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Autore: deadjoke    21/04/2013    0 recensioni
Siete sicuri di poter ottenere la felicità dai soldi?
Non tutti la pensano così, forse certe volte, la felicità non sta nei soldi, bensì in un sorriso sincero, in un atto di amicizia. Queste cose le scoprirà John, il protagonista di questa breve storia, che sin da quando era piccolo ha sempre avuto tutto ciò che si poteva comprare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo John, ho ventisei anni e sono triste.
Così esordì in piedi davanti a tutte quelle altre persone dallo sguardo vuoto e dall’aria triste che mi circondavano.
Già, se non avete niente di meglio da fare che stare a leggere la mia vita, beh, contenti voi, perché questa storia, la mia storia, è come quella di molte altre persone, con l’unica differenza che io ho tutto ciò che le altre persone a me vicine in questo momento desiderano. Amici, fama, soldi, ragazze, praticamente ho tutto, peccato non sia ciò che desidero realmente, ciò mi ha portato a una lunga e grande depressione, solo successivamente al tentato suicidio.
Ora mi ritrovo qui, in una piccola e squallida sala da riunioni in un ospedale insieme ad altre persone che, come me, negli ultimi tempi hanno provato ad uccidersi, lo scopo di questa terapia di gruppo è quella di sfogarsi ed essere compresi, sperando di far capire al “malato” che non è solo e che ciò che prova è totalmente umano e, infine, che il suicidio non è la soluzione. Così dicono loro.
Ma lasciate che incominci dall’inizio, così come devo fare con tutte le altre persone che non hanno niente di meglio da fare che ascoltarsi l’un l’altro pur di non provare di nuovo ad ammazzarsi.
Sin da quando ero piccolo ho avuto tutto ciò che desideravo, giocattoli, pupazzi, avete presente quel giocattolo che da piccolo desideravate tanto, ma che i vostri genitori non sono mai riusciti a trovare nei vari negozi? Bene, perché io ne ottenevo addirittura due, uno in più nel caso lo distruggessi, sono cresciuto nel vizio grazie ai soldi dei miei genitori e, sopratutto, grazie al fatto che sia mia madre, che mio padre, credevano di potermi imbottire di regali ogni giorno pur di non darmi affetto, già, l’affetto di persone fredde che solo dopo svariati anni ho imparato ad utilizzare per le mie comodità.
Ricordo che quand’ero piccolo la mia badante mi odiava i miei genitori, visto che erano i classici borghesi con la puzza sotto il naso che erano capaci di arrivare in ritardo con la sua busta paga nonostante il contenuto dei loro portafogli potessero sfamare un’intera famiglia, li odiava tanto e, col tempo, capii che odiava anche me, era convinta che anch’io sarei diventato come loro e vedendo quanto un singolo bambino potesse avere tanti giochi, così di tanto in tanto metteva nella sua borsa alcuni dei miei giocattoli, mi guardava negli occhi con sguardo disprezzante, si abbassava e mi diceva sottovoce “tu hai già più di quanto meriti” io rimanevo in silenzio, seduto e ogni volta osservavo la mia stanza piena di colori e pupazzi inanimati.
Non lo dissi mai ai miei genitori, probabilmente perché era la cosa più giusta da fare, lei aveva ragione, possedevo più di chiunque altro e sicuramente i suoi figli avrebbero apprezzato di più quei giocattoli.
Quando andai a scuola ricordo che tutti i bambini della mia classe si avvicinavano a me cercando di entrare nelle mie grazie, sia per via dei giocattoli sempre all’ultimo grido e costosi, nonché per ciò che gli veniva detto dai loro genitori, così, sin da piccolo iniziai a circondarmi di falsi amici a cui non interessavo realmente io, bensì ciò che avevo. Ogni volta che dovevamo organizzare una festa o fare qualcosa fuori dall’orario scolastico tutti proponevano di andare a casa mia, e ogni volta finiva con tutti loro a divertirsi con quello che avevo in casa, mentre io rimanevo solo seduto da qualche parte.
Durante il periodo delle scuole superiori la situazione non cambiò, i genitori dei miei compagni diventarono sempre più insistenti nel volermi conoscere, ogni volta

 

volevano che gli presentassi ai miei genitori mettendogli una buona parola per una possibile assunzione o per un piccolo prestito di soldi.
A differenza di molte persone nella mia stessa situazione, non decisi mai di organizzare atti al di fuori della legge per attirare l’attenzione delle persone, o solamente per trovare una valvola di sfogo, nonchè di divertimento.

Preferì sempre rimanere solo, coi miei pensieri, nonostante questi si facessero sempre più cupi e bui.
Durante le ore di scuola davo sempre il massimo, studiavo per ogni materia e mi applicavo seriamente per ogni cosa, con la speranza di venir premiato con un complimento sincero, ma alla fine ogni parola uscita dalla bocca dei professori sapeva di odio e sarcasmo, se facevo male un compito, anche volontariamente, il potere dei soldi dati da mio padre rendeva il voto peggiore del mondo in qualcosa che poteva fare invidia a tutte quelle persone che venivano rimandate o bocciate per un piccolo errore durante l’ultimo compito dell’anno.

Non dovetti fare mai niente. Il mio futuro era nell’azienda di famiglia, peccato che non era ciò che volevo.
Quando dissi a mio padre di non voler entrare nella sua azienda mi tirò uno schiaffo e poi si limitò a farmi firmare a forza un contratto di lavoro.

Il giorno dopo scappai di casa, lasciai tutti i miei documenti e i miei soldi a casa, sul tavolo nella stanza principale, insieme ad essi gli lasciai un biglietto con scritto “spero di non rivedervi più”.
Girovagai per le strade del centro per ore, vidi passare molta gente vicino a me, quasi tutte le persone ridevano e scherzavano, avevano degli amici, ogni risata che sentivo era come una pugnalata al mio stomaco, non provavo rabbia, solo gelosia, non ero mai riuscito a ridere sinceramente. Quando calò la sera mi diressi verso una zona abbandonata, dove poter passare la notte, vicino a me erano presenti alcuni senzatetto, non avevo paura di loro, chiunque possiede un minimo di intelligenza sa che anche loro sono persone, sfortunate, ma non meno importanti di quanto si possa credere. Rimanevano seduti tutti raggruppati vicino ad un piccolo fuoco, spartendosi equamente il cibo trovato e comprato, un signore si avvicinò a me, nonostante fossi seduto più distante da loro, allungò la mano porgendomi un pezzo di pane e con un sorriso sincero mi disse “mangia figliolo”.

Lo guardai negli occhi, per la prima volta sorrisi e piansi col cuore, mi asciugai le lacrime e lo ringraziai, poco dopo mi alzai, mi avvicinai a loro e spartì il mio pezzo di pane tra tutti loro, ringraziandoli per la loro generosità.
Ad un certo punto dei poliziotti si avvicinarono a noi e quando mi videro si lanciarono su di me, i senzatetto cercarono di fermarli ma gli dissi di stare tranquilli, non dovevano mettersi in mezzo, sapevo per qual motivo quei poliziotti fossero venuti per me.

Venni riportato davanti a casa, mi tolsero le manette davanti alla porta e poi suonarono, quando mio padre aprì la porta mi abbracciò recitando la parte del padre preoccupato, lacrime e singhiozzi degni di un Oscar. Una volta chiuse le porte cominciò a insultarmi, dopo poco mi tirò un pugno in faccia e lasciandomi a terra con un bel livido in faccia e il labbro aperto, mi disse che se non mi fossi presentato il giorno dopo a lavoro sarei potuto morire per lui.
Rimasi seduto tenendomi un fazzoletto sul labbro per circa un ora, la mia mente era completamente vuota, non sapevo a cosa pensare.
D’un tratto una piccola idea si formò nella mia mente, forse era un’idea creata da quell’oscurità che per anni era cresciuta dentro di me, ma alla fine era quanto di più adeguato riuscissi a fare.

 

Il giorno dopo abbandonai nuovamente casa, mi diressi in banca e con fare professionale prelevai metà dell’impero dei miei genitori, sapevo di avere poco tempo prima che essi se ne accorgessero, con tutti i nuovi sistemi tecnologici potevano monitorare il loro conto corrente direttamente dal telefono e ad ogni spostamento o prelievo, entro un’ora ricevevano un messaggio.

Feci tesoro di quel tempo per riscattare la mia piccola insignificante esistenza. Andai nuovamente nella zona abbandonata, i senzatetto erano ancora li, nelle loro scatole di cartone pronti a sbaraccare, quando mi avvicinai non mi chiesero soldi, mi sorrisero tutti, uno di loro, quello che mi diede il pane si avvicino e mi disse sorridendo “sapevo che non potevi essere uno di noi, si vede che hai un’animo buono” sorrisi, gli strinsi la mano e risposi “il mio animo non è diverso da quello di molte persone, lei, con quel piccolo gesto ieri notte, mi ha cambiato la vita, mi ha fatto capire realmente che non importano i soldi per essere felici, ma l’essere buoni con il prossimo, questo è importante, perciò ho deciso di dare a lei e a tutti i presenti questi soldi, sono circa tre milioni di euro” il signore rimase stupefatto da tutto ciò, poi continuai “mi prometta solo una cosa, resti sempre una persona onesta e mantenga sempre quell’animo buono che ha avuto con me l’altra sera”
Quando finì di parlare mi abbracciò, corse verso gli altri e spartì i soldi tra tutti i presenti, uno ad uno mi fermarono e mi abbracciarono calorosamente ringraziandomi per ciò che avevo deciso di fare, molti di loro avrebbero usato i soldi per rivedere i propri figli o genitori che avevano dovuto abbandonare per colonizzare i loro sogni perduti, altri li avrebbero usati per costruirsi una vita vera. Ogni persona possedeva un animo puro e nobile, nessuno di loro aveva mali intenzioni e ciò mi rese felice.
Ringraziai tutti e me ne andai per la mia strada, mi feci un giro per le strade del centro, fino all’attesa dei miei genitori e della polizia.
Arrivarono dopo poco più di un’ora.
Mi circondarono, i miei genitori, infuriati cercarono di avvicinarsi a me, li guardai negli occhi e mostrandogli la mia felicità tirai fuori un rasoio dalla tasca dei pantaloni, improvvisamente tutti si fermarono, mio padre gridò “cos’hai intenzione di fare con quello?” ed io, sbattendogli la mia felicità in faccia risposi “intendo porre fine alla mia vita, perché fino a quando rimarrò con voi non sarò mai felice come ora” dopodiché mi tagliai le vene e cercai di tagliarmi la gola, venni fermato prima di poter avvicinare il rasoio alla gola.
Le ferite ai polsi grondavano sangue lasciandomi in una pozza di sangue che aumentava ogni secondo, dopo poco la vista mi si fece appannata, le ultime immagini che ricordo furono quelle dei miei genitori, li vidi, mentre stavo per svenire, vidi i loro occhi, pieni di odio e d’invidia, ed io non potevo fare a meno di ridere.
Mi svegliai in ospedale qualche giorno dopo, con entrambi i polsi fasciati e una flebo attaccata al braccio destro.
E ora eccomi qua, costretto dall’ospedale a parlare con voi, questa è la mia storia, mi spiace siate dovuti rimanere a sorbirvela così tanto.
Spero che voi possiate trovare la felicità più facilmente di quanto ho dovuto fare io. Ma ora ho capito che posso fare più di quanto ho mai desiderato.

Passarono svariati giorni da quando John fu ricoverato in ospedale, fu costretto a rimanerci fino a quando i medici non gli riuscirono a far perdere la voglia di suicidarsi.
John la perse solo quando un giorno gli fece visita quel signore a cui aveva lasciato i soldi prima di provare ad uccidersi, si presentò a lui coi suoi nuovi vestiti, puliti e profumati, gli disse che grazie a lui era riuscito a comprarsi casa e ad aprire un

piccolo negozio di magliette che tanto voleva aprire quando si trasferì in Italia, John gli raccontò la sua storia e, quando terminò, il signore lo guardò e gli disse “ragazzo, mi hai detto di mantenere sempre l’animo buono come quel giorno, non smetterò mai di ringraziarti per ciò che hai fatto ed il minimo che posso fare è offrirti di aiutarmi col mio negozio, sarebbe bello avere un amico ad aiutarmi”

John sorrise e lo ringraziò.
Venne dimesso qualche giorno dopo.
Ora lavora insieme a quel signore e vive in centro città in una casa tutta sua, non vide più i suoi genitori e ciò non lo toccò minimamente.
Da quel momento fu veramente felice. 

  
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