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Autore: e m m e    17/04/2013    4 recensioni
Lo cerca, il numero Uno, perché è da lì che tradizionalmente si parte, e lui è sempre stato un tipo tradizionale. Più o meno.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11, Doctor - Altro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: emme
Fandom:
Doctor Who

Titolo: Tredici
Personaggi: Il Dottore
Riassunto: Lo cerca, il numero Uno, perché è da lì che tradizionalmente si parte, e lui è sempre stato un tipo tradizionale. Più o meno.
Rating: G
Words: 686 (W)
Generi: Introspettivo, Angst
Avvisi: Mi sembra doveroso annotare che prima di me, su questo tema ha scritto anche Letizia14, con la sua "La stanza N°11". Il senso ultimo della storia è praticamente lo stesso (ma penso che la maggioranza di chi segue lo show abbia interpretato la scena che state per leggere nel nostro stesso modo), io mi sono limitata ad ampliare un po' il concetto.
Note: Ha partecipato al Writing Day, indetto su 24Hours_of_fun dalla sottoscritta e da Geilie, con il Prompt #6

Beta: Nessuno…



Tredici

 

Lo cerca, il numero Uno, perché è da lì che tradizionalmente si parte, e lui è sempre stato un tipo tradizionale. Più o meno.

E il numero Uno è lì che lo guarda, gli occhi ancora giovani e la pelle invecchiata, i capelli bianchi lisciati all’indietro e le labbra strette, serie.

Non dice nulla, ma del resto nella stanza c’è completo silenzio e non vede perché proprio il numero Uno dovrebbe romperlo.

Sposta lo sguardo e incontra il numero Sette, la metà precisa della sua vita. Anche il Sette lo sta guardando – ma non lo guardano tutti? – con l’ombrello a forma di punto di domanda poggiato sulle spalle, la sciarpa rossa a quadri che si scontra con le ombre scure del numero Uno.

Il numero Dieci fa un timido segno di saluto, ma niente di più: anche i suoi occhi sono scuri, ombreggiati da quel pazzo ciuffo di capelli, e il suo cappotto assomiglia al mantello di una qualche setta inquisitoria.

Guarda ancora, colori, occhi, forme diverse. Il numero Due, con i capelli arruffati e il flauto in bocca sembra pronto a suonare, ma le guance non sono gonfie d’aria e anche lui se ne sta lì, in silenzio, nella stanza in penombra.

Il Quattro cammina, invece, ma è un movimento lento, di tipo circolare, e la sciarpa spropositatamente lunga si arrotola attorno alle sue caviglie, fino a che lui si ferma, la scioglie e riparte.

Il silenzio della stanza è assordante, gli occhi di tutti sono puntati su di lui. Non hanno niente nello sguardo, non lo accusano, non gli stanno dicendo niente che lui non sappia già.

L’Otto, con i suoi vestiti un po’ vittoriani e la capigliatura leonina sembra quasi addormentato, ma poi sposta il peso da un piede all’altro e lui si chiede se non sia un movimento involontario.

Ed ecco il Cinque, che emerge dal fondale oscuro con qualche passo, il bianco del suo completo da cricket quasi lo investe di luce, e il sedano – che ricorda così bene – lo fa sorridere per un attimo.
È un sorriso breve, amaro, senza forza, che scompare quando laggiù nell’angolo sinistro nota una figura nascosta dalle ombre, una figura che forse, anche se la luce la investisse, rimarrebbe in ombra, perché è il numero Dodici, e il numero Dodici ancora non ha un volto proprio. È un pensiero, un timore, una certezza. Un po’ come il numero Tredici, nell’angolo opposto, ancora più nebuloso e vago, un sospiro, quasi.

Distoglie gli occhi, rapido, e li posa sul Nove e la sua giacca di pelle, le sue banane, le sue orecchie a sventola. Lui è durato poco, ma lo ricorda con affetto.

Il numero Tre è proprio di fianco al Nove, con i suoi occhi piccoli e il cravattino un po’ simile al suo, forse, ma non del tutto. Troppo grande, troppo antico, e non troppo cool.

Manca poco ormai – quanto sarà passato? Un minuto, dieci secondi, da quando ha aperto quella porta? – e il numero Sei, colorato, felice, un patchwork di sfumature diverse – come quella stanza, d’altronde – fa un debole sorriso.

Ed eccolo, ecco il numero Undici, seduto sul letto, ha le mani che gli sostengono la testa e gli occhi guardano il pavimento. Non si muove, non sembra nemmeno respirare, non lo guarda, non lo giudica, non pensa nemmeno, forse.

Eleven si guarda, guada se stesso, un unico uomo diviso in tredici parti: è lui che regge le fila di ognuno di loro, ognuno di loro legato ad un filo, costruito della stessa materia, ma diverso, sempre diverso. Ognuno di loro unito e diviso, in compagnia, ma solo, sempre sempre sempre solo.

Di che cosa potrebbe mai aver paura un uomo che non riesce a morire? Che cosa potrebbe mai temere un Dio senza tempo, un Eterno Essere che vaga per lo spazio e il tempo lasciando che tutto gli scivoli addosso, sfiorandolo, ferendolo, uccidendolo lentamente?

Che cosa c’è in quella stanza numero undici?

Tredici se stesso, tutti insieme, in silenzio. Tredici persone che non hanno nessuno e aspettano qualcuno. Aspettano sempre, e la paura di rimanere solo non se ne va mai via.




Note finali: Lo so che i palloncini, nell'immagine che è il Prompt sono dodici, ma ho contato anche la mano che li sta tenendo tutti insieme. Spero comunque che l'interpretazione che ho dato alla fotografia sia comprensibile.

Ah, ovviamente la scena si sta svolgendo nel momento in cui Eleven apre la porta numero 11, nell'episodio della sesta stagione "The God Complex".
Grazie per chi è passato di qui e per chi perderà un po' di tempo a recensirmi. <3 

  
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