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Autore: CowgirlSara    19/04/2013    6 recensioni
Watson prese tazza e piatto coi biscotti e se ne andò in soggiorno. E rimase fermo in mezzo al tappeto a fissare il divano.
Era vuoto.
Doveva ammettere che per un momento aveva pensato che Sherlock fosse immerso in uno dei suoi ragionamenti, affondato nei consumati cuscini di pelle marrone e non lo avesse sentito rientrare, invece… il divano era vuoto.
Un’occasione incredibile.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Your love is like a soldier, loyal till you die'
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The sofa affaire
Torno su questo fandom dopo un po' di tempo e devo ringraziare l'inconsapevole Hotaru_Tomoe, perchè oggi ho letto una sua - come sempre bellissima - storia  e m'è venuta voglia di finire questo abortino che era nel mio pc da un bel po' di tempo: grazie cara! (sperando che legga)
Questa shot sa di poco, vi avverto, ma dopo tanto tempo è quel che ho potuto!

I personaggi appartengono ai loro legittimi autori e io, al solito, non ci guadagno un bel niente.

Buona lettura!
Sara


- The Sofa’s Affaire -



John tornò dal lavoro stanco. Perché l’umidità degli ultimi tempi aveva fatto acuire ogni reumatismo, artrite e artrosi del suolo londinese, il raffreddore impestava la popolazione ed era anche il periodo dell’influenza stagionale. L’ambulatorio era stato pieno tutto il giorno.

Il dottore appese stancamente il giaccone all’attaccapanni dietro la porta e si guardò intorno. Sherlock era in casa, perché il suo cappotto era appeso anch’esso, ma non c’erano sue tracce in giro.

“Sherlock.” Chiamò John distrattamente, mentre riempiva il bollitore e pigiava la leva d'accensione. Nessuno gli rispose.

Nel tempo in cui l’acqua bollì, John preparò le tazze e cercò dei biscotti, non ci fu un suono che potesse ricondurre alla presenza del suo ingombrante coinquilino.

Watson prese tazza e piatto coi biscotti e se ne andò in soggiorno. E rimase fermo in mezzo al tappeto a fissare il divano.

Era vuoto.

Doveva ammettere che per un momento aveva pensato che Sherlock fosse immerso in uno dei suoi ragionamenti, affondato nei consumati cuscini di pelle marrone e non lo avesse sentito rientrare, invece… il divano era vuoto.

Un’occasione incredibile.

Il divano era dominio incontrastato di Sherlock, tanto che la seduta aveva praticamente assunto la forma del suo corpo. Sembrava che quella superficie orizzontale, ben più del suo letto, fosse la cosa che più era mancata a Sherlock durante la sua assenza, visto che ora passava più ore lì sopra che in qualunque altro luogo. O almeno così sembrava a John.

Potercisi sedere – per non dire sdraiare – era una mera utopia, perché anche quando ci riusciva, il dottore si ritrovava poco dopo schiacciato contro il bracciolo dai lunghi piedi di Sherlock che gli spingevano il fianco. Pochi secondi e doveva rinunciare in favore della più comoda poltrona.

Ma, adesso, il divano era vuoto, il consulente era fuori portata e John fu preso da un irresistibile desiderio di sdraiarsi comodamente, bere il proprio the e leggere qualcosa in pace.

Posò tazza e piatto sul tavolino, poi sedette, si tolse le scarpe, sistemò un paio di cuscini dietro la testa, prese una rivista, poi si sdraiò con un sospiro soddisfatto.

Non c’era piacere maggiore che usurpare il trono del re.

*****

“John, quando stamattina ti parlavo di quel mio esperimento sui residui di polvere da sparo…”

Watson abbassò la rivista. Era passata più o meno mezz’ora, da quando si era sistemato sul divano e solo ora Sherlock faceva la sua comparsa, regalmente rivestito di una vestaglia di seta color cioccolato – regalo di Natale di Mrs. Hudson – scalzo e scarmigliato.

“…ti ho chiesto se il residuo sarebbe simile, come forma, se lasciato da…”

“Quando, me lo avresti chiesto?” Fece il medico.

“Stamattina.” Rispose il detective, versandosi del the ormai tiepido.

“Sherlock, sono uscito alle otto per andare al lavoro e sono tornato mezz’ora fa.” Affermò sconsolato John.

“Ah… Quindi non c’eri… Ecco perché non mi hai risposto.” Constatò Sherlock, prima di bere un sorso, che gli fece storcere la bocca e buttare tutto nel lavello, tazza compresa.

Il detective, a quel punto, entrò in soggiorno. Scrutò la stanza, si accorse di John sul divano e prese a fissarlo con espressione molto pensosa.

John si allarmò. Uno sguardo del genere, da parte di Sherlock, poteva significare qualsiasi cosa. Da «dovrò sedermi sulla poltrona» a «potrei usare John per un sadico esperimento con gas nervino».

“Sherlock, che cos…”

Ma il buon dottore non poté mai finire la frase, poiché si ritrovò travolto da tutto il peso del suo coinquilino, che gli si era poco amabilmente steso addosso.

“Santo Dio, Sherlock!” Imprecò John, senza trattenere la costernazione. “Credo che tu mi abbia appena procurato un serio trauma toracico!”

“Nel qual caso, saprei perfettamente come salvarti la vita con soltanto una penna biro ed un coltellino svizzero.” Replicò incurante il detective.

“Non voglio sapere come!” Esclamò John.

“Dovresti, è chirurgia d’emergenza, non si sa mai…”

“Mai!” Lo zittì il medico. “Sei pesante…” Commentò poi, con ancora tutto il peso del coinquilino sul torace.

John, in realtà, non sapeva bene dove guardare, perché era la prima volta che aveva un contatto fisico così esteso con Sherlock. Lui sembrava sempre etereo, in un certo senso. Qualcosa che esiste, ma che non puoi toccare. Pura mente in un mero involucro, era questo che portava a pensare, spesso.

Ma Sherlock Holmes aveva un corpo. Era un corpo caldo, snello, spigoloso, fatto di muscoli e ossa, con la pelle bianca e tiepida, delle mani grandi e bellissime, dei capelli arruffati e profumati.

John scostò il naso dai riccioli scuri di Sherlock, facendo finta di non essersi accorto di essere arrossito.

“Peso settantadue chili e seicento grammi.” Affermò Holmes, ancora steso sopra il dottore.

“È un po’ poco per la tua altezza…” Soggiunse Watson.

“Fai delle affermazioni illogiche, John.” Ribatté l’amico. “Prima dici che peso troppo, poi troppo poco, deciditi, sei noioso.”

Il dottore, davanti alla sua espressione scocciata, ridacchiò appena.

“Basta che ti metti un po’ di lato.” Gli disse poi, spingendolo di fianco.

Sherlock si sistemò, scivolando leggermente sul lato, infilò una gamba piegata tra quelle del dottore ed allungò un braccio avvolgendogli il petto.

Lo stava abbracciando?

No, era solo l’unica posizione che potesse prendere perché riuscissero entrambi ad occupare il divano senza occludersi a vicenda le vie respiratorie… Vero?

Perché altrimenti John sarebbe morto per autocombustione nel giro di qualche dannato secondo.

“Cosa c’è?”  Domandò Sherlock, accorgendosi subito che John si era irrigidito.

Ecco, ora avrebbe dedotto tutto il suo fottuto imbarazzo, il senso d’inadeguatezza, il suo aggrapparsi ostinatamente alla sua eterosessualità in disfacimento, la voglia di scappare... La voglia di restare così per una vita e mezzo.

Sherlock, invece, si limitò a fissarlo per un istante, serio, poi fece un sorrisetto enigmatico e tornò a posare il capo sulla spalla di John.

“Cosa leggevi?” Gli chiese leggero, con quella sua voce calda e avvolgente come una coperta.

John sorrise. Aveva capito che il detective non aveva detto niente deliberatamente, pur avendo capito tutto. Sentì di adorarlo sconfinatamente per questo.

“L’interessante rivista di anatomia patologica a cui ti sei abbonato usando il mio nome.” Rispose poi.

Holmes si strinse nelle spalle. “Era necessaria l’iscrizione all’albo dei medici chirurghi.” Spiegò ineffabile.

“Mi domando solo dove tu abbia trovato i dati necessari…”

“Oh, John, ti prego!” Esclamò retorico Sherlock. “Tieni il tuo tesserino in uno dei taschini sinistri del tuo portafogli, non insultare la mia intelligenza!”

“Scusa, domanda inutile.” Biascicò rassegnato il medico.

“Ti perdono se mi leggi qualcosa.” Replicò l’altro, sorprendendolo.

John lo guardò. Non si erano mai guardati negli occhi così da vicino. Quante sfumature avevano gli occhi di Sherlock? Lui sembrava che gli studiasse l’anima, attraverso le iridi.

“E cosa vuoi che ti legga?” Domandò infine il dottore, distogliendo lo sguardo.

“Questo articolo andrà benissimo.” Rispose il consulente, indicando la rivista abbandonata sul petto di John. “Non escludo che possa anche essermi utile per un caso.”

Watson fece un sorrisetto divertito e retorico. “E va bene, continuiamo a leggere dei particolari segni lasciati sulle ossa dalle armi da taglio…”

La voce di John riempì il silenzio del soggiorno, pacata, rilassante, precisa. Era molto meglio che leggersi gli articoli da solo.

La mente di Sherlock assimilava le informazioni e si faceva assorbire da John. Le dita sul suo maglione: morbido, ma punge appena, pura lana vergine. Il suo profumo nel naso: doccia fatta stamattina, bagnoschiuma neutro, disinfettante, caffè. I suoi colori negli occhi: i capelli ingrigiti appena sulle tempie, pallido, leggere occhiaie – è stanco – gli occhi blu con sfumature dorate e marroni. La sua voce nelle orecchie: buona, potrei dormire…

Qualche minuto dopo, John fu preso da un dubbio. Smise di leggere e spostò gli occhi su Sherlock, trovandolo pronto a corrispondere lo sguardo.

“Stai almeno ascoltando quello che leggo?” Chiese il dottore.

“Sì.” Rispose il consulente senza spreco di parole.

“Perché mi sembri concentrato sui pori della mia pelle…” Ipotizzò sospettoso John.

“In realtà sto osservando le tue rughe.” Affermò Sherlock. “Sono… affascinanti.” Aggiunse, prima di passare la punta dell’indice sulla tempia del medico.

Il polpastrello freddo contro la pelle, fece venire un lungo brivido a John.

Sherlock se ne accorse e sorrise come un gatto, prima di spostare la mano e carezzare i capelli del dottore.

Non si era mai accorto di quanta voglia avesse di toccare John, ma ora che gli stava così vicino si rendeva conto che poteva diventare una cosa di cui non avrebbe fatto facilmente a meno.

Era perfettamente consapevole di essere un soggetto facile alle dipendenze.

La dipendenza da John, ad ogni modo, mostrava decisamente aspetti più positivi di quella da cocaina.

“Le mie rughe, eh?” Fece John, sarcastico. “E i segni da sega dentellata su un femore umano?”

“Ugualmente interessante.” Sostenne Sherlock, continuando con la piacevole carezza tra i capelli dell’altro. “Ti stupirà saperlo, ma posso fare più cose insieme, sono multitasking.”

“No, in realtà, non mi stupisce più di tanto.”

“I cinque sensi sono spesso usati male.” Dichiarò Sherlock con tono accademico. “Se dedico a te vista e tatto, posso benissimo usare l’udito per seguire la lettura dell’articolo.”

“Adesso, stai decisamente sminuendo la preziosità del momento.” Ribatté il dottore, con gli occhi sulla rivista.

Sherlock, allora, lo fissò per un lungo momento. L’espressione pensosa, un sopracciglio aggrottato e uno sollevato, in una smorfia impossibile. John si sentì talmente sotto esame che gli venne un’improvvisa voglia di mettersi a scalciare urlando.

“Quindi…” Riprese infine il detective con aria furba. “…ti piace quello che sta succedendo.”

John si sentì avvampare e guardò verso la cucina.

“Va bene.” Fece Sherlock.

Il dottore si girò piano e lo fissò con sospetto, ma lui gli sorrise appena.

“Anche a me.” Disse poi Holmes.

John spalancò gli occhi incredulo.

“Continua a leggere.” Lo incitò Sherlock, prima di strusciare il naso contro il suo collo e accomodarsi meglio su di lui.

Watson restò fermo ancora un attimo, a fissare il volto rilassato dell’amico, i suoi occhi socchiusi, gli zigomi lisci, quindi strusciò la guancia contro i suoi capelli, con un sospiro. Poi prese la rivista con la mano libera e ricominciò a leggere.

*****

La Signora Hudson li trovò così, qualche ora dopo, che dormivano abbracciati. Sorrise compiaciuta e poi gli buttò addosso un plaid.

Sapeva che sul quel divano sarebbe successo qualcosa, prima o poi.





   
 
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