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Autore: Ilune Willowleaf    15/04/2013    0 recensioni
[Yuusha-Oh GaogaiGar]
[Yuusha-Oh GaogaiGar]I membri del GGG, dopo l'arco narrativo di Yuusha-Oh Gaogaigar Final, sono a centinaia di migliaia di anni luce di distanza dalla Terra. Ma torneranno, prima o poi, vero? Io dico di si.
E per qualcuno, tutto quel tempo passato nello spazio, avrà cambiato molte cose.
Renée Shishio Cardiff, giovane cyborg dal passato tormentato e dal pessimo carattere dietro un visino adorabile e una insana passione per il rosa, ha trovato nel cyborg alieno guerriero Soldato J un'anima gemella, e questo legame, nato sul campo di battaglia, cresce come può crescere qualcosa tra due persone assolutamente inesperte dell'amore e, nel caso di Soldato J, anche dei rapporti umani!
Ma non c'è pace per gli eroi: tornati sulla Terra, ci sono sempre nemici da combattere, e il GGG li combatterà sempre, affiancato ora anche dal Soldato J e dalla J-Ark, la sua corazzata/mecha!
NOTA: questa fanfitcion è estremamente lunga. I capitoli sono lunghi. I tempi di scrittura sono MOLTO lunghi. Lettore avvisato, mezzo salvato ^_-
NOTA 2: Renée NON è un pg originale! Appare nei romanzi, nei fumetti e negli OAV, e la coppia con Soldato J è praticamente canon alla fine degli OAV!
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo -3 - convivenza

Premessa dell'autrice:
- i capitoli -3, -2 e -1 si svolgono prima del capitolo 0.
- questa fanfic è spiccatamente RenéexJ-centrica, c'è azione, ci sono robottoni, ci sono nemici pericolosi, ci sono combattimenti, ci sono intrighi, ma c'è sopratutto SVILUPPO tra quei due. ^_^ Tanto per darvi un'idea di cosa vi aspetta.


(12 mesi al ritorno)
Gli umani spesso pensano che lo spazio sia vuoto.    
In realtà, pochi atomi per metro cubo, in taluni posti, molto più fitti in talaltri, c’è materia.
Soldato J era sempre stato una cosa sola con la sua J-Ark, poteva sentire la sua astronave come se fosse parte del suo corpo… perché, quando si fondeva con essa, diventavano una sola cosa.
E come un assetato che sente se l’aria è secca o umida, sentiva ora che quell’angolo di cosmo era criticamente scarso di atomi.
Praticamente, tutto quello che c’era, erano i resti sparpagliati delle astronavi e dei corpi dei robot del GGG, frantumati dalla battaglia atroce contro gli 11 Soul Master.
Aggrappata al ponte della J-Ark, come un naufrago su una malconcia zattera, c’era la nave di fuga degli umani del GGG; e legate allo scafo della titanica corazzata spaziale, le carcasse semidistrutte degli eroici robot, in cui solo il miracoloso potere della G-Stone permetteva che la scintilla dell’autocoscienza restasse vivo, nelle loro complesse intelligenze artificiali.
Tutto ciò, Soldato J lo avvertiva in modo inconscio, così come un uomo avverte il battito del proprio cuore o la lieve pressione di un vestito sulla pelle.
La sua coscienza tornò lentamente a concentrarsi nel suo corpo, il suo corpo di carne artificiale, sangue sintetico e sofisticatissimi impianti che la mente umana non poteva ancora concepire.
E sull’altro corpo abbandonato sopra il suo.
Renée era ancora priva di sensi, ma le loro mani intrecciate erano saldamente unite, e la G-Stone di lei e il J-Jewel di lui pulsavano delicatamente, all’unisono.
Era calda, così calda rispetto al pavimento, che J percepiva come freddo, rispetto all’aria, rispetto a tutto. Per lui, costruito su un pianeta dall’elevata temperatura, il corpo della ragazza, ustionante per un essere umano, era caldo, ma non bruciante.
Con la coda dell’occhio vide il vecchio scienziato della GGG armeggiare con un piccolo computer da cui uscivano dei cavi, agganciati ai cavi metallici della capigliatura cyborg della ragazza.
-Che stai facendo?- chiese, con un filo di voce. Era molto provato, e non ricordava di essersi mai sentito tanto spossato.
-Controllo le sue funzioni vitali. - il professor Liger batté alcuni tasti, esaminando lo schermo. -Ha usato l’Hyper Mode per troppo tempo, ha delle ferite, ustioni e contusioni superficiali, ed è esausta. Temo possa avere anche lesioni interne, ma dovrò analizzare questi dati a parte. -
Il professore alzò lo sguardo, incrociando attraverso le lenti colorate quello azzurro di J.
-Tu sembri messo peggio di lei. Ma non credo di poter fare molto per te. La tua tecnologia è molto più avanzata della nostra. -
-Non ne ho bisogno: il mio sistema di autoriparazione sta già lavorando. Anche quello della J-Ark è già al lavoro. Presto torneremo in condizioni di perfetta efficienza. -
A riprova di ciò, J fletté dapprima la mano, poi sollevò il braccio destro. Notò con soddisfazione che, in poche ore, i graffi più superficiali erano spariti, e le ferite profonde si stavano richiudendo. Le nanomacchine che costituivano il suo sistema di riparazione stavano dando la priorità ai danni del corpo biologico. Poi, stabilizzate quelle condizioni, sarebbero passati alle componenti elettroniche e meccaniche; infine avrebbero riparato l’armatura e le ali, nonché il sistema generatore del laser della mano.
Lasciò ricadere il braccio sotto la coperta termo-disperdente che copriva Renée, e anche lui, concedendosi qualche istante per guardarsi attorno.
Era nella sala comandi della navicella di salvataggio del GGG, la stessa in cui erano stati preparati i missili con dentro Latio e Arma, per rimandarli sul pianeta azzurro… la Terra.
Al momento, oltre al professor Liger, non c’era nessuno.
Erano passate meno di sei ore da quando i due bambini erano stati rimandati al sistema stellare del GGG con gli ultimi due missili ES. Sicuramente gli umani a bordo erano andati a iniziare a organizzare la loro permanenza a tempo indefinito nello spazio, a bordo di quel piccolo costrutto autosufficiente.
J voleva tornare a bordo della sua J-Ark, ma sentiva che, se avesse provato ad alzarsi, non ce l’avrebbe fatta. O forse, ce l’avrebbe fatta con un enorme sforzo. Ma dato che non era in immediato pericolo di vita, poteva anche aspettare lì che le nanomacchine facessero il loro lavoro.
Liger terminò, chiudendo il piccolo portatile. Poi si rivolse a J: -Manderò qualcuno a portarvi in infermeria. -
J scosse il capo. -Io mi sto già riparando da solo. E Renée… meglio non separare la G-Stone e il J-Jewel, finché non ci saremo ripresi. Se dovessero arrestarsi… sarebbe la fine per entrambi. -
Liger osservò per un attimo le due gemme, unico punto ancora vivacemente colorato dei corpi pallidi e sfiniti dei due cyborg, poi annuì, alzandosi e andando verso la porta.

Quando era davvero esausto, J cadeva in un torpore profondo che gli umani avrebbero chiamato senza dubbio sonno. Era una sorta di veglia sognante, quello stato in cui la mente vaga liberamente dentro e fuori i confini dell’illusione, quella in cui ora il cyborg era scivolato, ancora seduto con la schiena poggiata al muro, una gamba piegata e l’altra distesa, dicendosi che sì, poteva alzarsi, ma in quel momento proprio non ne aveva voglia.
Inoltre, non voleva svegliare Renée.
Lei invece dormiva profondamente, e si era mossa appena appena, nel sonno, per cambiare una posizione scomoda in una un po’ meno fastidiosa.
Contro ogni comune logica e buonsenso, pareva stare abbastanza a suo agio, così accasciata e rannicchiata metà sul pavimento e metà su di lui.
Sulla sua pelle chiara risaltavano ancora abrasioni e tagli. C’era qualcosa di vagamente disturbante nella sua tuta, che praticamente non esisteva più sulle cosce, ma J non riuscì a capire che cosa, almeno a livello conscio. Sembrava così piccola e fragile, pareva quasi impossibile che fosse la stessa donna che aveva combattuto come una furia al suo fianco poche ore prima, rifiutandosi tenacemente di arrendersi e morire.
La sentì muoversi di nuovo, e in quel momento entrò una persona che il guerriero del Pianeta Rosso conosceva bene: Guy.
Se J avesse visto qualche film della Terra, avrebbe senza dubbio pensato che il ragazzo assomigliava a una mummia: il torace, la testa, il collo, le braccia e probabilmente anche le cosce, sotto ai pantaloni, erano interamente bendate e coperte di cerotti.
-Come state tu e Renée, Soldato J?- chiese il terrestre, lasciandosi cadere su una poltroncina.
-Vivi. - fu la laconica risposta del cyborg -Sei comunque in condizioni migliori delle nostre. -
Guy fletté sperimentalmente un braccio. -Beh, io sono un Evoluder…- si schernì modesto -Ma… che cosa è successo alla G-Stone di Renée e al tuo J-Jewel? -
J guardò le due mani intrecciate, riflettendoci su approfonditamente per la prima volta.
-Pare che si potenzino a vicenda. - fu la sua conclusione.
Il silenzio scese tra i due. Guy non sapeva davvero che cosa dire.
-Tu e Renée… siete parenti?-
Guy rimase per un attimo sorpreso da questa domanda. Per quanto effettivamente lo conoscesse poco, non avrebbe ritenuto Soldato J un tipo da imbastire una conversazione qualunque. Almeno non era toccato a lui rompere il ghiaccio, ironizzò tra sé il terrestre: era difficile fare commenti sul bel tempo quando si è nello spazio…
-Beh, si. È figlia di zio Liger, e questo fa di lei mia cugina, ma non ha mai considerato lo zio un padre. Neanche quando le ha ricostruito il corpo, così come mio padre l’ha ricostruito a me dopo l’incidente con lo Shuttle e EI-01, quando Galeon mi ha salvato. - Guy si allungò sulla poltroncina, non nascondendo una smorfia quando un movimento sbagliato gli fece tirare un muscolo ferito -Comunque, è una cyborg, come lo ero io. -
J non fece commenti su quell’”ero”. Si chiedeva infatti ancora che cosa fosse successo a Guy, dato che pareva più simile a un umano, in apparenza, di quando avevano combattuto come alleati contro lo Z-Master. Si ripromise di chiederglielo in un altro momento.
-Ma, per quanto sia abile e forte, le sue capacità di combattimento sono diverse dalle tue. Io ricordo bene il nostro scontro. - dichiarò con fermezza. Niente avrebbe potuto sbiadire la memoria dei duelli con l’unico avversario che si era dimostrato per lui un valido rivale.
Guy annuì. -Lei è… no, meglio che te ne parli lei stessa, se vuole. - scrollò le spalle -È gelosa dei suoi segreti. Ed è una tipa che tende a reagire in maniera violenta, quando irritata. -
-Tu non hai idea di quanto possa essere violenta, quando sono arrabbiata, Guy. - la voce di Renée emerse da sotto la coperta criogenica, e il ragazzo sudò freddo all’idea di aver sfiorato la morte, di nuovo, stavolta per mano della cugina.
Poi lei fece qualcosa che Guy non si sarebbe mai aspettato: sorrise. A J.
-Aaahhh… mi sento come se l’intera Torre Eiffel mi fosse cascata sulla schiena. - si lamentò, ma senza troppa convinzione.
-Prima c’era un individuo a controllare le tue funzioni vitali. Ha detto che hai usato l’Hyper Mode troppo a lungo, e che potresti avere danni rilevanti agli organi interni. - la informò pacatamente il cyborg.
-Ah, mio padre. - Renée scrollò indifferente le spalle.
-Zio Liger era molto preoccupato per te, Renée. Non fare quell’espressione, lo sai che lui ci tiene molto a te. - Guy si alzò -Comunque, ero venuto a vedere se eravate svegli e a dirvi che abbiamo azionato i sintetizzatori della nave, e che la mensa ha iniziato a lavorare. Se avete fame e non ve la sentite di muovervi, posso portarvi qualcosa. -
Non che si aspettasse una risposta affermativa alla sua offerta: quei due erano più testardi di una roccia, da soli, figuriamoci assieme. Non sia mai che si facessero trattare come dei malati o degli infermi!
Come di comune accordo, i due si alzarono, puntellandosi un po’ al muro, un po’ l’un l’altra.
-Meglio non allontanare le due pietre. - disse in tono pratico J, accennando col mento alla G-Stone e al J-Jewel.
Renée si sentiva ora terribilmente in imbarazzo a camminare mano nella mano con J. Non perché fosse lui, quanto per timore che i membri dell’equipaggio la vedessero e lo considerassero un segno di debolezza. Ma non c’era nessuno negli stretti corridoi.
Quando chiese il perché, Guy le disse di abbassare la voce.
-Sono tutti esausti. Più avanti stabiliremo dei turni per usare la sala mensa e quella per il riposo, ma per il momento, sono tutti ammassati a riposare. -
 
La sala mensa era in realtà un locale piccolo e stretto, con seggiole e tavolini imbullonati al pavimento e una macchina nell’angolo che prendeva gli atomi sciolti dal deposito della nave e li riassemblava in acqua e cibo. I cibi ricostruiti erano semplici e non sempre avevano un sapore delizioso, ma erano cibo. Il sintetizzatore e riciclatore della J-Ark, progettato per sostentare l’Arma della nave, faceva un lavoro appena un po’ migliore, notò J, ma era ancora fuori uso probabilmente, quindi bisognava adattarsi.
Guy li lasciò da soli, raggiungendo Mikoto e gli altri per un po’ di riposo. Anche se era un Evoluder, la battaglia lo aveva stremato.
-Voglio tornare sulla J-Ark. - disse a un certo punto J.
Aveva a malapena toccato cibo. In verità, non gli era capitato quasi mai di mangiare, dato che l’energia interna era garantita dal J-Jewel, e al recupero dei materiali necessari alle riparazioni pensavano le nanomacchine. Ma Arma aveva avuto bisogno di mangiare e dormire, e le J-Ark erano attrezzate per il sostentamento dei rispettivi Arma, che avevano una struttura puramente biologica, e a volte aveva tenuto compagnia al suo Arma nei mesi passati assieme.
Inoltre, un supplemento di materie prime per la rigenerazione del suo corpo non avrebbe fatto certo male al suo sistema di autoriparazione.
Renée invece era affamata, a conti fatti erano ventiquattro ore, forse di più, che non toccava cibo, e anche se la sua energia era garantita dalla G-Stone, lo stomaco le ricordava spesso la sua presenza.
-Ti va di venire con me?-
Renée fissò il piatto, arrossendo. Perché no? In compagnia dei normali esseri umani si sentiva sempre una diversa, un essere non più appartenente alla razza umana. Da quando era rinata come cyborg, si era sentita diversa da tutti, dentro e fuori, e si isolava per ciò. Ma ora aveva trovato qualcuno simile a lei, più simile di quanto non le fosse mai stato anche Guy. J.
-Mi farebbe piacere. - gli rispose.

In sole dodici ore, i macrodanni alle zone abitabili e ai meccanismi principali erano stati tamponati, notò J con soddisfazione. Appena la J-Ark veniva danneggiata, si liberavano sciami di nanomacchine che si precipitavano a riparare il danno, moltiplicandosi se necessario.
Allargò le braccia. Ora si sentiva a casa.
L’astronave dei terrestri poteva senza dubbio essere comoda, ma lui si sentiva perfettamente a suo agio solo nella sua astronave, o mentre volteggiava libero nella sconfinata vastità del cielo.
-J-Ark. - si voltò verso Renée, come a svelarle un suo intimo segreto -Parte di me, così come io sono parte di lei. -
Renée si guardava attorno, notando, più che la struttura, gli ingenti danni subiti. Le pareva di ricordare che fossero molto maggiori, e quando lo disse ad alta voce, Soldato J sorrise.
-La J-Ark ha un sistema di autoriparazione a base di nanomacchine. In poco tempo sarà di nuovo integra, e allora potrà riprendere la produzione di missili e mine ES. Anzi, non ce ne sarà neanche bisogno: il dispositivo ES…  - si voltò verso la consolle di comando -J-Ark, calcolo del tempo stimato per la riparazione della struttura e del generatore ES. -
-Calcolo in corso. - la voce acuta e monocorde di Tomoro, il computer di bordo, risuonò nell’aria, per poi tacere.
-Aspetta, generatore ES? Vuoi dire che potremo tornare a casa? Sulla Terra?- esclamò la ragazza, voltandosi di scatto a fissarlo con occhi sgranati.
-Sì, certo; richiederà dal tempo, ma posso riportarvi sul Pianeta Azzurro. - dichiarò con semplicità J, stupito della reazione di Renée.
-E DIRLO PRIMA NO?!- L’onda d’urto non appiattì i capelli del cyborg solo perché essi erano già sparati all’indietro.
-Ma…  che intendi dire…?!- esitò sinceramente spiazzato dall’apparente mancanza di logica di quell’aggressione verbale.
-Che da quel che hai detto sul rimandare Arma e Mamoru sulla Terra prima che fosse troppo tardi, pensavamo che non ci fosse altro modo, oltre a quei due missili, di tornare nel sistema solare!!!-
-No, avete frainteso: la J-Ark deve ripararsi, e ci vorrà del tempo, parecchio tempo; ma io volevo rimandare Arma sulla Terra il prima possibile, perché gliel’avevo promesso…- J fece un passo indietro. Renée lo squadrava dal basso all’alto con sguardo inquisitorio.
-Credevamo di essere tutti bloccati qui sperduti in mezzo al nulla! E adesso ci dici che basterà un po’ di tempo?!-
-Non va bene…?- il poveretto era sempre più perplesso.
Renée si schiaffò la mano sulla faccia. -Certo che va bene. - sospirò -Solo che se l’avessi detto prima… ma va beh, lasciamo perdere…-
J pensò che aveva ancora parecchio da capire dei terrestri. Arma gliel’aveva detto che a volte erano parecchio irrazionali, le donne in particolar modo, ma non aveva mai immaginato fino a questo punto. Così decise di spiegarle la propria posizione nel modo più chiaro possibile:
-Renée, io avevo promesso ad Arma di riportarlo sulla Terra già dopo aver distrutto lo Z-Master. In seguito alle osservazioni che avevamo fatto sulla contrazione dell’Universo, aveva deciso di accantonare questo suo desiderio fino a che non avessimo capito, o risolto, il problema, o quantomeno dopo aver avvisato il GGG. -
-Va bene, va bene…- lei agitò la mano -Informeremo il vecchio e gli altri, dopo. Prima vediamo un po’ quanto tempo ci metterà la J-Ark a tornare in carreggiata. -
In quel momento, Tomoro rispose alla domanda di Soldato J. -Calcolo eseguito. Novemilacentoquattro ore, quattordici minuti e ventitré secondi per una riparazione funzionale al passaggio nell’ES. -
Le labbra di Renée si mossero mentre faceva un rapido calcolo. -Ma sono circa dodici mesi!-
J scosse la testa. -La J-Ark è stata danneggiata in modo quasi irreparabile. Siamo fortunati che sia ancora abbastanza integra da avere la forza di autoripararsi. Le materie necessarie sono molto scarse qui, ma appena i motori saranno in grado di ritornare in funzione, ci sposteremo verso una zona più ricca di materia. -
Renée stava osservando fuori dagli enormi vetri corazzati, appena sostituiti, che si affacciavano sul vasto universo infinito. Non aveva mai avuto veramente il desiderio di trovarsi nello Spazio: il vuoto cosmico non l’attirava per nulla, a differenza di Guy che era stato un pilota di shuttle. Lei amava sentire la terra solida sotto ai piedi, sentire il sole e il vento sulla pelle, e ammirare gli orizzonti della Terra.
Sfiorò il vetro con la mano, guardando il buio fuori, interrotto appena dal vago lucore delle stelle.
-Ci vorrà quindi più di un anno, per tornare sulla Terra?- chiese sottovoce, stringendosi nell’ormai lacero cappotto raffreddante. La sua voce, che poco prima era dura e irata, era ora ridotta a un mormorio.
-Sì, a meno che non si riesca a trovare una zona con una quantità maggiore di materia che si possa usare per le riparazioni. In ogni caso, parecchi mesi. - confermò il cyborg con tono neutro.
La ragazza annuì. Un anno! Sarebbe arrivato di nuovo l’autunno a Parigi, e poi l’inverno, e forse avrebbe nevicato sugli Champs D’Elisée illuminati, e poi la primavera con le fiere dei fiori, e di nuovo l’estate, piena di turisti… e se tutto fosse andato bene, sarebbe tornata per l’autunno.
Più di dodici mesi… in cui quei bastardi della BioNet avrebbero avuto campo libero su tutto il pianeta! Ringhiò tra i denti.
-Chi sono questi della “BioNet”?- chiese J. Renée non si era accorta, ma aveva imprecato contro di loro a bassa voce.
La ragazza si ricordò che non era sola: tanto abituata a schivare la compagnia altrui, che per un attimo s’era dimenticata che J era lì vicino. E ora, era accanto a lei, con espressione cortesemente incuriosita.
-Sono… dei criminali. Io, KouRyu e AnRyu facciamo parte dei Chasseur, un dipartimento francese dedicato alla lotta ai criminali internazionali, che collabora anche col GGG. Loro sono i nostri avversari principali. - strinse a pugno la mano, la destra. -Io ho un conto in sospeso con loro… da molti anni. E non avrò pace finché non li avrò ammazzati tutti, con le mie mani!-
Soldato J sorrise tra sé e sé: la semplice forza fisica di cui la ragazza difettava rispetto a Guy, veniva ampiamente compensata da una tenacia e una testardaggine che non aveva uguali. Aveva già avuto modo di apprezzare questa sua dote meno di ventiquattro ore prima, nel terrificante scontro contro i tre Soul Master che avevano affrontato.
-Sai, ho riflettuto parecchio, in queste ore. Su cosa farò adesso. - guardò lo spazio infinito, quasi fosse un riflesso dei suoi pensieri. -In quanto Soldato J, il mio compito si poteva dire esaurito con l’eliminazione dello Z-Master, e il controllo e l’eliminazione dei Soul Master in quanto programmi difettosi creati da Abel. Ora, però, non ho più nemici, e Arma è tornato sulla Terra per vivere come un normale essere umano. -
Renée lo guardò senza capire.
-Esaurita la mia missione di combattere lo Z-Master, il secondo ordine per priorità è quello di proteggere Arma. E Arma ora vivrà sulla Terra. - si voltò verso Renée -Quindi ho pensato che, oltre a riaccompagnarvi sulla Terra, potrei fermarmici anche io, e offrire il mio aiuto per proteggerla. Magari restando nella zona dove Arma è tornato a vivere. -
Sorrideva.
Quando le loro mani si strinsero di nuovo, Renée arrossì.
-Quel conto che hai in sospeso… accetteresti una mano per saldarlo?- nella sua voce calda si percepiva il sincero desiderio di continuare a lottare al fianco di colei che si era dimostrata una compagna preziosa e degna di rispetto, affinché anche lei potesse realizzare a sua volta lo scopo al quale aveva dedicato la propria esistenza.
-Volentieri. Ma i colpi di grazia voglio darli io. -

Il professor Liger aveva esaurito ogni idea: dove diamine poteva essersi cacciata Renée? L'astronave era grande, è vero, ma non così tanto da perdere una ragazza.
Analizzando i dati scaricati sul suo portatile, aveva visto che molto probabilmente le sue paure erano fondate: le recenti battaglie dovevano averle lasciato alcune lesioni interne, e quindi era opportuno che Renée si facesse vedere dal medico di bordo, e sarebbe stato il caso di fare anche un check up completo dei sistemi cyborg.
Inoltre, era preoccupato per i robot: non avevano pezzi di ricambio per i loro corpi, e anche solo fare la manutenzione alle AI sarebbe stato problematico, nelle loro condizioni. A quel punto, era da valutare la possibilità di portarli all'interno dell'astronave, malgrado il già ridottissimo spazio che avevano a disposizione, per proteggerle.
Dato che Renée non si trovava, decise di uscire con la squadra, che si stava già mettendo i caschi e le tute, per andare a fare la manutenzione alle AI e assicurarsi che, malgrado i danni subiti dai corpi, esse fossero ancora in un ragionevole stato di efficienza.
-Come sono le condizioni dei nostri eroi?-
-Le AI sono in condizioni discrete, tenuto conto di quanto hanno passato, ma i corpi robotici sono danneggiati oltre ogni ragionevole limite per la riparazione. L'unica alternativa sarebbe la sostituzione completa... con pezzi che non abbiamo. - Swan aveva in mano una piccola cartelletta e una matita, legata con dello spago ai fogli. Suo fratello Stallion stava controllando alcuni parametri vitali di Mic sul portatile.
-Professore, noi siamo robot, non importa se i nostri corpi sono danneggiati, possiamo resistere finché le nostre AI continuano a funzionare. - disse Hyoryu.
-Ma lasciarvi così è pericoloso. Se a voi va bene, sarebbe meglio separare le vostre unità AI dai corpi e ripararle all’interno della nave. -

Guy galleggiava da un robot all’altro, e infine si diresse verso Galeon, ancora settato come Genesic GaoGaiGar, e con quel che restava delle Genesic GaoMachine assemblato.
Aveva notato, sconcertato, che il mechanoid aveva un sistema di autoricostruzione. La cosa, rifletté poi, non avrebbe dovuto stupirlo: Galeon era il prodotto di una tecnologia talmente avanzata, rispetto a quella terrestre, che il fatto che avesse un sistema di rigenerazione autonomo non doveva essere nulla di trascendentale. Sarebbe stato bello se anche i brave robot avessero avuto un sistema di autoriparazione.
Parlando di autoriparazione, aveva notato anche che i danni della J-Ark parevano leggermente diminuiti. Si ricordò che doveva aver subito gravi danni dopo la battaglia con lo Z-Master: eppure, era stata in perfetta efficienza prima dello scontro con i Soul Master.
Che anche la J-Ark avesse un sistema di ripristino?
Mentre rientrava ruminando tra sé e sé questi pensieri, venne richiamato da una voce.
-Ehy, Guy... ti stavamo cercando. -
Ecco, parli del diavolo e spuntano le corna: Renée e Soldato J. Erano ancora malconci, la tuta di lei era stracciata in maniera quasi indecente sulle gambe, e sicuramente lo era anche sotto al cooling coat allacciato. J pareva in condizioni un po' migliori, la sua tuta era integra e anche se l'armatura era sbriciolata in parecchi punti, non pareva avere graffi o ferite. Graffi e sbucciature erano spariti dal viso, di nuovo coperto, nella parte superiore, dall'elmo. Ma non era andato parzialmente frantumato? Ricordava di avergli visto chiaramente un occhio, poche ore prima, quando li aveva accompagnati alla sala mensa.
Non si tenevano più per mano, e le rispettive pietre erano di nuovo attive in modo indipendente.
-Anche io cercavo voi, anzi, te Renée: lo zio Liger prima ti cercava come un pazzo, dice che devi farti fare un check up completo delle parti robotiche. -
La ragazza alzò gli occhi al cielo. -Mi sento bene. Non ho problemi. -
Guy alzò un sopracciglio, ma aveva imparato ormai che discutere con Renée era perfettamente inutile: quella ragazza faceva sempre di testa sua.
-E anche un check up medico. O preferisci tenerti lesioni interne?-
Renée sbuffò, ma ripensando a quel che aveva incassato da quella maledetta vespa sadomaso dominatrice, forse era il caso di obbedire, a conti fatti. -J, digli tu di quella cosa. Io vado a farmi dare una revisionata così sia il vecchio che Guy se ne staranno buoni e non scocceranno. Ci vediamo più tardi. - disse al compagno, salutandolo con un cenno della mano.
Il cyborg e l’evoluder la osservarono allontanarsi imbronciata. J sorrideva leggermente, Guy apertamente.
Quando fu certo che la “cuginetta” fosse ormai fuori portata uditiva, si rivolse con un espressione tra il complice e il fintamente dispiaciuto a Soldato J.
-È una testaccia dura, quando ci si mette. -
-È una donna con un carattere forte. Non posso dire di aver conosciuto molte donne, ma lei è estremamente…-
-Rompiscatole? Musona? Vendicativa? Incapace di accettarsi per ciò che è?-
-Combattiva. - terminò J, con fermezza.
Guy scrollò le spalle. -Punti di vista, immagino. Invece, che ci fai qui? Non che tu non possa venire a bordo quando vuoi, ma sei sparito così in fretta, prima…-
-Credo che ci sia stato un fraintendimento. Quando ho detto che Arma e Latio dovevano tornare sulla Terra con gli ultimi due missili ES prima che fosse troppo tardi, intendevo prima che il varco della cometa Galeoria si richiudesse, costringendoli ad attendere con noi che la J-Ark avesse completato le riparazioni. -
-Che intendi dire?- Guy era incredulo. Credeva di aver capito cosa J sottintendesse, ma voleva una conferma: illudersi di poter tornare e poi essere disillusi…
-Tomoro ha completato l’analisi dei danni. La J-Ark sarà in grado di creare varchi ES con il generatore interno e di attraversarli in sicurezza tra poco più di 12 dei vostri mesi. Forse anche in un po’ meno tempo, se troviamo zone più ricche di atomi che possa riutilizzare. - fu la pragmatica spiegazione del cyborg guerriero.
Guy si poggiò alla parete, troppo stupefatto per parlare.
-Dodici mesi? Vuoi dire che… Potremo davvero tornare a casa?-
-Sì. -
Guy distolse lo sguardo. -Kaidou ci aveva raccontato che eravate rimasti molto danneggiati ed eravate finiti a novanta milioni di anni luce, e che in quattro mesi eravate di nuovo a posto… ma io non speravo che… anche ora...-
Soldato J annuì. -Senza dubbio, anche se in quell’occasione la situazione era diversa: i danni non erano così estesi, eravamo vicini a una nube atomica da cui prelevare materiale per il ripristino, e avevamo abbastanza armi ES per poter arrivare agevolmente fino al sistema solare anche se le riparazioni non fossero state complete. Ora... è un miracolo che la J-Ark sia rimasta in un pezzo unico. Per questo è necessario più del triplo del tempo. -
Guy parve pensarci un attimo. -Da quel che ho capito, uno dei limiti è dato dalla scarsità di materiali, giusto? -
-Esatto. Servono metalli, e questa zona ne è terribilmente sprovvista: a parte i frammenti della vostra stazione spaziale, non c'è molto altro. E ne sono rimaste solo briciole. -
Guy si illuminò. -Ti sbagli! Ci sono i moduli delle tre astronavi distaccatisi quando abbiamo attivato il Goldion Crusher! Devono essere ancora da qualche parte, a galleggiare nello spazio. Se riuscissimo a recuperarli, non solo avresti materiale per riparare alla svelta la J-Ark, ma probabilmente ritroveremmo anche parte delle attrezzature necessarie alla manutenzione dei nostri compagni là fuori, e quelle per il sostentamento della vita umana, da integrare a questo modulo di salvataggio!-
-Questa è una buona notizia. Anche io desidero tornare nei pressi del Pianeta Azzurro. -
-Andiamo a dirlo al Comandate Capo Taiga e a tutti gli altri!- Guy si voltò facendo segno a J di seguirlo, quasi mettendosi a correre per i corridoi.

Mikoto batteva i tasti della tastiera con dita veloci ed esperte. Per quasi due anni era stata una dei responsabili della manutenzione del corpo cyborg di Guy, in particolare del monitoraggio attraverso la connessione alle macchine.
La (relativamente) piccola astronave non era attrezzata di una sala con attrezzature come quella che aveva al dipartimento del Chasseur, ma Renée sapeva di doversi accontentare del pavimento e di un paio di computer collegati ai cavi della testa.
Al cavo della testa, il sinistro, dato che il destro era spezzato.
-È davvero strano… ci sono delle lesioni agli impianti interni, ma non gravi come pareva dalla prima analisi del professor Liger…- annunciò la rossa operatrice.
Da dietro la sua spalla, anche Swan controllava e annuiva a quanto stava dicendo Mikoto.
Una dottoressa, armata di guanti termoresistenti e di generatori di freddo puntati sul corpo della cyborg, le stava facendo una visita medica.
-Non mi pare ci siano lesioni interne gravi, a una prima analisi. - stava dicendo. Non le ascultò il cuore: il muscolo cardiaco di Renée era stato sostituito inizialmente da una rozza pompa sperimentale dalla BioNet, e in seguito da una sofisticata protesi in acciaio e titanio dal professor Liger. Parte dei polmoni erano stati ricostruiti dopo che gli esperimenti a cui l'avevano sottoposta gli scienziati della BioNet glie li avevano parzialmente danneggiati. Per lo stesso motivo, lo stomaco aveva una piccola parte di parete sostituita con materiale fibro-sintetico. Altri organi interni si erano miracolosamente salvati dall’essere sostituiti da parti meccaniche o rimossi, come la milza, il fegato e la maggior parte dell’intestino. Di sicuro tutto l’apparato riproduttivo era andato perduto, ma se non altro, non era più affetta da cinque giorni al mese di irritabilità… anche se qualcuno diceva che pareva SEMPRE in periodo pre-mestruale, per come si comportava.
-L’avevo detto che stavo bene. Sono solo un po’ acciaccata. -
-OH MY GOD! Che cosa è questo?!- la voce acuta di Swan attirò l’attenzione della dottoressa e di Renée.
La cyborg gattonò fino alle altre due donne, guardando lo schermo che mostrava l’interno del suo corpo. Un ingrandimento a livello cellulare mostrava delle microscopiche macchine che si affaccendavano attorno al suo pancreas, ricostruendolo e stimolando la divisione cellulare.
-Sembrerebbero… nanomacchine?- azzardò Mikoto.
Nanomacchine.    
La tecnologia che aveva creato la J-Ark, e che J usava per i lavori delicati come la manutenzione di microscopici circuiti… o dei corpi cyborg.
Dovevano esserle entrate nel corpo dalla J-Ark mentre era a bordo, oppure mentre era a contatto con J: avevano rilevato dei meccanismi rotti e organi danneggiati, e si erano attivate per ripararli.
Sentì il calore salirle alle guance.
-Se lo sono, tra poco lo scoprirò. - disse, alzandosi e afferrando il cooling coat, indossandolo prima di uscire dai getti di aria raffreddante e chiudendolo con mano esperta.
La tuta da combattimento era stracciata in maniera quasi oscena, e finché non ne avesse potuta ottenere un’altra dal sistema di sostentamento della nave, avrebbe dovuto tenersi quella. Oh beh, finché teneva il cappotto chiuso nessuno poteva notarla.
Ignorò le proteste e gli accorati richiami delle tre donne, piantandole lì e tornando nella camera stagna dalla quale si passava dalla navicella alla zona abitativa della J-Ark. Buffo, pensò, un’astronave così immensa e una zona abitativa di non più di cinquecento metri quadrati, quasi tutti  di ponte di comando.
Soldato J non era a bordo della J-Ark, quindi poteva essere solo nell’astronave del GGG.
Seccata, tornò a cercarlo dall’altra parte.
Non trovò nessuno nei corridoi. Nessuno nella sala mensa. Neppure nelle cabine da usare a rotazione per dormire.
L’ultimo posto dove poteva cercare era il ponte di comando, che tra l’altro era l’unica stanza abbastanza grande da contenere tutti i presenti contemporaneamente.
Infatti erano tutti lì: Taiga stava dando un annuncio.
L’annuncio che la loro permanenza nello spazio sarebbe stata lunga, sì, ma non indefinita.
La J-Ark avrebbe potuto aprire varchi ES tra un anno, e avrebbero potuto tornare a casa.
Renée sorrise, ammorbidendosi un poco nel vedere l’esultanza e la gioia di quella quarantina scarsa di persone, gli abbracci, le lacrime. Una sottile stilettata di invidia nel vedere gli abbracci. Un piacere semplice e antico che a lei non era più concesso.
Una mano le si posò sulla spalla.
-Pare davvero che avessero tutti frainteso le mie parole. -
Renée si voltò. Anche J fissava gli astronauti obbligati, adesso in festa.
-Erano parecchio fraintendibili. L’importante è che si riesca a tornare a casa. - Renée scrollò le spalle. -Ah, giusto…- ricordò, e si guardò attorno. Non voleva parlarne lì. Lo prese per un polso e lo trascinò quasi di peso nel corridoio che univa il ponte di comando dalla zona abitativa. In quel momento il pudore le dava difficoltà a guardarlo direttamente negli occhi, ma non le impedì di affrontare l'argomento con il suo tipico modo diretto e senza giri di parole:
-Ci sono delle nanomacchine nel mio corpo, che stanno riparando tessuti e impianti. Ne sai qualcosa?-
-La vostra tecnologia non le ha sviluppate, se non sbaglio…- esordì lui, incerto di dove la terrestre volesse andare a parare.
-Precisamente…-
-Posso supporre quindi che siano quelle dei nostri sistemi di riparazione, che hanno rilevato impianti danneggiati, i tuoi, e si siano attivate. - concluse, spiegando la situazione per lui elementare.
Renée arrossì -Ma quando? Mentre eravamo sulla J-Ark? O…- non poté continuare: davanti agli occhi le si era parata l'immagine di loro due, mani strette come se non potessero essere separate neppure dalla forza più grande del cosmo, uniti in un abbraccio in grado di generare un potere che mai prima da soli avevano potuto emanare, e in seguito alla battaglia, accoccolati insieme nel riposo reso più dolce e confortante dalla vicinanza reciproca, che per anni le era stata preclusa...
-Penso prima...-
Renée arrossì vistosamente.
-Qualcosa non va?- le chiese J, la sua mentalità plasmata sui campi di battaglia incapace di comprendere tale umanissima reazione.
-No, è solo che…- Renée serrò le labbra, guardando per terra. -Non mi piace che qualcuno o qualcosa metta mano al mio corpo senza che io lo sappia. Sono stata trattata come una bambola smontabile già abbastanza volte. - confessò tra i denti questo peso che le gravava sull'anima, ma avvertendo dentro sé la certezza che lui avrebbe rispettato una confidenza tanto personale.
-Posso assicurarti che non era una cosa voluta. Vuoi che le faccia richiamare da Tomoro?- chiese con rispettosa cortesia.
-No… - inspirò a fondo -No, ormai sono qui… che finiscano il loro lavoro, così almeno sarà un pensiero in meno. Non credo che potrebbero farmi la manutenzione agli impianti come al Chasseur, in queste condizioni. -
-Non capisco allora dove sia il problema…- J era sempre più sconcertato. Accettava o no le nanomacchine di riparazione nel suo corpo?
Lei gli fece un mezzo sorriso, voltandosi e tornando sul ponte di comando.
-Uno di questi giorni te lo spiegherò… tanto, abbiamo tutto il tempo che vogliamo…-

  
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