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Autore: That_Lady    19/04/2013    2 recensioni
- Il giovane uomo sedeva ad un lato del tavolo con i tristi occhi fissi sulla fidata amica, poggiata senza vita sul ripiano in ebano.
Pareva che anch’essa, come il suo padrone, non potesse più cantare. Come se entrambi avessero perso il loro dono e le loro voci non fossero più capaci di rapire le anime dei viventi. [...] -
***Ecco a voi la mia versione del mito di Orfeo ed Euridice, buona lettura!***
Genere: Drammatico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Orfeo ed Euridice

 

Il giovane uomo sedeva ad un lato del tavolo con i tristi occhi fissi sulla fidata amica, poggiata senza vita sul ripiano in ebano.
Pareva che anch’essa, come il suo padrone, non potesse più cantare. Come se entrambi avessero perso il loro dono e le loro voci non fossero più capaci di rapire le anime dei viventi.
-Non c’è più, la tua musa-, bisbigliava l’uomo, accarezzando con lentezza lo strumento. –Non ci sono più, la mia vita e la mia voce; con lei sono morte-.

La lira, muta, pareva provare lei stessa dolore, e se non lo provava, pareva comprendere quello del suo maestro e cercare di confortarlo col suo silenzio.

-Ah…- pianse lui sconfortato. –Se ci fosse un modo, un unico modo per riportarla qui; per far sì che il suo viso sia sfiorato dal vento un’ultima volta. Non chiedo nemmeno che riavvolgano il filo della sua esistenza ingiustamente rapita, ma di farle accarezzare l’erba un’ultima volta, di farle sentire il profumo dei fiori nella prima stagione, quello delle foglie d’autunno e il rossore che il fuoco lascia sulle guance quando la vita nel mondo sembra spegnersi, prima di ricominciare in un ciclo infinito-. Tacque, e il silenzio gli lasciò dentro l’ennesima sensazione di vuoto.

-Maledetto me- singhiozzò, -maledetto me che non ho potuto fare nulla per salvarla. Ciò che era metà della mia esistenza è morta, lasciandomi solo su questa terra immensa, a girovagare senza meta nell’attesa di poterla finalmente raggiungere-.

Si sollevò con lentezza raccogliendo la lira e si diresse con passo lento verso la porta, -ho pregato gli Dei, quegli stessi Dei che me l’hanno strappata. Ho pregato loro perché potessero darmela indietro, perché prendessero il mio canto come un umile preghiera e ascoltassero il mio dolore, ciò che hanno causato alla mia anima, perché quale anima può vivere a metà? Raggiungerò gli Dei dell’altro mondo, e convincerò loro ad ascoltarmi; oh mia amica, li convincerò a darmi ciò che ci appartiene e che ci hanno ingiustamente tolto-.

Camminò per giorni, Orfeo, trasportato dalla disperazione e dalla passione che non sembrava volerlo abbandonare. Quando ebbe raggiunto l’oscuro passaggio, la paura non l’aveva sfiorato, aveva perso troppo perché una qualsiasi porta potesse spaventarlo. -Cosa c’è di peggio del perder una parte di sé?- Disse, mentre percorreva i bui valichi dell’Aldilà.

Nemmeno l’aria osava scivolare in quelle caverne, come se là sotto nulla meritasse di respirare, e fosse stato deciso che tutto restasse così com’era: morto e senza nulla di lontanamente somigliante alla vita.

-Ah, guarda dov’ella vive ora. Qui, in questo luogo inesistente e senza forma. In cui non solo le ombre t’ingannano, ma anche le rocce salde ed immobili-.

La lira sotto il braccio del poeta, aveva cominciato ad accompagnare il cammino con una dolce melodia, e attorno a loro strane forme cominciarono a prender forma.

Le anime seguivano il viandante che percorreva solo quelle vie buie e apparentemente senza fine. Finché, ecco comparire una villa scura, ritta in mezzo ad uno scuro prato.

Il giovane accelerò il passo spinto dalla disperazione, ed eccolo a cospetto dei sovrani di quelle Terre dannate.

-Oh miei signori, voi che regnate qua sotto, voi, che imprigionate le innocenti anime in questo Oltre Terra. Da voi son’ oggi giunto ad imploravi di ridarmi indietro la mia amata consorte, che pochi giorni fa mi è stata ingiustamente tolta.

Vedete, io sono un poeta, e come tutti i grandi poeti avevo trovato la mia musa, oltre che il mio più grande amore, finché un infedele vipera le ha tolto la vita. Ditemi voi che, come io lo ero con lei, siete uniti in matrimonio, potreste vivere senza l’altro? O, se così riesco a rendere meglio l’idea, riuscireste a vivere con metà cuore, metà anima o metà corpo? Perché è così che vivo io ora, come un uomo a metà-.

Le due divinità, profondamente toccate dalle parole del poeta e dal coraggio che questi aveva avuto nel scendere fin lì, decisero di esaudire il suo desiderio; -non possa tu guardare la tua sfortunata consorte finché la luce del sole non abbia illuminato il volto di entrambi-, impose loro la voce del grande Ade, ed Orfeo annuì commosso, -qualsiasi cosa, pur di ridare la vita a colei che a me ha donato la parola-.

Le anime scivolavano lente dietro i due sfortunati amanti, attratte dal dolce suono della lira, che aveva flebilmente ricominciato a cantare.

-Ci siamo quasi!- Orfeo camminava a pochi passi difronte alla bella Euridice; tanto bella, che nemmeno la morte era riuscita a spegnere la gioia nei suoi occhi. Che fosse quello stesso amore che lei aveva lasciato nell’altro mondo a tenerla ancora così viva?

Era giunto all’uscita, lui, quando la dama in bianco sì fermò e lo richiamò.

-Orfeo…-

L’impulso di voltarsi parve letale, -Euridice, mia amata! Attendi ancora qualche istante- le disse con voce tormentata. Perché tanto era il desiderio di voltarsi e stringerla a se.

-Orfeo…- Ripeté lei, -aspetta, Orfeo-.

E lui si fermò.

-Non è giusto Orfeo, mio poeta-, sussurrò la giovane, avvicinandosi, -non è quello il mondo a cui appartengo, non più-.

-Invece sì! Guarda: nulla vive, nulla esiste qua sotto! Mentre tu…-

-Nemmeno io esisto-, lo interruppe, -e nemmeno io vivo. Ho ascoltato col cuore straziato le tue preghiere Orfeo, ma ora sono io a pregarti. Non posso tornare in superficie, la luce, il sole, mi ucciderebbero! Io sono morta, Orfeo, questo è il mio mondo ora-.

Con tocco delicato sfiorò il braccio all’amato, -voltati, fallo per la tua sposa, per colei che, come tu dici, ti ha donato l’ispirazione. Voltati e lasciami vivere-.

E lui si voltò, col cuore pieno di tristezza, pronto a veder sparire la sua amata per la seconda volta.

Ma ella non scomparve.

Sorrise con dolcezza al marito ed intrecciò le dita a quelle di lui, -vieni-, gli disse, -se vuoi, puoi accompagnare la tua sposa alla vostra nuova dimora-.

Ed egli la seguì.

 

  
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