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Autore: L_aura_grey    16/04/2013    2 recensioni
Un ultimo miracolo? Potresti? Per me
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Un ultimo miracolo. Potresti? Per me”





 

 
“Lo sai, Sherlock? Lo sai cosa ho fatto dopo quello?”

John continuò a far girare il cucchiaio nella tazza, osservando lo zucchero che si scioglieva pian piano, vorticando per la corrente sul fondo.

Non attese la risposta del suo interlocutore, che dal canto suo non aveva ancora fiatato da quando, silenzioso, aveva fatto in punta di piedi le scale e si era introdotto nel suo studio, arrivandogli alle spalle sue e della poltrona su cui sedeva.

“Ho lasciato tutto com’era. Non ho toccato nulla. Né mia, né… tua” non tremava, la sua voce ferma, tranquilla, anche. Dall’esterno sarebbe potuto parere che stesse discorrendo del tempo con un suo neanche stretto conoscente. E invece, erano di un fantasma  le orecchie a cui arrivavano le sue parole.

“Me ne sono semplicemente andato, preso una nuova casa, nuovi vestiti, nuove abitudini, nuovi vicini, nuovi amici…”

Ridacchiò, davanti a quelle parole vere quanto false, perché non riusciva più a definire la parola “amico”. Non dopo aver conosciuto lui. Non dopo che lui era stato il suo migliore amico.

Chiuse gli occhi, da quel silenzio che non era imbarazzato e che trasmetteva più di quel che riusciva anche solo immaginare. Sapeva cosa stava facendo. Lo conosceva troppo bene per non sapere.

Lo stava studiando.

Osservando ogni più piccola piega, più minuscola macchia o strappo. E poi il suo piccolo studiolo, il computer aperto e acceso sul tavolo, lasciato in costante attività, sempre sulla stessa pagina. Quella del suo blog, che era tornata esattamente com’era prima che lo conoscesse.

Bianca.

Come la sua vita, d'altronde.

Ma poi lui se n’era andato… no.

Era morto.

La pagina aperta in attesa di qualcosa di nuovo da scrivere.

E lui era morto.

“Te ne sei andato, Sherlock. Sei uscito dalle nostre vite”

Gli dava le spalle. Osservava la sua figura poco definita nel vetro della finestra. Il cielo  coperto, come sempre, ma abbastanza chiaro da non permettergli di vedere il suo volto, ma solo il contorno, quei riccioli scuri, le spalle aperte e squadrate. Un fantasma.

Era solo quello.

Perché lui era morto.

Non sarebbe tornato. Non sarebbe dovuto tornare.

Avrebbe dovuto lasciare quella pagina bianca.

“Un miracolo, Sherlock… solo quello ti ho chiesto, per la prima e ultima volta”

Rialzò le palpebre, gli occhi asciutti.

Non aveva pianto quando lui era morto. Ed ora lo era ancora. Perché piangere?

Ora o mai più, ho pensato. Torna ora, Sherlock, o non tornare più… non osare più

E allora perché tremava? Perché le mani lo tradivano in quel modo, decise a mostrare fuori ciò che in realtà non era dentro. Non doveva essere dentro.

Perché lui era morto, buttandosi da quel palazzo. Ma erano caduti in due, quel giorno, e nessuno dei due si era in realtà rialzato da quell’asfalto che li aveva accolti, freddo e ruvido, sporco e duro, doloroso e mortale. In due.

“Sei uscito dalle nostre vite. Hai avuto la tua occasione” sussurrata davanti a quella lapide, certo, ma… Ora o mai più  “Non osare distruggerci ancora!” ecco. Lo sapeva. Voleva essere atono, non lasciar trapelare nulla. E invece aveva finito per alzare la voce.  Anche la lacrima che, traditrice, aveva deciso di troneggiare sulla sua guancia, diceva troppo. E quella stronza sembrava decisa a portarne altre con sé, cascate su quelle dannate e scavate guance.

Ma era meglio riempire di acqua e sale una pagina, anche se fatta di numeri e non di carta, che farlo con nuove e dolorose parole. Perché, in fondo, il soldato John Watson era stato rotto, dalla guerra, dalla morte, per poter essere riparato, ancora una volta.

Era chiedere troppo.

E poi ormai Sherlock era morto.

Morto.

Non poteva tornare indietro. Non doveva.

“Sei uscito dalle nostre vite. Non tornarci più”

Lui lo aveva visto morire.

Privilegiato testimone delle sue ultime, sciocche, false parole.

Lo aveva odiato, anche, per quello. Che dicesse qualcosa di vero, profondo, non sciocchezze atte solo a fare male a lui e a se stesso? E invece no. Aveva fatto, come suo solito, la cosa sbagliata. Perché più di tutto Sherlock era quello. Il genio degli sbagli. Aveva sbagliato tutto. Eppure gli sarebbe bastato fare la cosa giusta, fidarsi di lui, e un modo lo avrebbero trovato  alla fine. Lo sapeva. E se anche fosse morto, non gli sarebbe importato.

Perché pagine rosse sono meglio di quelle bianche.

“Ti ho visto cadere…” erano spenti i suoi occhi, lo sapeva, e vedevano non il vetro e ciò che rifletteva, ma una scena molto più macabra. Quel corpo, coperto di nero, il consunto ma elegante cappotto, la ridicola sciarpa, gli scurissimi ricci, sospeso in aria e tagliati dal vento; un angelo, quasi.

Se solo…

Li aveva visti.

Quegli occhi azzurrissimi aperti sullo stesso vuoto che lo aveva inghiottito.

Li aveva visti e aveva capito: non sarebbe più tornato.

Eppure, di nuovo, davanti a quella tomba solitaria, quella lapide sui cui poco, nulla, c’era scritto, se non il nome, del corpo dell’uomo straordinario a cui era appartenuto, di nuovo aveva ceduto e aveva osato chiedere un ultimo, piccolo, impossibile miracolo.

Ora o mai più.

Di nuovo si era rotto.

Ma ora basta.

“Tu sei morto, Sherlock. Non disonorare la tua memoria, e rimani uno stupido morto” strinse quelle maledette mani, le strinse così forte che smisero di tremare, e quasi non sentiva i solchi che si stava creando con le unghie.

Morse quel maledetto labbro che tremava, tremava anche lui fortissimo, soprattutto quando sentiva il sapore dolciastro e salato delle lacrime entrare piano ma inesorabile nella bocca, giù per la gola, e dritto, per qualche assurdo e impossibile modo nel cuore.

Non lo sentì muovere, e aveva di nuovo chiuso gli occhi. Per questo sobbalzò, quando sentì la porta chiudersi all’improvviso  alle sue spalle. A quanto pare se n’era andato. Era quello che voleva. Ardentemente. Ma che non si aspettava.

Ma in fondo era meglio così.

L’ora era passato, ed era nel tempo del mai più, ormai.

Sherlock era morto. Non poteva essere tornato. Non poteva aver salito le scale, aperto la porta e atteso in silenzio che smettesse di sfogarsi.

Non poteva afferrare con forza il bracciolo della poltrona, girarla fino a trovarsela davanti. Non poteva piegarsi su di lui appoggiando il morbidi ricci sulla sua fronte. Non poteva respirare piano, sulla sua bocca, fino ad annullare quella ridicola distanza.

Non poteva, perché era morto.

Eppure, quando riaprì gli occhi, non erano quelli di un fantasma, i cieli azzurri e non grigi che si era trovato davanti.
 
 
“Dottor Watson…” era un respiro caldo, sapeva di tabacco, sapeva di lui “Immagino che sia d’obbligo dire che mi sei mancato
 

“Ora o mai più”
“Sono rotto, Sherlock, e per quanto io lo desideri, non potrò più essere riparato”

 
 
 



 ***


 

 
 
Piccolo sfogo sul quel bellissimo finale di merda della seconda serie. In onore alle mie lacrime, e a quelle che John Watson ha versato. Con affetto: Fanculo, Sherlock.
   
 
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