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Autore: aniasolary    16/04/2013    8 recensioni
Will aspettò che Jem parlasse, lo stomaco che gli faceva male, il punto in cui vorticavano tutti i sentimenti che poteva permettersi di sentire.
«Sì, Will. Sarò il tuo parabatai.»
Un missing moment su Jem e Will. No spoiler.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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in pulvere et umbra

In pulvere et umbra

jemwill

 

Steso di schiena, i capelli neri scompigliati e un libro sulle ginocchia, Will Herondale aspettava anche se non sapeva di aspettare. Si alzò un po’ di vento, un mucchio di pagine si spostò all’improvviso, e lui non riuscì a trattenere uno sbuffo infastidito, perché quella storia l’aveva preso così tanto da non buttare nemmeno uno sguardo al lato della pagina, dove veniva indicato il numero.

«Will Herondale?»

Will si voltò, lasciando che il pollice mantenesse il segno fra i fogli. Alzò il viso e i capelli neri gli sfiorarono la mascella leggermente, mentre assottigliava le palpebre chiare in uno sguardo indagatore, gli occhi blu accesi e lucidi.

Si sfiorò la runa del coraggio sul collo.

«Non ho paura di…» Voi? Te? Cosa? «Dei fantasmi. Come conoscete il mio nome?» La sua voce salì di un ottava rivelando, nel tono brusco, la sua sfumatura ancora infantile.

L’aria condensata in sembianze di una donna anziana dai colori che oscillavano dal bianco all’azzurrino si mosse facendo volare le foglie secche sulla terra, delle catene quasi trasparenti chiusi intorno ai suoi polsi. Will ebbe l’istinto di indietreggiare, ma c’era il marmo di una lapide a tenerlo fermo. Di tutti i posti in cui poteva andare aveva scelto il cimitero, per stare lontano dalle persone e, forse, perché era un posto che gli infondeva calma. Quante volte quella pulce dagli occhi blu aveva corso nelle campagne in cui si trovavano le tombe dei loro nonni, e lui ed Ella la chiamavano, e lei, piccola e con il sorriso, rideva…

«Tutti sanno chi sei, Will Herondale. Anche fra i morti. Le storie degli Shadowhunters si diffondono in fretta.»

Will inarcò le sopraciglia, e il suo viso dai lineamenti delicati, i capelli neri a incorniciarlo, le labbra rosee stirate in un sorriso e gli occhi blu a ridere ancora prima della sua bocca, non potevano che essere lo schizzo di quello che sarebbe stato uno splendido, giovane uomo.

«Non l’avrei mai detto, fantasma. Voglio dire, sapevo di avere diversi ammiratori fra i Nephilim, ma qui…»

«Il mio nome è Molly.»

Will si mise in piedi e, con la mano libera, scosse la polvere con cui si era sporcato i pantaloni. «Non mi interessa.»

«Faresti bene ad essere più rispettoso, piccolo Shadowhunter. Quanti anni hai? Al massimo quattordici…»

«Io non parlo coi morti.» Will oltrepassò la tomba in pietra a cui si era appoggiato per raggiungere la parte di terra senza costruzioni. Per tornare a casa. All’istituto. Perché di sicuro lui…

«Dovresti farci l’abitudine, invece. A parlare coi morti, intendo.»

Will restò fermo. Si sentì solo pietrificato, come le statue di tutti quegli angeli nel cimitero, angeli immobili e bianchi sporchi di terra e polvere e foglie, creature del bosco come se fossero piante. Will sentì freddo, quello che aveva percepito appena quando Molly si era avvicinata a lui. L’unica cosa che riuscì a fare fu stringere i denti, reprimere i brividi che minacciavano di fargli cadere il libro di mano, nascondere quella debolezza che lo avrebbe solo tradito.

Immobile, Will Herondale.

«Ti ho detto che le storie girano in fretta,» continuò Molly, e Will non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che se la ritrovò di fronte con il suo rumore di catene e vento, il viso evanescente contro cui avrebbe voluto solo sputare. «Perché, Nephilim? Morite sempre giovani, lo so. E so anche che diventare parabatai significa, oltre tutte quelle bazzecole di ammirazione, avere uno la forza dell’altro. E quello che vuoi fare tu è andare proprio in braccio alla morte… Non tutti restano qui, Shadowhunter. E se lui non restasse?»

I pensieri vorticavano nel cuore di Will.

Lui resterà.

«Tu non capisci.»

Lui non può lasciarmi.

Molly fece un respiro profondo che venne fuori solo con dell’altra aria gelida. Guardò il piccolo Shadowhunter allontanarsi e pensò, fra sé e sé, per quale motivo gli umani facessero delle scelte di cui si sarebbe presto pentiti. Ma pensò anche che non l’avrebbe mai capito.

Will Herondale era un ragazzino che aveva lasciato la sua famiglia per diventare cacciatore, mentre  l’altro – il nome non se lo ricordava mai – era destinato a morire in un paio d’anni. Legarsi per sempre a lui era un modo per lasciarsi morire prima del tempo. E chi aveva fretta di morire? Lei non ce l’aveva mai avuta, anche quando aveva dimenticato il dolore nel dolore. Semplicemente, Molly avrebbe voluto capire che cosa poteva portare una persona ad amarne un’altra così tanto da non riportarla indietro, ma da andare sulla sua stessa strada.

Perché Will Herondale, nel suo cuore, ne era sicuro.

Sarebbe sempre stato dove c’era lui.

«Sapevo che eri qui, Will.»

Will sentì chiamare il suo nome, e non era la gelida, affilata voce di Molly il fantasma. Era qualcosa che gli ricordava i fiori di ciliegio che suo padre portava a casa per posarli fra i capelli di Ella, qualcosa che gli ricordava dolcezza, allo stesso tempo fatica, affanno, la bruciatura delle rune, il lancio dei coltelli, i giorni nuvolosi a cercare il sole senza guardare il cielo. Lo aspettava, adesso lo sapeva.

E sapeva che lui sarebbe arrivato.

Will aprì le braccia, come esasperato, con un sorriso che contrastava con il grigio e il nero del cimitero, e Jem si fece avanti da dietro un alberò con il silenzio di un’ombra, le guance leggermente accaldate, i capelli ora quasi del tutto argentati, come uno spruzzo di polvere di fata sulla sua testa.

«Perché noi siamo uniti, Jem Carstairs.»

 Jem gli sorrise. «Forse con uno dei nastri dei vestiti di Tatiana.»

Will si strinse nelle spalle e Jem gli venne vicino, gli posò una mano sulla spalla e la sua espressione era un misto di comprensione e rimprovero.

«Charlotte è molto arrabbiata? » chiese Will.

«Be’…» I lineamenti fini di Jem si distorsero un po’ per la smorfia sulla sua bocca. «Più o meno…»

«Le fumavano le orecchie, ho capito.»

Jem alzò gli occhi al cielo. Will avrebbe dovuto scusarsi per quello che era successo, e invece non faceva altro che scherzarci sopra o trovare il modo di riderci su.

«E i femminini?»

«I fratelli Lightwood?»

Will cercò di fermare la risata con un colpo secco di tosse. «Ah sì, scusa. Loro, sì.»

«Gabriel non può proprio vederti.»

«Perché sono più bello, è invidioso.»

«William…»

«Sì, James?»

Will chiuse il cancello dietro di sé e sorrise facendo vedere tutti i denti. Jem tutto serio lo portava a sorridere ancora di più: come fra fratelli, quando qualcosa infastidisce si tende a non smettere mai.

Jem scosse la testa, l’argento chiaro quasi a fondersi con la sua pelle.

«Puoi ancora cambiare idea.»

Gli occhi di Jem erano fissi, ma avevano una luce tremolante che si vedeva sempre e solo nelle lacrime, o nel dolore, o quando sei solo e nessuno può vederti. Stare da solo non era diverso dallo stare con Will. Entrambi potevano specchiarsi l’uno dell’altro senza avere timore di mostrare una ferita. Jem poteva tossire e cadere a terra con le braccia di Will a farlo restare in piedi, il suo migliore amico.

«Non cambierò idea, Jem.» Will lo guardò, la voce scura, forse arrabbiata o ferita, ferita, sì, Jem sapeva sempre come si sentiva Will.

«Scusa. Scu… scusami, non era mia intenzione offenderti.»

«Non dire “scusa”, » biascicò Will, e sorrise a quel suo modo, quel modo che a Jem risultava ancora incomprensibile anche se lo aveva capito perfettamente, quel sorriso che era come la porta di un edificio al cui interno stavano accadendo le cose più incredibili, il sorriso con cui Will diceva adesso ti batto, usciamo a mezzanotte, quel demone è mio. E quel sorriso si trasformò in qualcosa di più delicato eppure sicuro. «Dimmi che sarai il mio parabatai.»

Jem sospirò, sospirò e non poté che sentirsi il più felice del mondo. Perché era vero, gli rimaneva poco tempo e quel tempo sarebbe presto scaduto. Ma in questo modo poteva vivere davvero, poteva essere chi voleva essere e avere quello che tutti avrebbero sempre voluto in una vita intera: qualcuno che ti vuole davvero bene, e qualcuno a cui ne vuoi tu, perché senza la vita non ha valore.

Will aspettò che Jem parlasse, lo stomaco che gli faceva male, il punto in cui vorticavano tutti i sentimenti che poteva permettersi di sentire.

«Sì, Will. Sarò il tuo parabatai.»

Il fantasma di Molly guardò i due ragazzini andare via, sullo sfondo grigio del cimitero da cui era uscita per ascoltarli, per guardarli meglio, per cercare di capire i vivi che, dopo così tanti anni dalla sua morte, erano così lontani da lei. Li guardò scomparire nel grigio, una macchia argentata e una macchia nera, entrambe distinte.

Era ancora più grigia, la città Silente, quando Will e Jem arrivarono con la carrozza, Charlotte e i suoi occhi vispi a controllarli – il sorriso nascosto dalla cuffietta –  mentre i ragazzi correvano avanti. E Will e Jem corsero, e Will non riuscì a ignorare le iscrizioni, il Latino, la polvere e le ombre e Jem pensò che anche quando sarebbe diventato parte della memoria dei cacciatori, non sarebbe mai stato davvero solo. Circondati dai Fratelli Silenti, con solo i pantaloni della tenuta di cacciatori, quando il fuoco scoppiò al centro del cerchio in cui si trovavano, sulla terra nera e fredda dei morti, Jem cercò lo sguardo di Will. Will che non aveva mai paura, e non ce l’aveva nemmeno quella volta, quando Fratello Enoch gli si avvicinò sfiorandogli le spalle bianche.

Ripetete quello che vi dico. Entrambi sentirono la sua voce nelle loro menti.

Chiusero gli occhi e li riaprirono e si ritrovarono lì, dove dovevano essere.

E Jem pensò a quel ragazzino che gli aveva sbattuto in faccia la morte dal primo incontro. E pensò alla prima volta in cui Will riuscì a colpire il centro, sentendo la stessa gioia di lui. Pensò al primo demone ucciso, la mano di Will sulla sua spalla, la stretta di mano come due veri uomini. E pensò a quel ragazzino che, per la prima volta da quando aveva lasciato Honk Kong, l’aveva fatto sentire a casa.

«Implorami di non lasciarti, o di tornare dopo averti seguito.»

Il calore del fuoco faceva sudare la fronte di Will. Jem, concentrato, con i capelli argentati, magro, con le clavicole leggermente sporgenti, le gote e le labbra arrossate, parlava sicuro. Jem e la musica e il respiro appena udibile quando si addormentava e lui, Will, libri e inchiostro.

«Perché dove andrai tu andrò anch'io, e dove abiterai io abiterò.»

Videro demoni e strade buie, e sangue nero e salti e spade che tagliavano l’aria. Videro loro stessi, con le spalle vicine, a combattere.

«La tua gente sarà la mia gente, e il tuo Dio il mio Dio.»

A vivere.

Jem vide Will stringersi nelle spalle, tremante, ma Jem non aveva più paura.

«Dove morirai tu morirò anch'io, e vi sarò sepolto.» La sua voce tremò.

«L'Angelo mi faccia questo, e anche di più.»

Jem deglutì e sul volto di Will nacque un sorriso stanco, sofferto, vero.

«Se qualcosa di diverso dalla morte mi separerà da te.»

Il fuoco si spense. Will si sentì toccare la schiena, e si voltò, mentre Fratello Enoch sollevava con le sue mani scheletriche lo stilo e poi glielo posava sul cuore. Will strinse le labbra; la prima volta che si era disegnato una runa sulla pelle era stato doloroso, ma questo era un incendio che scoppiava nelle sue vene, qualcosa di permanente, qualcosa di cui aveva bisogno.

Quando il dolore svanì, Will si rese conto di aver trattenuto il respiro…  poi vide Jem. Jem, con la pelle pallida e le rune sbiadite e poi quella runa, nera e ben visibile sul suo collo, che sembrava raccontare tutto. Tutto quello che erano. E allora Will sbatté le palpebre ed ebbe appena il tempo di sentire quella sensazione di forza e euforia mai sentita prima. Jem gli sorrise Will sentì quel sorriso sui muscoli,  e quando Jem gli si avvicinò e gli strinse la mano, qualcosa che gli faceva venire in mente parole come bello, felice e ancora bello, per sempre, sembrò stringerlo dolcemente sul cuore.

Parabatai.

Molly, che li aveva seguiti proprio per vedere, capì che cosa li rendesse così speciali in quella vita.

Semplicemente, era qualcosa di troppo grande per limitarsi a restare lì, solo nel mondo dei vivi, perché il fuoco, il dolore, l’unione, li aveva sentiti anche lei, senza corpo e senza cuore, nella sua anima.

Ci fu un abbraccio, qualcosa di breve, come un riconoscimento, un altro marchio.

Will prese un respiro.

«Siamo uniti, Jem Carstairs.»

Jem si scostò i capelli argentati dal viso e sorrise, sorrise di gioia. «Sì, Will. Lo siamo davvero.»

Nella notte e nel giorno. Nella luce e nelle tenebre. Nelle strade e nelle campagne. Nelle mura dell’istituto e nel mondo brutale di fuori. Sotto il sole e nella polvere e nell’ombra della città Silente.

L’uno accanto all’altro.

*

*

*

*

E' da un mese che mi dico smetti di piangere, smetti di piagere... ma Jem e Will non mi fanno che questo effetto. Insieme, sempre. E poi io mi metto a scrivere di loro.  Questo è un missing moment quindi non farò spoiler, voi sappiate che quando leggo i libri, in particolare quelli di Cassandra, piango spesso. Ma non è colpa mia, è colpa sua :))) Questa storia la dedico a Noemi e lei sa perché <3 <3 <3 Ma la dedico anche a Cristina, Stefy, alle persone a cui voglio bene e che ho incontrato sulla strada della mia vita, proprio come si sono incontrati Will e Jem. Grazie a voi per aver letto, spero che la storia vi sia piaciuta e spero che vogliate condividere con me le vostre opinioni <3

Un grande bacio

Ania <3

   
 
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