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Autore: ScleratissimaGiu    16/04/2013    0 recensioni
Serial killer a Seattle: sei persone sono già morte. Era il primo caso per Julie, nuovo membro dell'Unità Analisi Comportamentale arrivata fresca fresca dalla CIA. Ma lei non si sentiva sicura... e forse, visto quello che è successo, aveva ragione.
La storia è dedicata a BecauseOfMusic_, che mi sopporta, mi corregge ed ispira :)
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“È tutta colpa tua! Sei un incapace Peter!”
Suo padre glielo stava urlando da circa un’ora, e Peter continuava a scusarsi piangendo, ma serviva solo a farlo urlare più forte.
Sapeva che l’avrebbero preso, era solo questione di tempo, ma da quando si era accorto di aver perso la collana suo padre non aveva smesso un attimo di rimproverarlo.
“Ti prego, papà…” rantolò, appoggiandosi contro una parete del soggiorno con le mani ben premute contro le orecchie.
“Non fare la femminuccia, adesso!” aveva risposto suo padre “Dovevi fare solo una cosa: attenzione! Ecco che dovevi fare! Ma tu no, hai buttato tutto al cesso per quella stupida collana!”
“Ma me l’aveva regalata la mamma…” farfugliò l’uomo, cercando di reggersi in piedi.
“Non importa, chi te l’ha regalata! Lo vedi quel foglio, Peter? Quel foglio che c’è sul tavolo? Hai mandato tutto a rotoli, disgraziato!” sbraitò ancora la voce, senza dar segno di volersi calmare.
“Non è stata colpa sua, Arthur…” mormorò la voce di sua madre.
“Zitta tu! Sto facendo un discorso serio con nostro figlio, Amanda. Non voglio che t’intrometti”.
Poi iniziarono le allucinazioni.
Vide suo padre e sua madre discutere animatamente vicino al divano, e suo fratello tapparsi le orecchie vicino alla porta della sua camera.
Artur si voltò di nuovo verso di lui.
- Capisci la gravità di quello che hai fatto, Peter? - gli chiese.
- Io… 
- Rispondi! - urlò.
- Sì, sì… mi dispiace… 
- Non servono a nulla, quelle scuse… ci lascerai invendicati, te ne rendi conto?! Avevi promesso che li avresti presi tutti, e invece stai mollando, come fa un perdente! Dimmi, tu sei un perdente?
- No, papà… non lo sono…
- Dimostralo, allora! Facci vedere che non sei un lurido perdente!
- Arthur, forse è il caso di lasciarlo in pace… - provò ancora sua moglie, e, per tutta risposta, Arthur le rifilò un sonoro scapaccione.
Randall iniziò a piagnucolare.
- Sta’ zitto, Randy! Fila via!
Il bambino si rifugiò in camera di Peter, e non riapparve più.
- Allora, Peter… - continuò suo padre - sei in grado di capire che cosa devi fare? 
L’uomo annuì.
Aveva capito perfettamente.
Arthur sorrise, cosa che fece sorridere anche suo figlio.
Lo aveva sempre desiderato tanto, quel sorriso.
- Vai, figliolo. Rendici fieri di te.
 
 
 
 
 
Mi passai una mano tra i capelli castani e ricontrollai lo schermo del mio cellulare: niente, Garcia non aveva ancora chiamato.
Aspettavamo due risultati dalle sue analisi: di chi fossero le impronte sullo specchio, e chi fosse il malcapitato che era finito sotto la metro.
Mi si chiudevano gli occhi, dunque decisi che la cosa più utile che potessi fare era riposare, seppur per poco, lì seduta.
Quando entrai nel dormiveglia, fui svegliata da un rumore di sedie vicine a me.
Aprii istintivamente gli occhi, e vidi che Hotch e Rossi si erano seduti proprio di fronte a me, a guardarmi.
- Siamo preoccupati per te, - disse Hotch.
- Come mai? - chiesi, la voce ancora impastata dal sonno.
- Emily ci ha raccontato dell’interrogatorio di Hudson… - continuò Rossi.
- Sentite, ho solo perso il controllo per un attimo…
- Non puoi perdere il controllo nemmeno per un attimo, quando fai questo lavoro, Julie. Dovresti saperlo bene - riprese Hotch.
Lo guardai.
Sapevo esattamente a cosa alludesse, e non avevo la benché minima intenzione di farmi mettere i piedi in testa da loro, neanche se erano i miei superiori.
- È stato solo un incidente, non è stata colpa mia - affermai con sicurezza.
- Un incidente che è costato la vita a tre agenti, - replicò Rossi, con tono di sfida.
Caddi nella trappola come un topo affamato.
Sbattei un pugno sul tavolo, furiosa.
- Si sono messi in pericolo da soli, non ho potuto…
- … fare niente? Già, come non ha potuto fare niente Hudson, solo che lui aveva una scusa vera, Julie. Tu no.
- Era una minaccia terroristica, tutti sapevano bene a cosa andavano incontro. Non è stata colpa mia.
- Tu dirigevi le operazioni, per l’amor del cielo! Era tuo compito far sì che non accadesse nulla!
- Dave, adesso calmati… - provò a calmarlo Hotch, mettendogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Ma sono convinta che anche lui sapesse che io e Rossi avevamo lo stesso carattere grintoso e testardo, quindi era una partita persa cercare di calmarci.
Ed infatti, continuò a punzecchiarmi.
- Tre agenti morti sotto il tuo comando, ecco perché ti hanno spedita qui. Avevi delle buone credenziali, è bastata una buona parola del governo per farti entrare all’Unità, non è vero? Non è andata così, signorina Bolton?
- È stato un tragico incidente, ok? Avevo dato chiare istruzioni dicendo che dovevano aspettare il mio ordine… ho mandato una lettera personalmente alle famiglie…
- Credi davvero che una lettera di condoglianze possa migliorare la situazione? Se dovesse accadere la stessa cosa qui, ne manderesti una alle nostre famiglie? Guarda.
Si alzò bruscamente, facendo quasi cadere la sedia, prontamente retta da Hotch, e indicò gli agenti presenti nell’open space del dipartimento di polizia di Seattle.
- JJ ha un marito e un figlio, Morgan una madre e due sorelle, per Emily non dovresti preoccuparti più di tanto e nemmeno per me, Hotch ha un figlio piccolo, la madre di Reid è schizofrenica ed è rinchiusa in un manicomio a Las Vegas, lui la vede raramente. Saresti pronta a scrivere delle lettere di condoglianze per noi? Proveresti un po’ di rimorso per noi, o lo fingeresti dicendo che ‘sapevamo bene a cosa andavamo incontro’?
Rimasi zitta.
Non perché non sapessi cosa rispondere, anzi; ma perché sentivo le lacrime salire agli occhi.
Mi alzai e uscii dall’ufficio, dirigendomi in bagno.
Fu la prima volta in cui mi resi conto di cosa avevo fatto durante quella dannata operazione antiterrorismo.
 
 
- Quando si parte per una missione come questa, bisogna valutarne tutti i rischi - iniziai a spiegare.
Davanti a me erano schierati pressappoco una decina di agenti speciali della CIA, già vestiti con i giubbetti antiproiettile e tutto il resto.
Avevamo individuato il nascondiglio di Moahmmad Al Jamal, uno dei membri principali della cellula terroristica di Al Quaeda, che stava progettando un attentato a Langley, la nostra sede.
Volevano farci saltare in aria perché eravamo riusciti a sgominare un traffico di armi illegale tra Al Quaeda e alcuni poliziotti che avrebbero fatto arrivare le armi di nascosto ai terroristi in America.
Il comando mi era stato assegnato direttamente da John Brennan, il direttore, il che voleva dire che ero una delle migliori… ma questo non era quello che pensavano i miei sottoposti.
Avevo solo ventiquattro anni, occhioni color nocciola innocenti e lunghi capelli castani: più che un’agente della CIA, sembravo una ragazza del college che si era ritrovata lì per caso.
Uno dei miei principali vantaggi è sempre stato il carattere risoluto e schietto, avvezzo a comandare e poco incline ad essere comandata.
Sì, ero una piuttosto irritante, ma non ero alla CIA per farmi degli amici: ero lì per lavorare ed essere la migliore, cosa che ho sempre voluto e ottenuto da quando ero piccola.
Non potevo immaginare che avrei perso degli agenti, quella sera.
Quando arrivammo al nascondiglio, tre dei miei uomini entrarono senza autorizzazione e furono coinvolti in un conflitto a fuoco in cui morirono.
Erano i primi che morivano sotto il mio comando, e la cosa, anche se l’agente Rossi al momento non ci credeva, mi devastò.
Riuscii ad assimilarla dopo parecchio tempo, riuscii a capire che non era colpa mia… anche se forse un po’ lo era.
Sono stata io a richiedere il trasferimento all’Unità: volevo liberarmi da quell’odioso fardello, dalle occhiate dei miei colleghi, dalla brutta reputazione.
Brennan si occupò personalmente del trasferimento, e ovviamente fu costretto a rivelare quel che era successo a Hotch e Rossi.
Fantasmi del passato.  Scheletri nell’armadio.
Le cose più orrende da dover sopportare.
 
 
 
- Julie, stai bene?
La voce di Emily che bussava alla porta del bagno mi liberò da quegli incubi.
Feci scattare la serratura, e lei aprì la porta.
- Che ti succede? - mi chiese, chinandosi.
- Sono un disastro… - farfugliai tra le lacrime. 
Le raccontai la mia storia, e quello che era successo con Rossi.
- Non è stata colpa tua, - affermò lei, convinta.
- Io li ho fatti uccidere, Emily! Non posso più rimediare…
- Tu che colpa hai avuto, se quelli sono entrati senza autorizzazione? Non prevedi il futuro, Julie. Non lo potevi sapere.
- Rossi ha ragione… 
- No, Rossi non ha ragione. Non sa come può essere perdere degli uomini durante un’operazione, tu sì. Sei tu quella che ha ragione.
La guardai.
Mi sorrise, e l’abbracciai: per la prima volta, mi sentii parte della squadra.
Era una sensazione fantastica.
- Ragazze, Garcia ha qualcosa! - ci urlò JJ da fuori, e noi corremmo nell’open space.
- Cosa ci dici, bambolina? - le domandò Morgan.
- La vittima si chiamava Marcus Smiths, sessantadue anni. Precedenti penali per spaccio e uso di metanfetamine, ma c’è qualcosa di interessante.
- Cosa? - chiese Hotch.
- Sono riuscita a trovare un collegamento fra tutte e sette le vittime. Ricordate che Luke Arrows e Dylan Cox avevano partecipato ad una mega truffa, vero? Beh, sembra che la truffa sia stata ai danni dell’unica fabbrica d’auto d’epoca di Seattle, la American’s Old Cars.
- Bene, ok, ma che c’entra?
- Seguitemi per un attimo. Parecchi anni prima, Carl Hale e Sylvia Dalton erano stati licenziati dall’ospedale in cui lavoravano per aver ucciso con un’iniezione letale Amanda Gordon, pestata a morte dal marito. Una settimana dopo, Mary Ann Johnson e Caroline White hanno ucciso Arthur Gordon, il marito di Amanda, e suo figlio Randall, di cinque anni, e sono state identificate dall’unico superstite, il figlio maggiore Peter, di dieci anni.
- Com’è riuscito a sopravvivere?
- Gli hanno sparato, ma il proiettile si è conficcato nella collana che portava. E l’ultima vittima, , è stata indagata per spaccio di metanfetamine a persone soggette a schizofrenia, tra i quali Arthur Gordon.
- La schizofrenia è una malattia genetica, - osservai.
- Sto continuando a controllare se c’è qualcos’altro che può esservi utile, ma mi ci vorrà un pochino di tempo…
- Garcia, puoi darci l’indirizzo di Peter Gordon?
- 24, Spring Street, Seattle.
Questa volta niente sarebbe andato storto.
 
 
 
Una dedica speciale va a Martina, che mi aiuta a trovare i nomi per le mie storie, e Livia: per lei non c'è il dottor Reid, per lei c'è il dottor Red... e ho detto tutto. Siete fantastiche ragazze <3
  
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