Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: dontblinkcas    21/04/2013    7 recensioni
Era ancora un Cacciatore, aveva ancora una certa dignità e odiava quando i volti delle persone in sua presenza cambiavano, indossando la maschera della compassione e della pietà. Ma il suo temperamento era troppo gentile, i suoi modi troppo altruisti per poter rivelare la verità: lui non era Will, non poteva allontanare le persone senza che queste non si ritenessero offese.
[Pre Clockwork Angel]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A Giada e a Laura,
grazie di tutto.


Fall Away


 


Si alzò lentamente dal letto nonostante fosse ancora debole e stremato, non sopportava più di rimanere inerte e immobile nel suo letto a baldacchino: il suo spirito da Shadowhunter fremeva sotto quella pelle fragile.
Con le mani delicate e più bianche del solito prese la vestaglia posata sulle lenzuola candide e la indossò, poi si mosse attraverso la camera nella tremolante luce del camino, che deformava le ombre degli oggetti in modo inquietante.
L'aria era soffocante e impregnata del profumo dolciastro della droga; l'odore non faceva altro che aumentare il suo senso di colpa, come un testimone silenzioso dei suoi delitti. Il fuoco danzava sfavillante nel camino, bruciando legna e carbone che risplendevano più luminosi delle fiamme vivide, come un ultimo disperato grido di aiuto prima di essere consumati completamente, divenendo inutile cenere. Il calore del fuoco che aveva invaso la stanza lo costrinse ad avvicinarsi alle pesanti tende che nascondevano le alte finestre della stanza, oscurandone l'interno, e a scostarle con un rapido gesto della mano.
La luce si infilò immediatamente in quella oscurità rendendo la stanza meno tetra, meno somigliante a una stanza di un morente. Nonostante il cielo fosse plumbeo e nuvoloso, il chiarore del giorno lo accecò tanto che dovette coprirsi il volto con le mani prima di potersi abituare a quella nuova luminosità.
 
Appena gli occhi argentati tornarono a vedere notò come le sue vene fossero evidenti sulla pelle pallida: per i mondani quello era segno di grande prestigio e onore, che dimostrava l'aristocrazia di una persona; ma non per lui, non per il suo mondo. Quei canali blu gli ricordavano ogni istante quanto gli stava accadendo, quanto fosse malato, quanto quella situazione lo stava lentamente uccidendo. Lui era un Cacciatore, avrebbe dovuto essere forte, non si sarebbe dovuto preoccupare di non affaticarsi troppo per non rischiare di crollare svenuto o di prendere il dosaggio giusto per poter superare la giornata. Sarebbe dovuto essere nella sala degli allenamenti a esercitarsi nel combattimento invece di essere rinchiuso in camera, troppo debole perfino per presentarsi a cena. E cosa più importante di tutte avrebbe dovuto seguire il suo parabatai, essere la sua spalla, i suoi occhi, colui che avrebbe dovuto proteggerlo a costo della sua stessa vita. Invece non solo non era accanto a Will ma lo stava anche mettendo in pericolo, perché conosceva suo fratello e aveva notato il suo volto carico di nervosismo e angoscia quando aveva dovuto lasciare il suo capezzale per seguire la pista sulla quale indagavano da un mese; aveva notato i suoi gesti incerti e i passi restii mentre si allontanava dal suo letto per compiere il suo dovere, il loro dovere. Sapeva che William avrebbe avuto la mente offuscata dalla preoccupazione che aveva per lui e questo lo rendeva meno vigile, meno cauto ai possibili pericoli.
 
Oppresso da quel flusso inestinguibile di pensieri e accuse spalancò la finestra. L'aria fresca di Giugno si riversò nella stanza e lo colpì in pieno viso rendendo le sue guance di un pallido rosa per il leggero vento che spirava. La frescura lottò contro il calore soffocante della stanza e contro i suoi pensieri. Prese un respiro profondo per cercare di riordinare le idee e per liberarsi da quelle sensazioni. L'atmosfera di Londra era fredda, molto più fredda rispetto a quello che ci si sarebbe aspettati per la stagione; poteva sentire nell'aria l'odore della pioggia, che era riuscita per qualche tempo a nascondere le polveri che infestavano la Grande Ciminiera. Gli sembrò fosse passata un’eternità quando finalmente si voltò, credendo che il vento avesse portato via i suoi tormentosi pensieri. Con lentezza e vacillando sui suoi piedi raggiunse il tavolino accanto al fuoco sul quale era appoggiato il suo amato violino.
 
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non trovarsi in quella condizione: avrebbe regalato il suo prezioso strumento, avrebbe valicato montagne, esplorato le profondità più remote dei mari, sarebbe sceso all'Inferno pur non essere stato infettato da quel mostro assassino; da quel demone che aveva massacrato i suoi genitori davanti ai suoi occhi, ma non prima che avessero assistito alla trasformazione del figlio. Chiudendo gli occhi poteva ancora vedeva l'espressione di puro terrore sul volto di sua madre, i suoi occhi sbarrati per l'angoscia, le sue grida mentre chiamava il suo nome, la disperazione nel vedere suo figlio torturato. Ricordava anche suo padre, i suoi occhi fissi su di lui per infondergli un coraggio che nemmeno lui credeva potesse servire. Ma loro erano Nephilim, il sangue dell'Angelo scorreva nelle loro vene, dovevano dimostrare la loro forza, la loro fierezza, non la debolezza, anche se avrebbe voluto dire soffrire le pene dell'Inferno. Quelle pupille scure, come sarebbero dovute essere state le sue se nulla di tutto quello fosse mai successo.
 
Strinse a sé il violino mentre una singola lacrima scendeva lunga la guancia esangue, l'unico oggetto che lo legasse ancora al padre. La lacrima percorse tutto il suo profilo prima di tuffarsi nel vuoto dal suo mento affilato. L'acqua salata finì la sua caduta sull'altro oggetto appoggiato al tavolo. Appoggiò lo strumento nella sua custodia, non voleva rischiare di romperlo in alcun modo, non voleva averlo tra le mani proprio in quel momento altrimenti si sarebbe pentito amaramente delle conseguenze che ne sarebbero potute derivare.
Senza accorgersene indietreggiò e colpì con la schiena una colonnina del letto a baldacchino.
Doveva andarsene, non avrebbe resistito un minuto di più, quella stanza era diventata il covo del suo dolore, la dimora delle sue paure che gli serravano il petto rischiando di farlo soffocare.
Ma era troppo debole per sorreggersi per i corridoi, perciò si avvicinò al comò per recuperare il suo bastone da passeggio. Appena lo afferrò i suoi occhi scesero a osservare le lenzuola: sullo sfondo candido macchie rosso vivo si allargavano finendo anche sul cuscino, come pennellate di colore su una tela immacolata. Non si era accorto di aver rovinato altre coperte, Sophie lo avrebbe guardato con apprensione quando avrebbe rifatto il letto.
 
Quella visione lo fece fremere, scaldandogli il sangue nelle vene.
Era ancora un Cacciatore, aveva ancora una certa dignità e odiava quando i volti delle persone in sua presenza cambiavano, indossando la maschera della compassione e della pietà. Ma il suo temperamento era troppo gentile, i suoi modi troppo altruisti per poter rivelare la verità: lui non era Will, non poteva allontanare le persone senza che queste non si ritenessero offese; lui doveva sempre sorridere gentilmente a ogni sguardo apprensivo, a ogni gesto troppo premuroso quando invece avrebbe solo voluto urlare per far capire loro che era ancora uno Shadowhunter. Ma quella era la maschera che gli avevano dipinto e non poteva fare nulla per cambiarla, non si sarebbe mai permesso di rivelare questo lato disperato di lui che avrebbe solo sconvolto i suoi benefattori.
 
Tuttavia la rabbia non accennava a diminuire e anzi provava un certo piacere nello scorrergli in circolo, era una gradevole differenza dalla solita droga.
Inebriato dal furore lanciò contro la parete di fronte a lui il suo bastone: quello colpì il muro con un rumore sordo mentre l'impugnatura a forma di dragone si staccò dal corpo e volò per la stanza; sulla parete era ben visibile il segno della potenza del gesto.
Mezzo spaventato per quel gesto ma ancora drogato di rabbia barcollò fino al tavolino e prese lo spartito dell'ultima sua creazione, prima di scivolare sul pavimento; la lacrima era ancora visibile e aveva sbavato l'ultima nota. Aveva composto quella melodia la sera precedente dopo che Will si era addormentato stremato accanto al suo letto, dopo una giornata di allenamento e di preoccupazione per le sue condizioni.
 
Se non fosse per lui avrebbe già mollato, si sarebbe arreso alla sua inutile vita, ma quello sarebbe stato un gesto egoistico, avrebbe lasciato il suo parabatai solo al mondo ad affrontare il suo misterioso secreto, e lui non poteva fargli un torto simile. William era tutto ciò che gli restava, l'ultimo appiglio di un naufrago nel mare tormentoso: lui aveva bisogno di Will e Will aveva bisogno di lui.
 
Tremante si strascinò fino al fuoco, il calore emanato gli fecero colorare le guance mentre attorno a lui poteva sentire la fragranza dolciastra della droga; si sentiva debole, ma avrebbe compiuto l'ultimo gesto: non avrebbe mai suonato quella melodia che gli avrebbe fatto ricordare ogni momento quel giorno, il giorno in cui, per la prima volta, l'ira aveva preso il sopravvento sulla sua parte razionale.
Alzò il braccio, movimento che gli costò estrema fatica, e appoggiò direttamente lo spartito e la mano sulle fiamme. Mentre il foglio veniva divorato da quelle fauci fameliche, il dolore del fuoco che lambiva la sua pelle fu sollevante; quella sensazione perversa gli stava facendo dimenticare ogni cosa, purificandolo dalla rabbia come se le fiamme fossero in grado di evaporare la sua ira. Solo l'odore insopportabile di pelle bruciata e un nuovo colpo di tosse gli imposero di far scivolare la mano arrossata e coperta di bolle sul pavimento di pietra.
Come una stella morente brucia tutto il suo idrogeno brillando più intensamente in quel disperato istante, così la sua ira si prosciugò consumata da quell’ultima folle azione.
Si portò la mano sana alla bocca e le sue dita si arrossarono; si sentiva debole, la scottatura pulsava e iniziò a chiedersi se fosse la stanza che aveva iniziato a girare.
 
Non sentì la porta spalancarsi e dei passi raggiungerlo. Sentì due mani prendergli le spalle e voltargli la testa; sapeva perfettamente di chi si trattasse prima ancora di sentire la voce.
«Jem. James. Che cosa hai fatto?».
Aprì gli occhi. Due pupille blu spaventate.
Una risata fu soffocata da un altro colpo di tosse: non sarebbe mai cambiato nulla.




Buongiorno e buona domanica.
Questa settimana è stata abbastanza difficile, sopratutto venerdì quando la mia prof di italiano mi ha umiliato davanti all'intera classe dicendo che se leggessi i miei temi farei addormentare tutti. (Oltretutto quando ho raccontato la cosa a mia mamma, lei ha preso le difese dell'insegnante!)
Dire di esserci rimasta male sarebbe un eufenismo, ma Laura e Giada, a cui la storia è dedicata, sono riuscite a risollevarmi un po' il morale così stamattina ho concluso la storia che avevo iniziato prima di tutto questo casino.
Amo Jem e amo il modo in cui affronta il suo destino, ma credo che anche lui abbia avuto qualche momento di sconforto, perciò ho cercato di ricreare un possibile scenario.
Spero vi piaccia.
Non ho mai avuto così bisogno di un giudizio esterno come ora, perciò anche una piccola recensione (e le critiche sono accettatissime!) mi farebbe davvero piacere.
Grazie mille.
Baci,
Dany.
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: dontblinkcas