere ricevuto dal re.
 
Fila la paglia, fila la paglia.
Il fuso si arresta.
La paglia si spezza.
La paglia si spezza.
La paglia si spezza.
Ciò che lega non può essere filato.
 
La menzogna era l’unica via.
Se avesse funzionato, allora sarei stata regina. Se la verità fosse stata scoperta, sarei morta.
In entrambi i casi, ci sarebbe stata una bocca in meno da sfamare.
Mia madre non pianse nemmeno, quando i soldati del re vennero a prendermi. Non un bacio, non un abbraccio, non un saluto. Nessun addio, per me. Mio padre non si curò neppure di confortarmi.
Sii forte, figlia mia. Sarai regina.
Credo che in fondo sapesse di avermi condannata a morte. Ma non aveva pianto la scomparsa di Louis, di Isabeau e dei tre figli morti prematuramente. Perché avrebbe dovuto piangere una figlia ancora viva?
Non so cosa sperasse. Forse che la sua menzogna divenisse realtà.
Forse, pensava, questa nullità è davvero in grado di filare la paglia in oro, come ho raccontato al re. Forse non morirà. Forse sarà davvero regina.
Salutandomi con un sorriso, voleva sgravarsi la coscienza.
Ma quella notte dormì sonni tranquilli.
Regina o cadavere, sapeva che non mi avrebbe rivista mai più.
 
Fila la paglia, fila la paglia.
Le tue dita sanguinano.
La paglia si spezza.
Sangue e lacrime sul tuo viso.
All’alba morirai.
 
La torre era la più alta del castello. Era buia, fredda, umida. Una guardia mi disse che ci torturavano sempre i prigionieri. Quando vi rimasi sola, dopo che il valletto del re ebbe chiuso a chiave la porta alle mie spalle, mi parve quasi di sentire lo sbatacchiare delle catene e le urla dei condannati a morte.
O forse, quella era solo una visione di ciò che mi sarebbe accaduto l’indomani.
Nel momento in cui vi venni trascinata dentro, l’unica cosa che riuscii a vedere fu la paglia. Un alto mucchio di paglia sorgeva in un angolo. Accanto ad esso, un arcolaio.
Le parole del re, a quel punto, furono superflue.
- Che bel bocconcino abbiamo qui!- fu la frase con cui mi accolse, prendendomi il mento fra il pollice e l’indice. Non mi sentii intimidita di fronte a lui, sebbene fosse il re. Neppure per un attimo provai vergogna e imbarazzo. C’era poco spazio per la timidezza, in quel momento.
- Credo sia bene che tu sappia che non amo essere canzonato, uccellino. Vedremo subito se tuo padre ha detto la verità oppure no.
Il sorriso del re era freddo, impassibile. Senz’anima.
Fu così che lo descrissi nella mia mente. Senz’anima. Non necessariamente malvagio o crudele. Semplicemente…nulla.
Senz’anima.
- Quello che devi fare è molto semplice, tesoro. Hai a disposizione tutta la notte per filare questa paglia in oro. Se al mattino scoprirò che tuo padre mi ha mentito, morirai.
 
La notte non basta.
Menzogna e inganno. Inganno e morte.
Fila la paglia, figlia del mugnaio.
Fila la paglia.
La paglia si spezza.
Sangue e lacrime sul tuo viso, figlia del mugnaio.
All’alba morirai.
 
Fu quando lo scricchiolio della ruota divenne assordante, quando il silenzio si riempì di urla, quando il fuso dell’arcolaio si arrestò, quando mille fili di paglia si spezzarono fra le mie mani, quando le lacrime mi mozzarono il respiro, quando le mie unghie sanguinarono, che apparve quell’uomo.
Uomo. Uomo o demone. Mostro. Bestia. Mago, folletto.
Per me, in quel momento, solo salvezza.
- Perché stai piangendo, raggio di sole?
Non mi domandai chi fosse quell’essere, né perché fosse lì in quel momento, o come ci fosse arrivato. Non ne avevo la forza.
Non ero in grado di filare la paglia in oro, e all’alba sarei morta. Perché sprecare tanto tempo e fatica in domande senza una risposta?
- Perché se non filo tutta questa paglia in oro, il re mi ucciderà.
Perché negare la verità a uno sconosciuto?
Devi morire. Le menzogne di tuo padre ti hanno portato fin qui. Non mentire, ora.
- Uhm, un bel grattacapo, dico bene?- ridacchiò lo sconosciuto.
La sua risata mi ferì come una pugnalata. Fu con rabbia e odio che lo guardai, comprendendo solo in quel momento di non trovarmi di fronte a una creatura umana.
La penombra nascondeva la sua figura, ma potevo distinguerlo bene. Era un uomo molto alto e molto magro, abbigliato elegantemente di nero, con un lungo mantello di pelle. I capelli castani erano raccolti in una coda dietro la nuca, e il suo sorriso era mille volte peggio di quello del re.
Senz’anima.
- Chi siete voi? Cosa volete da me? Lasciatemi in pace!
Grida e singhiozzi. Rabbia, umiliazione. Avevo diciotto anni: perché dovevo morire?
Era questo il mio destino: non cadere fra le grinfie di un uomo violento come le mie sorelle, e morire per mano di un re invece che di parto?
- Lasciarti in pace? Ma se sono qui apposta per aiutarti!
- Nessuno può aiutarmi.
- Ne sei certa, bellissima?
- Andatevene!
- E se ti dicessi che io posso fare ciò di cui tu non sei in grado?
 
La notte non basta. L’alba è vicina.
Fila la paglia, fila la paglia.
Non c’è oro fra le tue dita, figlia del mugnaio.
All’alba morirai.
 
- Se io filo tutta questa paglia in oro al posto tuo…cosa mi darai in cambio?
Il mio interlocutore aveva occhi attenti. Scorsi un brillio nelle sue pupille scure; lo vidi fissare attentamente il mio corpo, e proprio quando mi convinsi delle sue peggiori intenzioni compresi ciò che desiderava veramente.
Il suo sguardo era puntato dritto sulla mia collana. Una collana semplice, uno dei pochi oggetti di valore che avessi mai posseduto.
Negli anni precedenti, l’avevo conservata come il tesoro che era.
Ma in quel momento non esisteva altro tesoro se non la mia vita.
Mi strappai il monile dal collo, e glielo porsi.
Le mani avide che lo afferrarono furono le stesse mani abili che quella notte filarono tutta la paglia in oro.
 
Fila la paglia, fila la paglia.
Oro fra le dita del tuo salvatore, figlia del mugnaio.
Fila la paglia, fila la paglia.
La ruota gira, l’arcolaio scricchiola.
Non più paglia intorno a te, figlia del mugnaio.
Per stanotte, avrai salva la vita.
 
Tutto il villaggio sapeva che il re era un uomo avido, un uomo che avrebbe sacrificato la vita dei suoi sudditi per se stesso.
Il re era il motivo per cui tutti noi vivevamo di stenti. Il palazzo era sempre pieno di feste, gioielli e oro, mentre in strada la gente moriva di fame. Il re viveva nel lusso, mentre le madri non avevano di che sfamare i propri figli.
Avrei dovuto prevedere che tutto l’oro filato in una notte non sarebbe stato sufficiente, per lui.
La seconda notte trovai due mucchi di paglia nella torre.
- Sei stata brava ieri notte, dolcezza. Ora non devi fare altro che ripetere il tuo trucco. Hai un’intera notte per filare tutta questa paglia e tramutarla in oro. Se non ci riuscirai, all’alba verrai ghigliottinata.
 
Fila la paglia, fila la paglia.
La paglia si spezza.
La paglia si spezza.
La paglia si spezza.
Sangue e lacrime sul tuo viso.
La paglia si spezza. La paglia si spezza.
Ma tu continui a sperare, figlia del mugnaio.
 
Non mi aspettavo davvero di rivedere il mio salvatore. Come la notte precedente, egli arrivò solo quando le mie dita sanguinarono sulla paglia.
- Se io filo tutta questa paglia in oro al posto tuo…cosa mi darai in cambio?
- Voi che cosa volete?
- Quell’anello andrà più che bene.
L’anello che portavo al dito era di stagno, semplice, nulla che avesse un valore, almeno per uno sconosciuto. Confesso che esitai un poco nel consegnarglielo: quell’anello era stato di mia madre, e della madre di mia madre, e prima ancora della madre della madre di mia madre.
Era un anello senza valore, per lui: perché lo desiderava?
- Andiamo! Quante storie per uno sciocco anello! Dimmi, conta forse più della tua vita?
Non occorse altro monito perché io mi sfilassi l’anello dal dito e glielo consegnassi.
Quando lui lo afferrò avidamente, mi parve quasi che una parte di me mi fosse stata strappata. La collana che gli avevo dato la notte precedente la possedevo sin da bambina, l’avevo sempre custodita come un grande tesoro e raramente me ne ero separata.
La notte precedente si era preso il mio presente.
Impossessandosi di quell’anello che era appartenuto a mia madre e alla sua famiglia, ora mi stava sottraendo anche il mio passato.
Che altro si sarebbe preso, ancora?
Ma quella domanda fu come un soffio di vento, e volò via subito. Non m’importava molto della risposta, finché egli avesse continuato a filare la paglia in oro.
 
Fila la paglia, mio salvatore.
Fila la paglia, oro fra le tue dita.
Fila la paglia. Fila la paglia.
Mai abbastanza oro fra le dita del re.
Fila la paglia.
Non resta altro.
 
- Confesso di essere veramente sbalordito.
Odiavo il re. Credo che l’avrei odiato anche se non avesse minacciato di consegnarmi al boia. Odiavo il suo volto giovane e amabile, odiavo il suo sorriso compiaciuto, odiavo la scintilla nei suoi occhi quando si posavano avidamente sull’oro nella stanza.
Ancora di più lo odiavo quando l’avidità nel suo sguardo era dovuta alla vista del mio corpo.
- Sei stata una vera sorpresa, figlia del mugnaio. Ma io sono un uomo diffidente, e ho bisogno di un’altra prova. Stanotte dovrai filare per me tre mucchi di paglia. Se vi riuscirai, sarai mia sposa. Altrimenti, convolerai a nozze con il re degli Inferi.
Non piansi né mi disperai, quella notte. Ormai sapevo, sentivo che quell’uomo, quello stregone, sarebbe corso in mio aiuto al calare delle tenebre.
Ed egli non mi deluse.
 
Fila la paglia, figlia del mugnaio.
Il tuo presente è cenere, il tuo passato polvere.
Tutto questo per un poco di paglia, figlia del mugnaio?
 
- Aiutatemi. Filate questa paglia in oro.
- C’è tanta sicurezza nella tua voce, mia cara…
- Vi prego! L’avete fatto per due notti, accontentatemi anche stavolta.
- Tutto ha un prezzo, lo sai?
- E qual è il vostro prezzo?
- Se io filo tutta questa paglia in oro al posto tuo…cosa mi darai in cambio?
Temevo questa domanda. Esitai.
- Io non ho più niente da darvi.
- Allora non posso fare nulla per te.
- Vi prego!
- Le suppliche non ti serviranno a niente, tesoro. Tutto ha un prezzo, e l’oro è molto prezioso. Se non puoi pagare, allora io non posso aiutarti.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, conficcandomi le unghie nei palmi. Avvertii un lieve bruciore quando il sangue mi sporcò le dita.
Sangue e lacrime, figlia del mugnaio.
- Siete un essere spregevole!
- Non la pensavi in questo modo, quando ti ho aiutata.
- Vi prego! Filate questa paglia in oro! Aiutatemi!
- E perché dovrei farlo?
- Il re mi ucciderà se lo deluderò.
- Tu l’hai sempre deluso, anche se lui non lo sa. Saresti già dovuta morire due notti fa. Sai che non si può sfuggire al proprio destino?
- Vi supplico! Vi darò qualunque cosa!
- Qualunque cosa? Attenta a quello che prometti, figlia del mugnaio.
- Qualunque cosa!
Ormai era tardi per tirarmi indietro. Avevo promesso. Senza sapere. Senza riflettere. Fui stupida e ingenua, non ponderai le mie parole, non diedi peso ai miei spergiuri. Credevo di salvarmi con un’inutile frase fatta. Non conoscevo ancora il demone, per mettermene in guardia.
Il patto era sigillato.
 
Sangue dalla tua bocca. Carne della tua carne.
Non sai cos’hai fatto, figlia del mugnaio.
Fila la paglia, fila la paglia. Fila la paglia.
Paglia per oro. Vita per vita.
 
Il suo respiro sul mio collo era caldo, le sue mani dolci e delicate sulle mie braccia nude. Sentii una ciocca dei suoi capelli sfiorarmi una spalla.
Neanche per un attimo mi ritrassi. Neanche per un momento provai paura.
- Dammi il tuo primogenito. Potrai sempre avere altri figli. Filerò questa paglia in oro, e verrò da te a riscuotere il pagamento non appena sarà il momento.
Fui nuovamente stupida e ingenua. O forse fu la disperazione a guidarmi.
Avevo diciotto anni. Volevo vivere. Non meritavo di morire per una bugia di mio padre.
Giurai a me stessa che, se fossi sopravvissuta, allora non avrei mai avuto figli.
E siglai l’accordo.
 
Un velo d’oro sul tuo capo, mia regina.
Un anello di diamanti al tuo dito, mia regina.
Una collana di rubini al tuo collo, mia regina.
Una felicità costruita sulla paglia, figlia del mugnaio.
 
La notte che precedette il mio matrimonio feci uno strano sogno. O almeno credo si trattasse di un sogno.
Stupida, pazza ragazzina. Stupida, stupida, pazza ragazzina. Sciocca figlia del mugnaio. Il tuo amore è di paglia, l’affetto di tuo marito è per l’oro. Sposi un uomo che non avrebbe esitato a ucciderti.
Torna a filare la paglia, figlia del mugnaio.
La mattina seguente avanzai lungo la navata della cattedrale e raggiunsi l’altare con la voce del mio salvatore ancora nelle orecchie. Pensai a lui quando dissi al re.
La profezia della zingara si era avverata. Mio padre aveva ottenuto ciò che voleva.
A che prezzo?
Mio marito mi chiamava con nomignoli come dolcezza e tesoro mio. Qualche volta, dalle sue labbra proveniva anche la parola amore.
Credo che mi chiamasse così perché in realtà non conosceva il mio nome.
La vita di corte non faceva per me, e lo compresi immediatamente. Chiacchiere, pettegolezzi, risatine appena soffocate, sussurri nascosti dietro a ventagli elaborati. Falsità, ipocrisia.
Menzogna. Proprio come quella che mi aveva resa regina.
Lo sai che la regina era la figlia di un mugnaio? Una donna del popolo? Si vede, da come si muove, da come si comporta, da come parla. A malapena sa leggere. Patetica. Ridicola. Mi fa pena.
Mio marito mi trascurava per la maggior parte del giorno. Non mi chiese mai più di filare la paglia in oro. L’arcolaio non era uno strumento adatto a una regina.
Regina, sì; ma agli occhi di tutti, anche del re, sarei sempre rimasta la figlia del mugnaio.
Le attenzioni che mio marito mi negava di giorno, venivano compensate la notte.
 
La tua purezza se n’è andata, figlia del mugnaio.
Puttana di una bestia, mia regina.
Lacrime e sangue sul tuo viso, figlia del mugnaio.
E intanto il bambino che hai già perso si muove e scalcia dentro di te.
 
Nonostante le mie promesse, rimasi incinta.
Tentai in tutti i modi di abortire, ma i segreti di una regina non rimangono a lungo segreti.
Quando partorii, risi di amarezza e autocommiserazione.
Una femmina. Mio marito non avrebbe sentito la mancanza di una figlia femmina.
 
Paglia per oro. Vita per vita.
L’ora è giunta, figlia del mugnaio.
 
- Che cosa volete?
- Il pagamento per ciò che ho fatto per te. Ricordi? Avevamo un accordo.
- Vi prego! Tutto tranne mia figlia.
- Bugiarda. Spergiura. Vigliacca. Non puoi ritirare la parola data.
- No! Vi prego…ci dev’essere qualcos’altro che posso darvi.
- Voglio tua figlia, ora.
- I miei gioielli? Oro, argento…
- Paglia?- rise.
- Vi prego! Vi darò qualsiasi cosa!
- Questo lo hai già detto, mia cara. E’ questo che ci ha condotti fino a qui. Ora, dammi la bambina.
- Vi prego! Mia figlia no!
Rise; una risata sommessa, acuta, agghiacciante.
- Perché tanto affetto per una creaturina urlante? E’ nata solo da tre giorni, neppure la conosci. Forse hai imparato ad amare tuo marito? Hai paura di contrariarlo?
- E’ mia figlia.
- Temi che tuo marito possa ucciderti se scoprisse la verità?
- Lui non mi farebbe mai del male.
- Come fai a esserne certa?
- Lui mi ama.
- Ti ama? L’uomo che meno di un anno fa non avrebbe esitato a ucciderti?
- Lei è mia figlia. E’ mia.
Non avevo più orgoglio. Forse l’avevo perso quando avevo accettato l’accordo con lui. Ma lei era mia figlia. La conoscevo appena, ma la amavo. Era mia, e non avrei permesso a nessuno di portarmela via.
Rise di nuovo.
- Ti propongo un altro accordo. Hai a disposizione tre notti per indovinare il mio nome. Se ci riuscirai, allora potrai tenere il tuo fagottino. In caso contrario, la bambina sarà mia.
 
Quanti nomi esistono al mondo, mia regina?
Tanti quanti i fili di paglia, figlia del mugnaio.
Un nome per un demone. Un demone per la salvezza.
La salvezza per tua figlia.
 
Inviai servitori e messi affinché raccogliessero quanti più nomi potevano. Per due notti tentai, per due notti fallii.
Non è il mio nome.
Non è il mio nome.
Non è il mio nome.
La cantilena di quel demone mi risuonava nella mente come una filastrocca oscena, si confondeva alla ninna nanna che cantavo a mia figlia, era presente in ogni lacrima che lasciavo cadere sulla culla.
Non è il mio nome.
 
Fila la paglia. Fila la paglia.
Sangue e lacrime sul tuo viso, figlia del mugnaio.
La ruota si arresta, il fuso non scricchiola.
Nessun nome sulle tue labbra insanguinate.
 
- Qual è il tuo nome?
La risata mi colpì come uno schiaffo, mentre il corpo del demone mi liberava del suo peso, abbandonandomi sola sul letto, la gonna stracciata e il corsetto slacciato.
- Non fare questi giochetti con me, figlia del mugnaio. Ammetti la tua sconfitta, consegnami tua figlia e conserva almeno la tua dignità.
 
Sangue e lacrime sul tuo viso, figlia del mugnaio.
 
- Allora prenditela!
Quale madre avrebbe ceduto, lasciando che le portassero via la carne della sua carne?
Ero forse una cattiva madre? Sì, certamente; ma ero sconfitta. Stanca. Non volevo più soffrire.
Egli cullò la mia bambina a lungo, prima di parlare.
- Un bambino ha bisogno di una madre.
A quel punto, risi.
La disperazione se ne andò.
- La scelta è tua, figlia del mugnaio. Non dovrai fare altro che dire che il mio nome è Tremotino, e potrai tenere la tua bambina con te. Dopodiché, scegli: vuoi restare con un marito per il quale non conti nulla, o essere regina? La mia regina.
- Tutto questo…solo per me?
- Era te che volevo. Sin dall’inizio.
- Perché coinvolgere mia figlia?
- Avresti accettato, altrimenti?
Drizzai il capo, inspirando a pieni polmoni mentre lo guardavo negli occhi. Per la prima volta, mi sentii forte. Ero io che decidevo. Non mio padre. Non mio marito. Non Tremotino.
Pronunciai il suo nome.
Egli mi consegnò mia figlia.
- Dunque: la tua decisione?
- Lascia che ti dia la mia stessa libertà - dissi.- Il mio nome è Elise.
Egli mi tese la mano. Stringendo mia figlia al petto, io la presi.
Non mi voltai indietro.
 
Alle tue spalle, un regno di paglia.
 

FINE

  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Beauty