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Autore: _Caline    19/04/2013    7 recensioni
E se Oliver e Felicity si fossero conosciuti al College?

- E tu sei… – la incalzò il ragazzo.
Fel sbuffò, spazientita. – Jessica Rabbit! – propose il primo nome che le passava per la testa.
- Credevo avessi i capelli rossi, Jessica – ribatté il ragazzo, stringendole la mano.
- E io credevo che tu fossi ubriaco.
- Anch’io. Solo che non sono ancora così ubriaco da essere daltonico – replicò ancora Oliver.
Genere: | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jessica Rabbit e il Cavaliere

 betata da nes_sie
 

Felicity Smoak non avrebbe dovuto essere lì e lo sapeva benissimo.
Avrebbe sostenuto l’esame di metà semestre di Elettronica da lì a due giorni, e quella notte avrebbe dovuto passarla sui libri, nel vano tentativo di rivedere qualche capitolo.
Invece era nella sede della KappaBetaPhi, nel bel mezzo di una festa con musica a tutto volume e alcool che scorreva a fiumi.
Te ne pentirai, le aveva sussurrato la sua coscienza non appena era arrivata davanti all’edificio di mattoni rossi dove si teneva la festa. Non aveva neanche fatto in tempo a scacciare la vocetta nella sua testa che Hally, la sua compagna di stanza, aveva cominciato a trascinarla lungo il vialetto che conduceva alla casa.
Probabilmente, aveva pensato lei, seguendo a ruota l’amica dentro il palazzo.


Tutto era iniziato un paio di giorni prima quando, come prima di una qualsiasi festa che si svolgesse nel campus, era cominciato il passaparola tra i tavoli della mensa.
-Non ce la possiamo perdere! – esclamò Hally, passando la notizia a delle ragazze che conosceva sedute al tavolo accanto al nostro.
- Ho l’esame di Elettronica lunedì mattina, Hals, devo studiare – replicò Felicity, con gli occhi fissi sull’ennesimo gruppo di formule del capitolo otto del manuale.
- Non dire sciocchezze. Princeton è fatta anche di questo.
- Per restare a Princeton devo avere un voto decente all’esame, e lo sai anche tu – ribatté Felicity, sistemandosi gli occhiali sul naso, per poi tornare alle sue formule.
- Lo sai che ti ci trascinerò in un modo o nell’altro – l’aveva avvertita l’amica.
- Lo sai che stavolta non cederò – Felicity le rispose convinta e le rivolse un sorriso veloce per poi tornare sul libro.
- Ma ci saranno tutti!
- Allora è perfetto, non sentiranno la mia mancanza.
- Felicity Smoak! – esclamò Hally in tono solenne, – non permetterò che la nostra vita sociale venga compromessa da un banale esame di Elettronica!
Fel non seppe mai se quella fosse stata una minaccia o un avvertimento.

Qualunque cosa Hally avesse voluto dire, quel Venerdì Felicity si era ritrovata con indosso uno dei suoi abiti più corti e un paio di sandali dal tacco vertiginoso ai piedi; la sua compagna di stanza non aveva voluto sentire obiezioni.
Per quella sera il motto sarebbe stato “L’Elettronica può aspettare!”, o almeno così aveva detto Hal, trascinandola fuori dalla camera che dividevano, dopo aver tirato fuori il libro che Felicity aveva provato a nascondere nella tracolla che aveva intenzione di portarsi dietro.
- Non ci provare! – l’aveva rimproverata Hally, – e poi non vorrai abbinare questa roba con quel vestito! – aveva proseguito. Allontanò la tracolla il più possibile da Fel e le porse invece la borsetta più piccola che avesse mai visto.
- E qui dentro cosa ci metto? – aveva chiesto alla sua compagna di stanza, constatando che nella borsetta non ci entrasse altro che il cellulare.
-Il cellulare, le chiavi e il rossetto. Io ho tutto quello che potrebbe servirci in caso di emergenza – aveva replicato Hally, indicando la sua borsa, molto più grande di quella che aveva imposto a Felicity.
-E perché tu puoi portare quella e io devo per forza avere questa sottospecie di portaspiccioli?
- Perché non c’è alcun pericolo che io porti dei libri con me.
Felicity aveva sbuffato e si era ravviata i capelli dietro un orecchio. Preferiva evitare ulteriori discussioni e andare alla festa, tanto Hally non gliel’avrebbe mai data vinta. Con un sorriso sulle labbra, un attimo dopo la sua compagna di stanza l’aveva trascinata fuori dalla camera e dal dormitorio senza troppe cerimonie.
Era così entusiasta che quasi saltellava sulle sue zeppe alte tredici centimetri.
Felicity invece si rese conto di non essere abituata a camminare con quei sandali al sessantaduesimo passo che fece, e d’altronde pensò che fosse normale, dato che le aveva indossate soltanto per la festa che i suoi genitori avevano dato per il loro venticinquesimo anniversario.
Così si rassegnò alla prospettiva che i suoi piedi non avrebbero avuto pace tutta la sera, e la sua tesi venne immediatamente rafforzata dopo il suo ingresso nella palazzina che ospitava la KappaBethaPhi.
All’ingresso le aveva accolte Juan, un ragazzo ispanico che aveva collaborato con Felicity ad una relazione per il corso di Fisica. Chiese loro i documenti, ma dopo averla riconosciuta, immediatamente con con un timbrino colorato le segnò il polso. Le lanciò un sorriso che la fece arrossire, prima di lasciarle la mano.
-Ma non è quello della relazione? – le chiese Hally, una volta che le orecchie del ragazzo furono abbastanza lontane.
-Già – confermò Felicity, mentre cercava disperatamente di tenere il passo dell’amica.
-E hai visto come ti ha sorriso?
-E tu sai benissimo che…
-Lo so, Fel! Non stai cercando un ragazzo. Il tuo amore per il corso di studi al momento supera l’umana comprensione, se sai resistere ad un sorriso caliente come quello. Te la prendi se gli chiedo di ballare con me?
-No prob.
Hally l’aveva ringraziata con un sorriso ed insieme avevano ricominciato a camminare.
Felicity non aveva ancora messo piede nel salone che già Hally l’aveva trascinata era al centro della pista a ballare. La musica era assordante e le luci stroboscopiche non facevano altro che pulsare continuamente, aumentando l’effetto “caos totale”.
Fel non sapeva quante persone stessero ballando in quel momento, ma di sicuro erano tante. Si ritrovò a stringere la mano di Hally per non perderla, schiacciata tra diversi corpi che si muovevano a ritmo di musica techno. Il caldo cominciò a farsi sentire dopo un paio di minuti, e non appena il deejay abbassò il volume della musica per dare il benvenuto ai numerosi ospiti, ci fu un boato di applausi, ma a causa della confusione non udì nulla.
Si avvicinò alla sua compagna di stanza con aria interrogativa per chiederle il perché di tanto entusiasmo, e la sua risposta fu un nome: Tommy Merlyn.
Quel nome fu sufficiente per fare alzare a Felicity gli occhi al cielo. Chi a Princeton non conosceva il rampollo della famiglia Merlyn? Le feste più famose degli ultimi due anni nell’intero Campus erano state organizzate da lui, e anche quella probabilmente non sarebbe stata da meno.
Merlyn apparteneva alla KappaBetaPhi per tradizione (dicevano che suo nonno fosse stato addirittura uno dei fondatori), ma non per questo disdegnava l’organizzazione di party per le altre confraternite.
Fel non era mai stata ad una festa organizzata da lui, ma le voci correvano in fretta nel Campus.
Tentò di osservarlo bene, ma le luci colorate certo non erano d’aiuto, così come la ragazza che gli stava avvinghiata al collo, e che Hally le rivelò essere una certa Laurel Lance.
Prima di indossare nuovamente le sue cuffie e posare il microfono, il giovane Merlyn augurò a tutti buon divertimento, e con gentilezza si scrollò di dosso quella Laurel.
Il volume della musica salì improvvisamente di nuovo, e Fel si ritrovò a muoversi ancora a ritmo di musica.

Dopo quelle che sembrarono ore, Hally la portò con se fuori dal salone. C’era molto meno caldo e quando scorse dell’acqua, Fel non ci pensò due volte prima di afferrare una bottiglietta e bere avidamente.
-Ti si scioglie il rossetto! –  la rimproverò Hally, che invece aveva compostamente sorseggiato un bicchiere di punch rosso.
- Hal, non puoi evitare di riprendermi per ogni cosa che faccio? – si lamentò Felicity, stanca dei continui attacchi dell’amica.
- Ehi, io lo dico per te. Se poi vuoi tornare a ballare con il rossetto sbavato…
- No, non tornerò proprio a ballare, se è per quello. Ho i piedi gonfi come un pallone da calcio, sono sudata nemmeno fossi stata in una sauna e ho una sete tale da poter prosciugare l’intero lago Michigan.
- Sappi che andrò a ballare con quel tuo collega…
Felicity non volle ascoltare oltre. Da una porta-finestra uscì in cortile e respirò l’aria fresca di fine Marzo a pieni polmoni.
Avrebbe voluto disperatamente sedersi da qualche parte, ma il fattore 'tacchi vertiginosi' le fece escludere i gradini che conducevano verso un piccolo giardino.
In quel momento la fitta di dolore ai polpacci divenne più intensa e allora scalciò via le scomodissime scarpe senza pensarci due volte.
- Non le metterò mai più in vita mia – sussurrò al vento, prima di mettersi seduta.
Realizzò di non aver nulla da fare lì, completamente sola nella penombra di un cortile dove non era mai stata prima. L’idea che da un momento all’altro potesse scorgere qualche coppietta appartata le fece sgranare gli occhi per un attimo, ma la festa all’interno del salone sembrava in pieno svolgimento, e il suo orologio segnava ancora le 00:47. Era prestissimo.
Le prospettive per la serata adesso non erano affatto allegre o brillanti.
Poteva tornare da sola in dormitorio e rimettersi sui libri. Poteva continuare a lavorare al suo progetto di Chimica.
- Non se ne parla – disse al vuoto.
Scoprì anche che l’idea che Hally fosse in mezzo alla pista a ballare con Juan la infastidiva un po’ troppo.
- Tu non cerchi un ragazzo! – si disse, sempre a voce alta.
- E io che pensavo di essere ubriaco – esclamò qualcuno dietro di lei.
Fel non riconobbe la voce, quindi fu costretta a voltarsi.
Si ritrovò ad osservare un ragazzo alto e dal fisico tonico. Il suo torace era fasciato da una camicia bianca che risaltava nella penombra del cortile e teneva in mano un bicchiere di plastica trasparente, ormai quasi vuoto.
Non sapeva il suo nome, ma era sicura di averlo già visto da qualche parte.
Tommy Merlyn, elaborò il suo cervello. Ecco dove lo aveva visto.
Era il biondino che Tommy seguiva ovunque. O era lui che seguiva sempre Tommy. O magari si seguivano a vicenda.
Qualunque cosa facessero quei due, adesso il ragazzo che pensava di essere ubriaco si era seduto accanto a lei e la fissava incuriosito.
- Sono Queen. Oliver Queen – le sorrise compiaciuto. Il suo alito sapeva di alcool e di menta.
Lui è ubriaco. Se parla imitando James bond è per forza ubriaco.
Oliver porse la mano a Felicity, aspettando evidentemente che anche lei rivelasse il suo nome.
Non lo fece.
- E tu sei… – la incalzò il ragazzo.
Fel sbuffò, spazientita. – Jessica Rabbit! – propose il primo nome che le passava per la testa.
- Credevo avessi i capelli rossi, Jessica – ribatté il ragazzo, stringendole la mano.
- E io credevo che tu fossi ubriaco.
- Anch’io. Solo che non sono ancora così ubriaco da essere daltonico – replicò ancora Oliver.
- Bene. Ma questo non vuol dire che ti dirò il mio nome.
- Questo causerebbe un immeritato vantaggio! – esclamò Oliver, improvvisamente forbito.
Felicity pensò che fosse un retaggio di qualche film che il giovane Queen aveva visto di recente.
- E, sentiamo, cosa potrei farmene di un nome?
- Potresti spacciarti per me – rispose il ragazzo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
La ragazza si costrinse a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Il povero Oliver era veramente andato.
- Credo che mi manchi il fisico, Mr. Queen – gli rispose.
- Hai perfettamente ragione, ragazza. Ci vogliono ore di palestra per mantenermi in forma, sai?
- Immagino – replicò Fel, assecondandolo. E poi era innegabile che quei bicipiti nascosti sotto la camicia avessero visto parecchie serie di pesi.
- E credo che anche gli occhi siano diversi, sai? – riprese Oliver avvicinandosi al suo viso, probabilmente nell’intenzione di scorgere davvero il colore degli occhi di lei. – I miei sono azzurri, come quelli di mamma. I tuoi sembrano più scuri – aggiunse, sfiorandole piano il mento con la mano per osservarla meglio.
Fel si sentii a disagio mentre quel ragazzo di cui sapeva solo il nome le stava così vicino. All’odore dell’alcool e della menta si era aggiunto quello del suo profumo. Probabilmente usava un’acqua di colonia che costava quanto la retta mensile per una stanza nel dormitorio.
- Sì, sono blu. O verde scuro, non si capisce bene con questa luce – concluse Oliver, allontanandosi finalmente.
Fel sospirò, e attese la prossima stoccata del ragazzo, il che era strano, dato che di rado riusciva a stare in silenzio quando era in imbarazzo.
- Hai davvero intenzione di non dirmi qual è il tuo nome? – le chiese ancora Oliver.
- Felicity – rispose lei sbuffando, onde evitare di trascinare oltre quella farsa.
- È un piacere conoscerti, Felicity. E adesso, dimmi, cosa ci fai qui fuori tutta sola, mentre la festa è nella sua fase migliore?
- Non sono esattamente una persona che ama le feste. E poi mi fanno male i piedi per colpa di quelle stupide scarpe. E dentro c’è troppo caldo, ma adesso rischio di prendermi un raffreddore perché qui c’è fresco. E le forcine tra i capelli non smettono di torturarmi! – concluse, iniziando a disfare lo chignon che Hally l’aveva aiutata a sistemare.
- Hai degli ottimi motivi per startene qui fuori, allora. Ma non riesco a credere che nessun cavaliere ti abbia voluto accompagnare.
- L’ultimo cavaliere credo che sia stato Lancillotto, o qualcuno dei suoi discendenti. E comunque non ne sto cercando nessuno – replicò Felicity, in un modo un tantino troppo acido.
- Davvero? E nessun cavaliere sta cercando te?
- Evidentemente no.
- Allora credo proprio che sia stato il Destino a condurmi qui fuori stasera. Da qualche parte deve essere scritto che dovevamo incontrarci, noi due.
- Chi ti dice che non sia stato quel mojito di troppo? – chiese retorica Felicity, indicando il bicchiere che era finito abbandonato per terra.
- Non siamo qui per criticare i mezzi che il Fato usa – la rimbeccò Oliver, in tono solenne.
Felicity ridacchiò, rendendosi conto che quello che stavano facendo era un discorso che no aveva né capo né coda.
Furono interrotti dal rumore della porta finestra che scorreva.
- Eccoti qui! – esclamò quella certa Laurel Lance, dirigendosi verso Oliver.
In tutta risposta, il ragazzo le fece un cenno con la mano.
- Tommy mi ha mandato a cercarti, dice che dovresti tornare dentro.
- Qui sto bene – le rispose lui, seccamente. Felicity vide una scintilla di rabbia attraversare lo sguardo di Laurel, prima che i suoi occhi si posassero su di lei.
- Ha bisogno di te, Oliver. Non fare storie.
Oliver sbuffò, prima di rimettersi in piedi.
- Devo andare – disse, rivolto a Felicity, – ma è stato un piacere conoscerti.
Felicity gli sorrise e si limitò ad un timido 'ciao'.
Laurel Lance invece non la degnò nemmeno di un saluto, prima di rientrare seguita da Oliver.
Si chiese se era merito del Destino se lei fosse arrivata ad interrompere quella insensata conversazione.
Cercare una risposta era inutile, e poi adesso Felicity aveva una gran voglia di andare a dormire.
Afferrò le scarpe e la borsetta e cominciò a far strada verso il dormitorio.

Il Campus di notte era meno terribile di tutti quelli che aveva visto nei film. Di solito erano bui ed inevitabilmente poco sicuri, ma sicuramente il Venedì sera, con le diverse riunioni di associazioni e qualche festa in corso, a Princeton tutto era molto più animato.
Anche se camminare scalza non era il massimo. I collant di Felicity  erano già strappati sulle piante dei piedi e se non si fosse affrettata a raggiungere la sua stanza, avrebbe cominciato ad avere allucinazioni il cui protagonista sarebbe stato il suo letto.
Ancora un isolato, pensò, mentre passava davanti alla sede di un’altra confraternita.
Cominciò a canticchiare I want you* per distrarsi dal pensiero della stanchezza che le era crollata addosso di colpo, non appena Oliver l’aveva lasciata nel cortile della KappaBetaPhi.
E d’altronde erano giorni che studiava ininterrottamente per quel maledetto esame.
- Felicity! – sentì Oliver chiamare alle sue spalle.
Perfetto, adesso sento anche le voci, si disse, mentre continuava a camminare.
- Hei! Non posso inseguirti per tutta la notte!
Un attimo dopo, Oliver le piombò accanto, sfiorandole il braccio.
- Che ci fai qui? – gli chiese, stupita di trovarselo lì, lontano dalla festa del suo migliore amico.
- Quando sono tornato nel cortile eri sparita. Ho pensato che avessi trovato il tuo cavaliere, ma poi ho pensato che non lo stavi cercando e quindi non potevi averlo trovato, e allora sono venuto a cercarti. Juan mi ha detto che ti aveva vista uscire.
-E Juan con chi era? – chiese curiosa.
- All’ingresso con il suo timbrino in mano. Esattamente dove dovrebbe stare, dato che lo paghiamo per quello. Perché?
Felicity sorrise. – Pura curiosità – rispose. Quella era piccolissima rivincita.
Oliver lasciò cadere il discorso, evidentemente soddisfatto dalla risposta. Percorsero in silenzio il resto del breve tragitto che li condusse al dormitorio dove alloggiava Felicity.
- E così è qui che stai – le disse con ovvietà, indicando il palazzo.
- Gli eleganti complessi delle confraternite non fanno per me – replicò lei, stringendosi nelle spalle.
- E io che ti vedevo benissimo a capo di una confraternita femminile! Che ne diresti della AlphaKappaLambda?
- Quelle Barbie? Okay, sono bionda, ma non quel tipo di bionda. Non sono qui solo perché la mia famiglia frequenta questo college da generazioni e allora dovevo farlo anch’io giusto per spendere i soldi di mio padre.
Felicity si rese contro troppo tardi che probabilmente aveva parlato troppo.
Oliver tuttavia parve aver incassato il colpo senza troppi danni.
- A volte parlo troppo, scusami – gli disse, ravviandosi i capelli nervosamente.
- Questo non vuol dire che hai torto – replicò lui, – anche se all’inizio credevo davvero che il corso di laurea in Economia facesse per me.
Fel non seppe più cosa dire, e aveva l’impressione di essere arrossita fino alle radici dei capelli.
- Non me la pendo certo perché hai detto la verità, Felicity.
In tutta risposta, la ragazza gli sorrise piena di gratitudine.



Quel Sabato mattina, il sole splendeva e c’era un tepore che invitava ad uscire dai dormitori e a star fuori tutto il giorno.
Mentre correva, Felicity osservava i ragazzi persi nelle più svariate attività, dal volantinaggio al ping pong.
Tornò a guardare il cronometro, e si lasciò andare ad un sorriso soddisfatto quando scoprì di aver corso ben un chilometro in più da quando aveva iniziato, senza fare troppa fatica.
Rallentò fino a fermarsi, per poi sedersi su uno spicchio di prato davanti al suo dormitorio. Si coprì gli occhi per evitare la luce fastidiosa, e cominciò a sentire il rimorso per non aver passato le ultime due ore sui libri.
Saresti impazzita, sentenziò la vocina dentro il suo cervello. Concordando per una volta con la sua coscienza, la ragazza si concesse un altro sorriso mentre il battito del suo cuore ed il respiro tornavano regolari.
La sua attenzione fu attirata da un fruscio vicino al suo orecchio, che la costrinse ad aprire gli occhi.
Si ritrovò ad osservare un aeroplanino di carta.
Lo prese e lo spiegò. Dentro c’erano scritte poche parole.

Felicity Megan Smoak, laureanda in Ingegneria Informatica.
Adesso so come ti chiami e cosa fai, ma un cavaliere come si deve dovrebbe conoscere meglio la sua dama, non trovi?
Il cavaliere suggerisce di prendere un caffè insieme, e spera che la dama accetti.
In quel caso, la aspetta davanti al Forbes.**


Felicity si guardò intorno velocemente, cercando di scorgere il mittente del messaggio.
Le persone in giro erano molte, ma  Oliver Queen si distingueva benissimo, mente si allontanava lentamente dal dormitorio.
Felicity si lasciò andare la terzo sorriso della mattinata e si alzò per raggiungerlo.


Note:
*I want you è una famosissima canzone dei Beatles;
**il Forbes è uno degli studentati della Princeton University.

 

Angoletto dell’autrice:

Potrò mai smettere di scrivere fluffosissime Olicity? Ovviamente no, perché li adoro troppo!
Non ci si mette molto ad immaginarli in altri contesti, insomma.
Come sempre devo ringraziare i miei angeli, IoNarrante e Nessie, che mi incoraggiano e mi danno degli ottimi suggerimenti. E poi grazie a voi che leggete i miei deliri.
A presto,
Anna.


   
 
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