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Autore: Nidham    17/04/2013    11 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il calore è ovunque, soffocante, dilaniante. Lo sento come una presenza viva e concreta, mentre si avvicina alla mia pelle, carezzandola con violenza febbrile, stringendola in una morsa troppo serrata perché possa spezzarla. I miei polmoni cercano disperatamente un po' d'aria, ma trovano solo fumo, denso e appiccicoso che si avvolge fuori e dentro di me. Non capisco dove sono, cosa sia successo. Mi sento persa, cieca in mezzo a un chiarore troppo brillante per essere sopportabile, abbandonata in un inferno indistinto di scintille sanguigne e grida disumane. Mi manca il respiro e perdo la voce, mentre rubo quella di sconosciuti terrorizzati che riesco ad avvertire come ombre sfuocate intorno a me. Sto fuggendo? Esiste una via d'uscita? Non riesco a vedere altro che artigli di fiamme, sempre più vicini. So che sto tremando, che presto non avrò né forze né coraggio per lottare, eppure non riesco a costringere i miei muscoli a muoversi, a sperare. L'odore della fuliggine è coperto da quello acre e nauseabondo della carne bruciata. Non c'erano solo estranei, con me. Non ero sola. Il pensiero mi trafigge la mente all'improvviso, scuotendomi dal torpore insensato della paura. Mi volto d'istinto, attingendo a piene mani alla forza regalatami dalla scarica di adrenalina, e, per un attimo, ritrovo abbastanza fiato per lanciare un unico, straziante grido, mentre osservo il volto di un uomo, distorto dalla follia, sciogliersi nelle fiamme, come la vernice su un quadro appena dipinto.

Sto ancora urlando, mentre balzo a sedere sul letto, col cuore in gola e le mani serrate a pugno sulle lenzuola, ma non c'è fuoco intorno a me non c'è calore, né fumo.

L'oscurità è quasi completa, inquietante, ma non letale.

Devo essere preda del peggior dopo sbronza del secolo, perché la testa sembra voglia staccarsi del collo tanto pulsa selvaggiamente. Mi stendo con calma, cercando di quietare la nausea e di spegnere il martello pneumatico che mi sta perforando il cervello.

Non credevo si potesse stare tanto male e, al contempo, provare un così grande sollievo.

Era solo un incubo, ma, se questo è l'effetto regalato da qualche bicchiere di troppo, sono pronta a giurare di non bere più niente per tutta la vita.

Chiudo gli occhi, calmando il respiro, mentre il cuore cerca di riacquistare il suo ritmo abituale.

Solo allora mi rendo conto di un fastidiosissimo pigolio che si insinua nella mia attenzione, con fare insistente. Per quanto possa odiare la mia sveglia, credo che oggi potrò perdonarla visto il bel sogno dal quale mi ha salvato.

Istintivamente mi volto verso destra, pienamente intenzionata a rubare qualche minuto al mio risveglio, ma due cose fanno sì che ritrovi, repentinamente, tutta la lucidità che, fin ad adesso, mi era mancata: per prima cosa, una striscia di cuoio impedisce al mio braccio sinistro di muoversi secondo i miei desideri, in secondo luogo, laddove per mia logica avrebbe dovuto trovarsi un orologio, vedo invece uno strano macchinario ospedaliero, sul cui monitor posso osservare, a mio piacimento, la striscia azzurrina prodotta dai battiti del mio cuore.

Ho di nuovo paura. E stavolta temo proprio di non stare sognando.

Deglutendo, mi accorgo di avere la bocca secca e impastata, come se non bevessi da giorni. La gola mi brucia, ma non me la sento di lamentarmi, perché non è niente in confronto a quello che stavo provando fino a pochi istanti fa, nel mio incubo.

Mi rendo conto di quanto debba essere confusa, nel momento in cui realizzo di star paragonando sensazioni reali con altre immaginarie, anche se, forse, dovrei preoccuparmi soprattutto del fatto di riuscire a trarre sollievo da una simile assurdità.

Al braccio legato vedo inserita una flebo, mentre l'altro è coperto fino al gomito da un bendaggio accurato e candido, da cui proviene uno strano odore pungente di medicinali.

“Non si agiti, signorina De Raven.”

Una richiesta interessante da farsi a qualcuno che, svegliandosi al buio, in una stanza sconosciuta, con l'impossibilità di muoversi, senta un bisbiglio cupo levarsi da un'ombra scura apparsa improvvisamente dal nulla. Chiunque manterrebbe la calma, è ovvio.

Eppure non è la vista di quell'uomo corpulento e dalla faccia spigolosa di cui riesco a distinguere appena i contorni, mentre si china a fianco del letto, a precipitarmi nel panico più assoluto.

“De Raven” un cognome strano, che striscia nella mia memoria, come se dovesse significare qualcosa d'importante.

“Chi è De Raven?” mi sento biascicare, prima di realizzare, con un sussulto, che la domanda più importante dovrebbe essere: “Chi sono io?”.

 

 

Nuovo tentativo di racconto, uscitosene dal cappello, in un breve sprazzo di follia pre-lavorativa.

Chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di arrivare a leggere fino a questo punto, sappia che ogni commento, positivo, negativo o neutro sarebbe pienamente e largamente gradito ^_^

  
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