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Autore: Kalyptein    19/04/2013    6 recensioni
«Peeta mi consigliò di chiamarti Primrose, come lei. Per mantenere vivo il ricordo, diceva. Come con i suoi biscotti, i suoi quadri e le nostre urla nel sonno»
«Perché non l’hai fatto?»
«Perché alla fine, quando perdi qualcuno, nessun nome, fiore o dipinto rimedierà al fatto che l’unica cosa che ti resta è un vuoto dove una volta c’era quel qualcuno a cui tenevi» [...]
«Sai che il tuo nome, Ivory, significa edera. Bhe, l’edera è una pianta che cresce sulle superfici più diverse, può nascere anche dove il suolo è più distrutto. Si avvolge con tenacia sui tronchi e sui muri. Per questo è un simbolo di fedeltà, di attaccamento e di caparbietà nell´inseguire i propri obiettivi. Ha anche funzione di sostegno. Tu sei il mio sostegno, Ivy, non dimenticarlo mai»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti fanwriters! Allora, questa è la prima volta che pubblico nella sezione Hunger Games, pur conoscendolo da un annetto ed essendo iscritta da un paio di anni su EFP. Questa storia mi ronza in testa da un mese e ho aspettato di scrivere qualche capitolo prima di pubblicarla. Ora devo puntualizzare un po' di cose:
- La storia si svolge interamente (o quasi, ci devo ancora pensare!) nel Distretto 12, dove appunto vivono i Mellark. Gli altri personaggi si trasferiranno lì.
- I figli di Katniss dovrebbero avere sedici e quattordici anni. Non sono un genio in matematica e se qualche volta ho fatto qualche errore con l'età del personaggi o con alcuni riferimenti passati perdonatemi! Il figlio di Finnick (♥) e Annie nella storia ha poco più di vent'anni, mentre tecnicamente dovrebbe essere un trentacinquenne ma passatemela ♥
- La storia si svolge in tre mesi più o meno, fino alla fine dell'estate.
- I personaggi, purtroppo, non mi appartengono ;_;




Quando salto da un ramo all'altro di un albero, niente mi tocca davvero. Né il pensiero di mio padre che a casa si starà strappando i capelli per paura che la sua principessa si rompa l’osso del collo o peggio, né mio fratello che urla di sotto di muovermi perché vuole tornare a casa prima che la mamma ci faccia una delle sue sfuriate epiche per il ritardo. Forse l’unica cosa che mi tocca veramente sono i moscerini che mi si spiaccicano in faccia.
Scendo rapidamente i cinque metri che mi separano dal terreno e dalla faccia scocciata di Berry che si aggiusta i capelli biondo cenere con un gesto della mano. «Sei davvero seccante sai?» sbuffo, mentre salto aggraziatamente, atterrando sulla punta dei piedi.
«Non sono seccante, sono solo responsabile» precisa, incamminandosi verso il Villaggio dei Vincitori, il quartiere dove abitiamo in quanto figli dei salvatori della regione di Panem. O almeno, così dicono i libri di scuola. Io e Berry abbiamo solo due anno di differenza e, a quanto dice la gente, ci somigliamo tantissimo. Personalmente, tutta questa differenza non ce la vedo. Come possono i miei occhi azzurri, color del cielo limpido, poter assomigliare a quelli grigi di Berry? E i miei capelli scuri come la pece al suo color biondo cenere? Forse, solo la forma delle labbra può far intendere un qualche tipo di parentela, escludendo che le sue c’è sempre stampato un sorriso genuino, al contrario delle mie.
Arriviamo a casa. Entro senza neanche bussare, attraverso il breve corridoio e mi siedo sulla sedia a dondolo lì davanti.
«Ivy? Berry? Siete voi?» Se non avessi riconosciuto la voce, avrei capito che era lui solo per il suo odore. Non so spiegarlo, ma ha un odore particolare. Sa di pane, acquerelli e sole. So che il sole non ha un odore, ma non riesco a spiegarmelo altrimenti. Esce dalla cucina con il naso sporco di arancione, una minuscola macchia.
«Cosa c’è per cena?» chiedo, sfilandomi gli scarponcini direttamente con i piedi, senza slacciarli. Berry si siede sul divano, accendendo il piccolo televisore disinteressato.
«Agnello in salsa alle bacche di ginepro e torta di mele» risponde mio padre, sorridendomi gentile. Non ci somigliamo per niente, io e lui, caratterialmente intendo. Non ho quella scintilla di bontà che tutti riescono a scorgere dal primo incontro, non ho quel sorriso che riesce a mettere tutti a proprio agio. E’ che sono troppo simile a mia madre, ecco.
Faccio del mio meglio per sorridergli, ma la verità è che mi interessa davvero poco di sembrare gentile e affabile. Lui torna dentro ed io do uno sguardo rapido al televisore, grugnendo infastidita subito dopo. Berry sta guardando lo stupido programma musicale che il ministro Plutarch Heavensbee promuove ogni anno da quando riesco a ricordare.
La voce della mamma ci informa che la cena è pronta, ci alziamo contemporaneamente e andiamo in cucina. Appena preso posto, prendo una coscia di agnello e inizio a mangiucchiarla, alternandola con un sorso di cioccolata calda. Ecco, forse questa è l’unica cosa che io e mio padre condividiamo, la passione per la cioccolata.
«Com’è andato il vostro ultimo giorno di scuola?» chiede papà, ingoiando un boccone gigantesco di agnello.
«Bene, in mensa ci hanno dato dei biscotti per pranzo» mi precedere Berry, bevendo il suo succo di mela.
«E tu, Ivy?» dice la mamma, ispezionandomi con lo sguardo troppo simile al mio. Per tutta risposta, scrollo le spalle indifferente.
«Ivy è andata a scalare gli alberi» risponde Berry, seguito prontamente dal mio pugno contro il suo braccio. Strilla come una femminuccia, poi mi lancia uno sguardo offeso.
«Non picchiare tuo fratello!» mi ammonisce mio padre, con il tono più risoluto che riesce.
«Certo – dico, denti stretti – dopotutto, non si picchiano le donne» Ignoro le proteste di Berry al mio fianco e continuo a mangiare il mio agnello in silenzio. So che non mi parlerà per giorni, almeno fino a quando non gli implorerò di perdonarmi e lui deciderà che mi sono messa abbastanza in ridicolo. Ovviamente, non succederà mai.
«Non dovresti continuare ad arrampicarti» dice serio papà, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Mamma alla mia età lo faceva» rispondo piccata, inarcando un sopracciglio.
«Lei era costretta a farlo!»
«Bhe, io non lo sono! – sbotto, alzandomi dalla sedia rumorosamente – Ma non per questo smetterò di arrampicarmi o fare qualsiasi altra cosa solo perché credi che non debba farlo!»
Salgo rabbiosamente le scale, chiudo la porta alle mie spalle e mi accerto che il rumore si sia sentito fino in cucina. Mi infilo nel letto, ancora vestita.
Sarà una lunga estate.

**



Sono le sei di mattina e sono già in piedi, seduta sulla sedia a dondolo. Sfoglio distrattamente il libro che mia madre aggiorna di tanto in tanto. Ormai credo di conoscerlo a memoria. Accarezzo il viso di Dylan, il figlio di Annie Cresta e Finnick Odair, quando era solo un marmocchio. Ora Dylan ha più di vent’anni e ogni tanto ci viene a fare visita con quella svitata di sua madre. Ha una bellezza particolare – mamma dice che è la copia sputata di suo padre, Finnick – che te lo fa piacere subito. Non si può dire di no davanti a quei riccioli biondi e a quegli occhi scaltri. Sorrido, girando un’altra pagina. Trovo una lettera, una grafia disordinata, ricalcata sulle pagine, come se le parole potessero bucare la carta. Il destinatario è una certa Catnip, che non riconosco subito. Quasi di una quindicina di anni fa.

Cara, Catnip
sarebbe alquanto scontato dirti che mi manchi? Probabile. Ma non mi importa un granché, in effetti. Mi mancano i pomeriggi assolati che passavamo oltre il Prato, mi manca il tuo sguardo vittorioso dopo aver trafitto un coniglio in un occhio, mi mancano i vecchi noi. I due adolescenti che infrangevano la legge. Che nel farlo non causavano morte, a parte quella della selvaggina. Come abbiamo fatto a crescere così in fretta? Come ha fatto sfuggirci tutto dalle mani, così, in un soffio?
Mi sposerò tra un mese. Già, è assurdo. E’ del Distretto 2, la figlia di un Pacificatore. Non ti parlerò a lungo di lei, sappi solo che è totalmente diversa da te. E’ calma. Sì, calma è un buon termine per definire Shade. Non ha quel fuoco che alberga dentro di te, lo stesso che alberga anche in me. Riesce a dominare le mie fiamme. Porta un po’ di sollievo al mio cuore scorticato.
Ora capisco vagamente perché hai scelto lui.
Credo ancora in noi, nel modo giusto questa volta.

Trasalisco, quando sento la mano di mia madre posarsi sulla mia spalla. «Già sveglia, Ivy?»
Annuisco, riponendo la lettera fra le pagine del libro. Non oso rivolgerle una solo di tutte le domande che si accumulano nella mia povera mente. L’esperienza mi ha insegnato che se non voglio sapere cose che potrebbero farmi del male, è meglio non chiedere e non indagare.
«Non volevamo farti arrabbiare ieri sera. Peeta si è sentito in colpa per tutta la notte» Si siede sul bracciolo della poltrona, iniziando ad accarezzarmi i capelli. Mi trattengo dal dirlo, ma questo gesto mi fa sentire al sicuro.
«Gli sta bene» grugnisco.
«Non essere dura con lui, si preoccupa solo per te» risponde, sospirando.
«Mamma – dico, girandomi per guardarla bene negli occhi. – Perché hai scelto papà? Voglio dire, siete così diversi..»
Lei guarda il libro che tengo ancora stretto tra le mani e il suo sguardo si posa sulla lettera che sporge. «Hai letto la lettera» Non è una domanda né un’accusa. Solo una semplice constatazione. Annuisco lentamente.
«L’ha scritta un mio vecchio amico. Gale. – dice, sorridendo brevemente – E’ stato molto tempo fa, comunque.»
«Gale Hawthorne? Il fratello del professor Rory Hawthorne?»
Mia madre annuisce, sorridendo. Veniamo interrotte dai passi non altrettanto silenziosi di mio padre che entra in salotto, con i capelli aggrovigliati e lo sguardo ancora nel mondo dei sogni degli occhi. «Oh, Ivy, buongiorno dolcezza» mi saluta, sbadigliando subito dopo.
Faccio una smorfia che dovrebbe passare per un sorriso. «’Giorno anche a te, papà»
Tre colpi secchi alla porta interrompono la nostra imbarazzante conversazione.
«Vado ad aprire» dico, alzandomi velocemente dalla poltrona. Apro la porta e mi trovo davanti un tipo che non ho mai visto in vita mia. Conosco la maggior parte della gente del Distretto 12 – come figlia di Katniss Everdeen e Peeta Mellark, è normale che ci sia sempre un po’ di via vai in casa nostra – ma la sua faccia non mi ricorda niente. Ha un accenno di barba sulla mascella quadrata e ben definita, le labbra piene sono stiracchiate in un sorrisetto, le sopracciglia folte e virili inarcate, il naso dritto. Alto, fisico asciutto, capelli scuri.
«Oh» dice, squadrandomi dall’alto.
«Già, oh» rispondo io, con una nota dura nella voce. Non mi fido di lui, della sua aria saccente.
«Sei la figlia di Katniss, suppongo»
«Così si dice in giro»
«Chi è alla porta?» Sento la voce di mia madre e capisco che tra meno di due secondi mi affiancherà. Percepisco la sua mano sulla mia spalla.
Rivolgo la mia attenzione allo sconosciuto alla porta e lo trovo a sorridere apertamente. Il sorriso non è più rivolto a me, ma alla donna alle mie spalle.
Sto per chiedere una spiegazione a tutta questa situazione assurda, quando mia madre mi precede con un sussurro strozzato. «Gale»
  
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