In pulvere et umbra
Steso
di schiena, i capelli neri scompigliati e un libro sulle ginocchia, Will
Herondale aspettava anche se non sapeva di aspettare. Si alzò un po’ di vento, un
mucchio di pagine si spostò all’improvviso, e lui non riuscì a trattenere uno
sbuffo infastidito, perché quella storia l’aveva preso così tanto da non
buttare nemmeno uno sguardo al lato della pagina, dove veniva indicato il
numero.
«Will
Herondale?»
Will si
voltò, lasciando che il pollice mantenesse il segno fra i fogli. Alzò il viso e
i capelli neri gli sfiorarono la mascella leggermente, mentre assottigliava le
palpebre chiare in uno sguardo indagatore, gli occhi blu accesi e lucidi.
Si
sfiorò la runa del coraggio sul collo.
«Non ho
paura di…» Voi? Te? Cosa? «Dei fantasmi. Come conoscete il mio nome?» La sua
voce salì di un ottava rivelando, nel tono brusco, la sua sfumatura ancora
infantile.
L’aria
condensata in sembianze di una donna anziana dai colori che oscillavano dal
bianco all’azzurrino si mosse facendo volare le foglie secche sulla terra,
delle catene quasi trasparenti chiusi intorno ai suoi polsi. Will ebbe
l’istinto di indietreggiare, ma c’era il marmo di una lapide a tenerlo fermo.
Di tutti i posti in cui poteva andare aveva scelto il cimitero, per stare
lontano dalle persone e, forse, perché era un posto che gli infondeva calma. Quante
volte quella pulce dagli occhi blu aveva corso nelle campagne in cui si
trovavano le tombe dei loro nonni, e lui ed Ella la chiamavano, e lei, piccola
e con il sorriso, rideva…
«Tutti
sanno chi sei, Will Herondale. Anche fra i morti. Le storie degli Shadowhunters
si diffondono in fretta.»
Will
inarcò le sopraciglia, e il suo viso dai lineamenti delicati, i capelli neri a
incorniciarlo, le labbra rosee stirate in un sorriso e gli occhi blu a ridere
ancora prima della sua bocca, non potevano che essere lo schizzo di quello che
sarebbe stato uno splendido, giovane uomo.
«Non
l’avrei mai detto, fantasma. Voglio dire, sapevo di avere diversi ammiratori
fra i Nephilim, ma qui…»
«Il mio
nome è Molly.»
Will si
mise in piedi e, con la mano libera, scosse la polvere con cui si era sporcato
i pantaloni. «Non mi interessa.»
«Faresti
bene ad essere più rispettoso, piccolo Shadowhunter. Quanti anni hai? Al
massimo quattordici…»
«Io non
parlo coi morti.» Will oltrepassò la tomba in pietra a cui si era appoggiato
per raggiungere la parte di terra senza costruzioni. Per tornare a casa.
All’istituto. Perché di sicuro lui…
«Dovresti
farci l’abitudine, invece. A parlare coi morti, intendo.»
Will
restò fermo. Si sentì solo pietrificato, come le statue di tutti quegli angeli
nel cimitero, angeli immobili e bianchi sporchi di terra e polvere e foglie,
creature del bosco come se fossero piante. Will sentì freddo, quello che aveva percepito
appena quando Molly si era avvicinata a lui. L’unica cosa che riuscì a fare fu
stringere i denti, reprimere i brividi che minacciavano di fargli cadere il
libro di mano, nascondere quella debolezza che lo avrebbe solo tradito.
Immobile,
Will Herondale.
«Ti ho
detto che le storie girano in fretta,» continuò Molly, e Will non ebbe nemmeno
il tempo di voltarsi che se la ritrovò di fronte con il suo rumore di catene e
vento, il viso evanescente contro cui avrebbe voluto solo sputare. «Perché,
Nephilim? Morite sempre giovani, lo so. E so anche che diventare parabatai significa, oltre tutte quelle
bazzecole di ammirazione, avere uno la forza dell’altro. E quello che vuoi fare
tu è andare proprio in braccio alla morte… Non tutti restano qui, Shadowhunter.
E se lui non restasse?»
I
pensieri vorticavano nel cuore di Will.
Lui resterà.
«Tu non
capisci.»
Lui non può lasciarmi.
Molly
fece un respiro profondo che venne fuori solo con dell’altra aria gelida.
Guardò il piccolo Shadowhunter allontanarsi e pensò, fra sé e sé, per quale motivo
gli umani facessero delle scelte di cui si sarebbe presto pentiti. Ma pensò
anche che non l’avrebbe mai capito.
Will
Herondale era un ragazzino che aveva lasciato la sua famiglia per diventare
cacciatore, mentre l’altro – il nome non
se lo ricordava mai – era destinato a morire in un paio d’anni. Legarsi per
sempre a lui era un modo per lasciarsi morire prima del tempo. E chi aveva
fretta di morire? Lei non ce l’aveva mai avuta, anche quando aveva dimenticato
il dolore nel dolore. Semplicemente, Molly avrebbe voluto capire che cosa poteva
portare una persona ad amarne un’altra così tanto da non riportarla indietro,
ma da andare sulla sua stessa strada.
Perché
Will Herondale, nel suo cuore, ne era sicuro.
Sarebbe
sempre stato dove c’era lui.
«Sapevo
che eri qui, Will.»
Will sentì
chiamare il suo nome, e non era la gelida, affilata voce di Molly il fantasma.
Era qualcosa che gli ricordava i fiori di ciliegio che suo padre portava a casa
per posarli fra i capelli di Ella, qualcosa che gli ricordava dolcezza, allo
stesso tempo fatica, affanno, la bruciatura delle rune, il lancio dei coltelli,
i giorni nuvolosi a cercare il sole senza guardare il cielo. Lo aspettava,
adesso lo sapeva.
E
sapeva che lui sarebbe arrivato.
Will
aprì le braccia, come esasperato, con un sorriso che contrastava con il grigio
e il nero del cimitero, e Jem si fece avanti da dietro un alberò con il
silenzio di un’ombra, le guance leggermente accaldate, i capelli ora quasi del
tutto argentati, come uno spruzzo di polvere di fata sulla sua testa.
«Perché
noi siamo uniti, Jem Carstairs.»
Jem gli sorrise. «Forse con uno dei nastri dei
vestiti di Tatiana.»
Will si
strinse nelle spalle e Jem gli venne vicino, gli posò una mano sulla spalla e
la sua espressione era un misto di comprensione e rimprovero.
«Charlotte
è molto arrabbiata? » chiese Will.
«Be’…»
I lineamenti fini di Jem si distorsero un po’ per la smorfia sulla sua bocca.
«Più o meno…»
«Le fumavano
le orecchie, ho capito.»
Jem
alzò gli occhi al cielo. Will avrebbe dovuto scusarsi per quello che era
successo, e invece non faceva altro che scherzarci sopra o trovare il modo di
riderci su.
«E i
femminini?»
«I fratelli
Lightwood?»
Will
cercò di fermare la risata con un colpo secco di tosse. «Ah sì, scusa. Loro, sì.»
«Gabriel
non può proprio vederti.»
«Perché
sono più bello, è invidioso.»
«William…»
«Sì,
James?»
Will
chiuse il cancello dietro di sé e sorrise facendo vedere tutti i denti. Jem
tutto serio lo portava a sorridere ancora di più: come fra fratelli, quando
qualcosa infastidisce si tende a non smettere mai.
Jem
scosse la testa, l’argento chiaro quasi a fondersi con la sua pelle.
«Puoi
ancora cambiare idea.»
Gli
occhi di Jem erano fissi, ma avevano una luce tremolante che si vedeva sempre e
solo nelle lacrime, o nel dolore, o quando sei solo e nessuno può vederti. Stare
da solo non era diverso dallo stare con Will. Entrambi potevano specchiarsi
l’uno dell’altro senza avere timore di mostrare una ferita. Jem poteva tossire
e cadere a terra con le braccia di Will a farlo restare in piedi, il suo
migliore amico.
«Non
cambierò idea, Jem.» Will lo guardò, la voce scura, forse arrabbiata o ferita,
ferita, sì, Jem sapeva sempre come si sentiva Will.
«Scusa.
Scu… scusami, non era mia intenzione offenderti.»
«Non
dire “scusa”, » biascicò Will, e sorrise a quel suo modo, quel modo che a Jem
risultava ancora incomprensibile anche se lo aveva capito perfettamente, quel sorriso
che era come la porta di un edificio al cui interno stavano accadendo le cose
più incredibili, il sorriso con cui Will diceva adesso ti batto, usciamo a mezzanotte, quel demone è mio. E quel
sorriso si trasformò in qualcosa di più delicato eppure sicuro. «Dimmi che
sarai il mio parabatai.»
Jem
sospirò, sospirò e non poté che sentirsi il più felice del mondo. Perché era
vero, gli rimaneva poco tempo e quel tempo sarebbe presto scaduto. Ma in questo
modo poteva vivere davvero, poteva essere chi voleva essere e avere quello che
tutti avrebbero sempre voluto in una vita intera: qualcuno che ti vuole davvero
bene, e qualcuno a cui ne vuoi tu, perché senza la vita non ha valore.
Will
aspettò che Jem parlasse, lo stomaco che gli faceva male, il punto in cui
vorticavano tutti i sentimenti che poteva permettersi di sentire.
«Sì,
Will. Sarò il tuo parabatai.»
Il
fantasma di Molly guardò i due ragazzini andare via, sullo sfondo grigio del
cimitero da cui era uscita per ascoltarli, per guardarli meglio, per cercare di
capire i vivi che, dopo così tanti anni dalla sua morte, erano così lontani da
lei. Li guardò scomparire nel grigio, una macchia argentata e una macchia nera,
entrambe distinte.
Era
ancora più grigia, la città Silente, quando Will e Jem arrivarono con la
carrozza, Charlotte e i suoi occhi vispi a controllarli – il sorriso nascosto
dalla cuffietta – mentre i ragazzi correvano
avanti. E Will e Jem corsero, e Will non riuscì a ignorare le iscrizioni, il Latino,
la polvere e le ombre e Jem pensò che
anche quando sarebbe diventato parte della memoria dei cacciatori, non sarebbe
mai stato davvero solo. Circondati dai Fratelli Silenti, con solo i pantaloni
della tenuta di cacciatori, quando il fuoco scoppiò al centro del cerchio in
cui si trovavano, sulla terra nera e fredda dei morti, Jem cercò lo sguardo di
Will. Will che non aveva mai paura, e non ce l’aveva nemmeno quella volta,
quando Fratello Enoch gli si avvicinò sfiorandogli le spalle bianche.
Ripetete quello che vi dico. Entrambi sentirono la sua voce
nelle loro menti.
Chiusero
gli occhi e li riaprirono e si ritrovarono lì, dove dovevano essere.
E Jem
pensò a quel ragazzino che gli aveva sbattuto in faccia la morte dal primo incontro.
E pensò alla prima volta in cui Will riuscì a colpire il centro, sentendo la
stessa gioia di lui. Pensò al primo demone ucciso, la mano di Will sulla sua
spalla, la stretta di mano come due veri uomini. E pensò a quel ragazzino che,
per la prima volta da quando aveva lasciato Honk Kong, l’aveva fatto sentire a
casa.
«Implorami
di non lasciarti, o di tornare dopo averti seguito.»
Il
calore del fuoco faceva sudare la fronte di Will. Jem, concentrato, con i
capelli argentati, magro, con le clavicole leggermente sporgenti, le gote e le
labbra arrossate, parlava sicuro. Jem e la musica e il respiro appena udibile
quando si addormentava e lui, Will, libri e inchiostro.
«Perché
dove andrai tu andrò anch'io, e dove abiterai io abiterò.»
Videro
demoni e strade buie, e sangue nero e salti e spade che tagliavano l’aria.
Videro loro stessi, con le spalle vicine, a combattere.
«La tua
gente sarà la mia gente, e il tuo Dio il mio Dio.»
A vivere.
Jem
vide Will stringersi nelle spalle, tremante, ma Jem non aveva più paura.
«Dove
morirai tu morirò anch'io, e vi sarò sepolto.» La sua voce tremò.
«L'Angelo
mi faccia questo, e anche di più.»
Jem
deglutì e sul volto di Will nacque un sorriso stanco, sofferto, vero.
«Se
qualcosa di diverso dalla morte mi separerà da te.»
Il
fuoco si spense. Will si sentì toccare la schiena, e si voltò, mentre Fratello
Enoch sollevava con le sue mani scheletriche lo stilo e poi glielo posava sul
cuore. Will strinse le labbra; la prima volta che si era disegnato una runa
sulla pelle era stato doloroso, ma questo era un incendio che scoppiava nelle
sue vene, qualcosa di permanente, qualcosa
di cui aveva bisogno.
Quando
il dolore svanì, Will si rese conto di aver trattenuto il respiro… poi vide Jem. Jem, con la pelle pallida e le
rune sbiadite e poi quella runa, nera e ben visibile sul suo collo, che
sembrava raccontare tutto. Tutto quello
che erano. E allora Will sbatté le palpebre ed ebbe appena il tempo di
sentire quella sensazione di forza e euforia mai sentita prima. Jem gli sorrise
Will sentì quel sorriso sui muscoli, e
quando Jem gli si avvicinò e gli strinse la mano, qualcosa che gli faceva
venire in mente parole come bello, felice e ancora bello, per sempre, sembrò
stringerlo dolcemente sul cuore.
Parabatai.
Molly,
che li aveva seguiti proprio per vedere, capì che cosa li rendesse così
speciali in quella vita.
Semplicemente,
era qualcosa di troppo grande per limitarsi a restare lì, solo nel mondo dei
vivi, perché il fuoco, il dolore, l’unione, li aveva sentiti anche lei, senza
corpo e senza cuore, nella sua anima.
Ci fu
un abbraccio, qualcosa di breve, come un riconoscimento, un altro marchio.
Will
prese un respiro.
«Siamo
uniti, Jem Carstairs.»
Jem si
scostò i capelli argentati dal viso e sorrise, sorrise di gioia. «Sì, Will. Lo
siamo davvero.»
Nella
notte e nel giorno. Nella luce e nelle tenebre. Nelle strade e nelle campagne.
Nelle mura dell’istituto e nel mondo brutale di fuori. Sotto il sole e nella
polvere e nell’ombra della città Silente.
L’uno accanto all’altro.
*
*
*
*
E' da un mese che mi dico smetti di piangere, smetti di piagere... ma Jem e Will non mi fanno che questo effetto. Insieme, sempre. E poi io mi metto a scrivere di loro. Questo è un missing moment quindi non farò spoiler, voi sappiate che quando leggo i libri, in particolare quelli di Cassandra, piango spesso. Ma non è colpa mia, è colpa sua :))) Questa storia la dedico a Noemi e lei sa perché <3 <3 <3 Ma la dedico anche a Cristina, Stefy, alle persone a cui voglio bene e che ho incontrato sulla strada della mia vita, proprio come si sono incontrati Will e Jem. Grazie a voi per aver letto, spero che la storia vi sia piaciuta e spero che vogliate condividere con me le vostre opinioni <3
Un grande bacio
Ania <3