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Autore: nevaeh    19/04/2013    3 recensioni
Sole ha vent'anni, fa il turno di notte come barista in una discoteca per non pesare troppo sui genitori e ha i capelli rosa.
Harry ha litigato con Louis, ha finito le sigarette e si è perso. Odia Milano.
***
Lui non risponde, così la ragazza scuote la testa e alza gli occhi al cielo; “Ti prego, credi che andrò a dirlo a qualcuno? Anzi, credi che qualcuno mi crederebbe mai?” gli fa notare, in un inglese così pessimo che Harry ha quasi voglia di ridere.
Inciampa in una crepa dell’asfalto, invece, e bestemmia tra i denti.
[...] “Hai mai sentito parlare del Larry Stylinson?”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N.D.A. Secondo aggiornamento su tre per questa storia che, al primo capitolo, ha contato più di 220 visite e tre recensioni. Grazie davvero a chiunque sia passato! ♥

Il capitolo è diviso in parti al presente e flash back (dio, amo i flash back!) che saranno indicati semplicemente col corsivo. Spero che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate e boh... sono anche qui e qui, contattatemi pure senza vergogna. ♥

P.S. la canzone a inizio capitolo è Senza fiato dei Negramaro.

P.P.S Nonostante tutta la buona volontà di Ari, ancora sperduta in terre straniere (torna presto nel bel paese!!!1), il capitolo betato non è riuscito ad attraversare le Alpi. Perdonate eventuali - leggi: sicuri - errori soprattutto di battitura in attesa del capitolo betato!


***

Come fossi niente,

come fossi acqua dentro acqua...

 

"Hai mai sentito parlare del Larry Stylinson?"


“No.” Sole gli sorride serafica, raggiungendo il primo tabacchino con la macchinetta che funziona ventiquattro ore e prende la borsa, tirando poi fuori il portafogli, “raccontami, però, perché potrebbe quasi essere interessante.”

Harry annuisce ficcandosi le mani nelle tasche, tira un calcio a un sassolino immaginario e resta poggiato con una spalla contro il muro, mentre lei inserisce la tessera nella macchina e seleziona un pacchetto di sigarette; “Louis ed io ci siamo incontrati la prima in bagno. È stato abbastanza strano, in effetti, se ci penso adesso…”

 

C’era stato un tempo, anni prima, in cui Harry Styles aveva la pancia e odiava il fumo delle sigarette. C’era stato un tempo, poi, in cui sorrideva alle ragazze timidamente, e uno in cui sorridere ai ragazzi era strano, ma non nel modo in cui pensavano i suoi coetanei.

“Non sono agitato” ripeté, più a se stesso che a sua madre, lì dietro le quinte. Intanto, per confermare quelle parole, scavava un fosso nel pavimento percorrendo avanti e indietro pochi metri nel backstage, le mani rosse e sudaticce. C’era stato un tempo in cui Harry Styles aveva davvero creduto di non potercela fare, mentre chiamavano il suo nome per comparire davanti ai giudici. C’era stato un tempo in cui, per Harry, l’unico modo per risolvere un problema era scappare, e così stava facendo anche quella volta, per quanto possibile negli studi televisivi a Manchester.

Il bagno era piccolo, sporco e senza luce elettrica; Harry lasciò la porta aperta e azionò l’acqua gelida del rubinetto. Aveva solo bisogno di rilassarsi, provare in pace la sua canzone – perché chi, sano di mente, entrerebbe mai in quello schifo di bagno con la reale intenzione di volerlo usare? – e auto convincersi che essere arrivato al boot camp fosse una cosa positiva, e che non avrebbe fatto schifo alla seconda audizione.

Harry si poggiò al muro e chiuse gli occhi, tolse il berretto di lana e si passò una mano ancora bagnata tra i capelli, compiendo nel frattempo qualche esercizio di riscaldamento. Pensava a quella nota che, all’ultima prova con la sua maestra, proprio non ne aveva voluto sapere di essere presa; pensava a sua madre e a quanto le era costato allontanarsi per quei giorni dal lavoro. Doveva farcela, doveva essere abbastanza bravo per non deludere nessuno. La canzone, in fondo, la conosceva a memoria e sapeva che l’idea più stupida del mondo era canticchiarla per l’ennesima volta. Non potè evitarselo, però, quasi fosse un antistress. Fu in quel momento che la porta venne aperta senza troppi riguardi e un ragazzo si affacciò nel bagno. Aveva gli occhi chiari, notò Harry aprendo gli occhi, e la faccia simpatica. Forse troppi capelli, ma lui non era un tipo che faceva commenti.

“Oops.”

Harry si stacco dal muro, “Ciao”, disse soltanto, schiarendosi la voce.

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli come a volerli sistemare, “Ho sentito qualcuno che cantava e sono entrato. Sei bravo!”

“Grazie..?”

“Louis.” Si presentò l’altro, entrando nel bagno ormai completamente illuminato e porgendogli la mano, “Louis Tomlinson. E tu devi farmi un autografo, magari un giorno potrò rivendermelo su qualche sito internet.”

Harry rise, uscendo nel corridoio pieno di assistenti e tecnici, e si appoggiò contro il muro, “Prima vediamo se passo questa selezione. Sono Harry Styles, comunque.” 

 

Sole annuisce, infilando le sigarette in borsa e rimettendosela sulla spalla. Rimane in silenzio per un po’, poi incrocia le braccia e ricomincia a camminare per la strada deserta.

“Incontro nel bagno, meglio di qualsiasi film porno.” È il suo unico commento, mentre guarda il ragazzo che gli cammina di fianco di sottecchi. Harry sbuffa, mentre la ragazza continua con un “Quasi romantico, oserei dire.” Che in effetti lo diverte. Non lo ammetterebbe mai, ovviamente.

“Sono contento che la storia ti affascini.” Ribatte lui abbastanza sarcastico, ma a voce abbastanza bassa che lei non lo percepisce, o fa finta di non farlo.

“Bene, quindi è per questo che sei arrabbiato col mondo?”

Harry si stringe nelle spalle, ci pensa per un po’ mentre tira fuori il cellulare e lo riaccende distrattamente; “Più o meno. Sai stare zitta, ogni tanto?”

“No, in realtà. Ma se cominci a raccontare invece di continuare a sbuffare come un treno potrei provare.” Sole sorride, sorride sempre con le labbra piene e mostrando i denti, apparentemente non provata dal fatto di star camminando per strada da sola con un ragazzo inglese e piuttosto complessato dopo un turno di sei ore a servire al banco di una discoteca.

“Tu, piuttosto,” la interroga allora Harry. Avrebbe voglia di un’altra sigaretta, e sì che lo sa che così gli viene la voce roca e il nero nei polmoni, ma non gliene importa proprio; “Perché sei qui?”

La ragazza prende il pacchetto dalla borsa, “Sono qui per l’Università, te l’ho detto.” Ripete, con lo stesso tono che si userebbe per parlare a un bambino non molto intelligente.

Harry alza gli occhi al cielo: ma vedi un po’ tu se deve anche essere preso per il culo da una ragazzina con i capelli rosa, adesso; “No, perché sei qui con me adesso.”

Sole scoppia a ridere, “Ah.” Commenta, cercando l’accendino – senza successo – “mi piacciono le tragedie. Avrei fatto psicologia, mi avessero presa ai test. Sistema scolastico del cazzo.”

Harry prende l’accendino dalla tasca posteriore dei suoi jeans e lo fa scattare, Sole accende la sigaretta e gliela passa, per poi accendersene un’altra. C’è scritto “Merit” sul filtro, e lui sa già che gli faranno schifo senza nemmeno fare un tiro. Che cazzo di sigarette vendono in Italia?

“E cosa studi, invece?” le chiede, senza essere in realtà essere troppo interessato. Cosa deve fare un uomo per avere una Marlboro Red come Dio comanda? Allora è vero che dovrebbe smetterla, di prendersela sempre con Dio. Merda.

Sole sta rispondendo qualcosa come “Lingue e letterature straniere. Il mio sogno nel cassetto è fare la disoccupata fino ai quarant’anni, è ovvio.” ed Harry annuisce senza nemmeno starla a sentire. Il cellulare che ha ancora in mano ha ricominciato a vibrare, e il nome Lou scritto sullo schermo non lo rassicura per niente. Sole smette di parlare, notando che il ragazzo è rimasto fermo nel bel mezzo del marciapiede con la sigaretta in una mano e il cellulare che squilla nell’altra.

“Allora, rispondi o no?”

Harry scuote la testa, rifiuta la chiamata e toglie la suoneria. Che Louis continui a chiamarlo, non lo direbbe mai ad alta voce, gli fa così piacere che sente una scossa nel petto. Il fatto che sia nei suoi pensieri, nonostante tutto, è l’unica cosa che gli fa alzare la testa e riprendere a camminare.

Sole rimane un secondo ancora in silenzio, mordendosi le labbra per non fare domande. È Harry che, sospirando, dice “Era Louis.”

“Quello dei bagni? Non siete solo amici” indovina lei.

Harry si limita a chiudere gli occhi, le braccia incrociate sul petto. “In realtà” mormora, e non sa nemmeno bene a chi, “non sono sicuro che siamo più neanche questo, ormai.”

 

“Noi… siamo amici?” Harry non riusciva quasi a parlare, mentre Louis gli sollevava frettolosamente la felpa colorata che avevano scelto insieme da Hollister solo qualche giorno prima. Si vergognava un po’, a dire la verità,, perché lui aveva ancora un po’ di pancia e la sua pelle era sul serio troppo bianca, e quei nei sulle spalle? Assolutamente imbarazzanti. Quando Louis gli lasciò un bacio alla base del collo, però, fu troppo occupato a prendere aria per avere tempo di pensare a queste cose.

“Tutto quello che vuoi,” ripeteva intanto l’altro ragazzo, continuando a spingerlo contro la parete. Gli altri membri degli One Direction – ma come gli era venuto quel nome? – erano appena usciti; Zayn a quanto pareva voleva assolutamente costringere Liam a fare il primo tiro ad una sigaretta. Louis aveva rifiutato ad unirsi al gruppo, impedendo anche ad Harry di alzarsi. Non che lui se la fosse presa per quel piccolo gesto di prepotenza; “Siamo tutto quello che vuoi, Haz.”

Harry annuì sorridendo contro il collo di Louis. Aveva un male piacevole alla pancia, di quelli che ti fanno venire voglia di ridacchiare come una dodicenne, e sentiva le gambe molli. Come ti senti, aveva chiesto proprio quella mattina a Zayn, quando ti innamori? Lui non era stato capace di dargli una risposta, ma alla fine Harry sperava che fosse esattamente come si sentiva lui. Perché era troppo, e comunque ne avrebbe voluto ancora.

Non c’era mai stato troppo bisogno di parole, con Louis, anche se non sarebbe certo servito un mago a fargli capire le sue intenzioni poco prima, mentre annunciava sorridendo “Io e il bambino rimaniamo qui.” che lo aveva fatto sorridere e sentire leggero. Non aveva mai provato nulla del genere, Harry, mentre a sedici anni e qualche mese boccheggiava con la mano di Louis nei pantaloni un po’ abbassati. Nessuno dei due sapeva cosa fare, ma comunque si sorrisero prima che Louis posasse per l’ennesima volta le labbra sulle sue. Ad Harry Styles, alla fine, non importava nemmeno che addosso a lui ci fosse un ragazzo e si limitò a sorridere, pensando a quanto sarebbe potuto essere bello fermare il tempo.

 

Harry smette di raccontare per un istante, giusto in tempo per non perdersi l’espressione divertita di Sole, accanto a lui. Entrambi continuano a passeggiare; forse si sono persi davvero, adesso, ma alla fine non importa più di tanto. Camminano con le braccia che si sfiorano e non fa più nemmeno tanto freddo: Milano è ai loro piedi e niente potrebbe andare meglio.

“Credo che tu abbia saltato un passaggio.”

Harry scuote la testa, “Quale?”

“Be’,” la ragazza avvista un bar ancora aperto e si prepara ad attraversare la strada, “per esempio come siate passati dall’oops, oh ciao al pomiciare negli studi di X Factor.” Gli fa notare.

“Lui è…” Harry non nomina il suo nome, mentre sorride pensando a chissà cosa, “lui è sempre stato così, capisci? Ti trascina in quello che vuole e non te ne accorgi nemmeno; io avevo sedici anni e non ero mai stato innamorato. E poi arriva questo ragazzo che termina tutte le sue parole in a, con quei capelli e quegli occhi. Sagace, ironico, lunatico, sarcastico. Come potevo non rimanerne affascinato?”

“Praticamente ti ha abbagliato.”

Harry sorride, comunque, passandosi una mano tra i capelli. L’ammasso di tatuaggi sul braccio fanno spalancare gli occhi alla ragazza, che comunque non fa commenti; “Abbagliato, sì. Forse qualcosa di più. Lo seguivo ovunque andasse, pendevo letteralmente dalle sue labbra.”

“Non sembra una cosa molto sana.”

Il ragazzo si sistema il ciuffo con un gesto che sembra davvero abituale, “Non me ne sono mai reso conto. Mangiavamo dallo stesso piatto e dormivamo nello stesso letto. Lui diceva che ero il suo bambino.” Il tono nostalgico di quella confessione mette sull’attenti Sole.

“Non lo fa più adesso.” Non è una domanda, quella della ragazza, mentre entrano nel bar. Harry si limita a scuotere la testa, gettando un’occhiata veloce al bancone. Gli è passata la fame, ha ancora un po’ di mal di pancia e le palpebre cominciano a pesargli.

“Siamo troppo impegnati a litigare, ultimamente.”

Sole annuisce, indica al barista mezzo addormentato due ciambelle col cioccolato e lo zucchero a velo e gli dice velocemente qualcosa in italiano. Quello annuisce e prepara il pacchetto, aggiungendoci due bicchierini di polistirolo che fanno rimpiangere ad Harry Starbuck’s e Londra. Che cazzo di città, Milano.

La conversazione ricomincia quando sono entrambi nuovamente in strada; Sole gli passa un bicchierino e il sacchetto con i dolci; “Prima invece non lo faceva?”

“No.”

“Non avete mai litigato?”

Harry ci pensa, “Durante X Factor? Mai.”

“Sembra la storia d’amore perfetta.”

“Non esistono storie perfette, Sole. La nostra comunque… non avevamo mai parlato di stare insieme, capisci? Lui non voleva dare etichette, avevamo deciso di andarci piano e così stavamo facendo.”

Sole sorride, gli indica una panchina perché sono arrivati vicino a quelli che lei gli spiega essere un canale dei Navigli e che a Harry fa solo bestemmiare a bassa voce perché, Cristo, cos’è quella roba?

“E funzionava?”

Harry chiude gli occhi, gli riapre subito dopo “Neanche per una settimana. Mi ha baciato dopo cinque giorni che ci conoscevamo perché non aveva senso aspettare, visto che entrambi lo volevamo e non era del tutto vero perché avevo sedici anni, ed ero così confuso!” il suo tono adesso è quasi arrabbiato, stringendo i pugni contro i jeans.

“Sei pentito di aver risposto a quel bacio?”

Non ci pensa nemmeno, Harry, prima di rispondere, “No. Io lo amo, anche se all’inizio non riuscivo a capire niente perché c’era la competizione, zio Simon, mia madre, gli One Direction e il fatto che volessi che un altro ragazzo mi infilasse le mani nei pantaloni.”

Sole da un morso alla sua ciambella, in silenzio. Sta a gambe incrociate sulla panchina, l’enorme borsa abbandonata lì accanto e l’espressione concentrata; “Come glielo hai detto, la prima volta?”

“Cosa?”

“Che lo ami. Come glielo hai detto?”

Harry ride, si sistema la frangia; “Io? Dirgli ti amo? Ci siamo mollati e mi sono perso in una cazzo di città. Sto parlando con una ragazza che non ho mai visto - e che non rivedrò mai più, se tutto va bene - pur di non tornare ad affrontarlo. Ti sembro uno che prende le situazioni di petto?”

 

Che Harry amasse Louis, era una realtà universalmente riconosciuta. Il modo in cui lo baciava, le farfalle nello stomaco ogni volta che lui lo sfiorava soltanto… Condividevano il guardaroba, lì nella casa, e Louis gli aveva appena proposto di andare a vivere insieme. Come avrebbe potuto chiederlo a sua madre?

Zayn se ne stava in salotto col laptop sulle ginocchia, una sigaretta spenta in equilibrio su un orecchio.

“Ehi, frocetto.” Lo salutò con un sorriso, in quella maniera che faceva gonfiare le guance a Harry e poi scoppiare a ridere. Zayn si guardò intorno.

“Che guardi?”

“Dov’è Louis?”

Harry si strinse nelle spalle, “Di là, per quale motivo?”

“Che ne so,” rispose l’altro imitandolo nel gesto “non pensavo poteste fisicamente vivere a meno di due metri l’uno dall’altro.”

Harry rise, stendendosi sul divano. I rapporti con gli altri ragazzi erano buoni, ma non ottimi come quello che si faceva credere durante lo show. Liam era insofferente in ogni momento, anelando a una carriera da solista che, era chiaro, non avrebbe più potuto costruire; Niall viveva in un mondo tutto suo, sorrideva a tutti e faceva il suo lavoro senza battere ciglio, anche se era praticamente impossibile valicare quel muro di ricordi di casa che si era costruito. Zayn era apatico. Una volta o due Harry si era anche chiesto per quale motivo avesse partecipato alle audizioni, dal momento che viveva sempre tutto così passivamente; la sua presenza silenziosa però lo aiutava, soprattutto dopo ore di chiacchiere senza fine e senza senso di Louis. Gli facevano ancora male le labbra, si rese conto mentre se le tastava delicatamente steso sul divano della living room, un secondo prima che Zayn togliesse una delle cuffiette e lo guardasse intensamente.

Harry si sentì in imbarazzo, stranamente, “Cosa?”

Zayn si strinse nelle spalle, “Pensi che questa cosa continuerà ancora per molto?”

“Perché, sei geloso?” rigirò la domanda ridendo l’altro, perché era così felice che era impossibile e impensabile anche solo concepire l’idea di una vita senza Louis. Non dopo averlo trovato.

“Sei solo un ragazzino.”

“Mi dici che c’è di sbagliato in te, Zayn?”

Il ragazzo scosse la testa, chiuse il laptop senza spegnerlo e staccò gli auricolari, “Odio essere quello sincero, ma prima o poi dovrai arrivarci da solo: credi davvero che lui vorrà portare questa cosa fuori di qui?”

Harry rimase in silenzio, una mano ancora sulle labbra, “mi ha detto che andremo a vivere insieme.” Perché aveva risposto, quando avrebbe potuto semplicemente alzare gli occhi al cielo ed andare via?

“Ah, sì? E poi?”

Non lo sapeva, Harry, cosa sarebbe accaduto, l’unica certezza era che lo avrebbe vissuto con Louis; “Cosa stai cercando di dirmi, Zayn?”

Zayn, che non parlava mai e di cui spesso ti dimenticavi anche se era nella tua stessa stanza, prese la sigaretta e cercò l’accendino nella tasca della tuta, “Dici di conoscere Louis, Harry. Allora sai quanto si stanca facilmente delle cose.”

“Io non sono una cosa.” Fu la risposta, a voce bassa, di Harry, che lo sapeva che Louis era imprevedibile e sempre curioso e mai soddisfatto, ma che non voleva assolutamente pensare di non essere altro che una delle sue esperienze.

“Hai ragione. Forse sono io a sbagliarmi.” E senza aggiungere altro uscì, diretto forse al cortile.

Louis era nella camera da letto, steso sul letto sgualcito con gli occhiali da vista in bilico sul naso; “Ehi, amore.” Sorrise ad Harry, appena lo notò sull’uscio della porta, qualche minuto di indecisione dopo.

“Ehi. Che stai facendo?”

“Pensavo a te.” Rispose Louis, per poi scoppiare subito a ridere mettendo in mostra i denti bianchi e le labbra sottili. Harry si avvicinò cautamente al letto, non se l’era mai immaginato così, ma pazienza, pensò togliendoli gli occhiali e sedendosi a cavalcioni su di lui.

“Lou.”

“Cosa?”

“Tu non hai intenzione di stancarti di me e mollarmi appena avremo finito con tutta questa storia, vero?” chiese in un mormorio, le guance rosse e gli occhi verdi lucidi per il nervosismo. Le mani, ferme sulla base del collo di Louis, erano gelide. Si pentì di quella domanda già mentre la diceva, Louis chiuse gli occhi e scoppiò a ridere, a lungo e di gusto. Ed Harry si sentì morire.

“Bene.” Freddamente si alzò e si scompigliò la frangia con una mano, Louis gliela prese alzandosi contemporaneamente dal letto.

“Harry,” lo richiamò, stranamente serio e tuttavia con un sorriso sulle labbra “non ho intenzione di lasciarti, né dopo questa storia né in altre occasione. Io ti amo.”

 

 

Rimangono seduti sulla panchina per un po’. Harry apre il sacchetto e prende l’altra ciambella, la annusa e le da un piccolo morso, pentendosene subito dopo. Il caffè, però, non gli sembra tanto malvagio e lo butta giù tutto in un sorso.

“E diceva la verità?” chiede d’un tratto Sole.

“Louis?” Harry sospira, si poggia meglio contro la panchina mentre la ragazza assale anche il dolce rimasto “Sì che diceva sul serio, dannazione a lui.”

“Perché?”

“Quando sei idolatrato dalle ragazzine, e ti fotografano anche mentre vai a fare la spesa, e sanno dove abiti e il nome della tua fidanzatina delle elementari… non è sempre così facile vivere una storia importante.”

Sole ci mette qualche secondo a mettere insieme la risposta, “Dipende.”

“Da cosa?”

“Da quanta volontà hanno le due persone di vivere la storia.” Spiega con ovvietà, sorridendogli, poi, con la bocca sporca di cioccolata.

“Non è solo questo, perché la volontà c’era, credimi.”

“E cosa, allora?”

Harry non risponde subito, si guarda intorno incrociando le braccia al petto, getta la testa indietro chiudendo gli occhi; “La maggior parte delle ragazzine che comprano i nostri dischi sognano di farsi uno di noi. O tutti noi, in alcuni casi. Come potevamo semplicemente venire fuori e dire a tutti che stavamo insieme?”

“Non potevate.” Tira ad indovinare per l’ennesima volta Sole, le mani già pronte col pacchetto di sigarette.

“Non potevamo, no.” Le fa eco lui, “o comunque, a un certo punto è diventato insostenibile. Prima stavamo insieme, i primi… otto, nove mesi? Sì, più o meno, sono stati perfetti. Non ero mai stato a Londra e d’un tratto mi ritrovo a viverci col mio ragazzo, con la gente che mi chiede l’autografo e l’autista personale. Non sapevo bene cosa stesse succedendo, non ero nemmeno convinto che una persona potesse contenere così tanta felicità tutta in una volta.”

Sole fa un tiro, si alza e prende a borsa, invitandolo silenziosamente a continuare per quella strana passeggiata senza meta, “Non poteva contenerla.”

“No, non poteva.” Si ritrova a ripete Harry, le mani nervose nelle tasche. Ha bisogno di un’altra sigaretta ma non la chiederebbe mai a lei.

 

Lo studio era sempre quello, notò Harry mentre attendeva che il tizio con cui dovevano parlare, Marco, facesse il suo ingresso. Erano seduti sul divanetto di pelle marrone, stretti stretti a chiacchierare di niente e a scambiarsi baci a fior di labbra leggeri come farfalle. Harry sorrideva contro le labbra di Louis, che  continuavano a fargli il solletico mentre lui chiacchierava di quel concerto per cui aveva già preso i biglietti.

“Eccovi.” L’uomo sorrise e si andò a sedere alla poltrona che sicuramente non apparteneva a lui; i due ragazzi si alzarono salutandolo e gli si sedettero di fronte.

“Che succede, Marco?”

Louis, che ultimamente aveva deciso che non voleva saperne di stare nella stessa stanza con il suo ragazzo senza toccarlo, giocava con la mano di Harry abbandonata sul suo grembo. Sorridevano entrambi.

“Hanno mandato me a dirvelo perché sono il più giovane, ma sappiate che io non c’entro assolutamente niente con la decisione che hanno preso.” Marco era italiano, in sovrappeso e sempre il primo a ridere con i ragazzi. L’unico che non sembrasse una bestia, per farla breve.

Louis rise, incrociò le caviglie sull’imponente scrivania con quella disinvoltura così tipicamente sua che a Harry veniva solo da baciarlo mille volte; “Prendi fiato, amico. Che succede?”

E Marco, con le mani nervose e strette tra loro, glielo disse: “Dovete lasciarvi.”

Entrambi rimasero in silenzio, poi scoppiarono a ridere nello stesso momento. Harry si alzò, Louis lo imitò senza lasciargli la mano; “Divertente, Marco. Noi andiamo.” Fu Harry a parlare, alzando la mano libera in segno di saluto. Marco rimase fermo dietro la scrivania, l’espressione dura.

“Non sto scherzando, ragazzi.” Li richiamò. Louis si bloccò, Harry si girò verso di lui aggrottando le sopracciglia; “Volete sedervi, per favore?”

“Non scherzare, amico, non sono in vena oggi.” Louis lo assecondò, prendendo nuovamente posto sulla poltroncina, ma Harry rimase in piedi alle sue spalle, congelato.

“Non sto scherzando. Louis, non possiamo permetterci, ora come ora, di avervi come coppia. Più in avanti, magari, ma prima dovete affermarvi come band, avere certo l’appoggio delle fan e delle case discografiche. Dovete farvi il nome, prima di pensare a scandali come questo.”

Harry lo ascoltava solo in parte, la schiena rigida e le mani gelate sulle spalle di Louis; “Quale scandalo, scusa?”

“Non voglio sembrare omofobo o quello che vuoi, ma la fascia di età delle vostre fan è quella adolescenziale. Quante ancora vi seguirebbero se sapessero una cosa come questa? Non è razzismo, è semplice ed essenziale marketing.”

“Il cazzo, Marco.” Louis si girò verso il suo ragazzo, perché lui non imprecava mai e sentire una parolaccia uscire da quelle labbra era la cosa più strana ed eccitante del mondo.

“Hai centrato esattamente il punto, Harry.” Ma l’unico punto che Harry voleva centrare, in quel momento, era il naso di Marco. Guardò Louis sofferente, ma quello chiuse gli occhi e strinse la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia. Rimase così immobile mentre Marco continuava a dire “Non possiamo obbligarvi a lasciarvi, ovviamente, ma possiamo chiedervi di cercare di limitare le esternazioni in pubblico.”

Alla fine Louis si rimise composto e sorrise, una mano sulla gamba di Harry, seduto sul bracciolo della sua poltrona, “Non si può certo dire che tu sia un tipo diplomatico.”

Marco si strinse nelle spalle.

Harry guardava la scena inorridito, perché si aspettava un Louis che si alzava e mandava per aria la scrivania e prendeva Marco per il colletto della camicia per dirgli di lasciargli in pace, quando invece lui si stava alzando, sì, ma solo per stringere la mano del loro manager.

“Va bene, vedremo come accontentarvi.” Disse soltanto il più grande, prendendo poi Harry per un braccio e portandolo quasi di peso fuori dallo studio.

“Come… cosa è appena successo?” balbettò Harry, le mani tra i capelli. Le poche persone che si trovavano in quel momento nella hall guardarono in silenzio mentre gli occhi diventavano lucidi ad entrambi; “Che cazzo hai fatto, Lou? Perché glielo hai detto?” aggiunse poi, urlando.

“Shh, Harry. Stai dando spettacolo.”

“Non me ne frega un cazzo, se sto dando spettacolo. Non so quale conversazione stavi seguendo tu, ma in quella a cui ho appena partecipato io un coglione su una cazzo di poltrona ci ha appena vietato di stare insieme. E tu hai sorriso e gli hai stretto la mano!” il più piccolo si sistemò la frangia nervoso, continuando a camminare avanti e indietro.

“Aggiusteremo le cose, Harry. Solo non in questo momento, dobbiamo essere un po’ più attenti a…”

“A niente, Louis.” Lo interruppe Harry, abbassando il tono della voce in uno scatto ed avvicinandosi terribilmente al suo ragazzo; “È solo l’inizio questo, non lo hai capito? E tu sei completamente d’accordo con loro. Be’, sai che cosa?” il ragazzo si fermò un attimo, riprese fiato “Comincio a chiedermi, a questo punto, se tu sei d’accordo con tutto questo.” Indicò loro due, fermi nel corridoio. Louis rimase in silenzio.

Harry annuì, “Bene.” Si allontanò dal suo compagno e raggiunse in pochi passi arrabbiati l’ascensore. La gente guardava ostinatamente qualcos’altro; nessuno, tuttavia, riuscì a non girarsi di scatto quando il tonfo del pugno di Louis che si scontrava con il muro si propagò per la stanza.

 

“La vostra prima lite?”

Harry annuisce, “Di una lunga serie. Devo cambiare i soldi, voglio le sigarette”

“E vuoi farlo a quest’ora?” Sole ride e gli passa il pacchetto. Che merda di città. Harry se ne accende una, aspira profondamente chiudendo gli occhi.

“Dovevi essere un bravo ragazzo, a sedici anni.”

Lui alza le sopracciglia, “Non imprecavo mai, indossavo le polo ed ero convinto che essere bisessuale fosse una cosa cattiva.”

“E’ una di quelle cose che insegnano a scuola, insieme a quanto sia sbagliato il razzismo.”

Harry ride, annuendo, “Immagino sia così.” dice, poi sospira.

“Cos’è successo dopo?”

“Dopo,” ricomincia a raccontare l’altro “è arrivata Eleanor Calder.”

“Mai sentita, chi è?”

“La sua ragazza.”

Sole rimane sconcertata un secondo, si passa una mano dietro al collo; “Aspetta, tutta questa soap opera non era perché tu e lui stavate insieme?” la mano va a massaggiarsi il viso, come a voler prevenire un’emicrania.

“Sì.”

“Allora mi sa che mi sono persa un altro passaggio.” ammette la ragazza.

Harry annuisce, “Ovviamente,” spiega gesticolando “abbiamo fatto pace, dopo tutto quello. Sapevo che Louis mi amava, anzi, mi ero reso conto di aver esagerato, nell’ufficio.”

“Ne avevi tutto il diritto.”

“Probabilmente, ma anche lui stava male quanto me. Io non l’ho capito subito e me ne sono andato infuriato da un tizio che avevo conosciuto da poco, gay e che ci provava con me ogni volta eravamo a meno di duecento metri di distanza. Non so se lo hai mai sentito, si chiama Nick… Nick Grimshaw.”

Sole scuote la testa, continuando a fumare.

“Be’, lui mi ha trovato e mi ha riportato a casa. Avevo fumato la mia prima sigaretta, ero arrabbiato col mondo e soprattutto con lui, perché io stavo vivendo tutto quello in maniera così incasinata e lui mi andava contro. Da che parte sta? Mi chiedevo.” Harry fa una pausa, sorride, “Non nego che è stata una tra le nottate più belle della mia vita. Me lo avevano detto, che il sesso dopo le liti era un qualcosa di indescrivibile, ma non so perché non ci avevo mai creduto troppo. Idiota.”

“Bene,” Sole getta il mozzicone, incrocia le braccia al petto, “a questo punto ti chiederei chi sta sotto, di solito, ma non voglio sembrarti indiscreta. Cioè… ancora più indiscreta.” commenta, ridacchiando.

Harry la imita, “Non te lo direi, comunque. Lascio a te capirlo.” la sfida.

“Ma non è valido, così!”

“Che vuoi farci…” sta per aggiungere qualcos’altro, ma il cellulare ricomincia a vibrare nella sua tasca e si blocca, quando legge il nome sul display.

“E’ lui, vero?”

Harry annuisce, senza nemmeno accorgersene, “Non voglio rispondergli.”

“Perché no?”

“Perché poi non riuscirei a pensare a nulla di diverso dal tornare in hotel e stare con lui per sempre.”

Sole gli prende il telefono dalle mani, analizza la foto di Louis che lampeggia sullo schermo e sorride, “Ed è una cosa negativa?”

“Non lo so, ma l’ho perdonato già troppe volte.” mormora solo, dopo qualche istante di silenzio. Il cellulare smette di squillare, ma ricomincia subito dopo.

Sole sospira, “Digli almeno che stai bene e che sei al sicuro.”

“Lo sono?” chiede retoricamente il ragazzo, un sorrisetto sul viso. Sole lo spinge via con un spallata giocosa, che non lo smuove minimamente ma lo diverte. Gli passa il telefono; Harry risponde.

“Sì?”

Louis non parla immediatamente, sente che sta sospirando dall’altra parte della cornetta; “Dio, Haz, mi hai fatto morire. Dove cazzo sei?” dice, ripetendo le parole di Niall solo di un paio d’ore prima.

Così Harry si passa una mano tra i capelli, cerca di fermare il cuore che ha preso a battere troppo velocemente e dice solo “Sto bene, Louis” e poi “sono al sicuro… credo.”

“Quando torni? Vuoi che venga a prenderti? Dimmi dove sei e arrivo, anche a piedi, se vuoi.”

“No. Non voglio vederti adesso. In realtà non so se voglio vederti più.”

Louis sta in silenzio per qualche secondo, dall’altra parte, poi sospira; “Mi dispiace così tanto, piccolo. Lo sai che possiamo sistemare tutto? Io ti amo così tanto…”

Il cuore di Harry si ferma per un istante, perché quelle parole gliele dice tutti i giorni ma hanno ancora il potere di farlo sorridere come la prima volta; “E credi che sia abbastanza, dopo tutto questo? Io no.”

Louis non risponde, Harry chiude il telefono.

Sole gli cammina di fianco in silenzio, senza osare ricominciare a parlare; è Harry che riprende, dopo un po’.

“Eleanor è una mia amica, senza di lei non credo che saremmo arrivati dove siamo oggi.” Dice, le mani nelle tasche e la voce ancora più roca; “Non so quanto positivo sia stato tutto ciò, comunque.” Aggiunge, e Sole sorride; tra poco spunterà l’alba e già riescono a distinguere nitidamente quello che li circonda. Harry riprende a raccontare e Sole lo guarda di sottecchi, una mano che passa nervosa tra i capelli che ha sciolto.

“Com’è, lei?”

Harry si stringe nelle spalle, “Alta, capelli lunghi. Con la faccia abbastanza pulita per essere la fidanzata di uno degli One Direction ma con le gambe abbastanza lunghe perché non si capisca che sia una copertura.”

Sole annuisce, “Quindi lo è,” chiede “una copertura.”

“Ovviamente. Che a Louis piacciano i ragazzi è così palese che è quasi imbarazzante, alle volte.”

“E come l’avete conosciuta?”

Harry incrocia le braccia al petto come se si stesse vergognando, “È una mia amica, gliel’ho presentata ad una festa.”

“Però,” Sole si prodiga in un’espressione abbastanza partecipa, poi scoppia a ridere “complimenti al coglione.”

Harry annuisce soltanto, senza nemmeno provare a discolparsi, “E la cosa più divertente è che all’inizio sembrava la scelta più intelligente che potessimo fare, capisci?”

“No.”

Harry sbuffa, “Se lui avesse cominciato a frequentarla,” comincia allora a spiegare, innervosito “ci avrebbero lasciati stare. Gli avevano trovato un appartamento a Mayfair.”

“Quindi avete pensato che così le cose sarebbero state più semplici. Coglioni tutti e due, allora.”

Di nuovo Harry non risponde alla provocazione, nonostante sia ancora nervoso. Stringe i pugni contro i jeans, sospira cercando di riprendere il controllo.

“Che cazzo avrei dovuto fare?”

“Coming out?”

Nessuno dei due parla per qualche secondo, quelle due parole aleggiano nell’aria silenziose; “Non volevamo farlo.”

“Voi o i vostri manager?”

Harry si stringe nelle spalle, “Adesso ho diciannove anni e lui ventuno, e già non siamo pronti per affrontare una relazione senza che ci si mettano in mezzo i media. Lascia perdere gli One Direction: cosa avrebbe significato, per noi come coppia, venire allo scoperto?”

“Non sarebbe stata facile,” gli viene incontro allora Sole, “ma cosa avete raggiunto in questo modo?”

Harry non risponde subito, sorride infilandosi le mani nelle tanche anteriori dei jeans e abbassa lo sguardo. Quando la guarda di nuovo, i suoi occhi stanno luccicando: “L'America.”

 

Faceva un caldo pazzesco, a New York, e tutto era meraviglioso e gigantesco e nessuno riusciva a credere che, wow, erano davvero lì. Harry, però, aveva su gli occhiali da sole e fissava lo schermo del suo iPhone che non si illuminava, pur di non alzare lo sguardo. Louis, nella stessa macchina, faceva di tutto per non toccarlo e per non guardarlo; Harry gli era molto grato per questo. Niall, seduto vicino al finestrino, un po’ meno.

“Andiamo, ragazzi, siamo in America!”

Nessuno dei due rispose; Harry si sistemò il ciuffo con le mani e si poggiò contro la portiera dell’auto. Quanto cazzo poteva essere distante l’hotel?

Harry voleva soltanto tornare a casa, chiudersi in bagno – perché la camera da letto, a rigor di logica, la divideva con l’unica persona che proprio non voleva vedere – e spaccare qualcosa. Gli avrebbe fatto bene anche qualcosa come correre dodici chilometri o fare qualche addominale. Qualsiasi cosa, pur di sfogare tutta la rabbia che sentiva. Quando avesse cominciato ad avere quella strana voglia, però, proprio non riusciva a ricordarlo. Per il momento, l’unica alternativa a quel silenzio opprimente era la violenza.

“Quando arriviamo?” chiese allora.

L’autista gli rispose “Ci siamo quasi.” con un accento strano e tornò alla strada. Harry sbuffò. Non riusciva a credere che avessero litigato ancora. E per cosa, poi?

L’auto si fermò e tutti scesero: Liam raggiunse in fretta Niall ed entrambi entrarono nell’hotel confabulando, Zayn si accese una sigaretta con tutta l’intenzione di fumarsela all’ingresso, Louis e Harry si guadarono per un istante quasi in imbarazza, prima di risolversi a raggiungere la hall. Erano state preparate molte camere, per accogliere i ragazzi e la crew, ed Harry cercò di tenersi distante dalla conversazione del chi dovesse dormire con chi. Lou, la loro stylist, gli posò una mano sulla spalla mentre con l’altra teneva sua figlia, Lux. Harry allungò le mani per prenderla,e la bambina gorgogliò contenta mentre gli tirava i capelli.

“Che è successo?”

“Niente.”

Lou scosse la testa, incrociò le braccia rivolgendo una smorfia a sua figlia, “…E dai.”

“Ha detto che non vuole.”

La donna spalancò gli occhi, “Di nuovo?”

“Gli ho detto qualcosa tipo ‘Amore, sono due anni che stiamo insieme. Sarà arrivato il momento di dirlo anche al resto del mondo?’ non proprio in questi termini, ovviamente.”

“Perché sei così fissato con questa storia, piccolo?”

Harry si strinse nelle spalle, mentre entrambi si avviavano verso gli ascensori, “lui… ho paura che sia felice con Ella.”

“Lo è. Come due migliori amiche che si vedono da Starbuck’s dopo scuola.”

Harry scosse la testa, le labbra sulla tempia di Lux, “Si baciano sulle labbra per dirsi ‘arrivederci’.”

“Lo fanno un sacco di migliori amici.” Cercò allora di dire la donna, ma era palese che si stesse arrampicando sugli specchi.

“Forse è proprio questo il problema.” Ammise alla fine il ragazzo, mentre entravano nella camera della stylist e si sedevano al salottino “Ho paura che… come faccio a spiegarlo?” Lou si strinse nelle spalle, Harry si morse un labbro sbuffando; “Ok, mettila così: ho paura che quell’un per cento che lo tiene ancora lontano da me possa essere sufficiente perché qualcun altro possa portarmelo via.”

“Credi davvero che Eleanor possa farlo?”

Harry scosse nuovamente la testa, lo sguardo puntato sulla bambina, perché in imbarazzo, “Lei magari no, ma… ho paura che se Louis ha paura di impegnarsi davvero con me è perché in realtà ha paura di me. Della nostra relazione.”

Lou rimase in silenzio, semplicemente abbracciandolo a lungo; “Piccolo, lo sai che lui ti ama più della sua stessa vita. A che serve andare avanti con questa storia stupida?”

“Non è stupida, per me.”

“Hai provato a parlarne con lui?”

Harry annuì, posò Lux sul letto e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, “Tu hai Tom, no?”

“Sì.”

“Bene, come sarebbe vivere sapendo che lui potrebbe lasciarti da un momento all’altro?”

Lou sorrise, “La stai prendendo nel modo sbagliato, Harry. Tutti hanno paura di essere lasciati dalla persona che amano, quando si accorgono quanto indispensabile sia.”

“E’ la prima volta, per me. Non mi ero mai trovato ad essere così pieno di…”

“Amore?”

Harry, nonostante fosse in imbarazza, annuì, “E di rabbia. Non mi importava di queste cose, prima.”

Lou sorrise, “È una cosa bella, Harry: lo ami.”

“Quello che mi chiedo è, però,” il ragazzo prese un respiro e chiuse gli occhi “se anche lui ami me.”

“Stai diventando paranoico.”

Harry annuì, si sporse per abbracciare la donna e lasciò un bacio sui capelli della bambina, “Probabilmente è così. Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”

“Non fare cazzate, piccolo.”

Harry sorrise, ma  non rispose mentre usciva dalla stanza. Il corridoio era vuoto ad eccezione di Zayn, che usciva in quel momento dalla sua stanza. Il rapporto che avevano, dopo X Factor, era migliorato un sacco: Harry era sempre arrabbiato col mondo, Zayn stava zitto e lo lasciava sfogare.

“Ehi.”

Zayn si voltò verso di lui e gli fece un cenno con la testa, poi chiamò l’ascensore. I due rimasero in silenzio fino a quando non raggiunsero il piano terra. Louis sorrideva alle fotocamere delle fan appena fuori, Harry rimase in silenzio con le braccia incrociate al petto fermo sulla soglia. Louis faceva battute e rideva, gesticolava come un matto, la sua voce arrivava da tutte le parti. Harry chiuse gli occhi e desiderò di essere da un’altra parte; Zayn gli si avvicinò e indicò con un cenno Louis.

“Vuoi che te lo chiami?”

“No.”

Zayn annuì, tirò fuori una sigaretta dal pacchetto e poi un’altra, che passò ad Harry. Lui, nonostante non avesse mai fumato – Louis odiava l’odore del fumo – la prese senza pensarci.

“Vuoi rimanere qui?”

“No.”

I due tornarono dentro per poi trovare l’uscita si servizio, con tanto di zona carico e scarico merci. Zayn accese la sua sigaretta e porse l’accendino all’altro: “Tira forte mentre la accendi.” Gli disse soltanto. Harry eseguì, tossicchiando e con le lacrime agli occhi. Wow, stava fumando la sua prima sigaretta.

“Aiuta sul serio?” chiese, anche se in realtà non gliene importava più di tanto. Si sentiva quasi eccitato perchè stava facendo una cosa che Louis gli aveva esplicitamente proibito di fare.

Zayn si strinse nelle spalle, “Me lo dirai tu.”

I due rimasero per un po’ in silenzio: Harry sapeva che alla fine avrebbe parlato e Zayn aspettava solo che lui cominciasse; fu per questo che nemmeno lo guardò quando, dopo un po’, Harry cominciò: “Quindi ci siamo lasciati.”

“Amo quando cominci i discorsi in medias res.” Fu l’unico commento dell’altro, anche abbastanza annoiato.

Harry nemmeno ci fece caso, la testa che gli girava per la sigaretta; “Ma questa volta è sul serio.”

“Vi lasciate tutte le settimane, frocetto, ed è sempre sul serio.” Zayn mimò due virgolette con le dita, un mezzo sorriso sul volto.

“Lou mi ha detto che sono esagerato.”

“Santa donna.”

“Ma io non credo sia così.”

Zayn fece un tiro, prendendo tempo come se stesse riordinando le idee, “Hai paura che froci con qualcun altro?”

Harry, nonostante tutto, non poté evitarsi una mezza risata, “Ho paura” ammise alla fine “che smetta di frociare del tutto.”

Zayn quasi si strozzò col fumo dell’ultimo tiro, quello più forte: “Non essere ridicolo, Harold. Louis Tomlinson è la persona più gay che io conosca, è come se si portasse un enorme cartello appeso al collo ovunque vada con sopra la scritta ‘lo prendo soltanto’ ".

“Non vuole che si sappia che stiamo insieme.”

“Questo,” Zayn si staccò dal muro sul quale si era poggiato, e si pulì i pantaloni della tuta grigi “è perché Louis Tomlinson, oltre che gay, è anche un coglione.”

Harry non se la sentì, con tutto il cuore, di obiettare a quell’affermazione.

“Comunque puoi stare tranquillo che non è nei suoi piani, lasciarti stare.”

Harry sospirò, gettò il filtro a terra e lo calpestò con un piede, senza staccarsi dal muro: la testa gli girava violentemente. Maledette Marlboro Red.

“Voglio soltanto che… io non sono suo figlio, capisci? Crede di potermi controllare, che io faccia sempre e comunque tutto quello che lui mi dirà.”

“Forse perché lo hai sempre fatto.”

“Io lo amo, ma deve finire questa storia: non può decidere solo lui.”

“Ma, con questa logica, non dovresti dover scegliere nemmeno solo tu.” Gli fece notare Zayn.

Harry ci pensò, un labbro tra i denti, “Questo no, magari, ma io non sono suo.”

Zayn borbottò qualcosa tipo “Che gran puttanata”, ben attento a non farsi sentire, poi sospirò: “Senti, cosa ne dici se per festeggiare i tuoi imminentissimi diciotto anni, la tua indipendenza e tutte queste puttanate non andiamo da un tizio che mi hanno consigliato prima di partire?”

“Fumo?”

Zayn scosse la testa, “Voglio farti fare qualcosa di trasgressivo, frocetto, ma  senza il rischio che il tuo fidanzato mi rompa la testa.”

“Cosa allora?”

L’altro ragazzo sorrise, gli indicò la strada aperta e il parcheggio dei taxi poco distanti: “Che ne dici di un tatuaggio?”

 

“Tutto qui?”

Harry si volta verso Sole, “Per me era una cosa assurda, completamente oltre i miei piani. Louis odiava i tatuaggi e il fumo, io volevo soltanto che lui capisse che non ero poi così malleabile.”

“E hai sicuramente scelto il modo più maturo, complimenti.” Lo prende in giro lei.

Harry non risponde, si arrotola le maniche della maglietta bianca fino a farla diventare una canotte e indica una stella  piena, “mi ha fatto un male cane, me ne sono pentito praticamente nel momento in cui il tizio ha tirato fuori l’ago e tutto il resto.”

“Non sembra, a giudicare da quanti ne hai.”

Harry sorride, “Quando tornammo in hotel, quel giorno, lui era arrabbiato peggio di una bestia. Ricordo che abbiamo litigato violentemente, Paul – il nostro manager – era fuori dalla porta e continuava dirci di smettere di urlare così forte o ci avrebbero cacciato.”

“E a cosa è servito?”

“Praticamente a niente. Abbiamo fatto pace,alla fine, ma lui non ha rotto il contratto e io ho cominciato a fumare ed uscire tutte le sere e riempirmi di tatuaggi. Volevo che si accorgesse di me, volevo che sapesse che tutto quello che facevo era solo per lui. Non c’è un tatuaggio che non parli di lui. Me lo tatuerei anche sulla fronte, se servisse a fargli capire quanto in realtà quel comportamento servisse a rimettere i pezzi insieme.”

“Non ho capito due cose.” Decide d’un tratto Sole, sospirando mentre già cerca una nuova sigaretta nella borsa “Cosa numero uno: il managment non avrebbe comunque boicottato un qualsiasi vostro tentativo di coming out? E due: non riuscivi a capire che, così, lo allontanavi ancora di più?”

Harry continua a camminare, l’aria fresca di Milano gli solletica le braccia, “Le cose sono più complicate di così: ci siamo affermati come band, abbiamo suonato al Madison Square Garden e stiamo facendo un tour mondiale: la paura di perdere fan – per quanto reale – è decisamente minore rispetto al 2010. E poi a me non interessa, anzi, non è mai interessato. È una bella esperienza e tutto quello che vuoi, ma se adesso tu dovessi dirmi di scegliere tra questo e Louis, be’… io non ci penserei nemmeno per un istante.”

“Per lui invece non è così?”

Harry si stringe nelle spalle, “Un po’ sì, un po’ è che ha paura e così si sente più sicuro, un po’ non l’ho mai capito nemmeno io. Siamo nel 2013, però, e siamo a quel punto di una relazione in cui un viaggio a sorpresa in Francia non è più sufficiente per mettere a posto le cose.”

Sole annuisce, gli porge una sigaretta e sospira, “Wow, dovrebbero essere tutti come te i ragazzi.” Scherza, poi, cercando di alleggerire l’atmosfera. Nonostante tutto Harry sorride, quando il suo cellulare vibra per l’arrivo di un nuovo sms.

“E’ lui?”

Il ragazzo fa segno di no con la testa, “È Eleanor.”

“La copertura? Perché ti manda sms?”

Harry non sa rispondere, quindi semplicemente lascia scorrere il dito sullo schermo del cellulare per sbloccare il testo. Dice solo: “Smettila di fare cazzate e torna in hotel. È fuori di sé.” Niente firme, niente stupide x che Harry non è nemmeno tanto sicuro di cosa vogliano dire.

“Eleanor Calder è, probabilmente, la nostra fan numero uno.”

Sole scoppia a ridere, la voce un po’ roca e la pelle d’oca sulle braccia, nonostante il cardigan che la copre, “Non la vedi più come una minaccia?”

“Non ha fatto altro che aiutarci, veramente, ma questo l’ho capito solo dopo.” Harry fa un tiro, butta fuori il fumo “Gli unici nemici della nostra relazione, Sole, siamo noi.”

“Filosofico.”commenta, mentre Harry sta rispondendo al messaggio scrivendo solo “Anche io lo sono. Gli importa?”

“Dove stiamo andando, adesso?”

“Dove vuoi tu.”

“Non sono mai stato da queste parti. Dove stai tu?”

Sole indica da qualche parte alle loro spalle, “Vicino all’università, divido casa con tre ragazze.”

“E come sono, loro?”

“Non ci parlo quasi mai, sono sempre fuori per seguire le lezioni, studiare o lavorare.”

Harry sorride, “Non sembra un granché eccitante.”

Sole si stringe nelle spalle, “Non sono qui per fare un’esperienza eccitante, Harry. Non posso permettermi di sprecare questi anni, con la mia famiglia che fa i salti mortali per mantenermi a Milano e tutto il resto.”

“Wow, dovrebbero essere tutti come te i ragazzi.” Le fa il verso Harry.

“Già, be’… dicevi, di Eleanor?”

Harry nota l’imbarazzo della ragazza e alza le sopracciglia, poi decide che in fondo non gliene importa, e continua nel suo racconto: “Dicevo,” riprende “che Eleanor ci copriva un sacco di volte, ha un ragazzo che sta nell’esercito e non può vedere spesso, quindi la situazione era difficile per tutti, da sostenere.”

“Da come lo racconti,” lo interrompe lei “sembra che la cosa finisca a lieto fine. E a meno che il lieto fine per te non significhi farsi trovare fuori da una discoteca nella periferia di Milano alle quattro del mattino, be’…”

“Dovresti aver capito, che ogni volta che sembra che le cose si stiano mettendo bene, succede sempre qualcosa.”

Sole sorride, amara, “Come nelle migliori soap opera spagnole.”

“Immagino.” Ridacchia Harry.

“E nel vostro caso cosa è cambiato?”

Harry ci pensa un po’, infila le mani nelle tasche e i muscoli delle braccia si tendono, facendo allungare l’enorme barca che ha tatuato sul bicipite; “nel nostro un sacco di cose. Hanno fatto uscire articoli secondo i quali dormivo con oltre trenta ragazze per notte, ho conosciuto Taylor Swift – un’esperienza che, credimi, ti segna -, ho comprato un’altra casa.”

“Perché?”

Harry sospira, “Litigavamo sempre più spesso, nell’ultimo periodo. Festeggiammo il suo compleanno e Natale in Inghilterra, facemmo l’albero e preparammo – preparai, lui non sa nemmeno come si accende il gas – il cenone della vigilia a casa nostra. C’erano le nostre famiglie, un sacco di amici; avevamo attaccato il vischio su tutte le porte e le bambine guardavano Christmas Carol in soggiorno. Era tutto perfetto, Eleanor e Tom, il suo ragazzo, ci avevano raggiunti poco prima della mezzanotte con un sacco di regali e un dolce. Era tutto perfetto, abbracciavo Louis e desideravo che il tempo si fermasse.”

“Poi?”

“Poi,” Harry ha una piccola pausa, prende fiato “a Capodanno lui mi ha detto di non partire per New York.”

“Volevi farlo?”

Harry scuote la testa, quasi schifato, “Avevamo litigato anche quella mattina, ovviamente. Un mio amico mi aveva chiamato e proposto di raggiungerli per brindare lì, io avevo detto che non potevo perché, sai, il mio ragazzo non voleva passere le feste su un aereo. Sapevo che anche Taylor avrebbe partecipato al Capodanno e Paul mi aveva chiesto di raggiungerla per, sai…”

“Che realtà di merda.”

“Già. L’unica cosa che non avevo calcolato era che lui probabilmente non voleva trascorrere la vigilia con me.”

Sole scuote la testa, “Sei uno che tende a farsi le paranoie, eh?”

“Avevano organizzato una festa a Londra e avrebbe dovuto andarci con Eleanor, veramente.”

 

“Stai scherzando?” urlò Harry, “Mi stai dicendo che devo passare la vigilia da solo?”

“Lo sai che non dipende da me, piccolo.”

Harry sbatté il pugno contro il muro della cucina, facendo tremare la lavagnetta con su scritto Pane, Detersivo per la lavatrice, ‘Omnia vincit amor’ e 18:30 dentista Lou.

“Bene, sai cosa ti dico? Io me ne vado.”

“Te ne vai? E dove avresti intenzione di andartene?” lo sfidò Louis, le braccia incrociate al petto.

“A New York.”

Louis scosse la testa, si avvicinò pericolosamente ad Harry e gli prese i polsi con le mani, troppo piccole per poter davvero incutere timore, “Non andai da nessuna parte, Harry.”

“Scommettiamo?”

Louis annuì, Harry si liberò della stretta e prese il cellulare dalla tasca, scrivendo a Paul di fermargli un biglietto aereo per quel pomeriggio.

“Se te ne vai,” Louis lo raggiunse in camera da letto, dove lui gettava vestiti  casaccio in una valigia grande e metteva l’iPad e qualche altra cianfrusaglia in quella da portare a bordo “Non tornerai più in questa casa.”

Harry si fermò di colpo, “Non riesco a credere che, nonostante tutto, sia tu quello a sentirti maltrattato.”

“Lo sai che io e Eleanor siamo più stanchi di te, per questa situazione.”

“Il cazzo! Se fossi davvero stanco come dici non avresti paura di prendermi la mano mentre siamo per strada, non mi allontaneresti, durante le interviste. Io posso essere stanco di tutta questa merda! Sono stanco di te e del tuo egoismo del cazzo, sono stanco perché dovrei rimanere da solo a Londra mentre tu te la spassi con i tuoi amici del cazzo. Se a te tutta questa situazione va bene, allora ok, ma io non sono d’accordo. Sai cosa ti dico? Chiudiamola qua, se hai così ribrezzo all’idea di essere ufficialmente il mio ragazzo!”

Louis avvampò, ma si riprese dopo pochi secondi, "E mi spieghi che cosa significa, adesso, questo?”

“Significa,” il tono di Harry si ammorbidì, chiuse le due valigie e le appoggiò contro lo stipite della porta, vicino al corpo di Louis, che tremava “Che io ti amo, ti amo così tanto che a volte mi chiedo come faccia il corpo da solo a contenere tutto quello che provo per te. È per questo che ho aspettato, ho accettato a malincuore l’idea di Eleanor, della nostra relazione come sciocchezza. Sono stato in un angolo per anni, aspettando che tu potessi essere pronto per noi come lo sono io da X Factor. Ho pensato che, se magari ti avessi dato tempo, se fossi stato paziente, se avessi rispettato il tuo desiderio. A cosa è servito?” Harry accarezzò il viso dell’altro ragazzo, la barba appena accennata contro la pelle del palmo della mano.

“Non voglio che tu parta.” Riuscì a mormorare Louis, la voce tesa.

Harry annuì, gli posò un bacio contro il collo e poi un altro sul naso, “Ci stiamo facendo del male, Loulou.”

“E quindi cosa dovremmo fare?”

“Tu, intanto, devi capire che non posso rimanere qui a guardarti mentre esci e vivi una vita perfetta che non comprende me. Devi capire che se tu puoi andare con lei, io devo poter andare a New York e baciare Taylor e ubriacarmi con i miei amici, così come farai tu.”

Louis non rispose, le labbra sottili tese in una linea.

“Poi,” continuò Harry, sempre in un sussurro, “quando tornerò a Londra andrò a stare per un po’ a Primrose.”

“Non è necessario, amore.”

Harry scosse la test, “Lo è. Sono stanco di tutto questo, Lou. Anzi, non riesco a credere che sia riuscito a resistere per tutto questo tempo.”

Louis posò le mani sulle guance del suo ragazzo, fronte contro fronte; “Ma lo hai fatto.”

“Sì,” confermò Harry, un sorriso amaro sulle labbra piene e bellissime “perché credevo che ne valesse la pena.”

Louis non rispose subito, sospirò e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, Harry aveva gli occhi umidi. “E adesso credi che non la valga più?” chiese così piano che Harry poté capirlo solo perché gli parlava praticamente sulle labbra. Non rispose, però, limitandosi ad allontanarsi di un passo e prendere il cappotto ancora gettato sul copriletto spiegazzato. Il cellulare e i documenti erano in tasca, mise il berretto e il cappuccio mentre usciva dalla camera; “Fai buon anno, amore.” 

   
 
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