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Autore: Ettie__    18/04/2013    1 recensioni
Ebony.
Quello era il suo nome.
I suoi genitori non c'erano più. Da ben cinque anni viveva da sola con il patrigno. Quest'ultimo la maltrattava; schiaffi, pugni, calci venivano inflitti su quell'esile corpo.
L'unica cosa che rendeva felice la giovane ragazza erano i suoi migliori amici. Zayn, Liam, Niall.
Si conoscevano da una vita, ma nessuno di loro sapeva come si sentiva la sedicenne.
Viveva nel terrore, ma non lo dimostrava. Aveva paura delle persone, ma non lo dimostrava. Non riusciva a vivere con se stessa, e si tagliava. Non veniva considerata, e si ubriacava.
Aveva una vita spaccata ormai, ma nessuno se ne accorgeva...solo, i suoi migliori amici, i suoi fratelli, le sue ancore di salvezza.
Solo loro. Solo loro potevano aiutarla ad emergere.
Loro e altri due ragazzi.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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The Life is not always Kind.

Chapter 1 - Welcome to my silly life.

 
 

Ognuno ha le sue cicatrici.
Alcune delle mie sanguinano ancora.
 Nei momenti più impensabili,
l'importante è trovare chi, come un laccio stretto,
divenga balsamo su pelle e cuore.
I dolori non si dimenticano.
Insegnano sempre.
Il brutto è quando segnano soltanto.
- Cit.

 
 
La giovane ragazza dai capelli biondo scuro correva sotto la forte pioggia autunnale.
L’acqua le bagnava le labbra, il suo odore le inebriava le narici, e il suo rumore – suono, come lo chiamava lei – la faceva rilassare.
Stava camminand0 da più di un’ora sotto quell’acquazzone e, con le cuffie alle orecchie, una sigaretta in bocca, il cappuccio della felpa al di sopra della testa e il giaccone grondante d’acqua, si dirigeva verso uno dei tanti locali che costeggiavano il centro di Bradford – preferibilmente senza uomini ubriachi –.
Era alla fine di una stradina stretta e languida, quando si imbatté in bar. ‘To Derek’ lampeggiava l’insegna ormai vecchia di qualche anno; dopo di che si affacciò alla vetrina che dava sull’interno della locanda.
Divanetti ricoperti da un tessuto rosso, tavoli e sedie in ottimo stato, ambiente pulito…
“ Si, può andare”aveva pensato la ragazza mentre spingeva la porta di ingresso; successivamente si appartò in un tavolo lontano da tutti.
Un ragazzo alto e muscoloso si sedette accanto a lei. Aprì il menù e cominciò a leggere. I suoi occhi verdi scorrevano attenti su quel pezzo di carta, la fronte si corrugava ogni volta che si imbatteva in un piatto mai visto o mai sentito e le dita tenevano il tempo come se suonasse un pianoforte.
Il giovane si girò verso la ragazza dagli occhi azzurri, allungò la mano e si presentò.
« Piacere di conoscerti, sono Harry » disse lui sfoggiando un sorriso radioso.
Lei, più timidamente, prese parola.
« Ebony » dichiarò alzando i due angoli della bocca. Non era un gran sorriso, ma lui lo apprezzò comunque.
« Non sei molto loquace vero? » chiese scherzosamente lui. Ma la sua ilarità non venne colta dalla ragazza, che rimase zitta.
« No, no… » rispose Harry al posto suo, poi continuò « Quanti anni hai? Se posso chiedere, naturalmente ».
« Sedici, appena compiuti. Frequento la terza superiore, tu? » chiese lei, prendendo coraggio e sistemandosi meglio sulla sedia.
« Ne compio diciotto tra qualche mese. Sono all’ultimo anno » rispose lui, sorseggiando un po’ del caffè che la cameriera gli aveva portato pocanzi.
“Sarà sicuramente freddo”dedusse la ragazza, facendo scorrere il palmi delle mani sulle braccia per riscaldarsi.
« Hai freddo? » chiese gentilmente lui.
« Un po’, ma non importa » affermò lei alzandosi.
« Perché ti alzi? Ti accompagno dai » disse lui infilandosi la giacca di pelle.
« Veramente…non preoccuparti, stai comodo » disse lasciando la mancia sul tavolo.
« Insisto » controbatté Harry.
« E meglio se vado da sola » enunciò lei dirigendosi verso la porta.
« Sei sicura che… » ma non riuscì a terminare la domanda che la ragazza era sparita al difuori del bar ed aveva già svoltato l’angolo.
Era arrivata davanti alla porta di casa, e da lì a poco avrebbe affrontato l’ira del suo patrigno. Aveva estratto le chiavi dalla tasca del giaccone e, ora, le stava infilando nella toppa; la serratura fece uno scatto, dopo di che varcò la soglia.
Aveva chiuso la porta molto velocemente  e, successivamente, si era diretta a passo svelto verso il piano superiore. Stava per entrare in camera sua, quando la voce possente di Brad le fece raggelare il sangue.
« Ebony! » aveva tuonato l’uomo gettandosi sul divano « Porta il tuo culo subito qui! » continuò lui accendendo la televisione e fermandosi su un canale che trasmetteva una partita di football.
La ragazza scese le scale correndo, si soffermò sulla sua figura riflessa nello specchio del corridoio e si sistemò, in seguito raggiunse il salotto.
« Cosa c’è? » chiese lei portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
« E non dire ‘cosa c’è’ con quel tono da ingrata, troppo buono a tenerti » sputò quelle parole accendendosi una sigaretta.
« Cosa c’è? » ripeté lei atona.
« La cena, preparami la cena. Ho lavorato oggi e ho fame » annunciò Brad sputando il fumo fuori dalla bocca.
« Il tuo non è un lavoro » sibilò Ebony a denti stretti. Ma il suo sussurro non rimase tale, l’uomo aveva sentito.
« Che cosa hai detto? Che cosa cazzo hai detto? » inveì lui alzandosi dal divano sgualcito e dirigendosi verso la giovane ragazza.
« Io, niente » dichiarò lei con voce tremolante e piena di paura.
« Bugiarda » enunciò lui rifilandole uno schiaffo. Il suono riecheggiò in tutta la stanza. Sentii un sapore metallizzato bagnarle la bocca. Sangue. Le aveva spaccato i labbro superiore.
« Come osi? Come ti permetti di dirmi certe cose? » continuò lui sferrandole un pugno nello stomaco.
Continuò così per un’ora intera. Lei stesa a terra e lui che continuava a martoriare quell’esile corpo di una ragazza di appena sedici anni. I lividi la segnavano ormai, da quando la sua giovane madre – aveva trentacinque anni, davvero una bella donna – era morta in un incidente stradale. “ Tutta colpa di quel pazzo ubriaco ” pensò Ebony cercando di trattenere le lacrime. Era morta cinque anni fa, dieci anni dopo la perdita del padre in Afghanistan. In realtà la ragazza non lo aveva mai conosciuto – solo foto e racconti le facevano pensare che era un brav’uomo, e difatti era così -, ma in cuor suo sapeva che vegliava su di lei – impotente verso la crudeltà del patrigno, certo –, però c’era sempre e sempre ci sarebbe stato.
« E ora vai a prepararmi la cena » dichiarò lui afferrandola per i capelli e sbattendola al muro, dopo di che sparì al piano di sopra.
La ragazza di alzò zoppicante e, aggrappandosi a delle sporgenze, arrivò finalmente in cucina.
Aveva preparato una cena a base di pasta, salcicce e dell’ottimo vino italiano che aveva trovato su un ripiano; ed ora era stesa sul letto, a pancia in su e con le note di ‘Over the Rainbow’ che la facevano rilassare.
Era la sua canzone preferita, gliela cantava sua madre quando era piccola. Si addormentava sempre sulle note di quella canzone, da quando lei era morta, da quando si era ritrovata a vivere con un mostro di patrigno, da quando aveva cominciato a subire le sue violenze, da quando aveva incominciato a tagliarsi, da quando aveva assunto la prima canna, da quando aveva perso la sua verginità in un modo assai orribile, da quando aveva smesso di vivere, da quando la sua unica ragione di vita se ne era andata.
“ E’ sicuramente in un posto migliore di questo, ne sono certa ” pensò la ragazza, passandosi le mani sul volto per asciugarsi le lacrime che continuavano a scendere ininterrottamente, ma queste non ne volevano sapere di cessare e così la piccola Ebony incominciò a sfogarsi. Adagiò la testa sulla federa del cuscino e pianse, pianse come non faceva da anni, pianse tutte le cose negative che le erano capitate da quando sua mamma non c’era più, pianse ogni singola cosa che non andava in lei, pianse fino ad addormentarsi.
 

***

 
La mattina seguente si era svegliata verso le sei e mezza, doveva prepararsi per andare a scuola.
Si alzò dal letto molto di malavoglia, scese dal letto e si diresse a piedi nudi verso il bagno. Si fece una doccia veloce, dopo di che raggiunse la cucina già vestita e con lo zaino in spalla. Afferrò una mela sull’isolotto, dopo di che uscì di casa.
Arrivò davanti alla ‘Bradford High School’ in soli dieci minuti, si accese una sigaretta ed infine si appoggiò al muretto che dava sull’enorme cortile contornato da grossi alberi da frutto.
In lontananza vide i suoi migliori amici venirle incontro.
Liam, Niall e Zayn.
Erano ragazzi a posto. Gentili e responsabili, erano come dei fratelli maggiori per Ebony, sempre pronti ad aiutarla e a difenderla, sempre presenti. Sapevano tutto di lei. Le sue paure, i suoi sogni, le sue debolezze, tutto…o quasi. L’unica cosa che non gli aveva mai rivelato era la sua situazione familiare e la sua dipendenza dalla lametta e dall’alcool.
Se l’avrebbero saputo di scuro avrebbero ammazzato di botte il suo patrigno, letteralmente parlando. Loro non scherzavano. Affatto. Zayn era il più impulsivo, quindi meno sapeva meglio era per tutti. Per lei, per loro, per Brad. Certo lei odiava il fidanzato della madre, da quando aveva messo piede in quella casa, ma vederlo morto non entrava nei suoi piani. Non ora, per il momento. E poi, non voleva farli preoccupare, non si sarebbe mai perdonata l’allontanamento di uno dei ragazzi. Per niente.
“ Non mi deluderanno mai ”si diceva sempre la ragazza accarezzando le foto dei quattro – compresa lei ovvio – attaccate alla parete  di camera sua. Ed ora che ci pensava, ne Liam, ne Zayn e ne Niall erano mai andati a casa sua. Troppa paura che Brad poteva rincasare a casa prima e fare una delle sue innumerevoli sfuriate con tanto di calci e pugni.
« Ehi miele, come stai? » la distrasse dai suoi pensieri Lee – era così che lo chiamava – baciandole la testa. Era davvero dolce e premuroso. Lo conosceva da quando era piccola ed era sicura che se lui avesse scoperto la verità ci sarebbe stato davvero male.
« Bene… te? » rispose lei sfoggiando un sorriso radioso. Poteva anche mentire su come stava, ma vedere i ragazzi le faceva riempire il cuore di gioia.
« Procede divinamente. Ieri sera io e i ragazzi siamo usciti e… » aveva iniziato lui ammiccando in direzione dei suoi migliori amici, ma fu interrotto dalla ragazza.
« Non mi interessa la vostra vita sessuale ragazzi. Fateli tra voi questi discorsi » dichiarò Ebony arrossendo fino alla punta dei capelli e facendo un gesto scacciamosche con le mani.
« Devi dirci qualcosa per caso? » disse Niall assottigliando gli occhi con fare inquisitorio e incrociando le braccia.
« Io… no, che vai a pensare? Assolutamente no… non devo dirvi niente » ammise la ragazza sputando il fumo dalla bocca e spostando lo sguardo da un’altra parte.
« Ebony Dakota Palmer, sputa il rospo » dichiarò Zayn puntandomi un dito contro.
« Jake Daniel » mormorò lei dondolandosi sui talloni avanti e indietro.
« Chi? Puoi ripetere? » disse lui diventando scuro in volto.
“ Quale parte non ti è chiara del nega, nega, nega? ” si maledisse Ebony mentalmente buttando il mozzicone a terra e pestandolo con la punta delle all-star bianco panna.
« Allora? » domandò Niall spazientendosi. Una cosa che caratterizzava il biondo era la sua iperprotettività nei confronti della giovane ragazza, ma lei lo adorava per questo.
« Jake Daniel, ok? Jake sonofigoeloso Daniel, Jake hounfisicodapaura Daniel, Jake hobattutozaynafootball Daniel. Qual è il problema? » ammise lei incrociando le braccia al petto e battendo il piede destro sul terriccio del cortile.
« Tu che cosa?! » esplose Zayn spalancando gli occhi. Idem fecero gli altri.
« Senti ho sedici anni, anche io ho una vita no? » affermò lei gesticolando.
« Si, ma Daniel, proprio Daniel. E poi…tu? Lui? Letto? Che cosa?! » incominciò a farneticare frasi sconnesse Liam.
« Beh, ero ubriaca, euforica e con la voglia di divertirmi. Lo trovato vicino ad un cassonetto che rimetteva a causa degli alcolici e lo portato con me. Lo abbiamo fatto nel giardino dei suoi, con gli irrigatori accesi » disse Ebony soffocando una risata, che fu bloccata da un occhiata torva di Zayn.
« Almeno avete preso precauzioni? » chiese allarmato lui.
« Certo che sì, se no a quest’ora sarei incinta. E’ stato un mese fa » ammise lei palese.
« Un mese fa? Credo di sentirmi male » dichiarò il biondo appoggiandosi al muretto.
« Dio che esagerazione Niall » disse lei alzando gli occhi al cielo
« Non è esagerato, si preoccupa per te » ammise Liam
“ Almeno c’è qualcuno che lo fa” pensò la ragazza abbassando lo sguardo.
« Scusate, avete ragione…ora, devo andare » proferì Ebony facendo un saluto con la mano e dirigendosi all’interno della scuola.
Il fatto è che lei non era mai andata a letto con Jake. Aveva mentito, e si sentiva in colpa.
Lui l’aveva violentata. Era ubriaco fradicio e non rispondeva delle sue azioni, Ebony lo aveva accompagnato a casa vedendolo in difficoltà;  mentre lo stava appoggiando sul letto di camera sua il ragazzo si era alzato di scatto ed era corso verso la porta, l’aveva chiusa a chiave. Lei non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto affrontare in quegli attimi. Non si sarebbe mai immaginata che un ragazzo così dolce e gentile all’apparenza poteva risultare un simile mostro. E finalmente lo aveva capito, forse troppo tardi, ma aveva imparato la lezione.
Durante il tragitto si scontrò con alcune persone, chiese scusa, dopo di che si rifugiò in bagno.
Entrò nel primo gabinetto che trovò aperto e ci si chiuse dentro.
Si appoggiò al muro con la schiena, in seguito scivolò giù fino ad andare a toccare il languido e sporco pavimento. Ma poco le importava.
Estrasse dallo zaino un oggetto d’acciaio e affilato: la lametta.
Se l’appoggiò sul polso già segnato e premette forte, tanto forte che dovette chiudere gli occhi e mordersi un labbro per non urlare.
Continuava a incidersi la pelle: i polsi, la pancia e le braccia. Doveva sfogarsi.
La gettò a terra accanto al water, dopo di che avvicinò le gambe al volto, ci appoggiò il mento e cominciò a piangere. Di nuovo.
Sentì la porta del bagno aprirsi, segno che qualcuno era entrato.
Dei versi poco casti poco lontani da lei le fecero storcere la bocca e arricciare il naso. “ La gente non ha proprio contegno ” pensò la ragazza asciugandosi quelle lacrime miste a trucco che le bagnavano il viso.
Si accorse che uno dei due – non aveva capito bene se era la ragazza o il ragazzo – diede l’ordine di stare zitti, dopo di che vide dei piedi davanti al suo cubicolo. Subito dopo la porta si aprì.
Un ragazzo dai capelli marroni e dagli occhi azzurri le si presentò davanti. La guardò con uno sguardo dispiaciuto e compassionevole, in seguito parlò.
« Loren vai! » dichiarò il giovane in direzione della ragazza.
« Ma oggi era il mio turno  » replicò lei puntando i piedi e sbuffando.
« Vai! » insistette lui indicando la porta e regalandogli un occhiata torva.
Aspettò che la porta si chiudesse, dopo di che si voltò verso Ebony.
« Perché? » chiese il ragazzo sedendosi accanto a lei.
« Perché cosa? » domandò lei guardandolo con espressione interrogativa.
« Non fare finta di non sapere. Lo sai benissimo » disse lui con voce piatta.
« Io, beh… manco ti conosco, non ti devo spiegazioni ».
« Hai ragione, non mi conosci ed io non conosco te! Volevo solo aiutarti ».
 « Aspetta… rimani ».
Il ragazzo si sedette accanto lei, spalla contro spalla.
Si chiamava Louis Tomlinson, quinto anno, bocciato durante il terzo – troppo casinista e menefreghista, diceva lui –, viveva con la madre e con due sorelle più piccole – si chiamavano Charlotte e Felicity –, il padre gli aveva abbondati quando Louis aveva solo tre anni e Felicity uno . In quel periodo sua mamma era incinta di Lottie – aveva l’età di Ebony – e il padre non ne voleva sapere; dopo aver chiesto il divorzio sfrattò di casa la ex moglie e i suoi figli ed infine spartì i soldi della Banca con Johanna – era così che si chiamava sua mamma –.
Quando Louis raggiunse l’età di quattordici anni, e le sue sorelle chiedevano dove fosse il padre, lui rispondeva sincero; non voleva farle crescere con l’illusione che un giorno quello che loro definivano ‘ papà ’ potesse ritornare, non voleva farle crescere nella menzogna.
Una cosa che colpì la piccola Ebony furono gli occhi del ragazzo; ogni volta che menzionava il nome di una delle sorelle si illuminavano di gioia. Era una cosa davvero… dolce.
Dopo aver raccontato una parte della sua vita si rivolse alla ragazza regalandole un sorriso d’incoraggiamento.
«Ora tocca a te ».
Ebony prese fiato, si voltò verso il ragazzo e puntò i suoi occhi azzurro ghiaccio in quelli azzurro cielo di lui.
Fece un profondo respiro, dopo di che incominciò a raccontare.
La prima cosa che dichiarò era la vita precedente alla morte della madre, in quei periodi era felice e spensierata, adorava tutto e tutti, persino Brad.
Poi incominciò a parlargli dei comportamenti strani del patrigno, i primi schiaffi senza un perché, i primi pugni senza un motivo, i primi calci senza aver fatto nulla. E da li era diventato tutto abituale. La picchiava sbraitando un sacco di cattiverie, diceva che era colpa sua se sua madre era morta, che era una persona orribile, che non meritava l’amore e l’amicizia di nessuno, che se moriva non importava nemmeno ad un cane, che era solo un preservativo rotto in una notte che non doveva esserci, un intoppo per tutti.
Ma ci credeva, credeva a tutto quello che quel verme gli urlava contro, credeva a tutto ciò che usciva da  quella bocca di merda.
Mentre raccontava, Louis stringeva i pugni; si stava trattenendo dal non spaccare qualcosa. Si erano appena conosciuti ma lei sapeva che sarebbe nata una bellissima amicizia.
Gli disse anche che da quando aveva iniziato a picchiarla lei sfogava il suo dolore su ogni parte del corpo, incidendo tagli profondi soprattutto sui polsi. Mentre altre volte andava in qualche bar squallido della periferia di Bradford ad ubriacarsi, cercando di dimenticare il dolore subito. Tralasciò la parte della violenza sessuale da parte di Jake. Non voleva scatenare scompiglio a scuola; perché si, lui frequentava la ‘Bradford High School’, ed era sicura che se avesse detto a Louis di tutto ciò andava a finire come il suo ultimo ex ragazzo. Un braccio e il naso rotto, due occhi neri e una costola incrinata; opera dei suoi migliori amici. Motivo? Beh lei non era ancora pronta a concedersi a lui sessualmente, il ragazzo stanco di aspettare, si scopò una delle tante ragazze facili che frequentavano la loro scuola e lei ci rimase malissimo.
 Infine, dopo aver raccontato la parte più dolorosa e segreta della sua vita, scoppiò a piangere.
Il castano dagli occhi azzurri la strinse in un abbraccio rassicurante, gli accarezzò la schiena più volte sussurrandole un ‘ sfogati, non tenerti tutto dentro, io sono qui ’, la cullò tra le sue braccia fino a che l’ultimo singhiozzo non fosse cessato, dopo di che le asciugò con il pollice le lacrime che si erano soffermate sulle guance arrossate dal pianto.
« Grazie, sei stato davvero… gentile » disse lei sorridendogli riconoscente.
« Non ti preoccupare. Quando avrai bisogno, non esitare a chiedere » dichiarò lui sorridente, abbracciandola di slancio.
« Ora è meglio che vada. I ragazzi saranno preoccupati visto che è ora di pranzo » disse lei avvicinandosi al lavandino per sciacquarsi il viso ancora rosso per le troppe lacrime versate. Si legò i capelli in una crocchia disordinata, si sistemò la divisa meglio che poteva e infine uscì dal bagno seguita da Louis.
« I ragazzi? » chiese confuso lui aggrottando le sopracciglia e volgendo uno sguardo interrogativo alla ragazza. Lei rise per la sua faccia buffa.
« Si, i miei migliori amici » affermò lei sorridente.
« Che sarebbero…?» iniziò lui, ma fu interrotto da Ebony.
« … Zayn, Liam, Niall. Sono come dei fratelli maggiori, li conosco da quando frequentavo la quarta elementare » concluse lei sorridente.
« E loro sanno…? » chiese nuovamente Louis, ma fu di nuovo interrotto.
« No! Non lo devono sapere » dichiarò lei fermandosi di colpo davanti al ragazzo.
« Ma sono i tuoi migliori amici » rispose palese lui.
« Non una parola » ribadì lei spalancando la porta della mensa, poi continuò « Ci resterebbero troppo male » pronunciò rammaricata.
Nel tavolo in fondo alla stanza c’erano i ragazzi. Nessuno di loro aveva preso il pranzo, nemmeno Niall. Erano davvero preoccupati.
Vide Liam smanettare con il cellulare. Digitava tasti, si portava il telefono all’orecchio e poi lo rimetteva sul tavolo; continuava a ripetere la stessa azione ogni tre per due.
Niall, invece, si passava le mani nei capelli agitato. Infondo era stato lui, quella mattina, ad esagerare; continuava a darsi la colpa della sua scomparsa improvvisa.
Zayn invece era appoggiato alla parete con i pugni serrati e la mascella contratta. Viaggiava con lo sguardo in cerca di una testa biondo scuro, ma questa non si azzardava a comparire.
La ragazza, solo dopo aver visto com’era la situazione, si decise a raggiungere la postazione dei suoi migliori amici; seguita naturalmente da Louis.
Era appena arrivata davanti a loro, ma nessuno alzò lo sguardo.
Si schiarì la voce per farsi sentire, in seguito incontrò lo sguardo glaciale di Niall. Successivamente anche quello degli altri.
I ragazzi non si mossero, rimasero impassibili.
Lei lo sapeva che in queste situazioni era meglio non parlare. Erano tutte delle teste calde nel gruppo e se uno di loro diceva qualcosa di sbagliato, sarebbe successo il finimondo.
Dopo attimi di silenzio, i tre le indicarono la porta che conduceva al cortile. Solo una cosa voleva dire: era nei guai.
Ogni volta che uno dei ragazzi l’aveva ripresa o rimproverata, aveva sempre deciso si stare in un posto dove non c’era nessuno. Non voleva dare spettacolo.
Come oggi.
Il gruppo era uscito già usciti in cortile, lei doveva solo raggiungerli.
Deglutì in direzione della porta, dopo di che incominciò ad avanzare.
Louis che era stato zitto per tutto il tempo, prese parola.
« Io, allora… ti aspetto qui » dichiarò lui grattandosi la nuca.
« No! Tu vieni con me » affermò lei afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori.
Non c’era nessuno. Solo loro cinque. Uno Zayn che aspirava dalla sigaretta – l’ennesima pensò la ragazza –, un Niall teso come una corda di violino e un Liam che si passava le mani sul volto preoccupato in direzione del pakistano.
Lee sapeva benissimo che quando quest’ultimo fumava come un dannato e perché era nervoso, e quando lui era nervoso voleva dire casino. In più era preoccupato per Ebony. Non andava per niente bene, lo sapevano tutti, tutti tranne il nuovo amico della ragazza.


 

Ehi ragazze... ho ripostato il capitolo aggiungendo lo spzaio autrice.
Volevo dirvi che io ci tengo davvero molto a questa storia; 
in realtà io tengo a tutte le storie che scrivo, perchè dicaimo 
raccontano una parte di me, ma ora non starò a raccontarvi della 
mia scadente vita.
Ogni volta che scrivo, lo faccio con il cuore... ho diverse passioni, 
(tra quale questo) e mi piacerebbe davvero sapere le opinioni altrui.
Scusate se vi ho annoiate, ma volevo solo informarvi, spero che il capitolo
e il contesto della storia vi piaccia :)
Sarà genere skins, la protagonista sarà una sorta di Effy...
spero che andrete avanti a leggerla e che vi piaccia come piace a me.
Alla prossima bellissima,
Kiss kiss Swag_Queen xoxox

P.s: volevo avvisarvi che cambierò il nome del mio account
P.s.s: vi lascio i miei account di facebook, Twitter e Ask,
sto creando una pagina facebook per mettere le mie storie di efp, 
quindi quando concluderò vi darò il link 


              

  
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