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Autore: Aerith    30/08/2004    14 recensioni
A cosa può portare il desiderio di calore e di guarire la propria anima. Hiei e Mukuro qualche tempo dopo la fine della serie. [Basato essenzialmente sul manga]
And I would give anything, my blood, my love, my life, if you were in these arms tonight...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentire le sue mani bramose percorrerle il corpo senza sosta, mentre le sue labbra ne saggiavano la morbida pelle del collo, che lei piegava sensualmente all'indietro, accarezzandogli la nuca in un modo che lo invitava eloquentemente a continuare.
Sentire il desiderio scorrerle nelle vene e su ogni centimetro della pelle, ardente al contatto con quella di lui, percependo un calore intenso ed appagante.
Percepire le emozioni in modo profondo e diretto, prestando attenzione ad ogni sensazione che il corpo le può trasmettere, tra respiri affannati e minuscole gocce di sudore, brillanti alla flebile luce della stanza.
Vedere i suoi occhi, d'un tratto, fissarla insistentemente; occhi capaci di penetrare dentro di lei fino ad avvolgerle il cuore, stritolarlo e accarezzarlo.
Prendere tra le mani, tremanti, il suo viso, attirandolo a sé per catturarne le labbra, calde e avide di lei, mentre la stringeva ponendo le sue braccia tra la sua schiena e il materasso, per sentirla finalmente propria, mentre una lacrima, solo una lacrima, le rigava furtiva una guancia...

Mukuro aprì gli occhi di scatto, mettendosi rapidamente a sedere e prendendo respiri profondi mentre, con entrambe le mani, si massaggiava le tempie. Un fremito la scosse nel vedere il giovane youkai accucciato accanto a lei, ma venne presto lievemente sollevata dal fatto che entrambi avessero ancora i vestiti indosso. Non ne avrebbe comunque avuto bisogno qualche secondo più tardi. Aveva infatti imparato, nel corso del tempo, a distinguere perfettamente i sogni dalla realtà. Anche quando i ricordi le si manifestavano tramite i sogni, passava un po' di tempo ad analizzarli minuziosamente per accertarsi di cosa fosse effettivamente accaduto in passato e cosa vi fosse invece stato ricamato sopra dalla sua fantasia. Aveva in ogni caso imparato a non darvi mai alcun peso. Doveva sempre sapere con esattezza cosa accadeva nella realtà, ma il resto era una pura manifestazione del suo inconscio e, come tale, non degno di nota. Quella volta non sarebbe stata diversa.
Si alzò lentamente, prestando attenzione a non scuotere troppo il materasso e si cambiò in silenzio i vestiti. Improvvisamente, non poté fare a meno di soffermarsi su una cosa che non attirava più la sua attenzione da tempo: le sue braccia. Il braccio sinistro, quello 'perfetto', avrebbe potuto dire, o se non altro integro. Liscio, solo segnato da alcune cicatrici, in ricordo perpetuo degli abusi subiti o delle battaglie che l'avevano forgiata. Il braccio destro, dove poteva benissimo scorgere i muscoli tirati che lo componevano, tenuti insieme da alcune parti metalliche. Era così praticamente da una vita; era a tutti gli effetti una parte di sé. Seppure in un primo momento fonte di disagi, al punto in cui era arrivata non costituiva più certo un problema. Non era fonte di complessi, ma di orgoglio per la propria diversità; funzionale quanto l'altro, come il resto del suo corpo, e utile tra l'altro come intimorimento. Ma, mentre li osservava le tornarono in mente in un lampo gli avvenimenti della sera precedente...

"Mukuro-sama, sono arrivate le nuove parti che avevate richiesto. Shigure vi manda a dire di passare da lui appena avete del tempo."
"Grazie, puoi andare. Voglio Hiei subito qui."
Un po' irritata, iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza. Non se ne stupida, in fondo era sempre nervosa quando si trattava della 'manutenzione' del suo corpo, ma era il prezzo da pagare per il suo rifiuto alla riparazione totale. Mentre rifletteva se ciò che avesse in mente fosse o meno opportuno, la porta si aprì.
"Hai bisogno di me?"
Hiei fece un passo dentro la stanza, costantemente avvolta da una semi-oscurità.
"Shigure dovrebbe avere un pacco per me, prendilo e portalo qui."
"Ora mi fai fare anche il fattorino?"
Disse incrociando le braccia, con un tono a metà tra l'ironico e l'infastidito.
"Vai e fattelo dare."
Rispose secca lei, con un tono che non ammetteva la minima replica o contraddizione. Notando l'espressione alquanto seccata, Hiei preferì obbedire senza fare altre domande.
Tornò dopo alcuni minuti con in mano una scatola di media grandezza, che consegnò alla donna seduta sul letto.
"Mi ha dato anche questo."
Disse tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un cacciavite.
"Posso andare?"
"No, mi servi ancora... Prego."
Promulgò, aprendo il contenitore e piegando la manica del magione che indossava fino a scoprire tutto l'avambraccio. Hiei non nascose la sua sorpresa: "Prego... cosa? Spero tu non intenda sul serio..."
Mukuro lo guardava con un viso totalmente inespressivo finché, abbassando lo sguardo, ammise: "Senti, lo farei più che volentieri da sola, sul serio, ma ci ho già provato e non è stato un gran successo, quindi dammi una mano, non è difficile..."
Gli porse il cacciavite e avvicinò il braccio. Il ragazzo la guardò titubante, poi si sedette accanto a lei e osservò l'arto.
"Devi cambiare solo una parte. Svita in questi tre punti, poi estrai."
Hiei prese un respiro e cominciò, ma la ragazza notò presto, nel suo modo impacciato di muoversi, l'attenzione con cui evitava di sfiorarla.
"Capisco che ti faccia senso, ma non è carne viva, ormai è tutto cicatrizzato..."
"No, non... io... non vorrei farti..."
"Male?"
In quel momento i loro sguardi si incrociarono, stupiti, ma lui abbassò subito il suo, colto alla sprovvista dall'improvvisa dolcezza degli occhi di lei, annuendo.
"Ha smesso di fare male tanto tempo fa. In fin dei conti, ora è come l'altro."
Hiei notò benissimo la punta di amarezza nascosta nella frase e decise di seguire il suo istinto. Dopo qualche attimo le prese delicatamente la mano destra.
"Posso?"
Chiese guardandola. Lei ebbe un sussulto al solo sentire il contatto con la sua pelle. Non era abituata nulla con dolcezza, tanto meno una persona. No, il massimo che poteva fare con le persone era prenderle a pugni, o tenerle alla larga solo con uno sguardo, ma 'toccarle' era una cosa che evitava. Tanto meno era abituata ad essere 'toccata' con delicatezza. Lo guardò, stupida, ma fece lievemente cenno di si.
Hiei sollevò l'altra mano e l'avvicinò lentamente a quella della ragazza, fino a posarvi piano i polpastrelli, all'altezza del polso, per poi percorrerne esitante tutto il dorso, fino alla punta delle dita. Sul viso di Mukuro era scolpita d'incredulità, mista a molteplici sentimenti... paura, ansia, probabilmente dolore, forse gratitudine e... speranza... perché sentiva che la stava accarezzando, dolcemente, e questo le donava brividi sulla pelle e un fremito al cuore. Si trattenne per non tremare, e guardò in basso per paura di scorgere il suo sguardo... ma lui non si volto. Continuava ad osservare la mano, come incerto sul da farsi, ma quando la donna capì le sue intenzioni, fu colta da una paura ancora più intensa, combattuta tra l'impulso di urlargli di fermarsi, e quello di implorarlo di continuare...
Lentamente, Hiei si curvò in avanti, chiuse gli occhi e posò delicatamente le labbra sul dorso della mano di ferita di Mukuro. La ragazza trasalì e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per restare immobile e non mostrare nessuna delle emozioni che la percorsero in quel momento. Tentò di scavare nella memoria per trovare un solo istante in cui non avesse provato l'impulso di scansare qualunque mano osasse avvicinarsi a lei. Non lo trovò. Così come non ricordò una sola persona che l'avesse trattata in un modo tanto... dolce. Non vi aveva mai dato peso, eppure per la prima volta si stupì della sua totale estraneità a qualunque tipo di contatto fisico, pur riconoscendo il fatto come sua libera scelta.
Se Hiei, con quel bacio, avesse voluto mandarle un messaggio, questo l'aveva raggiunta.
"Io non ho problemi a toccarti. Il tuo corpo non mi infastidisce."
Come se avesse tentato di abbattere il muro che Mukuro aveva eretto attorno a sé, intaccando prima di tutto la parte destra del suo corpo, di cui si faceva scudo.

Si scosse improvvisamente dai suoi pensieri e terminò di prepararsi. Voleva lasciare rapidamente la stanza, quasi temesse di non poter reggere lo sguardo del demone che dormiva nel suo letto, perché... era stato un attimo, ma l'aveva sentito. Come un lampo, fugace eppure abbagliante: il pensiero. L'affacciarsi nella sua mente di un'idea inaspettata; ciò che da tempo aveva messo da parte perché semplicemente 'non necessario', ma che in un attimo la riempì di terrore e nervosismo. Ma, dopo tutto, perché?
Una decisione in proposito era già stata presa tempo addietro. Non vi erano gli estremi per cambiarla.
Non ci avrebbe più pensato.

°.°.°.°

Lo sbattere della porta nel chiudersi ridestò dal suo sonno il giovane youkai, mentre la padrona del letto in cui aveva dormito si allontanava con aria impassibile per il corridoio, pronta ad adempiere ai suoi compiti per ancora un altro giorno. Leader per vocazione; autoritaria, sicura e impenetrabile; un vetro blindato. Leader perché forgiata più di chiunque altro dall'umiliazione, dall'abbandono e dall'odio. Odio puro, incondizionato, verso chiunque avesse la gravosa colpa di esistere e di incrociare il suo sguardo. Odio che la rilegò a scontare le pene del suo animo in solitudine. Forte perché nata fragile come il cristallo, tramutato in puro acciaio dallo scorrere di lacrime e sangue... suo, e degli altri.
Hiei questo lo sapeva bene; sapeva praticamente tutto di lei... tranne cosa ci fosse ora nel suo cuore. Da un lato sembrava che fosse stanca, della propria solitudine, del silenzio, del vuoto che a volte sembrava circondarla. Forse per questo aveva tentato di mostrarsi più alla mano, meno dura, e tutti se n'erano accorti, ma rispondevano con distacco e diffidenza, come spaventati. Giusto. Lei era il capo. Un capo non deve essere amico dei suoi sottoposti, deve solo comandarli.
E lui? Un suo sottoposto. Il suo 'braccio destro', certo, ma pur sempre sottoposto. Dopo tutto, però, non aveva mai considerato questo un problema. Lo trovava irritante solo quando era costretto ad eseguire degli ordini che non gradiva, tutto qua. Si rendeva comunque conto di godere di una posizione privilegiata, Mukuro lo trattava coi guanti di velluto e, da quando chiunque là avesse memoria, lui era l'unico che le si fosse mai avvicinato. Non che gli altri non l'avessero mai desiderato, Mukuro era indubbiamente una donna speciale, ma fino a poco tempo prima erano in pochi a conoscere il suo volto, e di fatto nessuno avrebbe mai osato prendersi confidenze di alcun genere con lei. E questo continuava. E per Hiei non poteva che essere una buona cosa. In effetti, gli altri non erano solo frenati dell'evidente soggezione che Mukuro incuteva, ma anche dalle gelide occhiate che lui regalava a chiunque la sfiorasse con lo sguardo. Lui stesso rimase sconvolto nel momento in cui realizzò il suo pensiero... se doveva essere di qualcuno, doveva essere sua. Chi altro avrebbe potuto capirla? Chi avrebbe avuto il coraggio di guardare nel suo cuore e lenire le sue ferite?
...Chi poteva amarla pur senza aver mai conosciuto l'amore?
"Amarla..."
Il suono di quella parola, scandita a bassa voce, gli provocò una lieve fitta al cuore.
'Amarla...' ripeté, questa volta nella sua mente, fissando il pavimento della stanza.
Non amava andare a ragionare sull'amore, o su qualunque altra cosa lo riguardasse anche alla lontana: gli faceva sempre male. Si portò una mano al petto, chiedendosi cosa fosse, in quella parola, in quel sentimento, a toccarlo tanto; cosa riuscisse ad arrivare fino al suo cuore...
Rabbia... quella fitta era rabbia? Verso sua madre, che l'aveva abbandonato troppo presto? Verso tutte le Korime, che non l'avevano accettato? O verso se stesso, per non aver tentato di avere almeno l'amore di sua sorella? Se glielo avesse chiesto, lei glielo avrebbe donato con gioia... ma aveva preferito nascondersi, scappare...
Era allora rimpianto, ciò che sentiva? O era semplicemente la mancanza di qualcosa...? Forse... paura? Paura di non arrivare mai a comprendere il significato di quella parola, di non riuscire a rendere il proprio cuore abbastanza accogliente da poter ricevere un po' d'amore e donarne a sua volta... Paura di non riuscire a donarlo a lei, di non essere capace di amarla come vorrebbe... come merita... e... farle male...
Già, farle del male... lo stesso terrore che aveva avuto la sera prima... Non solo nel corpo, no... aveva paura che fuggisse il contatto, che non sopportasse il suo sfiorarla, che rifiutasse quella goccia di tenerezza che aveva tentato di offrirle... Lui sapeva cosa aveva passato, e sapeva che se lei avesse frainteso, ne sarebbe stata ferita...
Lei odiava essere toccata dagli altri, era chiaro, e lo aveva eloquentemente confermato Shigure coi suoi commenti quando era andato a prendere le parti di ricambio. Riusciva ad accettare che la toccasse lui, talvolta, perché di fatto era come il suo 'medico' di fiducia, ma se poteva farne a meno cercava di provvedere da sola. Eppure quella sera, sapendo di non poterci riuscire, non aveva scelto di andare da Shigure, che se ne era occupato molte altre volte, ma aveva chiesto aiuto a lui... a lui...
Alzò lentamente il braccio e osservò la sua mano sinistra, con cui aveva stretto la mano di lei per tutta la notte... stesi l'uno di fianco all'altro, ma senza alcun contatto se non l'intreccio delle loro dita...
Con due dita si accarezzò le labbra... quelle labbra con cui aveva ardito sfiorare la sua pelle, con cui avrebbe potuto......

Si alzò bruscamente dal letto su cui era rimasto seduto per tutto il tempo, si passo con forza le mani sui capelli e uscì per tornare nella sua stanza. Aveva bisogno di una doccia fredda, prima di iniziare il pattugliamento.
Lo scrosciare dell'acqua riuscì a distenderlo un poco, allentando la tensione e riempiendogli la mente... ma anche liberando il suo istinto... Lasciando scorrere l'acqua sulla fronte, con gli occhi chiusi, lentamente allungò le braccia davanti a sé, verso l'immagine che il suo inconscio gli aveva proiettato d'innanzi... finché in contatto con le fredde mattonelle del muro lo riportò alla realtà...
Si affrettò a vestirsi e uscire, lo infastidiva avere troppo tempo per pensare... preferiva tenersi impegnato...
  
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