Per Romano la Sicilia era un suono, un suono dal sapore dolce, deciso, antico, quanto i suoi ricordi.

Era il vento che soffiava polvere fra le stradine di una lontana cittadina.

Le onde del mare che si infrangevano poco  lontano.

Una mano che impastava il grano.

Il sapore dei suoi aspri limoni.

Il colore delle sue dolci arance.

Il sole di luglio che picchiava forte sulla sua testa.

Il canto dei grilli fra le ombre

E il profumo della zagara che si alzava suadente in questo suo cielo.

 

Per Romano questa era la Sicilia.

Si, forse idilliaca, lontana, agognata.

Così la desiderava ardentemente, fino a far straripare dolore dal suo cuore.

Forse era un sogno.

E se lo era, non voleva svegliarsi più.

Ogni volta che apriva gli occhi, ogni santo giorno, non vedeva altro che desolazione.

 

Così ogni mattina non desiderava svegliarsi e vedere.

Non  voleva guardarsi allo specchio e mentire.

Perché sapeva che la sua amata terra non doveva essere un nome sussurrato la sera.

Una paura che scivolava incontrollata.

Un senso di consapevolezza che penetrava nella pelle.

Non uno sparo che alza i corvi.

O il grido di una madre.

Il sangue che bagna i cortili.

Una nuova giovane tomba al cimitero.

Il titolo in prima pagina.

Mafia.

Una cicatrice infetta.

 

Per Romano quella Sicilia aveva il sapore di un' illusione.

E ogni sera voleva ardentemente non sentir più le sirene di notte, i richiami di giorno.

Lo desiderava.

Ma. 

C'è sempre quel ma, che bruciava, scuoteva e affogava tutto.

Quel ma era proprio lui.

Perché lui era, è, e sarà tutto quello.

Era la piaga di un mondo corrotto, crudele.

Nera come la morte.

Bianca come una droga.

E in quei momenti, Romano voleva saper piangere, così da poter chiudere gli occhi e sognare.

 

Persino ora con la pistola in mano, mentre prendeva la mira, Romano sapeva che era sbagliato.

Quel sogno non sarebbe mai esistito.

E la sua anima, solo lei chiudeva gli occhi.

Lì non c'era il suono sordo di quei colpi.

Lì non c'era una voce spezzata.

La sua anima sapeva che un giorno avrebbe trovato la pace.

Ma non ora, non oggi, ne domani.

Magari avrebbe vissuto veramente quel suo idillio.

 

Eppure, oggi era lui quello riflesso nel vetro che impugnava una pistola.

Lui, quello con le mani imbrattate dal sangue dei nemici.

Lui quello che sbagliava e colpiva gli innocenti.

Anche adesso, in quell'attimo, poco prima di premere il grilletto, non sarebbe mai stato lui a proteggere il fratello.

Non avrebbe mai potuto essere il suo eroe.

E lo ripeteva, anche dopo aver sparato, anche dopo aver fatto cader l'arma, anche ora, mentre fuggiva.

 

"Perdonami Feliciano, non sarò io quello che asciugherà le tue lacrime."

 

 

 

Salve ragazzi!

Allora si all' inizio sembra la pubblicità del Mulino Bianco, lo so, ma  in realtà  volevo far riferimento ad un bellissimo film: Baaria di Giuseppe Tornatore, è stupendo dovete vederlo.

Bene l'argomento di questa storia è la mafia, come avete capito anche Romano ne fa parte, la controlla ed è controllato a sua volta, quindi si sente doppiamente colpevole per quello che fa. Per tutto questo, non  riuscirà mai a proteggere il fratello.

Una cicatrice infetta, una piaga incurabile, ecco cosa rispecchia per lui la mafia.

Ecco come si vede.

Sulla prossima cicatrice volevo parlare di Feliciano, avete qualche argomento storico e non da propormi, io non ho idee.

La decisione sta a voi,  avete libertà di scelta, l' importante è che la storia vi sia piaciuta.

Vi ringrazio per aver letto le mie storie.

Bhe spero che vi sia piaciuta!

Un caloroso saluto,

Sachi93.