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Autore: fiubi    07/11/2007    1 recensioni
Inghilterra, 1554
Questa è la storia di un condannato, uno dei tanti, un numero in mezzo a migliaia, ma con una sua storia, che pochi conoscono. E come lui tantissimi altri sono nella sua stessa situazione. Forse sono in migliaia.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Londra
26 Ottobre 1554


Gli occhi erano fissi di fronte a lui, persi nella vista del nulla. Un nulla che aveva pian piano lambito tutto il suo corpo, e ormai non restava che vuoto. Solo un mucchio di ossa e di carne. Palpitanti ancora di una vita di cui erano stati privati. Perché l’Io era svanito nel buio della sua condanna.
Le voci e le luci attorno a lui parevano ovattate, tutto si muoveva come a rallentatore…ma quelle parole erano fisse nella sua mente, limpide nella loro più spietata crudeltà. Perché in nome della Regina, Sua Maestà Maria I Tudor, un giovane morirà, e pochi dei presenti sanno di compiere un barbaro sbaglio, un errore madornale.
I suoi occhi si spostarono lentamente sulla stanza, una sala rifinita con pareti in legno intagliato in modo raffinato e di fronte al suo mortale corpo uomini superbi e boriosi lo guardavano come se lui fosse la peggior bestia vissuta in quel mondo. E loro, nobili d’animo e di sangue, col capo coperto da una ridicola parrucca riccia e bianca, si sarebbero macchiati la pelle diafana del suo sangue puro e terso.
Non un tremito, non un sospiro, non un brivido. Freddo e distante, Daniel rimase in piedi, fisso, immobile. Già morto. Due donne piangevano tra gli spettatori del popolo. Ma lui non si girò. Freddo e distante. Immobile come una statua di marmo. Congelato nella sua posizione mentre il suo cervello elaborava le parole del vecchio giudice che presiedeva la Corte. Impiccagione.
E a nulla valse la protesta e lo sdegno di alcuni presenti. Il giudice batté una volta il martelletto di legno. Il suono di quel gesto si propagò in tutto il locale. Da quel momento ogni azione sarebbe stata vana, ogni reclamo sarebbe stato inascoltato, ogni ricorso sarebbe stato negato. Daniel aveva ormai da fare una cosa sola: contare i giorni che lo separavano dal suo incontro con il boia.
La figura mesta, in piedi nel centro della stanza, aveva catalizzato su di sé l’interesse di tutti i presenti, speranzosi nell’essere spettatori di una qualsiasi reazione del ragazzo. Ma questo, con il cuore rigonfio di decorosa dignità, si lasciò stringere le braccia da due poliziotti, seguendoli senza resistenza od opposizione alcuna. Le catene che gli stringevano i polsi e le caviglie iniziarono a tentennare ad ogni suo passo e lentamente, immerso nel silenzio rotto solo da qualche singolo feroce urlo che lo denominava un Assassino, Daniel si diresse verso una porticina buia e, lasciandosi alle spalle la scintillante luce del Sole calante che penetrava dalle finestre, si immerse in un cunicolo scuro, illuminato solo da alcune torce poste lungo il corridoio di pietra.
L’umidità di quel luogo era divenuta quasi asfissiante e le ciocche di capelli biondo cenere gli si erano appiccicate sulla pelle, incorniciandogli il viso, magro e scavato dalle notti insonni trascorse a rivivere quei momenti che mai avrebbero lasciato i suoi ricordi. I suoi carcerieri lo tenevano stretto per le braccia e lo trasportavano quasi di peso lungo quei passaggi così angusti e tetri fino a quando non entrarono dentro una stanza la cui aria nauseante colpì i presenti appena fu aperta la pesante porta di legno scuro. Qui il ragazzo fu fatto spogliare di tutti i suoi vestiti e dopo una doccia di acqua gelata gli fu fatto indossare un abito grezzo ed informe, di color marrone chiaro il cui tessuto graffiava la pelle del ragazzo. Senza nemmeno pronunciare una parola una guardia fece sedere il biondino, con poco garbo, su una sedia dal legno marcio e, piegatagli la testa indietro, iniziò a tagliargli i capelli con un coltello dalla lama lunga e tagliente. Daniel era fermo e saldo in quella posizione tanto che non vi fu bisogno che le altre guardie lo tenessero immobile.
La lama andava a tagliare, uno ad uno, i suoi capelli e di tanto in tanto l’arma, per la forza impressa, gli lacerava la carne del capo. Nelle narici di Daniel subentrò lo sgradevole odore del suo sangue, talmente acre e pungente che il ragazzo rischiò di svenire. Nuovamente due carcerieri gli si misero ai due lati e, stringendogli nuovamente con vigore le braccia, lo portarono fuori da quella stanza e proseguirono il loro cammino su per scale e lungo corridoi su cui si aprivano le celle in cui venivano ospitati per qualche giorno i condannati a morte. Come lui.
-Eccovi un nuovo compagno…ma non affezionatevi troppo: fra soli sei giorni verrà giustiziato- disse uno dei due uomini prima di slegare Daniel dalle catene e chiudere dietro di lui la porta della cella dove sarebbe vissuto negli ultimi giorni della sua esistenza. Il rumore della chiave che sbarrava l’entrata risuonò nella stanza, seguita dal rumore dei passi dei carcerieri, che si allontanavano sempre più.
-Ehi ragazzo- lo richiamò un giovane uomo vestito allo stesso modo di Daniel e con una lunga cicatrice lungo la guancia che gli deturpava la bellezza del suo viso
-Non dare confidenza a costui- proseguì l’altro carcerato, un uomo alto e robusto, sputando in direzione dell’altro -È un vampiro-
Daniel, di fronte a quell’affermazione, alzò un sopracciglio in segno di stupore
-Tanto moriremo lo stesso- rispose lui -Che cosa ti importa se sarò io ad uccidervi oppure no, Oliver?-
-Mi importa eccome: non darò mai il mio sangue ad un vampiro maledetto- continuò l’uomo guardandolo schifato
-E tu, ragazzo, come ti chiami?- chiese il ‘vampiro’ in direzione del nuovo arrivato.
Daniel lo guardò profondamente negli occhi e subito dopo si diresse sulla panca dove avrebbe dovuto dormire e, dando le spalle ai suoi compagni di cella, si sdraiò e appoggiò il capo sulle braccia piegate.
-Non hai molta voglia di parlare, eh? Io sono chiuso qui dentro da qualche settimana ma presto il mio calvario finirà. Ma la tua vita si concluderà prima della mia. Voglio solo dirti una cosa, ragazzo: hai un solo giorno per rimanere indifferente a ciò che ti sta accadendo, un giorno per coltivare l’odio che c’è in te, un giorno per lasciar spazio al dolore che ti attanaglierà il cuore, un giorno per comprendere e accettare la tua sorte e un giorno per piangere. Dopodiché di te non rimarrà altro che un vacuo ricordo-
Gli ultimi raggi del Sole scomparvero dietro la linea degli edifici di Londra, lasciando spazio alle tenebre della notte, e agli incubi.



27 Ottobre 1554
L’Indifferenza


Nuovi raggi sorsero dall’orizzonte e inondarono i tetti e i comignoli delle case del loro colore arancione. Qualche nuvola qua e là macchiava il cielo mentre un forte vento spirava fra le strade, portando con sé il freddo e l’inverno. La leggera casacca che copriva il corpo di Daniel era troppo leggera per riuscire a scaldarlo e a proteggerlo dal gelo che, entrato dalla finestrella aperta, aveva avvolto tutta la stanza nel suo possente abbraccio. I denti battevano senza alcun freno, comandati da una reazione naturale del corpo umano quando il freddo penetra nella carne e nelle ossa e diviene il peggior nemico di un vita inerme ed impossibilitata a ripararsi, impossibilitata a riscaldare la propria anima con un caldo e piacevole focolare domestico. Solo e abbandonato, in questo mondo che non lo ha voluto, trascinato in un brutale e disumano girone infernale.
-Sei praticamente di fronte alla finestra, ragazzo. Se vieni qui, vedrai che starai un po’ meglio- disse il vampiro verso Daniel, senza però ricevere indietro alcuna risposta.
-Il ragazzo sta bene lì dov’è Edward. Lascialo in pace e fammi dormire- rispose l’altro prigioniero, con la voce impastata dal sonno
-La fai facile tu, Oliver: il ragazzo è talmente magro e mingherlino che rischia di morire dal freddo- continuò il vampiro finendo la frase con un sospiro
-E allora lascialo morire in pace…-
-Ehm…ok-
I tremiti e i brividi lungo la schiena si erano fatti più forti e più vigorosi. Il suo corpo si muoveva spasmodicamente mentre le labbra si erano fatte completamente secche e rigide. Lentamente le gambe iniziarono a piegarsi sempre di più, stringendosi verso il resto del corpo come se fossero alla cieca ricerca di un riparo in cui proteggersi. Il ragazzo spostò le mani di fronte alla sua bocca e, prendendo di tanto in tanto alcuni profondi respiri, iniziò a scaldarsi le dita, ormai congelate. Le palpebre degli occhi si chiusero piano piano e nella sua mente si plasmarono, come vere, immagini della sua infanzia, concetti astratti quali la felicità e l’affetto si concretizzarono in persone e in risate…qualsiasi cosa donava una leggera energia al cuore e all’anima martoriata di lui e, con un tenue sollievo, nell’insensibilità del suo essere, il freddo divenne parte di lui.



28 Ottobre 1554
L’Odio


Un concerto di lacrime amare scendeva dal cielo coperto da immense nubi nere e le gocce di pioggia, con impeto, scendevano verso la terra, andando a bagnare tutto ciò che incontravano sul loro cammino. In lontananza bagliori di luce accecavano per un attimo il paesaggio e, accompagnati da amanti impazziti, tuoni violenti andavano a propagarsi nell’etere, facendo tremare le pareti delle case.
-Giorno di tempesta, ragazzo- disse il vampiro avvicinandosi al giaciglio di Daniel con passi lenti e silenziosi, tanto che il ragazzo non aveva percepito i suoi movimenti fino a quando non se lo ritrovò vicino
-Che vuoi ancora?- domandò lui sgarbatamente, stanco di tutto quell’interesse che i suoi due compagni aveva attirato sulla sua inutile persona
-Ieri non hai mangiato nulla: questo è ciò che è rimasto- rispose lui allungandogli il piatto contenente un pezzo di pane, una patata cotta malamente e una carota ancora sporca di terra. I pugni di Daniel si chiusero fortemente tanto che le nocche sbiancarono mentre il ragazzo cercava di provare disinteresse verso ciò che il vampiro gli aveva detto.
-Te lo appoggio sul tavola di legno, ai tuoi piedi- proseguì l’uomo di fronte all’immobilità del corpo del giovane. Ma lo stomaco, come se avesse agito ad un comando inconscio, iniziò a gorgogliare e, ancora prima di fare qualsiasi cosa, Daniel si mise seduto sulla panca e, preso al volo il piatto, se lo pose sulle gambe ed iniziò a mangiare avidamente.
-Piacere, il mio nome è Edward, mentre l’altro nostro compagno di sventure è Oliver- si presentò, allungando la mano, l’uomo posto in piedi di fronte a lui.
-Daniel- rispose lui con ancora il boccone in bocca, evitando però di porgere a sua volta la mano.
-Non dare troppa confidenza al vampiro- dichiarò Oliver con tono burbero, continuando a masticare una filo di paglia.
-Finiscila con questa storia- disse in modo tagliente Edward, nella sua direzione.
Daniel rimase in silenzio a contemplare il bel vampiro che divideva con lui la cella. L’uomo, anche se vestito con degli stracci e con il capo calvo e tagliato, emanava ancora una bellezza straordinaria. I suoi occhi, scuri come la notte ed imperscrutabili, scintillavano di luce propria. Le labbra, piegate in un sorriso malinconico, erano rosse e piene, proprio come se avessero appena finito di bere del sangue mentre la pelle, di un bianco quasi grigio, profumava di un leggero, delicato e penetrante aroma, in antitesi al luogo in cui l’uomo era rinchiuso. I loro occhi si incontrarono e, solo in quel momento, Daniel riportò la sua intera attenzione sul piatto contenete ancora del cibo. Edward tornò allora a sedersi sulla sua panca, con le gambe incrociate.
-Come mai un ragazzo giovane come te si trova a dover contare i giorni che gli rimangono ancora da vivere?- domandò curioso il vampiro
-Sono un assassino- rispose Daniel con naturalezza disarmante, staccando con le unghie che gli erano cresciute le piccole radici dalla carota arancione
-Insomma sono circondato da assassini- replicò Oliver con tono scherzoso
-Chi hai ucciso, Daniel?-
-Un bastardo….mio padre- ribatté lui guardando Edward negli occhi, pronto a leggere nel suo sguardo timore o smarrimento per ciò gli aveva confessato. Ma l’uomo, dinnanzi a quella dichiarazione, non fece nemmeno un movimento e, al contrario, mantenne fissi i suoi occhi, come a studiarlo.
-E come lo hai ucciso?- gli chiese Oliver guardandolo con uno luccichio folle negli occhi
-Con una vanga che avevo appena utilizzato per zappare l’orto di casa- rispose Daniel mordendosi il labbro inferiore
-Oddio, mi immagino il sangue sparso ovunque…-
-Gli ho rotto il cranio a quel bastardo. È stato molto appagante sentire le sue preghiere e le sue urla di dolore-
-Perché hai fatto ciò?- domandò con tranquillità Edward, che non si era minimamente scomposto
-Perché? Perché era un bastardo pervertito, ecco cos’era. Gli piaceva scoparsi mia sorella, sua figlia. E mia madre, in tutti questi anni, non aveva mai avuto il coraggio di ribellarsi a quello scempio…che donna debole ed insignificante…-
-Wow…Ed, abbiamo un paladino della giustizia qui con noi!- asserì Oliver iniziando a ridere fragorosamente
-Forse avrei fatto bene a lasciare mia sorella e mia madre nelle mani di quello schifoso. Non hanno fatto e detto nulla per salvarmi la pelle. Circondate dalla famiglia di mio padre, se solo avessero parlato io sarei stato scagionato, ma saremmo dovuti scappare perché i fratelli di quell’essere abominevole ci avrebbero sicuramente ucciso. Potevamo crearci una nuova vita. Potevamo finalmente essere felici, noi tre assieme, lontani da quel mostro ubriacone che era il mio genitore….ma la loro scelta è stata fatta e in questo momento sono qui ad aspettare che suoni la mia ora-
-Hai rimpianti per quello che hai fatto, Daniel?- gli chiese Edward dopo quel fiume di parole
-Io rimpianti? Odio tutta la mia famiglia. Sono anzi felice di essermi liberato di tutti loro. E non mi importa di morire per questo. Mi avranno sulla coscienza per tutta la vita, questo mi basta-.



29 Ottobre 1554
Il Dolore


Pioggia triste e lenta. Il ritmo della vita pare essersi quasi fermato in quest’atmosfera così malinconica e sconsolata. Non c’è alcuna possibilità di fuga che possa rendere la salvezza e tutto ciò che poteva considerarsi parte della vita è stato perduto o è andato distrutto. Qualsiasi sentimento od emozione provata risulta come irreale. È una situazione strana e pare quasi invano continuare a respirare e continuare a soffrire e continuare a vivere. L’anima si sta lentamente corrodendo nel dolore che ha attanagliato il cuore con la sua morsa ferrea e salda. Ogni spasmo di attimo vissuto è come negato dalla realtà che circonda chi è ormai divenuto, forse senza volerlo, un relitto della società, una nave incagliata e pronta ad affondare, in balia di onde che velocizzano questo declino, indifferente all’umanità intera. La vita, oltre le mura della prigione, continua come se nulla stesse accadendo in verità. A nessuno importa di come le anime dei prigionieri stanno soffocando.
Il cuore batte veloce nel petto. Un rumore incessante nelle orecchie e nel petto di Daniel. Un dolore che sta per distruggerlo. Si comprende che la fine è ormai giunta. Per mano di altri. Per un destino crudele e scritto da qualcun altro. Un futuro che si vorrebbe tanto cancellare. Ma che bisogna vivere secondo per secondo. Tentando di trovare un qualcosa che possa anche solo rendere meno gravoso questi ultimi attimi di vita, lunghi come battiti di ciglia in confronto all’eternità.
-Fatemi uscire, canaglie che non siete altro!- urlò Oliver
-Oliver, non fare così- cercò di calmarlo Edward
-Non rompere Ed. Lasciami fare. È la mia vita e decido io cosa farne….avete sentito bastardi che non siete altro? Fatemi uscire…-
-Oliver non costringerci ad entrare lì dentro- disse con tono calmo una guardia appena giunta di corsa
-Voglio uscire da qui. Portatemi di fronte alla regina dei miei stivali che ho voglia di sputarle in un occhio. Una megera, una puttana cristiana, ecco cos’è!-
-Oliver stai andando oltre…stai diffamando Sua Maestà la Regina…e tu ben sai che il Codice non accetta un comportamento del genere-
-Questa è la legge del sovrano di altri. Io non ho alcun re o regina sopra di me: nego l’esistenza di una qualsiasi autorità che non ho voluto io. La regina si è imposta al suo popolo. È una sanguinaria, è un’assassina-
Senza aspettare nuovamente le guardie irruppero nella cella con fragore e, violentemente, si lanciarono contro Oliver, circondandolo ed iniziando a picchiarlo con calci su tutto il corpo. Daniel si accucciò in un angolo della stanza ed osservò la crudeltà e la brutalità assurda di quel gesto, spaventato come non lo era stato mai. Velocemente le gambe e le braccia di Oliver vennero bloccate con le catene e, raccolto di peso da terra, i carcerieri lo portarono fuori dalla cella, chiudendo dietro di sé la porta e lasciando la stanza più vuota e più silenziosa che mai.
Una stanza colma di dolore, dove la sofferenza ha ormai lambito la vita di ogni condannato a morte. Nessuno è immune alla sua forza, alla sottile trama che invade il cuore di ogni recluso, rendendolo malato di angoscia e tormento.



30 Ottobre 1554
La Rassegnazione


Ormai è finita e l’unica cosa da fare è aspettare. Aspettare il giungere della nuova alba. Un nuovo giorno sta iniziando. La quinta tacca è pronta per essere segnata sul muro della prigione. Una tacca per ogni giorno. Una tacca per non dimenticare quanto manca. Una tacca per comprendere che l’unica cosa da fare è rassegnarsi di fronte a quello che avverrà.
-Dove sarà finito Oliver?- domandò Daniel al suo unico compagno di cella, come se lui potesse avere la risposta alla sua domanda
-Ho paura che Oliver si sia cacciato in un grosso pasticcio. Ha deliberatamente e pubblicamente offeso il nome della Regina…probabilmente sarà stato indetto un nuovo processo a suo carico, e non vorrei che venisse condannato per tradimento…- rispose Edward con voce bassa e mesta. A quelle parole Daniel rabbrividì. La posizione di Oliver era grave…ancora più grave della precedente.
-Per cosa era stato condannato Oliver, Edward?- continuò il ragazzo libero di ogni paura e di ogni remora.
-Aveva rubato 30 penny ad un nobile-
-E tu, Ed…perché vieni definito vampiro?- continuò Daniel, sempre più curioso
-Morirò sul rogo fra due settimane, condannato per essere un vampiro. Dicono che ho ucciso la mia giovane sposa…mi hanno trovato pieno di sangue e hanno immaginato che io fossi un vampiro- disse l’uomo guardando fuori dalla finestra, attraverso le sbarre di ferro
-E…e lo sei veramente?-
-Daniel non dovresti credere a tutte le stupidaggini che sono state dette negli ultimi anni. I vampiri non esistono e di certo io non sono uno di loro. Mia moglie Mary è stata uccisa, io l’ho semplicemente trovata nel nostro letto, avvolta nelle lenzuola impregniate del suo sangue-
-Sei innocente, quindi…morirai per un reato commesso da altri…-
-Morirò perché sono un vampiro-
-Perché non ti sei dichiarato innocente, allora?-
-Perché io non posso nulla contro la mente dell’uomo. Mi hanno sin da subito etichettato come vampiro e in nessun modo sarei riuscito a far cambiare idea alle persone. La mente umana è ottusa, Daniel. E poi non avrei neppure avuto la forza e la volontà di battermi per la mia scarcerazione. Non ho più nulla là fuori per cui valga vivere. Ho scoperto la cattiveria dell’uomo, l’ho provata sulla mia pelle...ho visto la mia Mary morta, squartata come se fosse un animale, ho visto gente che pesavo mi volesse bene abbandonarmi e lasciarmi al mio destino. Il mio unico desiderio è quello di morire al più presto. Sono stanco. Ho voglia solo di immergermi in un letargo infinito…-
In quel momento delle urla attirarono l’attenzione di entrambi e, velocemente, i due uomini si avvicinarono alla porta della cella, affacciandosi dalla piccola finestrella che dava sul corridoio
-OLIVER!- urlò Edward mentre altri prigionieri ridevano e battevano le mani all’uomo
-Ce l’ho fatta ragazzi. Sono stato condannato per tradimento!!!!!-
-OLIVER! Cosa hai fatto? Sei pazzo!- urlò nuovamente Edward mentre lo vedeva passare di fronte alla loro prigione
-Se devo morire lo voglio fare alla grande: sarò soggetto al Drawing and quartering* e di me parlerà tutta Londra…fatemi gli auguri….-continuò lui ridendo
-Zitti tutti voi, se non volete essere torturati- urlò una guardia brandendo un grosso bastone che sbatté contro alcune porte, da cui proveniva più baccano
-Addio, Oliver- disse a bassa voce Edward, prima di tornare seduto sul suo giaciglio e ricominciare a guardare fuori dalla finestra.
La cella tornò ad essere silenziosa, immersa in una calma ostentata, ma non vera.



31 Ottobre 1554
Il Pianto e Il Perdono


Una strana tranquillità ha avvolto la terra, come se la natura sapesse e conoscesse ciò che dovrà accadere, rispettosa di ciò che avverrà di lì ad un giorno. L’ultimo giorno di vita. L’ultima volta che l’occhio umano di Daniel potrà vedere come il giorno lascia spazio alla notte e come l’intera volta celeste si riempie di stelle, piccoli puntini luminescenti posti così in alto nel cielo. Una strana sensazione di irrequietezza continua ad accompagnare il ragazzo in ogni suo respiro, in ogni suo battito e, con gesti quasi meccanici, le mani si spostano continuamente sulle guance, bagnate delle lacrime che non danno cenno di voler smettere di scendere dai suoi occhi azzurri. Vivere non è facile, ma non è nemmeno facile sapere di dover morire, conoscendo in anticipo la data della propria morte. È come risiedere in un incubo, dal quale è impossibile risvegliarsi. Non si può scappare. Non si può nascondere la testa. Non si possono chiudere gli occhi facendo finta che non stia avvenendo nulla. Perché è la fine.
La fine di tutto. La fine di ogni cosa.
-Ci sono visite- disse una guardia prima di aprire la porta, lasciando passare una figura coperta completamente da un mantello nero. Lentamente il cappuccio scivolò da sopra il capo lasciando scoperto un meraviglioso viso triste e una massa di splendidi e lunghi capelli biondi.
-Emily!- disse Daniel mettendosi in piedi prima di essere avvolto dalle braccia delicate della sorella che, piangendo e singhiozzando, si aggrappò al corpo del fratello come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
-Oddio Daniel, cosa ho fatto…mi dispiace…- esclamò lei stringendo ancora di più il fratello nel suo abbraccio e facendo sprofondare il capo nella spalla di lui
-Emily ti prego, non piangere- continuò lui allontanandola un pochino e asciugandole le gote con i suoi palmi, mentre dai suoi occhi continuavano a scendere altre lacrime
-Non posso. Sto male per quello che ti ho fatto. Tu mi hai salvata e io non sono stata capace di aiutarti allo stesso modo. Sono un mostro-
-No che non lo sei. Hai avuto paura-
-Morirai per colpa mia e non sono riuscita ad evitarlo. La corte non vuole ascoltarmi: hanno ormai chiuso il caso e non hanno la benché minima intenzione di dichiararti innocente. Dovevo agire prima e non l’ho fatto…e ora tu morirai…-
-Sii forte Emily. Ormai questo è il mio destino. Le cose sono andate così…vi ho odiato, questo è vero, ma ho anche capito il perché tu e la mamma vi siete comportate a quel modo…avete la mia comprensione…non voglio che tu viva con il rimorso o con la paura che io sono morto odiandoti, perché non è così. Muoio felice di averti liberato di nostro padre. Muoio felice di averti reso una vita più serena di quella di prima. Muoio felice di non saperti schiava di un’orribile persona. Vivi nel miglior modo possibile, Emily. Vivi come tu vuoi, libera di agire, scontrandoti con l’ottusità e la stupidità, non facendoti plagiare da nessuno e portando avanti le tue idee. Ama con tutta te stessa e sii capace di farti amare in modo pieno e completo da colui che più ti merita. Non accontentarti mai della mediocrità. Impegnati a raggiungere e a realizzare i tuoi sogni…e se anche non riuscirai non importa perché ciò che è veramente fondamentale è averci provato. Non cambiare mai, non temere il giudizio delle persone e non lasciarti corrompere. Vivi e gioisci di tutto quello che la vita ti dà. Sii raggiante, sorridi sempre e vivi anche per me-
-Daniel…come puoi tu perdonare la mia stoltezza e la mia ingenuità…sono stata egoista e tu non lo meritavi…-
-Emily non devi preoccuparti. La cosa più importante è sapere che io ti ho perdonato. Fai tuo ciò che ti ho detto e soprattutto non dimenticarmi mai. Se mi dimenticherai il mio sacrificio sarà reso vano. Ma se tu mi porterai nel tuo cuore, allora io vivrò per sempre, con te-
-Come potrei mai dimenticarti Daniel?-
-Ti voglio bene, Emily- disse il ragazzo abbracciando nuovamente la sorella mentre inspirava profondamente il suo profumo…il profumo di casa…
-Il tempo della visita è scaduto…signorina, la prego di uscire- comandò una guardia che aveva appena aperto la porta della cella e stava guardando i due ragazzi abbracciati con un viso duro e severo. A quelle parole Emily iniziò a piangere sempre più forte ma Daniel, dopo averle dato un bacio sulla guancia, la allontanò da sé. I suoi occhi non lasciarono mai la bella figura della sorella che, con gli occhi gonfi, si copriva il capo nuovamente con il mantello e, accompagnata fuori dalla cella, sparì dalla sua vista, lasciando dietro di sé una scia di profumo.
Daniel rimase in piedi, nella stessa posizione, per qualche tempo, immerso in una strana tranquillità, felice di quello che era avvenuto, di ciò che gli aveva detto, felice di averla perdonata. Quell’incontro era stato talmente strano che gli pareva fosse avvenuto solo nei suoi sogni. Ma il miracolo aveva avuto luogo. Il ragazzo si asciugò le ultime lacrime e, con un sorriso, guardò dapprima Edward, che era rimasto in silenzio per tutto l’incontro, e poi si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e lasciò che il suo sguardo vagasse per quella città, mentre per l’ultima volta i raggi di un tramonto gli scaldavano il viso.



1 Novembre 1554
La Fine


La gente lo guardava schifato e gioiva che ancora una volta il diritto della Corona inglese facesse giustizia. Per tutti lui era un assassino, colui che aveva ucciso il proprio padre. Ed era perciò giusto che morisse. Nessuno era andato al di là delle impressioni. Come era accaduto per Edward, anche lui era stato marchiato e quindi condannato a morte. Ma a Daniel questo non importava. In piedi, sul carro che lo stava trasportando fino al patibolo, mentre la gente gli sputava contro e incitava il boia a fare il suo dovere, il ragazzo era come immune da quello che gli stava accadendo attorno.
La sua mente era tutta concentrata su quello che avrebbe dovuto meditare: in fondo quelli erano i suoi ultimi minuti di vita. Avrebbe dovuto rivivere la sua vita, oppure immaginare ciò che avrebbe potuto fare, oppure pensare alle azioni che avrebbe potuto rimpiangere…si concentrò invece sull’immagine di sua sorella, cercando di ricordare il suo sorriso e la sua risata, così bella e così penetrante…il cuore batté forte nel petto, ma nulla potrà più togliere a Daniel quei pensieri…qualcun altro aveva deciso un futuro per lui, ma era ancora Daniel il proprietario di quella vita. Della sua vita. E nessuno avrebbe avuto la capacità di non fargliela vivere sino all’ultimo minuto, sino all’ultimo secondo, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo battito di ciglia, fino all’ultimo fremito del suo cuore. Un sorriso sul viso divenuto rosso per la corda che ormai gli stringe forte il collo. Gli occhi si perdono nell’azzurro del cielo terso e limpido, assente di qualsiasi nuvola…..e il nero avvolse tutto.



*Drawing and quartering: traducibile con tirare e squartare, era una delle forme di esecuzione peggiori, utilizzata per lo più nel Regno Unito


Dovuta precisazione: dando il nome di Edward al "vampiro" non volevo in alcun modo ricollegarmi alla storia di Twilight.
  
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